LE IMPOSSIBILITÀ
Divenuto, nonostante le vaste lacune fossili, un domma l'evoluzione, gli evoluzionisti e i materialisti spiegarono cosí la religione: i selvaggi, non trovando una risposta alle forze della natura, le divinizzarono; quindi ne fecero dei feticci e poi costruirono, civilizzandosi, l'Olimpo delle loro divinità. Infine, la speculazione greca, si liberò di questi dei e raggiunse l'idea, intellettualmente e filosoficamente piú perfetta di un solo Dio infinito ed eterno. Infine, l'uomo moderno, giunto all'apice della civiltà, della tecnica e del progresso, si è accorto che non c'è nulla al di fuori della materia.
Questa concezione evoluzionistica e materialista urta contro la realtà. Infatti le cose stanno esattamente al contrario: tutti i popoli primitivi passati e i popoli primitivi che ancora sopravvivono hanno l'idea di Dio filosoficamente perfetta, anzi piú perfetta dell'idea dei massimi filosofi greci, in quanto credono in un solo Dio, non soltanto infinito, eterno e creatore, ma anche Padre degli uomini; cosicché l'animismo il feticismo e il politeismo rappresentano la caduta da un monte, verso il quale gli onesti filosofi greci sono riusciti a risalire. S. Paolo mostra come è avvenuta questa caduta dell'umanità nell'idolatria: «Si manifesta infatti dal cielo l'ira di Dio sopra ogni empietà e ingiustizia degli uomini, che tengono imprigionata la verità nell'ingiustizia; poiché ciò che è noto di Dio, è a loro manifestato, giacché Dio lo diede a conoscere. Le sue invisibili perfezioni, la sua eterna potenza e la sua divinità, appaiono fin dalla creazione del mondo, offerte dalla considerazione per mezzo delle sue opere. E cosí essi non hanno scuse, perché, dopo aver conosciuto Dio, non lo glorificarono come Dio, né gli resero grazie; ma i loro ragionamenti divennero vuoti e la loro intelligenza stolta si ottenebrò. Vantandosi di essere sapienti, divennero sciocchi, scambiarono la gloria incorruttibile di Dio con immagini di uomini mortali, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio, lasciando che essi seguissero i perversi desideri dei loro cuori, li abbandonò all'impurità, di modo che essi disonorarono i loro corpi tra di loro, scambiarono la verità di Dio con la menzogna e adorarono e servirono le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli » (Rom 1,18-25).
La risalita riprende faticosamente con Platone e Aristotele. Entrambi arrivano all'idea di Dio, ma sconoscono la creazione. Platone descrive Dio come « il Bene », che emana una luce intellettuale che rende visibili le cose, come il sole, e come « Demiurgo » ordinatore della materia giusta il «Modello eterno » (Timeo 29); riconosce l'immortalità dell'anima perché indipendente dal corpo, capace di operare da sola, semplice, partecipe esenzialmente all'Idea della vita, capace di muovere se stessa; ma la concepisce preesistente al corpo, nel quale, con la nascita è entrata come in un carcere, e dal quale aspira a liberarsi (Fedone 106).
Aristotele (384-322) giunge a Dio attraverso il concetto di sostanza. La sostanza, egli dice, risulta dalla potenza e dall'atto. L'atto è la realizzazione di ciò che è puramente possibile, cioè della potenza, come principio di sviluppo e compimento di un ente; la potenza rappresenta la possibilità ad assumere forme diverse nel suo essere determinato dall'atto.
Il passaggio dalla potenza all'atto può avvenire soltanto in virtú di un ente che sia già in atto. In conseguenza, egli dice, il divenire della realtà dell'esperienza esige come fondamento e come ragione sufficiente una sostanza prima ed eterna, assolutamente immobile e, quindi, Atto puro, senza mistione con la potenza, questo ente è causa finale del divenire del mondo e, dunque, primo Motore Immobile. Dio, cosí inteso, è vita e intelligenza in grado eminente, volta alla contemplazione di sé come autopossesso; ma, in quanto Motore Immobile, è auto-coscienza assoluta. Per Aristotele Dio non è creatore del mondo, ma ne è la causa finale.
