sabato 20 maggio 2023

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Caratteri dello spirito diabolico, circa i moti o atti del nostro intelletto affatto contrari ai caratteri dello spirito divino.


§. I.  

73. Non io, dice l'Apostolo, la luce sì opposta alle tenebre, come lo spirito di Dio è contrarie allo spirito del demonio. “Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto, infatti, ci può essere tra la giustizia e l'iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?” (2Cor 6, 14,15). E però dopo avere esposti i caratteri, per cui si scopre lo spirito divino negli atti della nostra mente, accennerò in breve i caratteri con cui si fa conoscere lo spirito diabolico negl'istessi atti mentali. Così posti questi diversi caratteri gli uni a fronte degli altri, si renderanno più discernibili al direttore, secondo il detto de' filosofi, che le cose allora fanno maggiore spicco, quando sono poste a fronte dei loro contrari. 

 74. S. Gio. Crisostomo è di parere, che noi restiamo vinti dal demonio, non perché non siano facili a conoscersi le nodi che ordisce contro di noi, ma perché avendo noi un nemico sì formidabile al fianco, ce ne stiamo profondamente addormentati senza punto vegliare alla nostra difesa (s. Joan. Crys. In ep. ad Rom. Hom. 10). Ma se avessimo, segue a dire, un serpente velenoso nel letto, potremmo noi dormire? No certamente, ma staremmo tutt'intenti ad ucciderlo: e poi avendo dentro di noi un nemico sì formidabile, qual è il demonio, viviamo spensierati, ce ne restiamo neghittosi. e dormiamo con tanto nostro danno (Ibid.). Né giova il dire, soggiunse il santo, il serpente è un nemico che lo vedo; perciò, me ne difendo: il demonio io non lo vedo; perciò non lo temo: poiché per questo stesso ch'è nemico invisibile, ed insieme astuto, ed ingannatore è più da temersi, e richiede una più vigilante difesa. Finalmente conclude: sta dunque sulle parate ben munito di armi spirituali, prevedi le sue arti e le sue frodi; acciocché volendo egli ingannar te, tu anzi inganni lui: come fece l'apostolo Paolo, che con questa previsione e con la notizia delle cognizioni fallaci ch'egli è solito d'ingerire, rimase di lui vincitore (2Cor 2,11). E per conoscere appunto queste cognizioni maligne con cui il demonio s'insinua nelle nostre menti, ne darò i contrassegni nel presente capitolo. Apparterrà poi al lettore servirsene sopra di sé. ed ai direttori a valersene sopra gli altri, con quella vigilanza ed, accortezza che il santo dottore tanto raccomanda. 


§ II 

75. Primo carattere dello spirito diabolico. Lo spirito diabolico è spirito di falsità. Ma qui è necessario che io premetta una notizia che bisogna aver sempre avanti gli occhi per conoscere le trame con cui lo spirito maligno s'intrude tanto nell’intelletto, di cui presentemente parliamo, quanto nella volontà, di cui ragioneremo appresso. 

Il demonio, dice S. Agostino, alle volte ci assalta scopertamente, altre volte ci tende occultamente le insidie. Quando ci assale alla scoperta, la fa da fiero leone; quando c' 

insidia nascostamente la fa da dragone fraudolento (s. August. in Psalm. 90). Altrove dice lo stesso, e solo aggiunge, ch'è più da temersi il demonio quando viene ad ingannarci coperto sotto fallaci sembianze, che quando a faccia scoperta ci muove guerra (Idem in psal. 39). 

