L'umiltà è la virtù che serve di fondamento a tutte le altre virtù e deve presupporsi ad ogni esercizio di pietà;
senza di essa l'anima non farà mai nessun progresso. La superbia, che è opposta a questa virtù è il vizio che più dispiace a Dio. A questo orribile ed infelice peccato Dio suole resistere,
come dichiara così spesso nella Scrittura: Dio resiste, ai superbi.
Il fondamento di questa resistenza di Dio alla superbia proviene dall'ingiuria speciale che essa gli fa, perchè lo deruba di ciò che gli è più caro, dell'onore, cioè
della gloria a Lui dovuta ed esclusivamente riservata, per attribuirla a un niente, ad un verme della terra. Dio non è di nulla geloso come della sua gloria; ci comunica il suo essere divino, la sua propria natura e
tutti i suoi doni, ma con la condizione che noi non lo deruberemo di ciò che Egli non intende punto cedere a nessuna creatura, vale a dire della sua gloria.
In conseguenza dell'avversione e dell'odio che Dio prova contro la superbia, non. appena l'anima è così miserabile da abbandonarsi ad un tale eccesso,
Dio sull'istante, si ritira e l'abbandona a se medesima, privandola della sua grazia e del suo aiuto; per lo stesso motivo non se ne avvicina che in quanto essa è
vuota di ogni superbia e di ogni propria stima. Perciò diciamo che la santa umiltà è il fondamento di tutte le virtù, perchè queste non si possono acquistare senza la grazia e l'aiuto divino, favori questi che Dio da solamente agli umili: Agli umili Dio dà la sua grazia. Incominciamo dunque dall'umiltà e vediamo innanzi tutto in che consiste.
NATURA DELL'UMILTÀ
L'umiltà ha tre parti. La prima è di compiacerci nella conoscenza di noi stessi. Vi sono anime alle quali Dio fa conoscere la loro miseria
ed i loro difetti, anzi ne porge loro l'esperienza, facendo risaltare ai loro propri occhi la loro stolidezza, leggerezza, inutilità e assoluta incapacità; ma esse a tale vista si rattristano e, non potendola
sopportare, cercano in se stesse qualche cosa che le lusinghi, si studiano di scoprire in se medesime qualche perfezione o qualche virtù che le metta al coperto della convinzione della loro miseria: questo è
effetto di superbia. Bene spesso ci troviamo in tale stato che sentiamo grande abbattimento nel vederci quali siamo, cioè: niente nella grazia e niente nella natura, inutili ad ogni bene, insopportabili a noi stessi
e a tutti: se questo sentimento produce scoraggiamento interiore, è segno che la nostra è umiltà falsa.
Nostro Signore dà, al contrario la stessa visione ad anime sante che gli sono care e predilette e sono stabilite nella vera umiltà, affine di rendere più profonda in esse questa virtù e
prepararvi un fondo più ampio per ricevere la suo grazia e il suo amore. Ma queste anime, perchè più umili, godono di conoscere ciò che sono basta non aderiscano alla malizia della loro carne, sono
contente; talvolta non conoscono punto questa loro buona volontà. Dio permettendo che non distinguano tra gli assalti della carne e il consenso; e ciò è causa per esse di molta pena. Ora sentiranno ripugnanza
verso i poveri e riluttanza a praticare la carità: ora sentiranno disgusto di Dio e della sua santa parola. Altre volte proveranno altre molestie che partono da quel fondo maligno della carne che si chiama comunemente
la natura corrotta; e, nell'incertezza se abbiamo acconsentito a simili tentazioni, si affliggono e si trovano molto umiliate, come pure al pensiero di non aver lavorato abbastanza a vincere se medesime.
