Unità
«La custodia e la promozione della comunione ecclesiale è un compito di ogni fedele, che trova nell’Eucaristia, quale sacramento dell’unità della Chiesa, un campo di speciale sollecitudine»[337].
Giovanni Paolo II
L’Eucaristia significa e causa l’unità della Chiesa. Il secondo effetto del sacramentosacrificio, la res tantum, è tale ineffabile realtà.
«L’Apostolo scrive: “Poiché uno è il pane, noi, benché molti, siamo un medesimo corpo, partecipando tutti di un medesimo pane e di un medesimo calice” [1Cor 10,17]. Da ciò risulta evidente che l’Eucaristia è il sacramento dell’unità ecclesiastica»[338] .
«L’effetto di questo sacramento [res sacramenti] è l’unità del Corpo mistico, senza la quale non ci può essere salvezza: poiché nessuno può salvarsi fuori della Chiesa, come nel diluvio nessuno si salvò fuori dell’arca di Noè, simbolo della Chiesa, come insegna S. Pietro [1Pt 3,20-21]. Ma abbiamo detto sopra che l’effetto di un sacramento si può ottenere prima di ricevere il sacramento, per mezzo del voto stesso di accostarsi al sacramento. Perciò prima di ricevere questo sacramento può l’uomo trovare salvezza dallo stesso desiderio di riceverlo, così come prima di ricevere il Battesimo, in virtù del desiderio di ricever il Battesimo...»[339].
«Come dice S. Agostino spiegando il testo evangelico citato, “per questo cibo e per questa bevanda”, che sono la sua Carne e il suo Sangue, “vuole intendere la società del suo Corpo e delle sue membra che è la Chiesa, formata dai suoi santi e dai suoi fedeli, predestinati, chiamati, giustificati e glorificati”. Per cui, com’egli stesso altrove fa osservare, “nessuno deve avere il minimo dubbio che ogni fedele diviene partecipe del Corpo e del Sangue del Signore nel momento in cui col Battesimo diviene membro del Corpo di Cristo: e dopo essere stato inserito nell’unità del Corpo di Cristo uno non rimane privo della comunione di quel pane e di quel calice anche se, formando parte della unità del Corpo di Cristo, parte da questo mondo prima di mangiare quel pane e di bere quel calice”»[340].
«Il Battesimo è il sacramento della morte e della passione di Cristo, in quanto l’uomo viene rigenerato in Cristo per virtù della sua passione. L’Eucaristia invece è il sacramento della passione di Cristo in quanto l’uomo viene reso perfetto in unione a Cristo che ha patito. Ecco perché mentre il Battesimo viene denominato “il sacramento della fede”, la quale è il fondamento della vita spirituale; l’Eucaristia viene chiamata “il sacramento della carità”, la quale è il “legame perfetto”, secondo l’espressione di S. Paolo [Col 3,14]»[341].
«Il secondo significato riguarda l’effetto presente, cioè l’unità della Chiesa in cui gli uomini vengono congregati per mezzo di questo sacramento. Per tale motivo esso si denomina “comunione” o “sinassi”: spiega infatti il Damasceno, che “si dice comunione perché mediante l’Eucaristia comunichiamo con il Cristo, sia in quanto partecipiamo della sua carne e divinità, sia in quanto comunichiamo e ci uniamo tra noi vicendevolmente mediante essa”»[342].
S. Tommaso si pone la seguente obiezione: «Questo sacramento unisce gli uomini a Cristo come membra al capo. Ma Cristo è il capo di tutti gli uomini, anche di quelli che vissero all’inizio del mondo, come si disse sopra. Dunque l’istituzione di questo sacramento non doveva essere differita fino alla Cena del Signore». E risponde: «L’Eucaristia è il sacramento perfetto della passione del Signore in quanto contiene il Cristo stesso che ha patito. Non poté perciò essere istituita prima dell’incarnazione: quello invece era il tempo dei sacramenti che dovevano prefigurare la passione del Signore»[343].
Fu molto conveniente che nostro Signore istituisse come materia del sacrificio incruento il pane e il vino «in rapporto all’effetto relativo a tutta la Chiesa, la quale, secondo la Glossa posta a commento delle parole di S. Paolo: “Molti siamo un solo corpo”
[1Cor 10,17], è costituita dalla diversità dei fedeli “come il pane deriva da chicchi diversi e il vino è spremuto da diversi grappoli d’uva”»[344] «Le carni degli animali uccisi, quantunque rappresentino la passione di Cristo in modo più espressivo, tuttavia sono meno indicate per l’uso comune di questo sacramento e per esprimere l’unità della Chiesa»[345].