76. Il demonio, dunque, essendo padre della menzogna, tende sempre ad ingerire qualche falsità nella nostra mente. Ma che ora lo fa scopertamente ma guisa di leone furibondo, ed ora copertamente a guisa di dragone ingannatore. Ci assalta alla scoperta. quando ci pone in testa specie contrarie alla fede o al sentimento concorde de' santi dottori, quando ci suggerisce massime poco confacevoli alla grandezza della divina misericordia o della divina Provvidenza per abbattere il nostro spirito, quando ci dà pensieri poco conformi alla moralità delle virtù cristiane, o pure ombre insussistenti contro il nostro prossimo atte ad accendere in noi veementi passioni. In tali casi è facile a ravvisarlo per desso non solo dal confessore, ma anche dallo stesso penitente; perché comparisce con la sua stessa faccia, voglio dire, in sembianza di falsario e di menzognero. Alle volte poi se ne viene insidiosamente mascherato in apparenza di angelo, come dice S. Paolo: “Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce” (2Cor 11,14). Ci dice cose vere e sante, conformi agl'insegnamenti della fede, e della cristiana moralità, ma con fine di mescolare tra molte verità qualche falsità o pure di conciliarsi fede con vero, per ingannarci alla fine col falso. E questo lo fa l'iniquo ora per via di suggestione, ed ora per via di apparizione e di chiara locuzione. So di una persona religiosa a cui il demonio diede lungo tempo pascolo di santi pensieri e di devoti affetti; l’illuse ancora più volte con finte apparizioni di Gesù Cristo; poi incominciò a proporle qualche massima falsa; e trovando credenza, l'indusse a poco a poco a rinnegare la fede. 

 77. Altri simili non meno infausti avvenimenti narrano Cassiano e Palladio. Come di quel vecchio monaco Erone che si precipitò miseramente in un pozzo per una vana speranza che il traditore avevagli posta nella mente di doverne uscire illeso per mano degli angeli: e di quello che a persuasione del nemico si accingeva ad uccidere il suo figliuolo, pretendendo imitare l'atto eroico di Abramo in sacrificare il suo diletto unigenito: e di quell’altro che illuso dal demonio s'indusse a circoncidersi e a farsi Ebreo (Cassiano Coll. 2. cap. 5, 7, 8): e finalmente di quel Valente (solitario) che credendo di conversare, domesticamente con gli angeli trattava con i demoni, e giunse ad adorare uno di essi sotto le mentite sembianze del Redentore (Pallad. In vit. patr. lib. 8, 31), Confesso che quando il demonio viene così coperto sotto devoto aspetto non è sì facile raffigurarlo, o egli muova internamente i pensieri senza farsi vedere, o pur gli insinui con false apparizioni. E però deve il direttore esaminare diligentemente le massime che in tali casi sente la persona suggerirsi, e se non le trova concordi con le regole certe e sicure del vero che diedi nel precedente capitolo, creda pure che vi è illusione: le corregga, e procuri di allontanare a tempo il nemico; altrimenti prenderà sempre più possesso e maggior ardire, con grave danno delle povere anime. Così ci ammonisce Sant'Anselmo. Questo santo dottore commentando le sopraccitate parole dell'apostolo: “Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce” (2Cor 11, 14): dice che quando il demonio, illudendo i nostri sensi con false comparse, non rimuove la mente dalla giusta e retta credenza, o pure opera o dice cose che non sconverrebbero anche ad un angelo santo, non v'è errore di fede: ma quando poi comincia a proporre cose false ed erronee, è necessaria gran vigilanza ed un accorto discernimento per non andargli dietro, elevarselo prestamente d'intorno (S. Anselm. In text. Edit. Colon. Agrip, 1612). E questa vigilante discrezione dev'essere nel direttore a cui si appartiene esaminare le massime che scorrono per la mente de' suoi discepoli, o che sono loro suggerite al di fuori, per scoprire da quale spirito essi siano dominati, e per dar loro giusta e sicura direzione.

 

§, III. 

 78. Secondo carattere dello Spirito diabolico. Lo spirito diabolico, all'opposto del divino, suggerisce cose inutili, leggere ed impertinenti, Il demonio, quando non trova modo d'insinuarsi con le falsità e con le menzogne, per non avere una vergognosa ripulsa, usa un’altra arte maligna; ed è, che procura di dar pascolo alla mente con pensieri inutili, acciocché fissata in quelli non si occupi in altri pensieri santi e profittevoli. 

