Si prova con esempi l'importanza di far la volontà di Dio.
Basterebbe ciò che fu detto per persuadere questa divina occupazione di fare la volontà di Dio e non la nostra: ma per molti non serve tanto la ragione né l'autorità delle parole, quanto l'esempio delle opere: perciò non voglio lasciare di proporne alcuni, che noi possiamo imitare. Chi ci diede maggior esempio in questo, fu il nostro Maestro e Redentore Gesù, che solo avrebbe potuto senza pericolo fare la sua volontà, per averla egli libera da sinistri affetti e passioni e impossibilità di peccare, e che non poteva errare in quello che eleggesse: tuttavia non volle allontanarsi punto dalla volontà dell'eterno Padre. Egli stesso confessò che non venne al mondo a fare altra cosa, e che il suo cibo e la sua bevanda erano questo. E nel periodo doloroso della sua passione, quantunque avesse potuto fare la Redenzione con meno costo, e la natura si spaventasse di tormenti sì inauditi che l'aspettavano, non volle chiedere assolutamente a suo Padre che da essi lo liberasse, ma volle mettersi nelle sue mani, chiedendo che si facesse la sua volontà, non domandando quello che il suo naturale difetto voleva, ma quello ch'era di gusto a suo Padre. E perciò la sua morte fu per adempire la volontà divina e per non allontanarsi punto da essa, sebbene per redimere il mondo non era necessario che morisse. E le ultime parole dette sulla croce, con le quali spirò, furono raccomandarsi nelle mani di suo Padre, per insegnare a noi a rimetterei nelle mani di Dio e non volere altra cosa, se non quello che egli vuole, ancorché solamente per questo perdessimo la vita e patissimo tutti i tormenti del mondo: poiché egli, senza altra ragione, né altra necessità che di fare la volontà di Dio, avrebbe patito molto più.
Questa legge e amore della volontà di suo Padre fu profetizzata singolarmente da Davide, quando disse nella sua persona: Nel principio del libro fu scritto di me, che facessi la tua volontà: Dio mio, così ho voluto, e tengo la tua legge nel mezzo del mio cuore (Salmo 39. 8-9). Degli altri giusti disse Davide che tenevano nel cuore la volontà e la legge di Dio; ma del giusto dei giusti, Gesù, disse che l'aveva non solo nel cuore, ma nel mezzo. di esso, come cosa che più di tutte stimava e voleva. Finalmente tutta la vita e tutti i travagli di Gesù furono per adempire lui e far ad altri adempire la volontà di suo Padre, essendogli obbediente fino alla morte e morte tanto penosa, quanto quella di croce: affinché noi ci ricordassimo che l'opera, con la quale ci ha redenti è stata di soggezione e conformità alla volontà divina, e però avessimo in maggior stima quella conformità e l'imitassimo in essa con tale costanza, come se ci fosse impossibile il fare ogni altra cosa. Riferendo gli Evangelisti l'orazione che fece il nostro Salvatore nell'orto, uno scrive che disse: Padre, se, volete, passi da me questo calice; e l'altro disse: se è possibile, (Matt. 26. 39; Marc. 14. 36) affinché intendessimo che ci deve essere la medesima cosa tanto il non gustar Dio d'una cosa, quanto l'essere impossibile.
