sabato 31 luglio 2021

Un vescovo parla

 


II. LETTERA AI MEMBRI DELLA CONGREGAZIONE DELLO SPIRITO SANTO SULLA PRIMA SESSIONE DEL CONCILIO VATICANO II


FONDAMENTI DELLA LITURGIA 

Il complesso delle preghiere che hanno la loro origine nella Chiesa, quelle che furono da essa formulate, raggruppate, armonizzate intorno ad atti prescritti, forma quella mirabile liturgia che è l'espressione della fede, della speranza, della carità della Chiesa di questa terra verso Dio, per mezzo di Cristo Nostro Signore. Il pensiero di questa liturgia è tutto orientato per prima cosa verso Dio, che introduce la Chiesa nella vita trinitaria. Il Padre si compiace nella sua Chiesa perché vi ritrova ovunque il suo Figlio diletto che non ebbe altro desiderio se non quello di accendere del suo Spirito di verità e d'amore la Chiesa, in tal modo veramente assunta alla vita trinitaria. Ma come tutto ciò che procede dalla Trinità è fatto per viverne e ritornarvi, così la Chiesa, a immagine della Trinità e nel suo spirito d'amore, trae tutte le anime che a essa vengono e che odono il suo appello, a quella nuova vita divina, in Gesù e per virtù dello Spirito Santo. Essa le genera, le nutre, le trasforma nella e mediante la sua liturgia. Si può dire in verità che la liturgia è il seno della Chiesa, ove le anime trovano il nutrimento completo, l'alimento perfetto della loro vita spirituale, l'insegnamento della verità, la stima dei veri valori e della loro gerarchia, l'apprendimento di tutte le virtù. È nell'atmosfera della liturgia che sono nati le scuole, gli ospedali religiosi, gli ospizi, la formazione dei chierici, l'apprendimento della cultura e dei mestieri, le scienze e le arti in novitate spiritus. La storia della civiltà cristiana trova il suo fondamento, il suo sviluppo, la sua vitalità nella grande preghiera pubblica della Chiesa che infonde lo spirito di carità, lo spirito di giustizia a coloro che ne vivono. Tutte le iniziative caritatevoli e sante hanno origine nello spirito che ci è dato dai sacramenti e dal sacrifìcio dell'altare. 


RINNOVAMENTO LITURGICO

 Ecco perché dobbiamo profondamente rallegrarci di constatare nei nostri contemporanei un grande desiderio di vivere della liturgia, un nuovo apprezzamento di questa sorgente incomparabile dello spirito di Dio. Il Concilio non poteva esimersi dall'incoraggiare tali sante aspirazioni guidandole, orientandole. È la Chiesa tutta intera a provare questo desiderio di rimettere la liturgia al suo vero posto nella vita cristiana. I papi per primi furono all'origine di tale rinnovamento, non esprimendo così, d'altronde, se non ciò che numerosi vescovi, sacerdoti e fedeli sentivano nel loro intimo. Non è forse questa, del resto, la maniera d'agire profonda e soave dello Spirito Santo?