Anche l’aggiunta di qualche goccia d’acqua al vino fatta nell’offertorio contribuisce a questa significazione, «poiché ciò concorre a esprimere l’effetto di questo sacramento, che è l’unione del popolo cristiano con Cristo; come infatti spiega il papa Giulio I, “nell’acqua è raffigurato il popolo, mentre nel vino si ha il Sangue di Cristo. Quando dunque nel calice si aggiunge l’acqua al vino, il popolo si unisce a Cristo”»[346].
L’effetto del sacramento si può scoprire anche dalle specie nelle quali è donato: «…
l’effetto di questo sacramento si desume dalle specie sotto le quali ci viene dato. Osserva S. Agostino in proposito: “Il Signore nostro ci affidò il suo Corpo e il suo Sangue servendosi di sostanze che devono la loro unità a una pluralità di cose: la prima infatti”, cioè il pane, “diviene un’unica sostanza da molti grani; la seconda”, cioè il vino, “lo diviene dal confluire di molti chicchi di uva”. E per questo altrove esclama: “O sacramento di pietà, segno di unità, o vincolo di carità!”. Ora, considerando che Cristo e la sua passione è la causa della grazia, e che la refezione spirituale e la carità non si possono avere senza la grazia, risulta da quanto abbiamo detto che questo sacramento conferisce la grazia»[347].
Perciò: «Questo sacramento conferisce spiritualmente la grazia assieme alla virtù della carità. Per cui il Damasceno paragona questo sacramento al carbone acceso visto da Isaia: “Come il carbone non è legno soltanto, ma legno unito al fuoco, così anche il pane della comunione non è pane soltanto, ma pane unito alla divinità”. Ora, come osserva S. Gregorio, “l’amore di Dio non rimane ozioso, opera bensì grandi cose, se c’è”. Perciò con questo sacramento, per quanto dipende dalla sua efficacia, l’abito della grazia e delle virtù non viene soltanto conferito, ma anche spinto al atto, conforme alle parole di S. Paolo: “La carità di Cristo ci sospinge” [2Cor 5,14]»[348].
Adesso l’unità e la pace si ottengono in modo imperfetto; non così nella gloria: «Altrettanto si dica della refezione di questo cibo spirituale e dell’unità significata dalle specie del pane e del vino: tali effetti si hanno, è vero, al presente, però in maniera imperfetta; perfettamente essi si ottengono nello stato di gloria. Osserva in merito S. Agostino a commento delle parole di Gesù, “la mia carne è vero cibo” [Gv 6,55]: “Gli uomini che col mangiare e col bere desiderano di togliersi la fame e la sete, non ci riescono propriamente se non con questo cibo e con questa bevanda, che rende i suoi consumatori immortali e incorruttibili nella società dei santi, dove sarà pace e unità piena e perfetta”»[349].
«Come sacramento l’Eucaristia produce il suo effetto in due modi: primo, direttamente per virtù del sacramento; secondo, quasi per una certa concomitanza, come si è detto a proposito di quanto è contenuto nel sacramento. In virtù del sacramento essa ha direttamente l’effetto per il quale è stata istituita. Ora, l’Eucaristia non è stata istituita al fine di soddisfare, bensì al fine di nutrire spiritualmente per l’unione con Cristo e con le sue membra, ossia come il nutrimento si unisce a chi se ne ciba. Compiendosi però tale unione mediante la carità, per il cui fervore si ha la remissione non solo della colpa ma anche della pena, per una certa concomitanza con l’effetto principale l’uomo ottiene anche la remissione della pena. Non di tutta però, ma in misura della sua devozione e del suo fervore.
In quanto poi è sacrificio, l’Eucaristia ha effetto soddisfattorio. Ma nella soddisfazione pesa più la disposizione dell’offerente che la grandezza della cosa offerta, cosicché il Signore dice che la vedova mettendo due spiccioli “aveva messo più di tutti”. Perciò, sebbene questo sacrificio per la grandezza dell’offerta basti alla soddisfazione di ogni pena, tuttavia diviene soddisfattorio per coloro per cui si offre, o per coloro che l’offrono, in misura della loro devozione, non già di tutta la pena loro dovuta»[350].
