SOTTO LA GUIDA DELLO SPIRITO
La chiave del nostro essere profondo la portiamo indubbiamente in noi stessi, ma siamo incapaci di farla emergere da soli: ci vuole una parola proveniente dall'esterno
che si ripercuota in noi e desti un'armonia, un accordo profondo. Ciò che il discepolo attende dal maestro lo porta già inconsciamente in se stesso: aspetta solo di vedere il proprio mistero svelato da un
altro. Egli indovina, intuisce questa capacità di svelamento in colui che sta per scegliersi come guida, perché è qualcosa che coincide con la propria profondità più segreta, con quel meglio
di se stesso che per ora conosce solo in modo confuso.
Per questo siamo sempre destinati ad avere quel maestro piuttosto che quell'altro. Infatti quello che il maestro dirà, magari senza neanche esprimerlo, quello
che farà provare, affiorare nello spirito del discepolo, sgorgherà in realtà dal cuore stesso di quest'ultimo. Da quel momento le parole o i gesti del maestro non verranno pesati dal loro contenuto
oggettivo, potranno addirittura essere solo simbolici; l'essenziale è la chiave interiore di ciascuno, il maestro interiore, destato nel cuore del discepolo, grazie al quale il suo essere profondo riceve vita e
forma. Dobbiamo anche spingerci oltre, dato che parliamo di un'esperienza della vita di fede, quindi retta dai principi dinamici di questa fede.
La chiave o il maestro interiore di cui si parla, in un credente non è
altro che lo Spirito santo in persona, infallibilmente presente come realtà anteriore a qualsiasi velleità spirituale, e che prende in mano progressivamente il cammino interiore e l'orienta secondo il disegno
di Dio. L'azione dello Spirito però non dispensa dal testimone esterno che è là per attestarla e per aiutare a discernerla correttamente. La ragion d'essere della paternità spirituale è
di favorire la venuta al mondo di questa vita nuova, della nuova creatura nello Spirito santo. Si tratta di accompagnare attentamente il passaggio progressivo da quello che il Nuovo Testamento chiama l'uomo vecchio all'uomo
nuovo.
La psicologia ha messo in luce come un processo analogo avvenga anche a livello psicologico: divenire o essere adulto suppone un passaggio continuo dall'"io" superficiale all'"io" profondo,
come pure un'integrazione dell'inconscio nella vita quotidiana cosciente. In ogni uomo si cela un tesoro segreto di cui deve prendere coscienza, che deve essere purificato e assunto affinché possa dare frutto.
In questo modo la vita cresce in noi, come un albero che ogni anno porta molti fiori e nuovi frutti. Viene liberata in noi una verità più profonda, la quale deve integrarsi nella nostra vita e perfino nel nostro
modo di vivere l'amore.
Questa evoluzione continua è d' altronde l'indice che la vita è ancora all'opera in noi, che non è né paralizzata né irrigidita, ma che è sempre
capace di dare nuovi frutti. La vita nuova nello Spirito santo progredisce e si sviluppa allo stesso modo - come diceva Paolo - fino a raggiungere la statura di un "uomo maturo, nella misura che conviene alla piena maturità
di Cristo" (Ef 4,13). La crescita di quest'uomo nuovo è sempre legata alla realtà psicologica di ciascuno e in modo difficile da controllare: la guida spirituale ne terrà conto. Non potrà
mai discernere chiaramente tra ciò che è puro dato psicologico e ciò che proviene solo dallo Spirito santo.
Un chirurgo può distinguere tra un nervo, un muscolo e una vena, ma quando si tratta di
vita interiore, un simile discernimento non è possibile. Ogni dato è innanzitutto psicologico, ma nello stesso tempo in armonia o in disaccordo con lo Spirito. Il che significa che l'azione dello Spirito
santo può appoggiarsi sia sugli elementi oscuri che su quelli luminosi della personalità. Un equilibrio psicologico non è mai una condizione sine qua non del progresso spirituale, così come un handicap psicologico non è mai un ostacolo insuperabile. L'importante è discernere come vengono messi
in opera gli elementi oscuri e quelli luminosi, in che direzione si sviluppano se positiva o negativa e, infine, se sono o meno al servizio dell'amore. Questa è la posta in gioco della paternità spirituale,
che cerca di accompagnare e di illuminare questo processo. In altri termini, si tratta della scoperta di quella che oggi si chiama l'interiorità presente in ogni uomo, il suo essere e la sua realtà più profondi, il suo stesso fondamento.