A questo tendono tante distrazioni, che il perfido pone in testa dei fedeli in tempo delle loro orazioni. A questo tendono certe visioni da cui non risulta alcun buon effetto. Vi è cosa in questo mondo più santa e più devota delle piaghe del nostro amabilissimo Redentore? Eppure, mi è nota una persona a cui il demonio per più anni rappresentò in tutte le sue orazioni le piaghe dei sacri piedi, ed in quella vista mentale la tenne sempre immersa. Gliele faceva comparire in diverse figure, ora dilatate, ora ristrette: talvolta le faceva vedere un vermicciolo, che usciva da quelle piaghe, e dicevale che quello era simbolo della sua anima, ed altre simili leggerezze. Tutte queste rappresentazioni erano affatto vuote di santi affetti: non vi era una riflessione seria, non un sentimento sodo e profittevole, né alcun sugo di vera divozione. Sembravano galle leggiere senza peso, senza frutto, senza sostanza. Onde non poté dubitarsi, che quella era stata una continua illusione del demonio, il quale avevale tenuta occupata la mente in quelle viste immaginarie, quasi in una dolce pastura, acciocché non si applicasse all'orazione con rettitudine di pensieri, e santità di affetti. Ecco, dunque, la proprietà dello spirito diabolico: ingerire nella mente dei fedeli o cose false per indurli al male, o cose infruttuose per frastornarli dal bene. 


§. IV. 

 79. Terzo carattere dello spirito diabolico è di recare alla mente tenebre, o falsa luce. Il demonio non solo è padre della bugia, ma delle tenebre ancora. Se però ci investe alla scoperta, la fa da quello ch'egli è, e produce nella nostra mente tenebre, caligini ed oscurità come ci assicura il Crisostomo: e allora offusca la mente, oscura l’intelletto, riempie l'anima di turbazioni, di ansietà, di angustie, di scrupoli, e di penose perplessità (S. Ioan. Chrys. In ep. 1. ad Cor. Hom. 29).). In questi casi è facile il conoscerlo; perché producendo effetti a sé propri, da sé stesso si palesa. Se poi il nemico ordisca occultamente le sue trame sparge luce nelle nostre menti, ma luce falsa: perché la sua luce altro non è che un certo lume naturale ch'egli sveglia nella immaginativa per cui rappresenta con qualche chiarezza gli oggetti, e desta qualche dilettazione nell'appetito sensitivo. Ma non passa quella luce all’intelletto, né può renderlo abile a penetrare le verità divine, e molto meno d'ingenerare nell’intimo dello spirito affetti di divozione sincera. Sicché tutto l'effetto di questa luce fallace si riduce ad un certo diletto nei sensi interni, tutto corporale, affatto superficiale, senza alcun carattere di vera spiritualità. E alla fine poi questa stessa dilettazione corporea va a finire in inquietudine ed in turbazione non essendo possibile che il traditore dopo molta simulazione, finalmente da sé stesso non si scopra. Onde possiamo dire con S. Cipriano, che il demonio la fa sempre con i servi di Dio, o da avversario fraudolento che inganna, o da nemico violento che oppugna con le sue nere e torbide persecuzioni (S. Cyprian. De zelo, et livore).  

80. San Pier Damiano asserisce, che il demonio non solo offusca ai fedeli la mente con le sue tenebre o con la sua falsa luce, ma che affatto li accieca; e spiega il modo con cui procede l'iniquo, con i luttuosi successi del misero Sedecia. A questo re infelice furono trucidati in presenza tutti i propri figliuoli per comando del barbaro Nabucco, re di Babilonia; e poi furono a lui stesso cavati ambedue gli occhi: non so se più infelice quando vide, o quando non poté più vedere (Ger. cap.39). Il santo scrivendo ad Ildebrando, che poi fu sommo pontefice (S. Gregorio VII), dice che il re di Babilonia è il demonio principe di confusione e di tenebre, che trucida alle anime incaute tutti i parti belli delle loro opere buone, e glieli uccide sugli occhi mirandone esse la perdita con dolore. 