Orbene, tutte queste prove, per le anime sante, non sono solo motivo di pena e di abbattimento, quanto di confusione e di umuliazione. Anzi, ciò serve loro a non. dimenticare ciò che sono in se stesse, a ricordarsi che portiamo il peso della carne e siamo composti di una natura di peccato che è fondo inesauribile di malizia; perciò si riconoscono operai di iniquità. Infatti, avendo acconsentito al peccato in Adamo, e inoltre avendo contratto, per i loro peccati personali, abitudini viziose esse hanno alterato la loro propria natura, e l'hanno
talmente viziata che non vi rimane più nulla che abbia pregio alcuno. E' necessario un nuovo principio; è necessaria una nuova generazione, che ci dia una seconda vita e un nuovo spirito per conservare questa vita nuova. Lo Spirito Santo medesimo è quello che opera in noi i movimenti al bene e ci sollecita alle opere buone, come la carne ci inclina alle opere cattive. Così lo
spirito e la carne, sono in continua e perpetua lotta. La carne, dice S. Paolo, combatte contro lo spirito e lo spirito contro la carne.
Perciò i Santi, essendo veramente umili, riconoscono perfettamente ciò che sono da se stessi, e ciò che in se medesimi appartiene
a Dio. Riconoscono donde viene il bene e chi ne è la causa; rendono incessantemente lode e gloria a Dio per il bene che Egli opera nelle loro anime; si umiliano pure incessantemente per il male che fanno e che sentono in sè, riconoscendo la propria povertà, miseria e viltà, e condannano se stessi come causa del male che risentono. Ma una tal vista, per quanto
ne provino tristezza, li umilia senza avvilirli nè scoraggiarli.
Ecco il primo grado della virtù di umiltà; compiacersi nella propria viltà e miseria. Conoscere questa viltà e miseria, non è parte di questa
virtù; ne è soltanto una condizione e un fondamento. Perciò anche i pagani praticavano la conoocenza di se medesimi, eppure essi non avevano nulla della virtù di umiltà, perchè il
primo passo di questa è la soddisfazione e la gloria che si prova nel conoscere se stesso.
Che cos'è dunque l'umiltà? - E' l'amore della propria abiehzione, per il quale, a poco a. poco si diventa così amanti della nullità,
della piccolezza e della bassezza da prediligere in tutto e per tutto.
Prendiamo un esempio: un'anima riconosce in sè il proprio nulla che la rende vile e abietta, riconosce la sua debolezza, i suoi difetti e persino i suoi peccati; bisogna
si- compiaccia nella viltà, nell'abiezione e nel disprezzo che gliene provengono; deve compiacersi in ciò che v'è in se stessa di vile, di abietto e di umiliante.
La viltà e l'abiezione che sono le conseguenze del peccato sono cosa affatto diversa dall'opposizione a Dio: l'anima che è umile deve amare la viltà alla quale essa è ridotta dal peccato, ma insieme deve detestare sommamente il suo peccato in quanto è contrario a Dio. Essa deve essere talmente amante della viltà e della bassezza da amarla, dovunque la incontri; deve trovare, nell'abiezione vaghezze così
deliziose che non trovi nulla di così amabile e la consideri come la sua regina, la sua amica, la sua diletta. Amore di piccolezza, amore di bassezza, amore di abiezione, di umiliazione: ecco la nostra felicità, ecco l'unica nostra pace.
Intesa così, l'umiltà ha la sua sorgente in Dio medesimo; Dio, infatti, benchè a motivo delle sue perfezioni non sia capace di vero abbassamento, tuttavia ha in sé come un peso che lo porta verso le cose piccole, perchè da
se medesimo è amante delle cose basse. Dio guarda alle cose vili,; Ha rivolto lo sguardo alla bassezza dello sua serva, dice la Madonna, nel Magnificat, vale a dire che si compiace nella bassezza e vi prende la sua compiacenza.
Questo peso immenso della Divinità verso la bassezza, riempiva in modo eminente delle sue inclinazioni l'anima di Gesù Cristo, e le infondeva una tendenza infinita
verso la umiliazione, tendenza continuamente operosa, che mai poteva essere spenta né saziata. Tutto quanto vi è di disprezzo, di annientamento e dì abiezione, tutto, per l'anima di Lui, è nulla
in confronto, di quella sete immensa di umiliazione che lo divora.
In ciò consiste l'umiltà di Dio e di Gesù Cristo, di cui dobbiamo renderci partecipi: umiltà che Gesù diffonde nel cuore dei cristiani, nei quali ha infuso lo stesso peso e la stessa inclinazione verso ciò che è basso. Ed è questa la vera umiltà cristiana.