Da soli siamo incapaci di far affiorare questo
fondo, di destare questa nuova sensibilità ai valori spirituali: dobbiamo essere indirizzati sul cammino, abbiamo bisogno di una parola che illumini questa nuova situazione, in modo da potervi scoprire e riconoscere
il lato migliore di noi stessi. In questo senso l'accompagnamento spirituale si avvicina a quella che Socrate chiamava maieutica. Potremmo anche chiamarla ostetricia spirituale, e la guida assomiglia sempre un po' a una levatrice. E’ uno dei motivi per cui Thomas Merton, in uno dei suoi
ultimi scritti (Final Integration. Towards a Monastic Therapy), pone come obiettivo della vita monastica quello di essere fully bom, "pienamente nato", con il che intende: essere in grado di vivere a partire dalla propria esperienza interiore che si discerne e si avverte sgorgare dal proprio intimo
profondo. Quando questa integrazione ha luogo, diventa fonte di grande maturità e di sapienza: la profondità dell'essere umano infatti è più universale dell'io empirico e superficiale. Poiché
ha toccato il fondo del proprio essere, un uomo simile ha acquisito una dimensione cosmica, è divenuto un uomo téleios, compiuto, perfetto. Ha raggiunto un'identità integrale più ampia di quella del suo piccolo io limitato, che è solo un frammento del suo essere
autentico. Può ora identificarsi con tutti gli uomini e partecipare della loro vita; è infatti diventato uomo universale, sorgente di amore per tutti. E’ in grado di percepire l'amore e la sofferenza
di ciascuno e, ciononostante, di restare libero nei confronti di tutti; ha raggiunto la sorgente della vera libertà al fondo del proprio essere, sorgente che è lo Spirito santo. Non è più guidato
dalla propria generosità esteriore, o da nobili sentimenti, e nemmeno dalla fredda intelligenza. Ormai sa vivere spontaneamente e gratuitamente a partire dalla propria interiorità e dalla sua sorgente profonda,
là dove Dio lo abita e lo guida. La spontaneità interiore è segno di libertà interiore; in questo senso bisogna intendere l'espressione di Agostino: Ama et fac quod vis, "ama e fa' ciò che vuoi". E sufficiente amare, e amare sempre più.
Adesso ci è facile rispondere a una domanda frequente: "Si
può fare a meno della paternità spirituale?". Naturalmente Dio può sempre guidare qualcuno in modo diretto, ma normalmente non agisce così. Per chi desidera sinceramente inoltrarsi un po'
nello spessore dell'esperienza spirituale, si impone un certo accompagnamento da parte di un fratello; e non solo agli inizi, quando si concepisce più facilmente l'inevitabilità di una certa iniziazione,
ma anche più tardi, soprattutto ogni volta che, sotto l'azione dello Spirito santo, uno è invitato a fare un passo in avanti nel cammino verso Dio.
Ogni volta infatti bisogna oltrepassare una specie di tetto,
accedere a un nuovo stadio della vita. Quando si è sul punto di doppiare la boa, affiorano le stesse incertezze, si presentano gli stessi tranelli: bisogna scartare illusioni, evitare scogli, e sempre, nel dedalo di
innumerevoli e sottili reazioni del nostro orgoglio, stupito e insieme ferito, minacciato di essere colpito a morte, bisogna individuare quel tenue filo della grazia, la dolce e quasi impercettibile mozione dello Spirito,
per aprirsi a lei, lasciare che si impadronisca di noi e ci conduca là dove non pensavamo, là dove spesso non avremmo mai voluto andare, verso ciò che occhio non ha mai visto, né orecchio udito,
né mai è entrato nel cuore dell'uomo. Ma ogni volta - ed è questa una certezza della fede - anche la guida sarà là: se siamo pronti, Dio la metterà sul nostro cammino. Allora il
più povero e l'ultimo dei nostri fratelli o delle nostre sorelle potrà offrirci la sorpresa di una Parola di Dio, a condizione che la sappiamo attendere.
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