LITURGIA E APOSTOLATO

 Ma la questione di ciò che si può chiamare la rinascenza liturgica pone problemi fondamentali per la Chiesa intera. Effettivamente, qual è il compito della liturgia nell'apostolato della Chiesa? La riforma del complesso liturgico edificato nel corso dei secoli deve vertere sull'aspetto del culto liturgico, oppure puntare sulla liturgia come mezzo di apostolato? Ridurre la liturgia a mezzo di apostolato, non più considerandola nel suo aspetto di culto pubblico e di lode di Dio, non significherebbe in realtà sottovalutarla? La disistima della liturgia deriva soprattutto dalla presentazione liturgica di atti e insegnamenti che serbano in sé un valore sempre ugualmente vivo o, al contrario, ha la sua origine nella diminuzione dello spirito di fede e dello spirito religioso nei fedeli, e ciò per motivi estranei alla liturgia? L'attività umana è divenuta talmente estranea a Dio, talmente remota dal suo Creatore, dal suo spirito vivificante, che le anime ancora religiose aspirano a riannodare i legami spezzati tra la preghiera e l'azione. Sarebbe troppo semplice e quasi puerile accusare la liturgia, nel modo in cui attualmente si esprime e si attua, di essere all'origine della diminuzione di fede nei fedeli, e di esserne la causa unica o perlomeno principale. Il papa Pio XII diceva ai parroci e ai quaresimalisti: «Quando noi consideriamo l'umanità che ci circonda e ci chiediamo se sia disposta e atta a ricevere in sé questa realtà della vita soprannaturale, è evidente che per molti la risposta non può essere affermativa. Il mondo soprannaturale è loro divenuto straniero, non dice loro più nulla. È come se gli organi spirituali della conoscenza di verità così alte e così salutari fossero in loro atrofizzati o morti. Si è preteso spiegare un tale stato d'animo con questo o quel difetto della liturgia della Chiesa; si è creduto che basterebbe purificarla, riformarla, onorarla, per vedere quelli che oggi errano ritrovare la via dei santi misteri. Chi ragiona così mostra di avere una concezione superficialissima di quell'anemia e di quell'apatia spirituale. Essa ha radici ben più profonde» (17 febbraio 1948). Diciamo dunque senza esitazione che certe riforme liturgiche erano necessarie e che è auspicabile che il Concilio prosegua su questa via, purché a un certo punto si arresti, essendo inconcepibile che si rinnovino ogni dieci anni messali, breviari, rituali, eccetera, e non meno inconcepibile che si modifichino continuamente i testi e le traduzioni ufficiali. Ma perché il rinnovamento liturgico sia pienamente efficace, è forse ancora più necessario riannodare i legami della preghiera liturgica, della lode di Dio - legami naturali e legami soprannaturali - con le attività quotidiane. Fu ed è ancora, questa, l'opera della Chiesa missionaria. Omnia instaurare in Christo: instaurare tutto in Cristo, vale a dire soprattutto la famiglia, la scuola, il borgo, la professione, la città. Bisogna rifare questo lavoro con l'aiuto delle famiglie cristiane e con il concorso di tutti i movimenti di Azione cattolica e altre associazioni che si industriano di dilatare il regno di Nostro Signore.

È necessario, onde ben situare la riforma liturgica, considerare in maniera chiara ed evidente come la liturgia, che è innanzi tutto lode di Dio, sia un culto pubblico e veramente una preghiera della società, della comunità vista in tutti i suoi aspetti. Le grazie della liturgia discendono sul popolo cristiano e sul mondo per santificarlo in tutte le sue attività. Lo spirito del mondo ha ricacciato nella chiesa e rinchiuso nei limiti dei luoghi di culto la liturgia, la preghiera pubblica e i ministri dell'altare, invadendo campi che erano sottomessi allo spirito cristiano e scavando così un abisso tra la preghiera e l'azione, tra la chiesa e la scuola, tra l'altare e la professione, tra l'Eucarestia e la città; ha distratto gli uomini dalla preghiera, la cui efficacia non si mostra più nella vita. Non è forse questo uno dei motivi della sclerosi della liturgia all'interno delle chiese stesse? La liturgia, mutilata del suo normale effondersi in tutta la vita esteriore, è divenuta sotto certi aspetti incomprensibile alle anime semplici, per le quali sono necessarie le manifestazioni popolari che prolungano il culto all'esterno della chiesa.

Ma lasciamo per il momento quest'ultimo aspetto, che sarà senza dubbio oggetto delle preoccupazioni del Concilio, per tentar di precisare come può concepirsi una nuova espressione della liturgia e quali sono i princìpi che debbono guidarci in questa materia. 


PRINCÌPI DIRETTIVI DI UNA RIFORMA LITURGICA 


Carattere umano della liturgia. 