Duemila anni a.C. ci imbattiamo in un fatto non soltanto inspiegabile, ma addirittura contrario alle leggi dell'evoluzione: un popolo incivile, nomade, vivente nelle tende, proveniente direttamente da un popolo politeista, cioè dal popolo amorreo, raggiunge il concetto puro di Dio: Uno, eterno, creatore, infinito, onnipotente. Questo popolo è il popolo ebreo. Questa cognizione di Dio può spiegarsi soltanto con una Rivelazione di Dio stesso: è ciò che insegna e dimostra la Bibbia.
Tuttavia il Grande Rivelatore è Gesú, ossia lo stesso Dio fattosi uomo. Egli dice: « Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita » (Gv 8,17). Egli è la causa, la spiegazione e il fine di tutta la creazione: di tutte le galassie, ossia della quantità critica di tutta la materia esistente; della Terra e di tutto quanto esiste in essa (tutto necessario, come c'insegna l'ecologia, per vivere noi); di tutti i popoli e di tutta la Storia. Egli è la luce che ci fa conoscere bene:
a) Dio, rivelandone la Trinità, e mostrandocene in se stesso le perfezioni: Dio non è soltanto il Creatore, ma è il nostro Padre, è la Provvidenza, è la Misericordia, è l'Amore infinito: « Chi vede me, vede anche il Padre mio » (Gv 14,9).
b) Lo scopo per il quale siamo stati creati: per raggiungere la felicità eterna del Paradiso; e a tal fine egli dispone tutte le vicende della nostra vita.
c) Lo scopo per cui sono stati creati tutti gli uomini: per formare il suo Corpo Mistico e per rendere piú completa la felicità di ciascuno di noi. Ma egli non tutto ci può dire: « Molte cose avrei ancora da dirvi; ma per ora non ne siete capaci. Ma quando verrà lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà verso tutta la verità » (Gv 16,12); « Vi ho detto queste cose mentre sono ancora con voi; ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre vi manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto quello che io vi ho detto » (Gv 14,25).
Gesú ci insegna quindi cosa ci vuole per scoprire la verità:
1. Il suo aiuto: « Senza di me non potete fare nulla » (Gv 15,5); e a quanti fanno quanto è in sè, Dio non nega la sua grazia.
2. La volontà di cercare: « Chi cerca, trova; a chi bussa sarà aperto » (Mt 7,8).
3. La vista buona. Per quanto l'uomo voglia cercare, se la vista non l'ha buona, non vede nulla o vede male. Per questo dice Gesú: « Questa è la condanna: che la luce è venuta nel mondo; ma gli uomini preferirono le tenebre alla luce, perché le loro opere erano cattive. Infatti, chi fa il male odia la luce e non si appressa alla luce per paura che le sue opere vengano condannate. Chi invece opera la verità, si avvicina alla luce, affinché appaia che le sue opere sono fatte secondo Dio » (Gv 3,19). Per questo Pascal, a un suo amico che cercava sempre nuovi argomenti per credere, disse: « Se vuoi credere da cristiano, comincia a vivere da cristiano ».
Ed è per questo che coloro che comprendono meglio la rivelazione cristiana sono i piú buoni; e che coloro che meglio approfondiscono i misteri di Dio sono i santi: S. Agostino, S. Atanasio, S. Girolamo, S. Tommaso d'Aquino, S. Bonaventura, ecc.; anche se sono analfabeti, come S. Caterina da Siena, la beata Angela da Foligno, ecc.
Lo Spirito Santo va ispirando lungo i secoli Papi, Concili, Santi, asceti, teologi e tante anime innamorate di Dio, e va facendo ricordare quello che ha detto Gesú e lo fa loro maggiormente approfondire.