Tolte poi le sante operazioni, le accieca alla intelligenza delle cose soprannaturali. Finalmente traendole a darsi in preda alle cose mondane le accieca anche nell'occhio della ragione, offuscandone il lume (s. Petri Damiani Lib. I epist. 5. ad Hildebr. archid. et Steph. presb.). Chi, dunque, non vuol rimaner cieco alle cose divine, si guardi dalle tenebre e dalla luce fallace con cui il perfido illude le nostre menti. 


§. v. 

 81. Quarto carattere dello spirito diabolico. Lo spirito diabolico è protervo. Tale lo mostrano in sé stessi gli eretici, i quali né alla santità delle scritture, né all'autorità de' sommi pontefici, né alla infallibilità dei concili, né alla dottrina dei padri mai si arrendono, ma persistono sempre ostinati nelle loro stolte opinioni. E donde mai tanta pertinacia nei loro intelletti, se non dal demonio che vi regna, e vi ha trasfuso il suo spirito protervo?  

 82. Rimproverando Gesù Cristo agli Ebre la loro incredulità disse loro: “Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, (Gv.8,43): voi non conoscete la mia loquela, perché non sapete indurvi ad ascoltare le mie parole. Aggiunge S. Agostino: perciò non potevate udire il Redentore, perché ostinati nei loro errori non si volevano correggere prestando credenza ai suoi santi insegnamenti (S. August. In Joan. Tract. 42). Gran protervia fu questa: non voler prestare orecchie alle parole dolcissime di Cristo che rapivano i popoli interi con la loro soavità, li traevano fuori dalle città, dai castelli, e li conducevano alle foreste, alle solitudini, ai lidi deserti del mare, scordati affatto non solo dei propri affari, ma fino del cibo e della bevanda. Eransi pur altri protestati, che non potevano fare a meno di seguitarlo. Perché aveva in bocca parole di eterna vita: “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». (Gv.6. 69): ed altri si erano pur dichiarati, che niuno aveva mai, come egli parlato così saggiamente e sì dolcemente: «Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo!» (Gv.7. 46). Qual dunque fu la cagione di tanta protervia in quei miscredenti? Lo disse Gesù Cristo stesso. Soggiungendo (Gv.8. 44): voi avete il diavolo per padre; ed imbevuti del suo spirito protervo volete perseverare contumaci nelle vostre false opinioni; e però fuggite di ascoltare i miei discorsi temendo che vi tolga d'inganno: “voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna”, come spiega la glossa. Tanto è vero, che spirito di pertinacia è spirito diabolico. 

 83. Se mai si imbatterà il direttore in alcuno che abbia lungamente aderito alle illusioni del demonio, onde questi abbia di già preso possesso della sua mente, toccherà con mano una simile protervia: tanto lo troverà fisso nel suo parere. E però dice saggiamente Cassiano. che il demonio con niun'altro vizio conduce più sicuramente un'anima alla perdizione, quanto con introdurvi una certa pertinacia, per cui, non curando il consiglio dei più autorevoli, si appoggi solo al suo giudizio (Cassiani, Collat. 2, cap. 11). Dunque dalla docilità o pertinacia che il direttore scorgerà nei suoi discepoli, potrà prendere argomento ad intendere da quale spirito siano mosse le loro menti. 


§. VI. 

84. Quinto carattere dello spirito diabolico si è l'indiscrezione con cui incita agli eccessi. Qui non parlo delle opere cattive a cui di ordinario il nemico ci spinge (perché di queste dovrò ragionare di poi); parlo solo delle opere apparentemente buone a cui egli talvolta fraudolentemente ci stimola con qualche sua indiscreta idea: e dico, che incitandoci ad esse il traditore per fine malvagio procura sempre che decliniamo dalla rettitudine con qualche esorbitanza. Onde la sola indiscrezione nelle opere buone, massime se sia grave e continua, dà gran fondamento a credere che queste non siano inspirate da Dio che di niuno eccesso è cagione, ma suggerite dal suo nemico. Lo spirito del demonio, dunque, si palesa per l’indiscretezza, perché nell'opere buone che maliziosamente ci suggerisce non conserva né la debita misura, né il debito tempo, né il dovuto luogo, né il debito riguardo alla qualità delle persone. 