Riconosciamo in primissimo luogo che la liturgia ha un doppio carattere che la segna e la segnerà sempre: un carattere profondamente umano: «Sciebat quid esset in homine»: «Egli sapeva che cosa c'è nell'uomo» (Gv. 2, 25). La psicologia di Nostro Signore è impressa nella liturgia, egli conosce i bisogni profondi degli uomini, delle loro povere anime ferite dal peccato, ma anche anime di fanciulli di fronte al loro Padre celeste, anime sensibili alla Passione del Figlio di Dio, anime fiduciose verso ciò che rappresenta per esse la loro madre Chiesa, anime più sensibili agli esempi che alle parole, più commosse dal canto che dalla lettura, meglio toccate da una parola viva che da una recitazione, anime preoccupate di un perdono visibile, anime più facilmente educate dagli occhi che dagli orecchi. Egli sa, il nostro Maestro, che tutto questo è necessario, o almeno utile alla nostra santificazione, all'elevazione delle nostre anime verso di lui. 


Carattere divino della liturgia. 

A tale carattere umano della liturgia deve aggiungersi, ancor più reale, il suo carattere divino. Tutto ciò che vi è di umano in essa serve a condurci a Dio, per mezzo di Nostro Signore, nello spirito di luce e di carità. Siamo alla soglia del mistero della liturgia. Fin qui essa poteva somigliare a tutte le iniziazioni dei riti pagani. Entriamo ora nella sfera divina, nella quale Dio stesso si è incaricato di guidarci. Nostro Signore ha detto: «Nemo venit ad Patrem nisi per me»: «Nessuno viene al Padre se non per mio mezzo» (Gv. 14, 6). Più nessuno va al Padre senza passare per lui, per il suo sacrificio, per la sua preghiera. Così, dunque, solo la sua liturgia apre i misteriosi orizzonti celesti in tutta la loro realtà, in tutta la loro unione con le realtà terrestri. Il ministro perfetto della liturgia è il Pontefice, colui che getta il ponte tra le realtà di quaggiù e la vita eterna. Nostro Signore era il solo a conoscere suo Padre: «Neque Patrem quis novit nisi Filius»: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio» (Mt. 11, 27). Il cielo, vale a dire il Padre, resta per noi il grande mistero, e il dovere della liturgia è di rispecchiare questo mistero, nei suoi silenzi o in talune delle sue cerimonie simboliche, in certi suoi riti e in tutta la sua atmosfera architettonica, musicale, ornamentale, rituale. Bisogna dunque che tutto in essa sia nobile, grande, bello, ordinato, a immagine di Dio stesso presente nel santuario, poiché il tempio non è anzitutto casa del popolo di Dio ma è principalmente domus Dei, dove il popolo viene a incontrare, a trovare Dio e a comunicare con lui. Tale mistero si esprime maggiormente in certe liturgie orientali nelle quali il sacerdote sembra isolarsi con Dio per venire a portarlo più perfettamente al popolo fedele. La liturgia deve dunque conservare sempre ed essenzialmente questi due caratteri fondamentali, essere ciò che è: divina e umana, con orientamento dell'umano verso il divino che è il suo fine ultimo. L'uomo che si accosta a Dio non può divenirne che più umano, ritrovare la vera immagine divina secondo la quale è stato creato: «Rivestitevi dell'uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e santità verace» (Ef. 4, 24). Solo ricordando questi princìpi fondamentali del mistero di Dio e della psicologia umana, con tutti i dati della teologia del peccato e della giustificazione, della redenzione operata da Nostro Signore, del suo sacrificio e dei suoi sacramenti, e con i dati della vera filosofia concernente l'educazione e l'insegnamento della verità e che abbraccia tutte le facoltà del corpo e della mente, potremo dare ai ritocchi liturgici il loro giusto luogo, la loro vera opportunità. Sforziamoci dunque di circoscrivere e di definire più da presso il problema che ha tanto preoccupato i padri conciliari. 


ELEMENTO UMANO IMPORTANTE: L'INTELLIGENZA DEI TESTI 

Per partecipare realmente a questi misteri della liturgia, l'anima fedele prova il bisogno di sempre meglio e più profondamente comprendere i testi liturgici e di associarsi intimamente a ciò che si opera sotto i suoi occhi. Essa cerca il suo nutrimento spirituale in quei mirabili testi carichi di verità e di vita; sembrerebbe dunque indispensabile offrirgliene l'intelligenza, si tratti di testi letti o di canti.


