lunedì 11 maggio 2020

SAN PIO V IL PONTEFICE DELLE GRANDI BATTAGLIE



IL SOVRANO DI ROMA 

L'incoronazione di Pio V ebbe luogo colla consueta solennità nella basilica di S. Pietro, il 17 gennaio 1566, anniversario della sua nascita. Ma se fu osservato il cerimoniale, gli usi che accompagnavano d'ordinario la cerimonia, furono alquanto modificati. E quantunque queste modificazioni fossero leggere, suscitarono tuttavia dei commenti, e sembrarono, nell'intenzione del Papa, il simbolo e l'annunzio d'un nuovo sistema di governo. 
   Al ritorno del corteo, gli ufficiali della milizia usavano gettare alla folla delle monete, allo scopo di associarla alla festa. Questa munificenza, accolta con entusiasmo, conciliava al nuovo eletto le simpatie del popolo; ma essa degenerò ben presto, provocando urtoni da tutte le parti e dando occasione a delle violenze. Talvolta ne seguivano morti. 
   Pio V soppresse quest'incentivo a disordini. Anziché eccitare i turbolenti e gli ingordi preferì un'equa distribuzione di larghi soccorsi fatti a domicilio alle famiglie povere. Il popolo approvò questa giusta ripartizione, e applaudi quando seppe che si era soppresso il sontuoso banchetto, solito a darsi agli ambasciatori, e che venivano distribuite a monasteri bisognosi le somme considerevoli destinate ai preparativi della tavola. 
   Gli ambasciatori non furono in questo d'accordo col popolo; ma Pio V, saputo del loro malcontento e delle loro critiche, si consolava - diceva - nella speranza d'essere un giorno meglio accolto da Dio in cielo. Per allontanare ogni sospetto di tirchieria, fece distribuire. quarantamila scudi d'oro ai cardinali che ne avevano maggior bisogno, a diversi personaggi ecclesiastici e ai servitori del conclave, ch'egli aveva visto prodigare i loro beni e le loro fatiche in servizio della Chiesa. 
   Edificati da questi primi atti del Papa, i romani deposero le loro apprensioni, e poterono constatare ben presto la cura che Pio V si prendeva di essi e dell'abbellimento della città. Il suo spirito di pietà non l'assorbiva dunque al punto da fargli dimenticare gli interessi della terra. Diversi lavori del tutto profani,da lui fatti eseguire in varie parti della città, attestarono molto bene la sua munificenza. 
   Condusse a termine le mura di cinta di Borgo, restaurò un bastione di Castel S. Angelo, costruì diversi ponti, e con spese ingenti riparò l'antico acquedotto, che da Sulmona recava 1'acqua vergine alla fontana di Trevi, fresca, limpida, abbondante. 
   Durante il primo anno del suo pontificato (9 settembre 1566) fece edificare manifatture di lana e seta, simili a quelle di Firenze, per avviare il popolo minuto all'industria, e migliorarne i costumi col toglierlo alla vita oziosa. Costruì fortezze sulle coste dell'Adriatico e fortificò le città di Ancona e di Civitavecchia. 
   Nonostante la sua attività, Pio V non poteva da solo portare il peso d'una amministrazione tanto complicata. I cardinali gli fecero intendere, che aveva l'obbligo di associarsi nel governo un membro della sua famiglia, ma lo trovarono molto restio a fare un simile passo; poiché se la condotta esemplare di San Carlo Borromeo creava un precedente favorevole, era ancora troppo vivo il ricordo dei Caraffa, per non nutrire dei timori che si ripetessero i medesimi tristi esempi. 
   Quanti altri nipoti di Papi avevano coi loro intrighi e disordini scemato il prestigio dello zio, e compromessi l'interesse e l’onore della Santa Sede in avventure e guerre, che non avevano altro scopo se non l'ambizione e la vendetta! Pio V voleva romperla con gli errori del passato. 
Tuttavia quest'usanza, che produceva alla lunga dei veri mali, non si era introdotta senza buone ragioni. I negoziati continui della corte romana, gli intrighi politici dei piccoli stati italiani, e la difficoltà di avere tra i cardinali un aiutante, scevro di qualsiasi legame o preferenza, consigliarono i Papi del sec. XVI e XVII a scegliere tra i loro parenti un collaboratore estraneo alle influenze dei partiti e unicamente consacrato alla loro causa. Questo cardinale-nipote, ministro degli affari civili, risparmiando allo zio la noia di tutte le questioni particolari, che pure esigevano vigilanze nel governo, permetteva al Papa di impiegare tutte le sue energie per il bene spirituale della Chiesa. 
   Con queste considerazioni gli amici di Pio V si studiarono di indurlo a seguire l'esempio dei suoi predecessori. Libero dalle preoccupazioni materiali, con quanta facilità avrebbe egli potuto consacrarsi alle riforme religiose, cosi attese e cosi urgenti! 
   “Bisognò mettere in opera una grande batteria, scriveva S. Francesco Borgia al rettore dei Gesuiti di Genova. Parecchi cardinali e un ambasciatore addussero molte ragioni, e specialmente il vantaggio di avere un intermediario per i negoziati. Mercoledì scorso tutti i cardinali in concistoro hanno domandato al Papa due grazie: che nominasse cardinale suo nipote, e gli imponesse lui stesso il cappello rosso” (Lett. 8 marzo 1566). 
   Pio V finì col rassegnarsi. “Io lascio a voi ogni responsabilità, disse ai cardinali, vestras oneramus animas”. E poiché San Carlo Borromeo amava di ritornare a Milano, per esercitare nella sua diocesi le sacre funzioni e dedicarsi al ministero pastorale, chiamò a sé un membro della sua famiglia, Antonio Bonelli, di venticinque anni, come lui domenicano. 
