domenica 17 maggio 2020

VITA DI CRISTO



Il nome «Gesù»  

Il nome «Gesù» era abbastanza comune presso gli Ebrei, e nella lezione ebraica originaria era «Giosuè». Di Maria, l'angelo disse a Giuseppe:  «Darà alla luce un figlio che tu chiamerai Gesù poiché salverà il suo popolo dai peccati commessi» (Matt. 1: 21)  

La prima indicazione della Sua missione sulla terra non fa cenno del Suo insegnamento, giacché inefficace sarebbe stato l'insegnamento se prima non si fosse data l'opera di salvezza.  

Un altro nome, contemporaneamente, Egli ebbe: «Emanuele».  «Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio che sarà chiamato "Emanuele", il che vuol dire: "Dio con noi"» (Matt. 1: 23)  

Questo nome risaliva ad una profezia di Isaia e assicurava qualcosa di più che una presenza divina: insieme col nome «Gesù», significava una presenza divina liberatrice e salvatrice. L'angelo inoltre disse a Maria:  

«Ecco, tu concepirai nel tuo seno e darai alla luce un figliuolo, a cui porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell'Altissimo; il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà mai fine» (Luca 1: 31-33)  

Il titolo «Figliuolo dell'Altissimo» fu appunto quello con cui si rivolse al Redentore lo spirito maligno che possedeva il giovane del paese dei Geraseni.  

L'angelo caduto riconobbe quindi in Lui ciò che l'angelo non caduto aveva detto ch'Egli era:  «Che vi è tra me e te, Gesù, Figlio del Dio Altissimo?» (Marco 5: 7)  

La salvezza promessa dal nome «Gesù» non è d'ordine sociale, bensì d'ordine spirituale. Egli non avrebbe, necessariamente, salvato il popolo dalla povertà: lo avrebbe sebbene salvato dal peccato. Distruggere il peccato significa sradicare le cause prime della povertà.  

Il nome «Gesù» rammentava al popolo quel suo grande condottiero che lo aveva tratto, in base all'eredità assegnata ad Israele, a riposare nella terra promessa.  

Ora, che Egli fosse prefigurato da Giosuè indica ch'Egli aveva le doti militari necessarie per riportare la vittoria finale sul male, la quale sarebbe conseguita dalla gioiosa accettazione delle sofferenze, dall' indomito coraggio, dalla risolutezza della volontà e dall' incrollabile dedizione al mandato del Padre.  

Il popolo, ridotto in schiavitù sotto il giogo romano, ambiva la liberazione, sicché credeva che qualsiasi compimento profetico dell'antico Giosuè sarebbe stato di natura politica.  

Più tardi, il popolo gli avrebbe chiesto quando lo avrebbe liberato dal potere di Cesare; ma adesso, fin dall'inizio della Sua vita, il Divino Soldato aveva affermato, attraverso un angelo, di esser venuto per vincere un nemico più potente di Cesare.  

Il popolo doveva dunque seguitare a rendere a Cesare quello che era di Cesare, ché la missione Sua era di liberarlo da una servitù di gran lunga più grave: dal peccato, cioè. Per tutto il tempo in cui Egli visse, il popolo continuò tuttavia a materializzare il concetto di salvezza, credendo che la liberazione dovesse interpretarsi solamente in termini di politica.  

Il nome «Gesù», cioè Salvatore, non Gli fu dato dopo ch'Egli ebbe operato la salvezza, ma nel momento stesso in cui venne concepito nel seno di Sua madre. Non già dal tempo traeva fondamento la salvezza ch'Egli recava, ma dall'eternità. 

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN

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