LINGUA LITURGICA: UNIVERSALE O VERNACOLA? 

Converrà dunque facilitare tale comprensione. Da qui a concludere che si debba proscrivere una lingua incomprensibile il passo è presto fatto. Ma altre considerazioni ci invitano a riflettere bene prima di procedere a misure così radicali. 


Vantaggi della lingua universale.

 In realtà conviene ricordare che noi partecipiamo a un'azione di Chiesa, di Chiesa cattolica, a una preghiera che ci insegna la nostra fede, la nostra fede cattolica. Così la liturgia, nella misura in cui serba un carattere universale, ci forma a una comunione cattolica e universale. Nella misura in cui la liturgia si localizza, si individualizza, essa perde questa dimensione universale e cattolica che s'incide profondamente nelle anime. Sembra opportuno citare due esperienze dirette. È innegabile che le azioni liturgiche, e l'azione per eccellenza, la santa Messa, espresse interamente in lingua nazionale, come è il caso di taluni riti orientali, circoscrivono la comunità cristiana, le impongono dei limiti. Esse richiedono per le comunità in diaspora la presenza di sacerdoti dello stesso paese per celebrare il rito liturgico. Le comunità si isolano e i loro membri soffrono di tale isolamento. E non appare per nulla evidente che tali comunità siano più ferventi e più praticanti di quelle che fanno uso di una lingua universale, incompresa da molti ma suscettibile di traduzioni alla portata di tutti. Un secondo fatto è quello che si manifesta nelle nuove comunità cristiane che traggono argomento proprio dall'universalità della liturgia cattolica come prova della verità della Chiesa cattolica contro la molteplicità, ad esempio, dei riti protestanti È d'altronde questa una delle principali ragioni della coesione dell'Islam, che considera l'arabo classico come la lingua unica del Corano e giunge a interdirne la traduzione. Prima considerazione che fa riflettere. Alludevamo all'espressione della fede universale cattolica grazie a una lingua universale. Non si può negare che la fede sia condizionata dalla formulazione della preghiera liturgica: Lex orandi, lex credendi. La lingua unica protegge l'espressione della fede contro gli adattamenti linguistici nel corso dei secoli e, di conseguenza, la fede stessa. Le lingue parlate sono mutevoli e mobili. E se non si adatta via via l'espressione liturgica alla lingua dell'epoca moderna, si finisce a poco a poco con l'esprimersi ugualmente in una lingua incompresa, come è il caso della lingua usata nel rito etiopico, il gheez, che era la lingua corrente antica, ormai non più parlata né compresa.


Fine ultimo della liturgia: l'unione con Dio. 

Altra considerazione che ha il suo valore: l'intelligenza dei testi non è il fine ultimo della preghiera, né il solo mezzo di mettere l'anima in preghiera, vale a dire in stato di unione con Dio, che è lo scopo della preghiera. L'oggetto proprio della preghiera è Dio. L'anima che si accosta a Dio e si unisce spiritualmente a lui è in preghiera e si abbevera alla sorgente della vita. Sarebbe dunque contrario al fine stesso dell'azione liturgica dedicare all'intelligenza dei testi un'attenzione tale che ostacoli l'unione con Dio. D'altra parte l'anima semplice, non necessariamente colta, veramente cristiana, troverà la sua unione con Dio ora in virtù di un celestiale canto religioso, ora dell'atmosfera generale dell'azione liturgica, della pietà e del raccoglimento del luogo, della sua bellezza architettonica, del fervore della comunità cristiana, della nobiltà e pietà del celebrante, della decorazione simbolica, dell'aroma dell'incenso, eccetera. Poco importa il piedistallo, purché l'anima si elevi in Dio e vi trovi il suo elemento soprannaturale, in virtù della grazia di Nostro Signore. Tutte queste considerazioni non diminuiscono in nulla la necessità di cercare una miglior comprensione dei testi liturgici e una più perfetta partecipazione all'azione liturgica. Ma esse vogliono attenuare quella tendenza spontanea e imprudente a non concepire che un solo mezzo per giungervi, il quale sarebbe l'impiego puro e semplice della lingua parlata e la soppressione della lingua universale della Chiesa in tutta la Messa.


