«Signore, sono stremato dai lunghi lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio... I miei occhi si consumano nel dolore» (Sal 6, 7-8).
«Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto» (Sal 26, 8).
Solo gli occhi lavati dal pianto godono della trasparenza del Cielo e lo vedono (cf. Mt 5, 8). Chi soffre, se non respinge da sé il dono, si colloca sulle alture più prossime del Regno dei cieli: ne intravede il delizioso mistero di luce e di pace. Ha nello stesso dolore un annuncio d'immortalità nel Cristo, che è la Risurrezione e la Vita (cf. Gv 11, 25).
Piangere con il Cristo! Mistero di vita eterna.
Il gaudente è immensamente povero.
Beati noi se sappiamo soffrire (cf. Mt 5, 4): ogni lacrima mostra un lembo di cielo.
E lo vale. Affrettiamoci a bere a quel calice, al quale ha bevuto il Redentore stesso!
L'apostolo Pietro c'incoraggia a questa condivisione: «Carissimi, nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare» (1 Pt 4, 13).
Occorrono molti atti di coraggio per testimoniare oggi la fede nel mistero di Dio e dell'eternità. Ad esempio:
• Un costume di vita, di abbigliamento, di lavoro, di svago, ecc. - da parte dei sacerdoti e dei consacrati -, che mostri al vivo un costante orientamento verso le realtà eterne.
• L'accettazione del Vangelo senza scorciatoie e senza sconti.
• L'accoglienza cordiale offerta ad ogni uomo come a un fratello.
• Seguire un regolamento di vita, secondo le proprie Regole o concordato con il padre spirituale.
• Pregare sempre e in ogni luogo.
• Rigettare frivolezze, bassezze, perdita di tempo, senza venire mai a compromessi.
• Resistere a satana che «va in giro come leone ruggente cercando chi divorare» (1 Pt 5, 8).
Chiediamo con umile insistenza di imparare presto a soffrire, come persone che hanno speranza e gettano l'àncora in Cristo per la vita che non conosce tramonto.
I pastori d'anime, fedeli alle proprie responsabilità, dovranno pure avere il coraggio di denunciare il male, l'umiliazione del peccato, il bisogno di evadere dal finito, l'urgenza della salvezza. Con tutti i suoi limiti personali e i condizionamenti del suo tempo, anche come evangelizzatore, il Curato d'Ars si presenta come un modello insuperabile e, nello stesso tempo, incoraggiante:
- «L'esame dei quaderni rivela la limitatezza dei suoi mezzi, la povertà dello stile, per non parlare dell'impossibile ortografia; nondimeno, fu amalgamando senz'arte, adattando senza originalità di pensiero dei testi presi in prestito che si formò progressivamente alla predicazione.
- Il Curato sceglieva il più delle volte dei soggetti capaci, secondo lui, d'impressionare il suo mondo. Sensibile com'era al dramma del destino umano, tremando al pensiero del pericolo di dannazione corso incessantemente dai peccatori, era portato istintivamente a porre senz'ambagi davanti agli uditori le questioni più inquietanti...
- Le prediche dei primi anni del Curato d'Ars sembrano confermare che i principi teologici insegnati da Ballay (il suo parroco) al suo discepolo s'ispirassero il più delle volte al timore e al tremore. Gli occorreranno anni di unione con Dio e di contatto con i peccatori per arrivare a disfarsi di questa pesante eredità...
- Il giovane prete, spinto da uno zelo ancora poco illuminato, sembrava esigesse anche dagli ultimi fedeli un'ascesi e un fervore pari a quelli cui tendeva personalmente. Formato alla più severa disciplina, non intuì subito la misura esatta della debolezza dei cristiani mediocri che costituiscono la massa dei battezzati.
- Temendo sempre di cedere, anche di poco, il passo al peccato, assumeva in ogni caso le posizioni più rigorose; ma l'esperienza, con l'aiuto di Dio, lo avrebbe fatto diventare più umano, adattando alla capacità dei peccatori le esigenze della vita cristiana e sarebbe divenuto infine quel Curato d'Ars che la Chiesa ha posto sugli altari.
- La sua predicazione doveva essere all'udito meno urtante che non nella rude stesura trasmessaci: i sentimenti di compassione espressi qua e là, il tono della voce, le lacrime mescolate ai rimproveri coloravano e attenuavano le tirate minacciose. I suoi uditori sapevano d'altra parte che il pastore era per se stesso d'una severità senza pari e che il rigore per le pecorelle era il volto del suo amore per loro. In tal modo, la sua bontà fondamentale, manifestata in tante occasioni, contrastava molto fortemente con le parole spietate lanciate la domenica dall'alto del pulpito, e finiva per chiarire bene le sue lezioni.
Notiamo infine che i suoi discorsi, sconcertanti per noi in tanti punti, vanno ricollocati in un contesto storico ben caratterizzato; perché non dovevano differire poi tanto da quelli della maggioranza dei preti della regione lionese...
- Dal suo arrivo ad Ars, il giovane pastore si gettò a corpo morto nella penitenza. Avrebbe dovuto un giorno rendere conto a Dio delle duecentotrenta anime sulle quali Courbon (il Vescovo) l'aveva incaricato di vegliare. Aiutare il suo gregge a salvarsi, strapparlo dall'inferno: egli non aveva ormai altra ambizione» (René Fourrey, Vita autentica del Curato d'Ars).
Concludiamo rivolgendo il pensiero e il cuore alla Vergine Addolorata, chiedendo a Lei di farci conformi al Figlio suo - Crocifisso e Risorto - e di starci vicino sempre, "adesso e nell'ora della nostra morte".
«Santa Maria, vergine della notte, noi t'imploriamo di starci vicino quando incombe il dolore, e irrompe la prova, e sibila il vento della disperazione, e sovrastano sulla nostra esistenza il cielo nero degli affanni, o il freddo delle delusioni, o l'ala severa della morte. Liberaci dai brividi delle tenebre. Nell'ora del Calvario, tu, che hai sperimentato l'eclissi del sole, stendi il tuo manto su di noi, sicché, fasciati dal tuo respiro, ci sia più sopportabile la lunga attesa della libertà. Allegerisci con carezze di madre la sofferenza dei malati. Riempi di presenze amiche e discrete il tempo amaro di chi è solo. Spegni i focolai di nostalgia nel cuore dei naviganti, e offri loro la spalla perché vi poggino il capo. Preserva da ogni male i nostri cari che faticano in terre lontane e conforta, col baleno struggente degli occhi, chi ha perso la fiducia nella vita.Ripeti ancora oggi la canzone del Magnificat, e annuncia straripamenti di giustizia a tutti gli oppressi della terra. Non ci lasciare soli nella notte a salmodiare le nostre paure. Anzi, se nei momenti dell'oscurità, ti metterai vicino a noi e ci sussurrerai che anche tu, vergine dell'Avvento, stai aspettando la luce, le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto. E sveglieremo insieme l'aurora. Così sia» (Mons. Tonino Bello, Maria - Donna dei nostri giorni).
PADRE STEFANO IGINO SILVESTRELLI
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