   Il Bonelli era figlio di Gardina, sorella del Papa. Maestri e superiori; che conoscevano la sua bella riuscita al Collegio germanico e all'università di Perugia, nutrivano su lui grandi speranze, tanto più che la sua giovinezza austera e pia rispecchiava molto bene la vita dello zio. Anch'egli si chiamava in religione fr. Michele. 
   Si direbbe che nel far questa scelta, Pio V siasi compiaciuto di sopravvivere nel nipote; onde, conferendogli la porpora, volle assegnargli il titolo di S. Maria sopra Minerva e chiamarlo il cardo Alessandrino. E siccome questa investitura non era dovuta né al caso né al capriccio, il Papa credette bene di darle pubblicità, e da uomo energico che non nasconde quanto gli suggerisce la propria coscienza, non volle nominare il Bonelli in una promozione numerosa di cardinali, ma lo preconizzò solo (6 marzo 1566). 
   I soliti mormoratori non ebbero il tempo di scandalizzarsi, poiché il Papa, dando al nipote un ufficio cosi importante, lo premunì subito contro qualsiasi pericolo di orgoglio. 
   “Pio V, continuava S. Francesco Borgia nella lettera al rettore di Genova, non ha voluto imporgli la berretta rossa, dicendo che il nipote deve vestire il suo abito religioso, e nell'assegnargli i familiari ha voluto lui stesso fare la scelta, perché vuole che il Bonelli abbia con sé delle persone che diano buona edificazione”. 
   Il Papa infatti, non contento di esortare il nipote a non dimenticare la sua vocazione religiosa, volle anche regolare la sua casa, col bandire ogni lusso. La rendita d'un priorato di Malta doveva essere sufficiente a fornirgli un onesto sostentamento; né permise che il Bonelli arricchisse i parenti e accettasse donativi. Il nipote si sottomise agli ordini dello zio molto volentieri, perché, essendo disinteressato, non si curava di speculazioni e di ricchezze. 
   La sua nomina fu molto utile alla Chiesa, perché diede al Papa occasione di promulgare una legge che pose per l'avvenire freno a un grande abuso. Per impedire che il patrimonio della S. Sede, destinato a dignitari ecclesiastici o a membri della famiglia del Papa, non corresse pericolo d'esser ceduto, con una bolla del 1567 decretò che lo si avesse solo in usufrutto. I cardinali poi dovevano promettere con giuramento di obbedire a questa prescrizione, e di contrapporsi a chiunque osasse contravvenirvi. Questa bolla Admonet nos, che ha la data del 29 marzo 1567, fu firmata da Pio V, vescovo della Chiesa cattolica e sottoscritta da trentanove cardinali. “Chi contravviene, si dice tra altro, incorrerà ipso facto la pena dovuta agli spergiuri e perpetua infamia. Noi intendiamo inoltre che durante la vacanza della S. Sede, quando gli elettori riuniti in conclave faranno il solito giuramento di osservare le prescrizioni di Giulio II, nostro predecessore, che riguardano l'elezione del pontefice, si impegnino di osservare inviolabilmente, se viene eletto la nostra presente costituzione; e chi sarà eletto faccia. in iscritto la stessa promessa nel giorno della sua esaltazione e nel giorno della sua incoronazione, e lo scritto ne sia come la conferma”. 
   Questo atteggiamento di Pio V verso i nipoti dimostrava molto bene, ch'egli non si lasciava davvero guidare da considerazioni umane. 
   Altri avrebbero veduto nell'esaltazione dei nipoti un'occasione provvidenziale di ridonare alla sua famiglia l'antico splendore. Egli non lo sognava neppure. I diversi tentativi fatti per lusingarlo andarono a vuoto, come non riuscirono le mene di alcuni gentiluomini, sempre pronti alle adulazioni, per ottenere prebende o denaro. 
   Il marchese di Maine s'era affrettato a mettere la signoria di Bosco a disposizione del Papa; ma questi la rifiutò cortesemente. Molti nobili aspirarono alla mano delle sue nipoti, ma rimasero delusi poiché egli alle nipoti non volle concedere che una dote modesta, volendo che si contentassero di sposare giovani della loro condizione. E siccome l'ambasciatore di Savoia patrocinava officiosamente la loro causa, il Papa tagliò netto dicendo: “I beni della Chiesa sono beni dei poveri e i miei parenti saranno abbastanza ricchi, quando ignorano che cosa sia povertà”. 
   Al fratello del cardo Bonelli non permise di imparentarsi con una famiglia principesca, che sospirava ardentemente questo matrimonio, e quando il detto giovane si sposò con una certa Rusticucci, senza nobiltà e senza dote, volle che questa sua nuova nipote entrasse in Roma non già in carrozza o lettiga, ma, secondo il costume di allora, sopra un muletto portando del panieri da campagnuola. Dei suoi nipoti uno solo, Paolo Ghislieri, ebbe una dignità. Avendo combattuto eroicamente nella battaglia di Lepanto, fu fatto governatore di Borgo, dominio situato presso Roma. Ma per le sue malversazioni dovette presto comparire davanti allo zio. Anziché confessare le proprie colpe, cercò di mascherarle sgarbatamente con delle menzogne, onde il Papa fortemente irritato lo depose dalla sua carica, e con un gesto risoluto, indicandogli la candela che illuminava la stanza, gli comandò di lasciar Roma prima che la cera fosse consumata. 

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Card. GIORGIO GRENTE

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