giovedì 29 giugno 2023

Si deve seguire la volontà di Dio in ogni cosa.

 


 LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE  PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE

 

   Questo negozio di tanto grande importanza non si deve intraprendere trascuratamente, né per  parti, trattando a metà con Dio, facendo in parte la nostra volontà e in parte la divina, dedicando  qualche cosa a Dio e riserbando qualche cosa per noi. Questa donazione deve esser totale, poiché  non comporta il dominio assoluto; e massime quello di Dio, compagnia di due padroni. È grande  inganno il temere che uno ha di darsi del tutto a Dio, senza riserbarsi niente, parendogli cosa molto  amara e orrenda la determinazione di non darsi gusto in nulla. 

   Non ha costui che temere, anzi di sé stesso deve grandemente temere, se in qualche cosa cerca sé  medesimo, perché un affetto, per piccolo che sia, lo potrà rovinare, dando il cuor di lui intero in  pegno al demonio, che con un solo desiderio disordinato lo terrà strettamente imprigionato. Una  minima affezione immortificata è bastante ad indebolire tutta la forza dell'animo; non in altra  maniera di quello che S. Doroteo dice dell'aquila, che se tiene solamente un'unghia attaccata al  laccio, ancorché abbia libero tutto il corpo, resta presa. Non è, a dire il vero, cosa piccola, tralasciar  le cose piccole, perché non si deve guardar tanto alla cosa, che par poca, in cui ci lasciamo vincere,  quanto a questo, che anche in quel così poco non vogliamo rompere la nostra volontà per amor di  Dio. 

   Il che è assai e ci dovrebbe parere tanto maggiore ingratitudine, quanto la cosa è minore. Oltre di  ciò, uno può disperare di godere i privilegi e gusti, che dicemmo godere quelli che adempiono la  volontà di Dio, se non l'adempie in tutto, e non l'adempirà in tutto, se non nega in tutto la sua.  Dimodochè, se, per timore di vivere con afflizione e tristezza, uno lascia di far di sé a Dio offerta  generale, commette errore manifesto; anzi se non la fa di questa maniera, non godrà di quella  dolcezza e soavità celeste che Dio comunica a quelli, quali adempiono la sua volontà, che è una  partecipazione del gusto che Dio ha riposto nell'adempimento di essa. Perché già non adempie tutta  la volontà di Dio, chi non l'adempie in tutto, negando in tutto sé medesimo; perché la volontà di Dio  è che in niente ci governiamo secondo il nostro volere, ma in tutto secondo il voler suo; perché  questo solo a noi conviene, e però chi manca in questo e non adempie il gusto di Dio, non ha diritto  di godere i suoi privilegi né titolo per quel contento che riempie i santi, perfettamente mortificati e  morti a sé stessi. Perciò diceva il P. Baldassare Alvarez, che siccome i Martiri, secondo come canta  la Chiesa, mortis sacrae compendio vitam beatam possident, così i giusti ben mortificati, con  un'altra breve morte della loro propria annegazione, acquistano il riposo, che nella terra si può  acquistare. E perché non poniamo mai l'ultima mano alla nostra abnegazione, andiamo sempre  gemendo e portiamo la croce senza morire in essa, che è proprio degli ipocriti. 

   Questo negozio dunque della perfetta mortificazione e conformità con la volontà divina non  consiste in cosa, che si possa dividere, né si contenta di meno che di tutto; perché non sarà mai vero  che uno sia mortificato, se mai non gli mancano tutte le azioni della vita, e per una sola, che gliene  rimanga non si potrà dir che sia morti? Al medesimo modo per una sola cosa che uno voglia fare di  sua volontà, non adempie perfettamente la divina, né è morto con Cristo. Il che dichiarò Gesù stesso  con quel paragone del granello di frumento, che, se non è morto, non dà frutto. E quelle altre  somiglianze con le quali ci comandò la mortificazione e a cui paragonò il regno dei cieli, tutti ci  raccomandano questo medesimo, che la mortificazione e rassegnazione sia totale. Così fu quella  similitudine del tesoro nascosto e della gemma preziosa, per comprar la quale quel mercante vendé  tutte le cose e chi dice tutte, non eccettua niuna. 