Non mantiene la debita misura; perché, incitandoci e. g. alla penitenza ci suggerisce rigori eccessivi, flagellazioni troppo aspre, cilizi troppo rigidi, digiuni troppo lunghi, vigilie troppo continuate: e ciò fa per due perversi fini, il primo, per dar pascolo alla superbia, perché poi pone sotto gli occhi di un tal penitente la sua lunga macerazione  acciocché se ne compiaccia come di cosa segnalata, e ne faccia pompa, se non ad altri, almeno a sé stesso, come costumano di far pompa i soldati delle loro ferite: il secondo, per snervare le forze corporali e guastare le sanità; onde poi il desiderio dell'austerità si cangi in orrore e la penitenza indiscreta in una eccessiva delicatezza, anzi in una totale impotenza a proseguire ne' devoti esercizi: sicché alla povera anima delusa, come molto bene osserva Cassiano, riescono alla fine le asprezze più nocevoli delle stesse delizie (Cassian. Collat. 2, cap. 16). 

85. Riferisce lo stesso Cassiano che avendo l'abate Giovanni allungato per due giorni il digiuno, mentre trovavasi estenuato di corpo ed esausto di forze, se ne andò il terzo giorno alla mensa per ristorarsi: nell'avvicinarsi, si vide comparire avanti il demonio in forma di nero etiope, il quale prostratosigli ai piedi, perdonami, gli disse, o abate, io sono stato quegli che ti ho imposto questo indiscreto digiuno. Soggiunge Cassiano, che allora il S. abate (uomo per altro di gran perfezione e perfetto nella virtù della discrezione, si avvide che era stato ingannato dal demonio, mentre lo aveva ridotto ad intraprendere indiscretamente un'astinenza troppo superiore alle sue deboli forze, e che poteva recar nocumento al suo spirito (Cassian. Collat, 1. cap. 21).   

 86. Io non nego però, che Iddio talvolta inspiri ai suoi servi penitenze molto straordinarie di digiuni prolungati a più giorni, di vigilie non interrotte dal sonno, di asprissimi cilizi e di sanguinose flagellazioni. Ma in tali casi si avvertano due cose che non v'è ombra d'indiscrezione da parte di chi l'intraprende; perché stimolando Iddio ad insolite austerità, gli dà forze corporali e spirituali per reggere ad un tal peso, benché esorbitante: non v'è indiscrezione da parte del direttore che gliene permette l’esecuzione, perché in tali congiunture dà Iddio segni manifesti della sua volontà. 

 87. Non conserva il demonio il debito tempo: perché incitando a qualche bene apparente, ciò fa in tempi impropri e disconvenevoli. Con questo solo indizio riuscì ad un direttore discreto di scoprire uno spirito falso. In una comunità religiosa vi era una persona in credito di spirito singolare specialmente perché di lei vi era fama che spesso le comparisse Gesù Bambino, e spesso la consolasse con la sua dolce presenza. Or seppe il detto confessore, che trovandosi ella in giorno di venerdì santo presente ad una fruttuosissima predica sulla passione del Redentore, aveva avuto quasi sempre avanti gli occhi il divin Bambinello con molte tenerezze di affetti. Questo solo gli bastò per entrare in un veemente sospetto ch'ella fosse illusa dal comune nemico; perché non gli pareva quello né tempo, né occasione propria di una tal vista, Se niun uomo prudente. diceva  egli, prenderebbe in questa giornata ed in congiunture di un tal discorso, per materia delle sue considerazioni, l'infanzia di Gesù Cristo, quanto più disconviene che in tali circostanze di tempo, ce ne ponga avanti gli occhi l'immagine Iddio stesso, ch'è infinitamente più prudente di tutti gli uomini insieme? E di fatto non andarono falliti i suoi sospetti, perché dovendola poi esaminare, la trovò per altre ragioni manifestamente illusa. 

