LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE
Questo negozio di tanto grande importanza non si deve intraprendere trascuratamente, né per parti, trattando a metà con Dio, facendo in parte la nostra volontà e in parte la divina, dedicando qualche cosa a Dio e riserbando qualche cosa per noi. Questa donazione deve esser totale, poiché non comporta il dominio assoluto; e massime quello di Dio, compagnia di due padroni. È grande inganno il temere che uno ha di darsi del tutto a Dio, senza riserbarsi niente, parendogli cosa molto amara e orrenda la determinazione di non darsi gusto in nulla.
Non ha costui che temere, anzi di sé stesso deve grandemente temere, se in qualche cosa cerca sé medesimo, perché un affetto, per piccolo che sia, lo potrà rovinare, dando il cuor di lui intero in pegno al demonio, che con un solo desiderio disordinato lo terrà strettamente imprigionato. Una minima affezione immortificata è bastante ad indebolire tutta la forza dell'animo; non in altra maniera di quello che S. Doroteo dice dell'aquila, che se tiene solamente un'unghia attaccata al laccio, ancorché abbia libero tutto il corpo, resta presa. Non è, a dire il vero, cosa piccola, tralasciar le cose piccole, perché non si deve guardar tanto alla cosa, che par poca, in cui ci lasciamo vincere, quanto a questo, che anche in quel così poco non vogliamo rompere la nostra volontà per amor di Dio.
Il che è assai e ci dovrebbe parere tanto maggiore ingratitudine, quanto la cosa è minore. Oltre di ciò, uno può disperare di godere i privilegi e gusti, che dicemmo godere quelli che adempiono la volontà di Dio, se non l'adempie in tutto, e non l'adempirà in tutto, se non nega in tutto la sua. Dimodochè, se, per timore di vivere con afflizione e tristezza, uno lascia di far di sé a Dio offerta generale, commette errore manifesto; anzi se non la fa di questa maniera, non godrà di quella dolcezza e soavità celeste che Dio comunica a quelli, quali adempiono la sua volontà, che è una partecipazione del gusto che Dio ha riposto nell'adempimento di essa. Perché già non adempie tutta la volontà di Dio, chi non l'adempie in tutto, negando in tutto sé medesimo; perché la volontà di Dio è che in niente ci governiamo secondo il nostro volere, ma in tutto secondo il voler suo; perché questo solo a noi conviene, e però chi manca in questo e non adempie il gusto di Dio, non ha diritto di godere i suoi privilegi né titolo per quel contento che riempie i santi, perfettamente mortificati e morti a sé stessi. Perciò diceva il P. Baldassare Alvarez, che siccome i Martiri, secondo come canta la Chiesa, mortis sacrae compendio vitam beatam possident, così i giusti ben mortificati, con un'altra breve morte della loro propria annegazione, acquistano il riposo, che nella terra si può acquistare. E perché non poniamo mai l'ultima mano alla nostra abnegazione, andiamo sempre gemendo e portiamo la croce senza morire in essa, che è proprio degli ipocriti.
Questo negozio dunque della perfetta mortificazione e conformità con la volontà divina non consiste in cosa, che si possa dividere, né si contenta di meno che di tutto; perché non sarà mai vero che uno sia mortificato, se mai non gli mancano tutte le azioni della vita, e per una sola, che gliene rimanga non si potrà dir che sia morti? Al medesimo modo per una sola cosa che uno voglia fare di sua volontà, non adempie perfettamente la divina, né è morto con Cristo. Il che dichiarò Gesù stesso con quel paragone del granello di frumento, che, se non è morto, non dà frutto. E quelle altre somiglianze con le quali ci comandò la mortificazione e a cui paragonò il regno dei cieli, tutti ci raccomandano questo medesimo, che la mortificazione e rassegnazione sia totale. Così fu quella similitudine del tesoro nascosto e della gemma preziosa, per comprar la quale quel mercante vendé tutte le cose e chi dice tutte, non eccettua niuna.