CONCLUSIONE SULLA LITURGIA 

Quali saranno in definitiva le decisioni del Concilio? È ancora troppo presto per dirlo. Vi sarà forse un adattamento nel senso della lingua parlata per la prima parte della Messa, ma il Concilio insisterà vivamente sulla preparazione dei fedeli e sulla loro istruzione liturgica per mezzo delle esortazioni e predicazioni dei pastori e dei catechisti; su una ricerca costante di comprensibilità dei messali posti a loro disposizione, onde facilitare tale migliore intelligenza della liturgia e un'attiva partecipazione spirituale e soprannaturale all'azione liturgica. E, riducendo alle giuste proporzioni queste riforme di particolari, la Chiesa chiamerà tutti i suoi figli, e quelli che non lo sono ancora, ad accostarsi ai misteri divini per accostarsi al mistero di Dio, a unirsi al corpo e al sangue della divina vittima per vivere della vita trinitaria e accrescere così la vitalità del corpo mistico di Nostro Signore, la santa Chiesa di Dio. Poiché tutto è mezzo al fine essenziale, che è di salvare le anime restituendole alla loro filiazione divina. Queste poche riflessioni evocano le preoccupazioni dei padri conciliari intorno alla liturgia e il loro desiderio di renderle il suo vero posto nella vita cristiana. 


ALTRI ARGOMENTI AFFRONTATI DAL CONCILIO 

Altri argomenti sono stati affrontati, quali le fonti della Rivelazione, l'ecumenismo, gli schemi dogmatici in generale, proposti in due gruppi di schemi: il primo affrontava argomenti diversi di teologia dogmatica e morale, il secondo trattava in modo speciale della Chiesa. Ci è impossibile descrivere nei particolari le discussioni che ebbero luogo intorno a tali schemi, non soltanto per via del segreto sulle deliberazioni ma perché dovremmo dedicarvi parecchie pagine. Sembra tuttavia possibile distinguere tre gruppi di interventi in generale.


 ASPETTO ECUMENICO 

Gli uni avevano come oggetto principale l'aspetto ecumenico del Concilio e per ciò stesso tendevano a omettere tutto ciò che nei testi presentati rischiasse di ravvivare le separazioni anziché tendere all'unità. Tale preoccupazione è certo in buona parte all'origine della discussione intorno alle due fonti della Rivelazione; all'origine anche delle richieste di modifiche degli schemi sull'ecumenismo. Aggiungiamo che coloro che si erano particolarmente occupati di questo aspetto del Concilio tendono a insistere sulla collegialità episcopale della Chiesa, sforzandosi di provare la giurisdizione universale abituale del collegio episcopale unito al Papa, anche sparso attraverso il mondo; essi auspicano la costituzione di una rappresentanza episcopale che affianchi la Curia romana e aspirano a dotare di poteri magisteriali e di giurisdizione le assemblee episcopali nazionali. Tutto ciò tenderebbe a facilitare l'unione con le Chiese dissidenti.


ASPETTO PASTORALE 

Un altro gruppo è particolarmente ansioso di orientare il lavoro del Concilio verso la pastorale. Chiede cioè, da un lato, che gli atti conciliari si rivolgano direttamente al mondo e ai fedeli, e dall'altro che il Concilio esamini le possibilità di adattamento della liturgia, dei sacramenti, della disciplina ecclesiastica, del diritto canonico, alle necessità dell'apostolato contemporaneo. Donde la tendenza di costoro a non ricercare le espressioni dogmatiche né le precisazioni scolastiche relative alle definizioni teologiche: dal Concilio Vaticano II deve nascere una nuova espressione conciliare; il mondo d'oggi attende ciò dal Concilio. In questo essi si riallacciano al primo gruppo, quello che si oppone agli schemi dogmatici presentati tradizionalmente; ma il motivo è diverso.