Dopo Cristo il più bel esempio ce l' ha dato la sua santissima Madre, la quale meritò di essere tale per l'obbedienza e sommissione alla volontà divina. Per questo ella medesima si chiamò la serva del Signore: e per un atto, che fece, di conformità alla volontà divina, entrò subito il Verbo eterno nel suo seno a vestirsi di nostra carne. Dimodochè le due opere maggiori di Dio, che apportarono stupore ai Serafini, che son l'Incarnazione e la Redenzione, si effettuarono con atti di conformità col gusto divino, perché non ci è cosa più grata a Dio. E ora nel cielo stando la Vergine, coronata regina degli angeli tiene per Sua maggior grandezza il soggettare la propria volontà a quella di Dio, e si compiace in atti di conformità con il gusto divino. Quindi è che un monaco cistercense, come racconta Cesario, udì la dolce voce di questa Signora, la quale, passando avanti di lui in una nuvola molto risplendente, diceva: «Facciasi la tua volontà così in terra, come in cielo.» Il che diceva con tanta dolcezza, che tutte le volte che quel monaco si ricordava la dolce melodia, si scioglieva tutto in lacrime. E non v'ha dubbio veruno che in questo la Vergine dà esempio ai Serafini più ardenti nell'amore del suo Creatore. Onde non è adesso gran cosa dire che la maggiore eccellenza e il maggior titolo che conobbe Davide negli angeli, per invitarli a lodare Dio, come più puri, e più a proposito per supplire i suoi mancamenti, sia l'adempimento della volontà di Dio, e però dice: «Benedite il Signore, voi tutti angeli suoi, che siete potenti in eseguire con gran valore la sua parola, subito in quell'istante che udite la voce del suo parlare» ; o secondo l'esplicazione più letterale: «Per questo solo fine. di obbedire e adempire la voce che udite delle sue parole, benedite il Signore voi tutte, virtù sue,» cioè tutti gli eserciti del Cielo, Arcangeli, Principati, Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini, che siete creati da Dio, e che fate la sua volontà. Dimodochè la maggior nobiltà e il maggior cuore degli Spiriti celesti, sebbene siano beati, viene da Davide misurata con questo solo impiego di adempire puntualmente la divina volontà con grande sforzo e valore e con gran purità d'intenzione, non per altro fine che per sé stessa e per obbedirla e adempirla. E di questo si compiace tanto Iddio, che ad essi volle imporre nel cielo esercizio di obbedienza, affinché la loro sommissione e annegazione della propria volontà fosse maggiore; non solo obbedendo a Dio immediatamente, ma anche ad altre creature per Dio, ordinando che alcuni angeli a stessero ad altri soggetti, come figliuoli a padri, come S. Paolo afferma della paternità, che riferisce essere nel cielo. E quello che comanda Iddio, non lo comanda a tutti gli angeli da sé medesimo, ma per mezzo di altri. Per cui gli angeli ricevono l'ordine di quello che devono fare, immediatamente dagli altri Spiriti di più alta gerarchia.
Ed è chiaro che è maggior esercizio d'obbedienza obbedire ad una creatura per amor di Dio, che non a Dio immediatamente; ed è maggior cosa in certo modo star soggetto alle creature e a Dio, che non a Dio solo in sé medesimo. Questa obbedienza adunque hanno gli angeli, rimirando con tal rispetto e con conformità della loro propria volontà gli angeli superiori, come se fossero il medesimo Dio, e ascoltando le loro parole come se fossero del medesimo Dio. E però disse Davide di tutti generalmente che ascoltavano la parola e la voce di Dio; non perché tutti l'udissero per sé stessi, ma perché in quella medesima maniera riputavano e adempivano qualsivoglia ordinazione degli altri spiriti superiori, come se quelli fossero il medesimo Iddio.
Agli Apostoli ancora comandò il loro umile Maestro Gesù Cristo, che si diportassero come servi, non solo rispetto a Dio, ma anche tra di loro; non solo perché facessero la volontà divina, ma anche perché non facessero la propria e piuttosto volessero fare la volontà di un altro uomo, rimirando quello come signore, e sé medesimi come schiavi, per non far mai la propria volontà né assecondare il proprio gusto. E quando volle significare uno stato di maggior perfezione a quell'Apostolo, che egli elesse per capo della sua Chiesa, lo fece con dirgli che altri lo cingerebbe e lo condurrebbe dove non voleva, cioè che non farebbe la sua volontà. E quando ebbe a sollevare uno al principato della sua Chiesa e al comando e governo dei suoi, non lo fece se non nella persona di chi si chiamava obbediente (ché questo vuol dire Simone, che era il nome di S. Pietro). E quando ridusse e sollevò a quell'altra colonna della Chiesa, la prima parola, che volle udire da quella bocca fu di conformità e di soggezione alla volontà sua, avendo detto S. Paolo subito convertito: Signore, che volete ch'io faccia? (Atti 9, 6); parole che non si dovrebbero mai partire dalla bocca e dal cuore.
