martedì 27 luglio 2021

«La croce assimila a Cristo. E si fa preghiera»

 

«È sempre avvenuto così nella vita della Chiesa: la crisi del Clero porta con sé e preannunzia lo sbandamento dei fedeli; la rinascita spirituale e pastorale dei sacerdoti porta inevitabilmente con sé il rifiorire della fede e della vita cristiana nel popolo» (padre B. Sorge).

Non dobbiamo farci prendere da uno spirito di smarrimento (cf. Is 19, 14), da un vino da vertigini (cf. Sal 59, 5), da uno spirito di torpore (cf. Is 29, 10). Abbiamo da seguire il Maestro che ci precede. Se non accettiamo la `nostra' croce, non siamo più suoi. «Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo» (Le 14, 27).

«Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua» (Gv 12, 25-26).

«È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14, 22).

Non potremo essere conformi al Figlio di Dio fatto Uomo, se ci abbandoniamo alla "dolce vita". Sono la verga e la correzione che danno sapienza (cf. Pro 29, 15).

Senza la disciplina della croce, il popolo diventa sfrenato (cf. Pro 29, 18).

Non è per i seguaci di Cristo la prospettiva di una vita materialista; non sono per noi le rose senza spine; non vogliamo essere sedotti dalla vanità. Quanti, lusingati dai piaceri che il benessere sforna in continuità, la pensano, forse tacitamente, ma fattivamente, come gli empi di cui parla la Scrittura: «Dicono fra loro sragionando: La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi... Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano; nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza» (Sap 2, 1.6-9).

Corriamo il rischio di dimenticare la provvisorietà del nostro soggiorno sulla terra.

Tutto pare congiurare per questa dimenticanza. Eppure si continua a morire.

Con questo, non intendiamo metterci contro il progresso e - fino ad un certo punto - contro il benessere del nostro tempo.

Siamo profondamente convinti, con il Concilio Vaticano II, che... ...l' attività umana, individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo con il quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le loro condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde alle intenzioni di Dio» (Gaudium et spes, n. 34). Ma il primo posto spetta, ancòra secondo il Concilio, alla fede nel Signore Gesù: «Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa lui pure più uomo... Nessuna legge umana v'è che possa porre così bene al sicuro la personale dignità e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo affidato alla Chiesa» (Gaudium et spes, n. 41).

«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68-69).

Andare alla croce per vivere con Lui, Sacerdote e Vittima.

Leggiamo negli scritti di quel santo missionario salettiano che fu p. Silvano M. Giraud:

«Il sacrificio di Gesù è stato compiuto nel tempo ma è per l'eternità. È un fatto storico con circostanze transeunti; ma nella sostanza è permanente e dura nei secoli eterni... "Ho sete!" sospira Gesù. Ho sete di sofferenze, di umiliazioni... Quando un discepolo di Gesù ha compreso queste parole, la croce, la nuda croce, la croce dolorosa diventa per lui la sua gloria, la sua forza, la sua gioia, la sua vita.

Può dire: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1, 21), ma Cristo crocifisso... La croce ci rende conformi a Gesù nel modo più perfetto. Il più alto grado della perfezione consiste nella somiglianza con Gesù Crocifisso. Per imprimere in noi questa somiglianza, Dio segue talvolta vie che ci sembrano strane e perfino indegne di Lui».

E ancora: «Il Crocifisso è il grande mistero di Dio, il più sorprendente, quello che illumina gli altri. Al suo fulgore le cose divine e umane ci appaiono nella loro vera luce e spiegano gli inespressi ardori dei Santi e le loro estasi alla sua presenza».

Il dolore, grande mistero! Lo legittima e lo rende amabile il divino Crocifisso.

"Ora mi basta quello" - sussurrano molti quando sono colpiti da un male inesorabile, indicando un minuscolo crocifisso che pende dalla parete. Scoperta da non rimandare certamente ad un palmo dall'eternità...

Fatta a tempo giusto, risparmia tante delusioni, troppi passi falsi, e tanta amara solitudine.

Al figlio Manuel, mamma Conchita raccomandava con la forza di chi precede con l'esempio:

O «Non posso concepire un religioso che non sia un santo. Non bisogna darsi a Dio a metà. Sii generoso verso di Lui. La vita è troppo corta per non sacrificarsi a Lui per amore.

Forse, e senza tardare, le tentazioni, le lotte verranno a tormentarti. Sii fermo, ama sempre la croce sotto qualunque forma si presenti. È sempre amabile per colui che, sotto l'apparente durezza, sa scoprire la santissima volontà di Dio...

O Manuel, figlio del mio cuore! Ciò che c'è di più grande dopo Dio, l'unica cosa divina che possa fare la creatura è amarlo e glorificarlo sacrificandosi...

Come è misconosciuto questo amore sulla terra. Felici quelli che hanno ricevuto la luce della croce. Per il mondo amare è godere. Nel suo egoismo crede che l'amore consista prima di tutto nel ricevere, nell'essere consolato, coccolato, soddisfatto, mentre l'amore si nutre del dono di sé e dell'immolazione... Sii sempre generoso con Dio e sarai sempre felice sulla terra come nella patria, lassù».

Viene in mente l'apostolo Paolo che chiude la Lettera ai Galati, dichiarando che il suo unico vanto è nella Croce di Cristo, impressa in tutta la sua persona: «D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 6, 17).

L'orazione dei Santi è questa.

Essi pregano, spronati dalla sofferenza, attratti dalla croce, inebriati del sacrificio del Signore che introduce alla visione.

Quando non sanno di che patire, gemono come di una perdita insopportabile.

"O patire o morire" (santa Teresa d'Avila) "Patire, non morire" (santa Maddalena de' Pazzi). Sono preghiere di un sapore soprannaturale inesprimibile.

Santa Gemma Galgani, pur soffrendo terribilmente nel corpo e nell'anima, spiega così il segreto della sua gioia: «Il mio cuore possiede Gesù, e possedendo Gesù sento che posso sorridere anche in mezzo a tante lacrime; sì, sento di essere felice anche in mezzo a tanti sconforti... Due cose sento in me d'infinita dolcezza: nell'amore sei tu, Gesù, che diletti l'anima mia, e nel dolore sono io che diletto l'anima tua».

Soltanto camminando secondo lo Spirito, troveremo il nostro paradiso in terra, stringendoci alla Croce sulla quale agonizza e muore Colui che per noi ha dato la vita.

PADRE STEFANO IGINO SILVESTRELLI


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