È cosa molto lacrimevole che alcuni, avendo fatto gran spesa in mortificarsi in cose maggiori, mancano in alcune piccole, per cui restano senza questa gioia. Che diremmo di un uomo, il quale avendo dati mille scudi per un incomparabile tesoro, dipoi si ritirasse dall'accordo, per non dar di più un solo quattrino, che gli restava? Il granello di senape, che è il più piccolo seme, e che cresce più di tutte le altre piante, chi non s'accorge che ci ammonisce che cose molto piccole contengono grandi effetti, e però non si devono disprezzare? La stima delle cose è per l'ordinario più per la loro virtù che per la loro quantità. Per il che uno deve generosamente lasciar del tutto sé medesimo e abbracciarsi solo con Cristo, adempiendo in tutto la volontà del suo Padre, persuadendosi che la difficoltà dura solamente finché si vinca bene e sia adempita del tutto la volontà di Dio; perché è vero quello che disse un santo monaco antico: «Mentre uno andrà vincendo, se la passerà cori tristezza e travaglio; ma quando si trova Cristo, non travaglia più, ma fiorisce come una rosa.» E come quando, è nuvolo, ogni cosa è mesta, e quando è sereno ogni cosa si rischiara e rallegra, così succede a quello che ritrova questa preziosa serenità, la quale rischiara e rallegra il cuore, e toglie tutte le tristezze di questa vita. E chi fa altrimenti, non adempie perfettamente gli obblighi, che deve al supremo dominio di Dio, il quale per tanti titoli ha infinito diritto che noi facciamo in niente la nostra volontà, ma la sua. E sebbene uno può adempire quello che coi soavi precetti gli domanda Dio, non può però far tanto che se gli dimostri grato di tutto quello che ha ricevuto e riceve dalla sua divina mano.
E per tanto con meno, né soddisfa alla gratitudine che deve a Cristo per i benefici, coi quali ci ha obbligati; né merita quell'onore che gli angeli dànno a quelli che vedono crocifissi insieme con Gesù, perché vedono in lui alcune cose del suo nemico, che è l'amor proprio; né godrà della soavità di questo calice, che nel principio è di amarezza, ma nel fondo è di miele; e chi non lo vuota affatto, né lo tramanda allo stomaco, non gusta tutta la sua soavità; anzi tiene in mano il veleno, che gli darà la morte, poiché ritiene la sua propria volontà, la quale sola ci fa più danno che tutto l'inferno insieme unito; né ritroverà Cristo, poiché non ha cominciato a cercarlo davvero, né lo raggiungerà, poiché non l'ha incominciato a seguire, essendo il primo passo, come ci insegnò il medesimo Signore, il negare sé stesso e pigliar la sua croce.
Ah! non perdoniamo a fatica nel cercare e possedere Dio, poiché tanto ci importa, siccome egli cercò noi, ancorché non gli importassimo nulla. Con diligenza e ogni spesa cerchiamo la preziosa margarita, giacché così egli cercò la minuta dramma. «È cosa notabile, dice S. Tomaso, che non disse «la comprò», ma che la « trovò», ancorché il genere umano, che vien significato nella dramma, gli costò il suo sangue prezioso e tanto amara passione. E la causa è, perché di tal maniera desiderò la nostra salute, che gli parve sia stato un ritrovarla il poter liberare l'uomo dalla potestà del demonio e guadagnarlo per la beatitudine eterna, per la quale fu creato. Similmente è cosa da notare, che invita tutti gli angeli a congratularsi non con la dramma ritrovata, cioè non coll'uomo, ma con sé medesimo, come se l' uomo fosse Dio del medesimo Dio, e dipendesse la salvezza di Dio dall' aver ritrovato l'uomo perduto, e come se non potesse senza l'uomo essere Dio beato.» Sin qui il santo Dottore.
Or io voglio riprendere la nostra ingratitudine e tiepidezza. Se tanto davvero ci cercò Cristo, perché abbiamo noi a cercar lui tanto per burla? Se tutto quello, che egli patì, non gli parve niente in riguardo di quel tanto, che desiderò per il nostro bene, perché a noi quello che è niente pare assai, per procurare non solo il nostro medesimo bene, ma anche quel che è molto più, la sua divina gloria, la quale è l'adempimento della sua volontà? Iddio si diede tutto a noi, perché dunque noi dobbiamo dare a lui la metà? Oh intollerabile superbia di noi altri uomini, che non con parole ma con le opere diciamo questa gran bestemmia, che vogliamo il doppio più di Dio! Poiché non vogliamo condiscendere ad un tanto giusto e lucroso contratto, che l'uomo si dia tutto a Dio, poiché Dio si diede tutto all'uomo. Oltre di questo, come potrà uno mortificarsi in cose grandi, se non si avvezza a vincersi nelle piccole? E perciò Riccardo Vittorino disse che, giacché il demonio s'affatica di vincerci in cose minime affinché indebolendoci ci vinca in cose maggiori, quanto è giusto che noi ci affatichiamo di mortificarci in cose piccole, acciocché gli serriamo la strada donde possa vincerci in cose grandi.
P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.
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