Né di ciò fu contento il Signore, ma affinché questo nuovo gigante del cielo maggiormente s'abbassasse e soggettasse la sua volontà, lo rimise ad Anania, il quale fosse suo padre e maestro di spirito, volendo così che si assoggettasse anche alla volontà d'un altro uomo, perché tanto meno facesse la sua. Nel che si deve avvertire, per nostra consolazione che non disse il Signore: Egli ti dirà quello che io voglio che tu faccia, ma egli ti dirà quello che ti conviene fare; e questo disse per farci intendere che Dio non vuole altra cosa se non quello che ci conviene e ci sta bene; e ancorché gli uomini non ci parlino manifestamente come vicari di Dio, né certi della sua volontà, nondimeno, quando la cosa non è cattiva, dobbiamo far la volontà d'altri, anche se non è superiore, piuttosto che la nostra, la quale sempre deve avere l'ultimo luogo, o per dir meglio, nessun luogo. I Santi, i quali rinnovarono lo spirito degli Apostoli, posero ogni loro studio in questo medesimo esercizio.
S. Teresa di Gesù fece voto di non far cosa che non fosse volontà di Dio, di suo maggior gusto e compiacenza, non volendo fare il suo gusto in nulla. Un somigliante voto fece la venerabile vergine donna Luisa di Caravascial, cioè di far sempre in tutte le cose quello che intendesse essere di maggior perfezione e di maggior gusto nel divino cospetto. Il ferventissimo padre Diego di Saura, della Compagnia di Gesù, scrisse e confermò lo stesso voto col sangue cavato si vicino al cuore. Un' altra anima aveva tanto gusto in non fare la propria volontà, ma quella di Dio, che desiderava che anche il serrare e l'aprire gli occhi e il movere un dito fosse precetto divino.
S. Ignazio non si contentò di cercar il solamente in tutto il più perfetto e la maggior gloria di Dio e di fare la volontà del suo Creatore, ma quello che più gustava a sua Divina Maestà. Né solo si contentò di fare in niente la sua propria volontà, ma in tutto cercava quello che era meno di proprio gusto: dimodoché diceva che se si fossero date due cose di ugual gusto di Dio o gloria divina, egli avrebbe eletta la più penosa e travagliosa, non tanto per fare la volontà di Dio, quanto per far meno la sua: quindi é che per vincere la sua volontà, patendo di più e per essere oltraggiato di più, si finse alcune volte pazzo.
S. Pandolfo gustava tanto della volontà di Dio, che, divenuto cieco, se ne rallegrava con indicibile contento e consolava quelli che di lui avevano compassione, e restituendo la vista a tutti i ciechi, che venivano a lui, non volle curare sé stesso, né chiedere a Dio che lo sanasse: e però con questo esercizio di non aver volontà, (se non la divina) ascese a un altissimo grado.
A S. Geltrude disse il suo sposo Gesù: «In questa mano porto la sanità, in quest'altra l'infermità: eleggi, figliuola, quello che più ti piace.» Ma la santa, avendo gran desiderio di patire per Cristo, non ardì di scegliere a suo giudizio, ma incrocicchiando le braccia avanti il petto e ponendosi in ginocchio, disse: «O Signore mio, quello di che io vi supplico con ogni efficacia, é che non guardiate la mia volontà, ma la vostra; e però, per essere pronta e disposta a qualsivoglia cosa di quelle due, non ne eleggo alcuna. A voi, Signor mio, tocca di vedere quale di esse mi volete dare.» Il che piacque tanto allo sposo celeste, che le disse: «Chiunque desidera ch'io entri molte volte nella sua casa, mi dia la chiave della sua volontà e non me la voglia mai più levare.» Ammaestrata con questo S. Geltrude faceva ogni giorno trecentosessantacinque volte questa orazione: «Amantissimo Gesù mio, non si faccia la mia volontà, ma la tua.»
