domenica 30 giugno 2024

Giobbe ci rivela che sempre si deve avere pietà per chi è sfinito. Mai si deve inveire, né tantomeno gioire per chi è nella sventura. La pietà è un obbligo.

 


LIBRO DELLE LAMENTAZIONI


Giobbe ci rivela che sempre si deve avere pietà per chi è sfinito. Mai si deve inveire, né tantomeno gioire per chi è nella sventura. La pietà è un obbligo. 

Anche lui manifesta la sua angoscia, il suo dolore al Signore e chiede pietà. Nulla è più necessario della pietà nel momento della grande sofferenza. 


Giobbe prese a dire: 

«Se ben si pesasse la mia angoscia e sulla stessa bilancia si ponesse la mia sventura, certo sarebbe più pesante della sabbia del mare! Per questo le mie parole sono così avventate, perché le saette dell’Onnipotente mi stanno infitte, sicché il mio spirito ne beve il veleno e i terrori di Dio mi si schierano contro!  

Raglia forse l’asino selvatico con l’erba davanti o muggisce il bue sopra il suo foraggio? Si mangia forse un cibo insipido, senza sale? O che gusto c’è nel succo di malva? Ciò che io ricusavo di toccare ora è il mio cibo nauseante! 

Oh, mi accadesse quello che invoco e Dio mi concedesse quello che spero! Volesse Dio schiacciarmi, stendere la mano e sopprimermi! Questo sarebbe il mio conforto, e io gioirei, pur nell’angoscia senza pietà, perché non ho rinnegato i decreti del Santo. 

Qual è la mia forza, perché io possa aspettare, o qual è la mia fine, perché io debba pazientare? La mia forza è forse quella dei macigni? E la mia carne è forse di bronzo? Nulla c’è in me che mi sia di aiuto? Ogni successo mi è precluso?  

A chi è sfinito dal dolore è dovuto l’affetto degli amici, anche se ha abbandonato il timore di Dio. 

I miei fratelli sono incostanti come un torrente, come l’alveo dei torrenti che scompaiono: sono torbidi per il disgelo, si gonfiano allo sciogliersi della neve, ma al tempo della siccità svaniscono e all’arsura scompaiono dai loro letti. 

Le carovane deviano dalle loro piste, avanzano nel deserto e vi si perdono; le carovane di Tema li cercano con lo sguardo, i viandanti di Saba sperano in essi: ma rimangono delusi d’aver sperato, giunti fin là, ne restano confusi. Così ora voi non valete niente: vedete una cosa che fa paura e vi spaventate. Vi ho detto forse: “Datemi qualcosa”, o “Con i vostri beni pagate il mio riscatto”, o “Liberatemi dalle mani di un nemico”, o “Salvatemi dalle mani dei violenti”? 

Istruitemi e allora io tacerò, fatemi capire in che cosa ho sbagliato. Che hanno di offensivo le mie sincere parole e che cosa dimostrano le vostre accuse? Voi pretendete di confutare le mie ragioni, e buttate al vento i detti di un disperato. Persino su un orfano gettereste la sorte e fareste affari a spese di un vostro amico. 

Ma ora degnatevi di volgervi verso di me: davanti a voi non mentirò. Su, ricredetevi: non siate ingiusti! Ricredetevi: io sono nel giusto! C’è forse iniquità sulla mia lingua o il mio palato non sa distinguere il male? (Gb 6,1-30). 


Invece i nemici di Gerusalemme gioiscono per la sua devastazione. Manda il giorno che hai decretato ed essi siano simili a me. 

Siamo ancora nella mentalità religiosa dell’Antico Testamento. Vige ancora la legge dell’occhio per occhio e del dente per dente. 

Gerusalemme chiede che i suoi nemici gustino la devastazione perché imparino a non gioire mai del male altrui. Il Vangelo va ben oltre questa legge. 

Il Salmo ci rivela fin dove più giungere la richiesta di giustizia da parte di un cuore. Fino a chiedere che i figli dei nemici siamo sbattuti su una pietra.  


Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre, perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». 

Come cantare i canti del Signore in terra straniera? Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia. 

Ricòrdati, Signore, dei figli di Edom, che, nel giorno di Gerusalemme, dicevano: «Spogliatela, spogliatela fino alle sue fondamenta!». Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra (Sal 137 (136) 1-9).  


Nel Vangelo ci viene rivelato che Gesù non chiede vendetta, né domanda giustizia. Chiede al Padre che perdoni loro, perché non sanno ciò che fanno. 

Perché si passi dalla richiesta di giustizia, vendetta l’uomo deve modificare il suo cuore. Dal cuore di pietra deve giungere al cuore di carne. 

Ma questo cuore solo lo Spirito Santo lo potrà creare in noi. Ma lo Spirito Santo solo Gesù lo potrà versare dalla croce e la Chiesa dal suo corpo. 

La Chiesa, vero corpo di Cristo, prende lo Spirito di Cristo, lo fa divenire Spirito del suo corpo, lo versa dal suo cuore e l’uomo potrà ricevere il cuore di carne. 

Senza il cuore di carne, sempre si penserà e si desidererà con il cuore di pietra. 

Si domanderà al Signore vendetta, giustizia, male per i nemici. 

È questa la straordinaria superiorità del Nuovo Testamento in relazione all’Antico. Dal cuore di pietra si passa al cuore di carne. 

Dalla richiesta di vendetta alla preghiera di perdono. Dalla domanda a Dio che i piccoli siano sfracellati all’intercessione per la pietà e la misericordia. 

MOVIMENTO APOSTOLICO CATECHESI 

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