 88. Non conserva il debito luogo: perché il demonio sempre istiga a far le opere buone in luoghi pubblici, che il più delle volte sono i meno congrui per tali azioni, conforme all'uso de' farisei, uomini di spirito diabolico, dei quali dice Cristo: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange” (Mt 23,5). Il fine poi ch'egli ha in suggerire, che il bene si faccia all'aperto, è perverso: poiché vuole che resti corrotto dalla vana gloria che nasce dall'essere veduti e lodati dagli uomini. Anzi si osserva che i fervori, le tenerezze, le lagrime false, le finte estasi ed altri apparenti favori che dà il demonio, di ordinario accadono in pubblico, ov'è frequenza di popolo; perché vuole che le opere dei suoi seguaci videantur ab hominibus. Ma Cristo tutto l'opposto: se vuoi, dice, compartire limosine, guardati di fare come gl'ipocriti che le dispensano per le sinagoghe e per le pubbliche strade: se vuoi orare, guardati d'imitare questi perfidi che amano di fare in mezzo alle sinagoghe e ne' cantoni delle piazze le loro orazioni: onde rimangono tutte le loro opere rose dal verme della vanità: “Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa…. Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa” (Mt. 6, 2,5). Ma tu, segue a dire il Redentore volendo fare limosine falle di nascosto: volendo fare orazione, chiuditi nella tua stanza e prega da solo a solo, occultamente il tuo celeste Padre: “Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra… Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt. 6, 3,6). Si eccettuano però quei casi in cui Iddio vuole per motivi di sua gran gloria che le opere buone ed i favori che egli comparte compariscano in pubblico. 

 89 Finalmente non conserva il debito riguardo alla qualità delle persone. In un solitario, dice Riccardo di S Vittore che deve attendere alla quiete della contemplazione, sveglia il demonio pensieri di convertir peccatori e di far gran bene nei prossimi (Rich: In cant. cap. 17). Nei principianti non ancora assodati nella virtù, che devono attendere al proprio profitto, mette pure il nemico una simile suggestione di giovare alle anime altrui, come nota S. Teresa; ma non essendo ancora abili a partorire figli spirituali con i loro insegnamenti, ne segue che con tali desideri non siano di utile agli altri, e siano di danno a se stessi. Contra tali incipienti che aderiscono a questo istinto diabolico indiscreto, inveisce acremente S. Bernardo. Dicendo loro così: tu che non sei ancora stabilito nella tua conversione, che non hai carità, o l'hai sì tenera e sì fragile che ad ogni vento di contrarietà si piega; tu, dico. conoscendoti tale, ambisci procurare l'altrui salute? - Fratel mio, che stoltezza è la tua! (S. Bern. Serm,18, in cant.). 

90. Al contrario poi ad uno che per obbligo del suo istituto o del suo ufficio, è tenuto ad attendere alla salute de' prossimi, mette il demonio soverchio amore al ritiramento, alla quiete, alla solitudine, ed una gelosia indiscreta di macchiare la propria coscienza con l'esercizio delle opere esteriori di carità. Come appunto la sacra sposa destata in mezzo alla notte dal suo diletto, in vece di rompere subito la sua quiete per andargli incontro, incominciò a scusarsi con dire: mi sono spogliata dalle mie vesti, non voglio ora pormele di nuovo indosso, ho lavato i miei piedi non voglio ora tornar di nuovo a lordarli. «Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi; come ancora sporcarli?». (Cant. 5,3). E appunto in questo timore della sposa d'imbrattare i piedi e di ripigliare le sue vesti, riconosce S. Gregorio  il soverchio timore che hanno alcuni ai quali appartiene la cura delle anime, di rivestirsi degli antichi affetti, e di contrarre le antiche macchie (S. Greg. In cant. cap. 5). Così ancora il demonio sveglia nei superiori un troppo sollecito pensiero di consacrarsi all'orazione acciocché non invigilino come ne chiede il loro impiego, sugli andamenti de' sudditi; nei capi di casa, acciocché non attendano come sono tenuti, alla educazione dei figliuoli e della servitù e nelle donne, acciocché non compiscano con puntualità le loro faccende, e siano cagione di molte inquietudini e di mille colpe ai loro domestici. In somma sa il demonio che la discrezione è il sale che condisce tutte le opere buone e le rende gradite a Dio; e però non potendole impedire, si sforza almeno di guastarle con ogni sorta d'indiscrezioni e d'imprudenze; perciò dice Riccardo di S. Vittore, che negli impulsi interni dobbiamo sempre esaminare se vi si mescoli l'indiscrezione (Ric. In cant. cap. 17). E per questa via potrà il direttore acquistare gran lume e discernere, se le anime a sé soggette siano mosse da spirito diabolico ad operare. 