   È cosa molto lacrimevole che alcuni, avendo fatto gran spesa in mortificarsi in cose maggiori,  mancano in alcune piccole, per cui restano senza questa gioia. Che diremmo di un uomo, il quale  avendo dati mille scudi per un incomparabile tesoro, dipoi si ritirasse dall'accordo, per non dar di più un solo quattrino, che gli restava? Il granello di senape, che è il più piccolo seme, e che cresce  più di tutte le altre piante, chi non s'accorge che ci ammonisce che cose molto piccole contengono  grandi effetti, e però non si devono disprezzare? La stima delle cose è per l'ordinario più per la loro  virtù che per la loro quantità. Per il che uno deve generosamente lasciar del tutto sé medesimo e  abbracciarsi solo con Cristo, adempiendo in tutto la volontà del suo Padre, persuadendosi che la  difficoltà dura solamente finché si vinca bene e sia adempita del tutto la volontà di Dio; perché è  vero quello che disse un santo monaco antico: «Mentre uno andrà vincendo, se la passerà cori  tristezza e travaglio; ma quando si trova Cristo, non travaglia più, ma fiorisce come una rosa.» E  come quando, è nuvolo, ogni cosa è mesta, e quando è sereno ogni cosa si rischiara e rallegra, così  succede a quello che ritrova questa preziosa serenità, la quale rischiara e rallegra il cuore, e toglie  tutte le tristezze di questa vita. E chi fa altrimenti, non adempie perfettamente gli obblighi, che deve  al supremo dominio di Dio, il quale per tanti titoli ha infinito diritto che noi facciamo in niente la  nostra volontà, ma la sua. E sebbene uno può adempire quello che coi soavi precetti gli domanda  Dio, non può però far tanto che se gli dimostri grato di tutto quello che ha ricevuto e riceve dalla  sua divina mano. 

   E per tanto con meno, né soddisfa alla gratitudine che deve a Cristo per i benefici, coi quali ci ha  obbligati; né merita quell'onore che gli angeli dànno a quelli che vedono crocifissi insieme con  Gesù, perché vedono in lui alcune cose del suo nemico, che è l'amor proprio; né godrà della soavità  di questo calice, che nel principio è di amarezza, ma nel fondo è di miele; e chi non lo vuota affatto,  né lo tramanda allo stomaco, non gusta tutta la sua soavità; anzi tiene in mano il veleno, che gli darà  la morte, poiché ritiene la sua propria volontà, la quale sola ci fa più danno che tutto l'inferno  insieme unito; né ritroverà Cristo, poiché non ha cominciato a cercarlo davvero, né lo raggiungerà,  poiché non l'ha incominciato a seguire, essendo il primo passo, come ci insegnò il medesimo  Signore, il negare sé stesso e pigliar la sua croce. 

   Ah! non perdoniamo a fatica nel cercare e possedere Dio, poiché tanto ci importa, siccome egli  cercò noi, ancorché non gli importassimo nulla. Con diligenza e ogni spesa cerchiamo la preziosa  margarita, giacché così egli cercò la minuta dramma. «È cosa notabile, dice S. Tomaso, che non  disse «la comprò», ma che la « trovò», ancorché il genere umano, che vien significato nella  dramma, gli costò il suo sangue prezioso e tanto amara passione. E la causa è, perché di tal maniera  desiderò la nostra salute, che gli parve sia stato un ritrovarla il poter liberare l'uomo dalla potestà  del demonio e guadagnarlo per la beatitudine eterna, per la quale fu creato. Similmente è cosa da  notare, che invita tutti gli angeli a congratularsi non con la dramma ritrovata, cioè non coll'uomo,  ma con sé medesimo, come se l' uomo fosse Dio del medesimo Dio, e dipendesse la salvezza di Dio  dall' aver ritrovato l'uomo perduto, e come se non potesse senza l'uomo essere Dio beato.» Sin qui il  santo Dottore. 

   Or io voglio riprendere la nostra ingratitudine e tiepidezza. Se tanto davvero ci cercò Cristo,  perché abbiamo noi a cercar lui tanto per burla? Se tutto quello, che egli patì, non gli parve niente in  riguardo di quel tanto, che desiderò per il nostro bene, perché a noi quello che è niente pare assai,  per procurare non solo il nostro medesimo bene, ma anche quel che è molto più, la sua divina  gloria, la quale è l'adempimento della sua volontà? Iddio si diede tutto a noi, perché dunque noi  dobbiamo dare a lui la metà? Oh intollerabile superbia di noi altri uomini, che non con parole ma  con le opere diciamo questa gran bestemmia, che vogliamo il doppio più di Dio! Poiché non  vogliamo condiscendere ad un tanto giusto e lucroso contratto, che l'uomo si dia tutto a Dio, poiché  Dio si diede tutto all'uomo. Oltre di questo, come potrà uno mortificarsi in cose grandi, se non si  avvezza a vincersi nelle piccole? E perciò Riccardo Vittorino disse che, giacché il demonio  s'affatica di vincerci in cose minime affinché indebolendoci ci vinca in cose maggiori, quanto è  giusto che noi ci affatichiamo di mortificarci in cose piccole, acciocché gli serriamo la strada donde  possa vincerci in cose grandi. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. 

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