giovedì 10 giugno 2021

LA CONCEZIONE ILDEGARDIANA DELL’ARMONIA DELLA PERSONA

 


ILDEGARDA  DI  BINGEN

Si è parlato l’altra volta dello sviluppo della personalità; come l’intendiamo noi, è parziale, perché ci riferiamo generalmente allo sviluppo delle capacità della persona che portano poi ad un risultato, il quale le dà la possibilità di affermarsi nella vita. C’è però uno sviluppo della personalità che dovrebbe o precedere o per lo meno svolgersi parallelamente; non si tratta della personalità “tecnica” e dello sviluppo di una certa capacità, per esempio, quella artistica, ma dello sviluppo di una personalità che ci permette di diventare veramente esseri umani, uomini. Quello che manca oggigiorno non è la conoscenza tecnica, ma lo sviluppo della personalità umana, dell’uomo; cose tremende non succederebbero se gli uomini fossero veramente uomini.

Lo sviluppo della personalità è una cosa non facile, perché sappiamo che la condizione stessa dell’uomo non è facile, in quanto egli è composto d’anima e corpo; dunque, deve sviluppare l’una e l’altro. Indipendentemente dai doni che una persona ha, ognuno ha il suo valore, perché occupa un posto nel mondo e ha un’attività che deve svolgere, ma molto spesso forse non sa quale sia, e così la sua vera importanza non la conosce. Ogni cosa e ciascuna persona ha una propria mansione, posto e attività che deve svolgere per sé e per gli altri; esercitando quest’attività si sviluppa se stesso e si cresce davanti a Dio, secondo il piano di Dio e si aiuta il prossimo.

La prima armonia, quella più importante, di cui parla Ildegarda spesso è quella che ci deve essere nell’uomo tra scienza e fede. Noi spesso contrapponiamo queste due qualità: scienza e fede, ma, per Ildegarda, non stanno in contraddizione. Il presupposto per credere è di accettare i limiti della propria condizione umana e di conoscerli. Per giungere a ciò, l’uomo deve continuare a cercare e non possiamo fare a meno di ricordare che la ricerca dei Dio è uno dei temi, forse quello più importante, della Regola di San Benedetto e che Ildegarda, come benedettina, vive di questa ricerca, vive in essa. Tutto quello che si presenta all’uomo nella vita, il mondo, le creature animate e inanimate, gli eventi, tutto, è un’offerta che chiede a lui una risposta dopo l’altra, un’accettazione o un rifiuto e l’uomo può dare questa risposta perché egli è un essere ragionevole, dotato della conoscenza del bene e del male.

Ildegarda pensa alla luce della fede e per lei essa è fides quaerens intellectum (= la fede che cerca di capire). Trattazione sistematica dei singoli temi non c’è e quando parla della fede nelle spiegazioni delle sue visioni, si lascia andare a continue diversioni che non sono mai un’inutile ripetizione di cose già dette, ma si collegano a riflessioni precedenti, chiarendole e completandole. Per quanto riguarda quindi il tema di fede e scienza, ci troviamo a dover raccogliere da diverse opere delle asserzioni che in parte corrispondono, a volte aggiungono nuovi elementi, mentre suscitano in noi l’impressione che non siano soltanto per caso e che Ildegarda ripensi a quello che ha detto e voglia completarlo.

La fede per Ildegarda è pure una scienza, quella delle realtà interiori e di quelle divine, una scienza capace di comprendere queste meglio d’ogni altra. Per mezzo della fede si conosce Dio. Dio è immenso e quindi la nostra conoscenza è sempre, e lo sarà sempre, parziale, ma è una conoscenza. La vera fede è “retta, pura, integra, stabile, è cattolica”, vale a dire, crediamo come crede la Chiesa. Ancora, la fede è “luce, occhio, chiarezza, splendore abbagliante” e nello stesso tempo è ombra. Tende sempre ad un nuovo rispecchiarsi in Dio per giungere a conoscerlo sempre meglio, senza mai giungere a conoscere tutto. Per Ildegarda, che cosa è la fede? Non troviamo una definizione qui; Ildegarda dice: “L’uomo che per la sua scienza, per l’occhio interiore, riesce a vedere quello che all’occhio esteriore rimane nascosto e di ciò non dubita, costui crede fermamente”. Vale a dire, ciò è fede. Così Ildegarda nel secondo libro dello Scivias, mentre nell’ottava visione del terzo libro rappresenta la fede insieme con altre virtù, in figura umana, essa discende tra gli uomini dall’alto con l’umanità di Cristo Salvatore, per ritornare in alto con la sua dignità. Ha un cordone di rosso sanguineo intorno al collo, perché caratteristica della fede è la fermezza, la forza, la perseveranza nel testimoniare che può giungere fino al martirio, la fedeltà a Dio fino all’ultimo sangue.

Un’altra immagine ancora: la fede è come un monte, al cui piede sta una roccia immensa, che è simbolo del timore di Dio, perché la fede è congiunta alla stabilità del timore di Dio, come il timore è congiunto alla fortezza della fede. Per opera del Figlio di Dio, mandato dal Padre, la vera fede germina rigogliosa, fondamento d’ogni buona opera, e nasce insieme con altre virtù dal timore di Dio, che giunge a toccare Dio nella sua inaccessibile altezza. Sappiamo che il timore di Dio, per Ildegarda e anche secondo San Benedetto, guarda a Dio; non è la paura. Ê il timore filiale, che vuol fare piacere a Dio e lo guarda, per cercare di non fargli dispiacere.

Ildegarda paragona ancora la fede ad uno specchio, speculum fidei, dice, riportandosi alle parole dell’Apostolo Paolo in 1 Cor 13,12: “…ora vediamo come attraverso uno specchio, in enigma”. Con l’occhio della fede si vede che ogni creatura tende al suo Creatore e che questo movimento non è mai concluso, così come non lo è l’atto di fede, perché mai Dio può essere completamente compreso dall’uomo. Il nostro atto di fede deve rinnovarsi continuamente. La fede tende ad un continuo rispecchiarsi in Dio, per giungere a conoscerlo sempre meglio. Qual è il maggior ostacolo alla fede? Per Ildegarda, è la dimenticanza di Dio, il non cercare Dio, l’oblivio cordis, (= l’oblio del cuore), come dice lei, il cuore che non si rivolge più a Dio, per guardare solo alle creature, come se esse potessero dare tutto quello di cui l’uomo ha bisogno.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

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