E' da considerarsi come il profeta diceva del Cuore di Gesù Cristo, che sarebbe saziato d'obbrobri; era questo un effetto che l'immensità di Dio operava nel fondo dell'anima di Lui con l'infinità della sua potenza.
Non dobbiamo considerare soltanto le umiliazioni che Gesù Cristo ha subìto nella propria persona e alle quali si riferisce quella sua parola sulla croce: SITIO. Ho
sete; ma ancora gli obbrobri e i disprezzi che desiderava soffrire nel suo corpo mistico e nei suoi membri; anche riguardo a questi Egli diceva: « SITIO. Ho sete, muoio dí languore «nel desiderio di nuove pene e di nuovi «disprezzi: bisogna che mi estenda e mi «dilati in tutta la mia Chiesa e che in essa «io soddisfi la mia sete, quanto più soffrirò in essa disprezzi e umiliazioni, tanto più proverò gioia e consolazione e soddisferò il desiderio immenso .che ho di «spendere al basso.
« Padre mio infinito nei suoi desiderii, mi comunica questo languore e «questa immensa volontà, in confronto «della quale io non sono nulla, né sono «capace dì soddisfarla; per questo cerco «sempre sulla terra
qualche anima che «soddisfi la mia pena e il desiderio che provo di bere a lunghi sorsi in ogni tempo e in ogni luogo, al calice dell'onta e dell'umiliazione. Dimodoché quando «qualcuno soffre disprezzi e li riceve con «gioia ed amore, altrettanto soddisfa la «mia sete».
Sarebbe ben giusto dare in noi questa gioia a Gesù Cristo e procurare di soddisfarlo ed accontentarlo su questo punto.
E poichè abbiamo tanta ripugnanza ad essere umiliati, dobbiamo, almeno raccogliere con cura, quel poco di umiliazione che possiamo, per dar luogo alla potenza e all'efficacia dell'operazione divina nel nostro
cuore.
Dio in se medesimo è immenso, lascia infinita grandezza che lo inclina verso la bassezza deve tutto umiliare sotto di Lui e portarci tutti all'amore del disprezzo e dell'abbassamento. Tuttavia è un fatto, che il nostro cuore gli resiste tanto fortemente e la vince in tal modo sopra di Lui che invece di tendere ad abbassarci,
noi non tendiamo che ad elevarci, né cerchiamo altro che la lode, la stima, e gli applausi. Dio, così potente in tutto e particolarmente nell'anima del Figlio suo, trovasi conì impotente in noi.
Studiamoci dunque di rinunciare al nostro fondo intimo, di condannarlo e sottomotterlo a Dio, affinchè Egli possa imprimere in noi ciò che desideaa e investirci delle sue inclinazioni, dei suoi sentimenti e delle sue medesime disposizioni.
Dobbiamo pregare molto la maestà di Dio che compia in noi le operazioni della sua potenza e della sua virtù immensa, affinchè ci umiliamo in Lui e ci investiamo delle sue inclinazioni
e dei suoi desideri.
La principale umiltà è l'umiltà interiore; questa riguarda dapprima lo spirito e consiste nel tener sempre la facoltà dell'anima in una grande soggezione e dipendenza verso Dio; di modo che il nostro spirito non sia mai nè insolente nè superbo, al punto d'innalzarsi al cospetto del nostro Re e nostro Dio, ma invece sia sempre davanti a Lui in atto di perfetta sottomissione e di profonda riverenza aspettando con pazienza la sua luce e i suoi ordini Guardiamoci sempre dall'essere così presuntuosi da voler, in qualunque cosa, ragionare ed agire da noi e in noi; stiamo sempre sottomessi a Dio, aspettando con fede la sua direzione e la sua regola.
Lo stesso è da dirsi della nostra volontà; benchè si trovi in questa carne di peccato e in questo stato di sregolatezza, essa è sempre come una regina che domina e comanda, perciò meglio ancora dell'intelligenza essa deve stare dipendente dallo Spirito
divino, che vuol essere in noi Re e padrone.
Tratto da: “Vita e virtù Cristiane” Giovanni Olieri
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