ASPETTO DOTTRINALE 

Infine, un terzo gruppo giudica che non si concepisce un Concilio che non esprima precisazioni dogmatiche contro gli errori moderni che tendono a deformare il dogma o addirittura a negarlo. Donde la necessità di riaffermare verità tradizionali in tal modo che questi errori siano formalmente eliminati. Per questi padri tale è il primo fine del Concilio, che appare loro altresì un fine pastorale, poiché proteggere il proprio gregge contro i lupi significa essere buon pastore. Essi affermano che gli errori compaiono numerosi ai nostri giorni e sono proclamati negli stessi ambienti di Chiesa: in merito alla sacra Scrittura, al peccato originale, alla morale, ai Novissimi, nel campo del dogma; in merito alle prove dell'esistenza di Dio, la conoscenza della verità, la metafisica, la cosmologia, la distinzione tra natura e grazia nel campo delle verità filosofiche: tutto è rimesso in questione. Appare dunque indispensabile a questi padri che il Concilio indichi chiaramente le fonti della verità e riaffermi certi dogmi in maniera esplicita. Essi sono anzitutto ansiosi di far apparire la fede in tutta la sua purezza e la sua integrità. Non pensano che l'omissione sia un incoraggiamento all'ecumenismo, ma al contrario che la verità rechi in sé la grazia di creare l'unità. Essi temono parimenti che l'aspetto puramente pastorale del Concilio lo trascini in discussioni senza fine e preferiscono lasciare la cura degli adattamenti a commissioni post-conciliari. Sono altresì contrari a una decentralizzazione abusiva e ripugna loro una moltiplicazione di assemblee munite di poteri importanti, che introducano nella Chiesa una democratizzazione contraria a tutta la sua tradizione.

Questi timori non sopprimono il desiderio di talune riforme nella Curia romana, nelle assemblee episcopali, nella liturgia, eccetera, purché siano guidate da grande prudenza. È infine nettissima la tendenza a lasciar tali cure al Sommo Pontefice. Questi tre gruppi hanno manifestato il loro pensiero in tutta franchezza e libertà. Perché non dire che appare evidente come il Santo Padre desideri raggiungere questi tre obiettivi? Lo dimostrano i documenti importanti comunicati ai padri conciliari in occasione dell'apertura e della chiusura della prima sessione. Dottrina, pastorale, ecumenismo: tale il trittico sottoposto agli sguardi dei padri del Concilio. E proprio perché il perseguire tali obiettivi in una sola e medesima espressione ha provocato divergenze serie, io mi sono umilmente permesso di proporre quale soluzione una doppia espressione: dottrinale da un lato, che esiga termini scientifici, scolastici, precisi, onde eliminare le ambiguità e gli errori; pastorale ed ecumenica dall'altro, ispirata a una presentazione comprensibile a quelli ai quali è diretta, sotto forma di esortazione e di direttorio. Il Concilio di Trento ci ha dato un esempio di tale doppia espressione nelle sue definizioni ed esposizioni dogmatiche e nel suo catechismo più particolarmente pastorale. Non è forse un dato dell'esperienza che tale dilemma si pone continuamente ai pastori incaricati di insegnare il catechismo, e soprattutto a coloro che lo redigono? È difficilissimo serbare al catechismo tutta la sua ricchezza dottrinale e tutta la sua precisione se si vuole adattarlo nell'espressione alla mentalità e alla psicologia dei fanciulli e dei catecumeni. Donde la necessità di spiegazioni, dell'insegnamento impartito dai catechisti. La seconda sessione ci chiarirà tutti questi problemi appassionatamente interessanti e che hanno avuto un'eco straordinaria nel mondo intero. Il Santo Padre sta provvedendo all'elaborazione di nuovi schemi per mezzo delle commissioni conciliari. Mentre i membri delle commissioni lavorano, è per noi l'ora della preghiera, come per gli Apostoli nel cenacolo nell'attesa dell'avvento dello Spirito Santo. La Vergine Maria era fra essi e fu senza dubbio onnipotente sul cuore di Gesù onde inviasse il suo Spirito. Non cessiamo di pregarla affinché ottenga dal suo divino Figlio l'invio dello Spirito Santo che illumini le intelligenze e i cuori dei successori degli Apostoli in una nuova Pentecoste. 

Parigi, festa dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria, 25 marzo 1963

Marcel Lefèbvre

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