Questo lo intuí un ebreo sincero, Edmund Husserl. Egli proveniva dall'imperante filosofia dell'Idealismo, sfociata, negli ultimi tempi, nell'agnosticismo e nel materialismo. L'idealismo aveva avuto un precursore in Cartesio, e un caposcuola in Kant e il maggiore esponente in Heghel; nessuno dei quali, però, per un motivo o per l'altro, fu mai ateo. Husserl rilevò il peccato dell'idealismo: quello di ridurre il problema della conoscenza nel semplice « io pensante »; fece, contemporaneamente rilevare l'oggettività della verità e propose la sua « fenomelogia ». Per giungere alla verità, egli insegna, occorrono:
1. L'onestà intellettuale; e quindi il tendere con tutte le forze della propria interiorità alla ricerca onesta e sincera della verità; occorre, innanzitutto, non peccare contro lo spirito di verità. Ognuno di noi è una verità parziale, ossia un raggio della Verità Assoluta, e deve saper scoprire la verità che è negli altri per costruire insieme la « sinfonia della veri-
tà ». Husserl, riprendendo le parole di Gesú « Se il tuo occhio è puro, tutto il tuo corpo sarà illumintao » (Mt 6,22), insegna che, se il nostro intelletto è purificato da interessi e passioni, sapremo vedere la verità che è negli altri, in noi stessi e in tutta la realtà.
2. Essere convinti del realismo della verità: esiste tutto un mondo di cose e di persone attorno a noi, da cui non si deve mai prescindere. Bisogna ritornare alle cose, e quindi all'Essere. E questa è stata la caratteristica della filosofia aristotelica e scolastica. La verità è oggettiva; Husserl la chiama « intersoggettiva », nel senso che vive in tutti e si riflette in modi diversi in tutti; nel senso che, aprendoci agli altri, ci si apre alla verità. Cosí egli fondava la filosofia dialogica, secondo cui ogni sistema filosofico ha una parte di verità. Egli ha fondato quella nozione corale e sinfonica della verità, di cui hanno parlato filosofi e teologi, che vuole indicare come ogni uomo riflette solo un raggio della verità assoluta, la quale può essere colta solo in un processo incessante di apertura agli altri e in un dialogo continuo con tutti i cercatori di Verità nella Storia.
Egli, proseguendo in questa ricerca onesta, scoprí il cristianesimo e si fece cristiano; tuttavia, pur rilevando l'importanza dei sentimenti come fonte di conoscenza, dimenticò che, per vedere non ci vogliono soltanto la vista buona e gli oggetti da vedere, ma occorre necessariamente anche la luce.
E la luce è la grazia di Dio e la divina Rivelazione.
Senza la divina Rivelazione, specialmente senza la Rivelazione cristiana, ossia senza Gesú, manca il criterio con cui si può distinguere quello che è vero e quello che è falso negli altri; nè si può vedere quello che eventualmente manca agli altri; e restano inspiegabili infiniti perché dell'esistenza umana nella terra e della creazione intera.
Gesú solo è la luce che spiega ogni cosa e risponde a tutti i perché: egli è « il Rivelatore », « la luce del mondo ».
E giacché nessun uomo può pretendere di conoscere e possedere già tutta la verità (ciò che ci sarà concesso soltanto nella visione beatifica di Dio, in paradiso), tutti abbiamo il dovere e l'interesse di progredire giornalmente nella verità; ciò che potremo raggiungere: facendo la verità che già conosciamo, ossia vivendo secondo il Vangelo; scoprendo la verità che è negli altri; anche nell'errore c'è una parte di verità; nessun errore potrebbe durare a lungo se non l'avesse. Lo stesso Heghel intuí una verità profonda: « La Storia non è altro che la storia dell'incarnazione del Logos, ossia di Gesú.
Facendo la verità che essi già fanno, ossia cercando di fare il bene che essi fanno; ciò che vale anche per i vari Movimenti ecclesiali; scoprendo gli errori eventuali che ci sono negli altri e immunizzandoci da essi.
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