§. VII. 

 91. Sesto carattere dello spirito diabolico. Lo spirito del demonio ingerisce sempre pensieri vani e superbi, anche in mezzo alle opere virtuose e sante. Onde segue a dire Riccardo nel sopraccitato testo che per discoprire le frodi de' nostri nemici dobbiamo esaminare se nelle nostre opere siasi intromessa l'ostentazione o la brama di umana lode, e se vanità o leggerezza ci spinge a farle (Ibid.). Già si sa che il demonio mette sempre pensieri di propria stima, di preferenza e di dispregio altrui, sforzandosi in ogni occasione di trasformare in noi la superbia della sua mente con cui s'innalzò tanto fino a pareggiarsi all'Altissimo. E però chi è spinto da quest'aura vana, qualunque cosa faccia, è portato dallo spirito infernale. 

92. Ma qui è necessario che il direttore osservi diligentemente se la vanità nasce con i pensieri quasi inviscerata con essi, o pure se sopraggiunga ai pensieri quasi forestiera ed estranea: nel primo caso non si può dubitare che tali cognizioni traggano la loro origine da spirito cattivo, che si riduce al diabolico, perché ne hanno il vizio innato. 

Nel secondo caso non è così, perché già si sa che il demonio si studia di guastare e corrompere tutte le opere di Dio. Il Signore semina con mano benigna nelle nostre menti il grano eletto di santi pensieri, ed il maligno vi sparge sopra con mano invidiosa la zizzania di pensieri vani e superbi: “Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò” (Mt 13,25). Ma questa mescolanza di vanità che sopravviene, non toglie che i primi pensieri, ancorché fossero altissime  contemplazioni, non vengono da Dio che non siano mossi da fine retto, e che non portino di sua natura nell'anima la debita sommissione. Spiego questo col celebre fatto di S. Bernardo, che predicando un giorno, fu tocco nella mente da spirito di vanità. Egli però avvedutamente e con prontezza rigettò da sé il nemico con quelle parole “non ho cominciato a ragionare per te, né finirò per cagione tua”. In questo caso, come ognun vede. non si può dubitare che il santo fu mosso a fare quel devoto discorso dallo spirito del Signore, ancorché di poi vi s'introducesse lo spirito malvagio. 

Ciò che ho detto, parlando della vanità, bisogna osservarlo in tutti i caratteri dello spirito diabolico che ho già esposti, e che esporrò in avvenire: cioè, sempre conviene notare se lo spirito cattivo sia intrinsecato negl'impulsi da cui si sente la persona eccitata a cose per sé stesse buone, o pur venga di poi ad intorbidare le cose; e inoltre conviene esaminare se la persona riceve con orrore lo spirito diabolico, e se lo rigetti con nausea quando questo sopraggiunge importuno. Perché da ciò può prendersi nuovo argomento ad inferire che in lei opera lo spirito buono: se ha in odio il cattivo, e gli si oppone. Quest'avvertenza bisogna che il direttore la tenga sempre avanti gli occhi; altrimenti applicando ai casi particolari le regole che noi andiamo dichiarando, prenderà molti abbagli. 

G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

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