All'arbitrio di S. Francesco Borgia lasciò Iddio il vivere o il morire di sua moglie; ma il santo ricusò umilmente di farne la scelta a suo gusto, rispondendo al Signore: «Signore, Dio mio, perché rimettete al mio arbitrio quello che é solo della vostra volontà? Per me è bene il seguire il vostro santissimo volere e il non avere io volere alcuno. Chi sa meglio di voi, Dio mio, quello che deve essere bene per me? Facciasi, Dio mio, la vostra volontà, la quale io domando che si adempia in me e in tutte le cose.» Quanto giovi questo esercizio per avanzarsi in gran merito, lo dichiara bene un'istoria che racconta Cesario di un monaco di Castello, il quale faceva gran miracoli, senza notarsi in lui differenza di vita degli altri. Al solo toccare degli abiti di lui risanavano gli infermi, e se qualsiasi altro monaco si poneva la sua cinta o altra cosa del suo vestito, subito restava sano; onde l' abbate; avendo notato il molto, che quel monaco valeva presso Dio, e che non faceva maggiori esercizi che gli altri monaci, stava di ciò meravigliato: e tiratolo un giorno da parte, gli disse: «Dimmi, figliuol mio, qual é la causa di tanti miracoli che fai?» Rispose il monaco: «Non lo so, poiché io non sto in orazione più degli altri fratelli, né voglio di più, né digiuno di più, né fatico di più. Solo una cosa potrei avere più degli altri, ed é che mi curo tanto poco delle cose della terra, che non v'ha prosperità né contento che m'innalzi, né avversità che mi abbatta e faccia impressione alcuna nell' animo mio, sia nelle cose che toccano la mia persona, sia in quelle che toccano ad altri.» Gli replicò l'abbate: «Non ti sdegnasti, né turbasti, quando quel cavaliere ci bruciò il nostro podere?» Ed egli: «No, per certo: perché rimisi il tutto a Nostro Signore Iddio; poiché se m'é dato poco, ne rendo grazie a Dio e lo ricevo; e se mi è dato assai, parimenti lo ricevo, rendendo grazie a Dio, perché non voglio se non che si adempisca la sua volontà.» Allora conobbe l'abbate che la causa dei miracoli, che faceva quel monaco, era l'amor grande di Dio e il meraviglioso disprezzo delle cose temporali, per conformarsi in tutte le sue azioni alla volontà divina.
Per insegnarci parimente a fare tutte le cose con purità d'intenzione, è molto a proposito quello che successe a due monaci che vivevano insieme nell'eremo con grande perfezione. Il demonio apparve al più vecchio, in forma di angelo, facendogli sapere da parte di Dio, come il suo compagno era prescito; e però tutte le sue opere buone, travagli e penitenze non gli dovevano giovare a nulla.
Restò il vecchio molto mesto per questa rivelazione; durandogli il suo sentimento per molti giorni, se ne accorse il monaco giovane, il quale, a forza di prieghi e di importunità, ottenne da lui, che gli dicesse la causa del suo dolore. Sentendo che la causa era l'avergli Dio rivelato che si aveva a dannare e che vane erano le sue fatiche, il santo giovane molto allegro gli disse: «Non ti turbi questo, o padre, né ti affligga, perché sempre ho servito a Dio non come mercenario per il cielo e per il pagamento, ma come figliuolo o come chi deve fare per essere Dio sommo bene, al quale devo quanto sono, ed egli può far di me tutto quello che gli parrà.» Con la qual risposta il vecchio si consolò: e molto più, quando di poi con vera rivelazione seppe da un altro angelo buono, come il demonio l'aveva ingannato e che per quell’atto che aveva fatto e per 1'animo tanto puro e generoso, che aveva di venire a Dio o di fare la sua volontà, aveva acquistato meriti molto grandi ed era piaciuto singolarissimamente al Signore.
Di un altro servo di Dio racconta Gersone che faceva grande penitenza e stava assai in orazione; o il demonio, avendo invidia di opere tanto buone, per distornarlo da esse, l'assalì con una tentazione, dicendogli: «perché ti stanchi tanto? Già non ti hai a salvare, né andare alla gloria.» Ma egli rispose: «Io non servo a Dio per la gloria, ma per essere egli chi è, por adempire la sua volontà.» E con questo restò il demonio confuso.
Non voglio tralasciare di far memoria dell'esercizio ammirabile di conformità con la volontà divina, che ebbe il servo di Dio, Gregorio Lopez, del quale si dice che il Signore gli insegnò come esercizio di orazione e presenza di Dio il ripetere queste parole: «Si faccia la tua volontà, così nella terra, come nel cielo: amen: Gesù!» Ed egli abbracciò con tanta diligenza e amore questa divina orazione, che la ripeteva moltissime volte il giorno: e di essa usava per infervorarsi nell'amor di Dio, e per difendersi contro le tentazioni del demonio. E volendo che anche gli altri provassero la dolcezza e la forza di questo esercizio, lo consigliava per ordinario ad altrui.
P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.