«In questo come negli altri sacramenti, quel che è il rito sacramentale è segno del effetto prodotto dal sacramento [res sacramenti]. Ora, la realtà prodotta dal sacramento dell’Eucaristia è duplice, come sopra abbiamo detto: la prima, significata e contenuta nel sacramento, è Cristo stesso; la seconda, significata e non contenuta, è il Corpo mistico di Cristo, ossia la società dei santi. Chi dunque si accosta all’Eucaristia, per ciò stesso dichiara di essere unito a Cristo e incorporato alle sue membra. Ma questo si attua per mezzo della fede formata [dalla carità], che nessuno ha quando è in peccato mortale. È chiaro dunque che chi riceve l’Eucaristia con il peccato mortale commette una falsità nei riguardi di questo sacramento. Perciò si macchia di sacrilegio come profanatore del sacramento. E quindi pecca mortalmente»[351].
«Cristo, apparendo visibilmente nella sua specie, non si lasciava toccare dagli uomini in segno della loro unione spirituale con lui, come invece si offre per essere assunto in questo sacramento. Perciò i peccatori toccandolo nella sua propria specie non commettevano un peccato di falsità contro le cose divine, come lo commettono i peccatori che ricevono questo sacramento.
Inoltre Cristo possedeva allora una carne “simile a quella di peccato”: perciò era giusto che si lasciasse toccare dai peccatori. Ma una volta eliminata dalla gloria della resurrezione la somiglianza con la carne di peccato non volle essere toccato dalla donna, che mancava di fede nei suoi riguardi, dicendole: “Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre mio” [Gv 20,17]; cioè “nel tuo cuore”, come spiega S. Agostino. Così i peccatori, che nei riguardi di lui mancano di fede formata [dalla carità], sono esclusi dal contatto di questo sacramento»[352].
Riguardo a coloro che sono separati dalla fede cattolica: «è più grave l’impedimento della carità stessa che l’impedimento del suo fervore. Di conseguenza il peccato d’incredulità che separa radicalmente l’uomo dall’unità della Chiesa, parlando in senso assoluto, indispone l’uomo più di ogni altro peccato a ricevere l’Eucaristia, che è il sacramento di tale unità, come si è detto. Quindi un incredulo pecca più gravemente ricevendo questo sacramento che un credente peccatore, e più gravemente oltraggia Cristo presente in questo sacramento, specialmente se non crede alla sua reale presenza; perché, per quanto dipende da lui, sminuisce la santità di questo sacramento e la virtù di Cristo che opera in esso: ciò equivale a disprezzare il sacramento in se stesso. Il fedele invece, che si comunica cosciente di essere in peccato, non profana questo sacramento in se stesso, ma ne profana l’uso, ricevendolo indegnamente. Ecco perché l’Apostolo, dando la ragione di questo peccato, dice: “Non distinguendo il Corpo del Signore” [1Cor 11,19], cioè “non facendo differenza tra esso e gli altri cibi”; e ciò lo fa massimamente chi non crede alla presenza di Cristo in questo sacramento»[353].
A questo punto è indispensabile ricordare l’enciclica di Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucharistia, e citare alcuni paragrafi: «La celebrazione dell’Eucaristia, però, non può essere il punto di avvio della comunione, che presuppone come esistente, per consolidarla e portarla a perfezione. Il Sacramento esprime tale vincolo di comunione sia nella dimensione invisibile che, in Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, ci lega al Padre e tra noi, sia nella dimensione visibile implicante la comunione nella dottrina degli Apostoli, nei Sacramenti e nell’ordine gerarchico. L’intimo rapporto esistente tra gli elementi invisibili e gli elementi visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come sacramento di salvezza [cfr. CDF, Communionis notio, 4: AAS 85 [1993] 839-840]. Solo in questo contesto si ha la legittima celebrazione dell’Eucaristia e la vera partecipazione ad essa. Perciò risulta un’esigenza intrinseca all’Eucaristia che essa sia celebrata nella comunione, e concretamente nell’integrità dei suoi vincoli […].
La comunione ecclesiale dell’assemblea eucaristica è comunione col proprio Vescovo e col Romano Pontefice. Il Vescovo, in effetti, è il principio visibile e il fondamento dell’unità nella sua Chiesa particolare [LG, 23]. Sarebbe pertanto una grande incongruenza se il Sacramento per eccellenza dell’unità della Chiesa fosse celebrato senza una vera comunione col Vescovo. Scriveva sant’Ignazio di Antiochia: “Si ritenga sicura quell’Eucaristia che si realizza sotto il Vescovo o colui a cui egli ne ha dato incarico” [PG 5,713]. Parimenti, poiché “il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli” [LG, 23], la comunione con lui è un’esigenza intrinseca della celebrazione del Sacrificio eucaristico. Di qui la grande verità espressa in vari modi dalla Liturgia: “Ogni celebrazione dell’Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l’Ordine episcopale, con tutto il clero e con l’intero popolo. Ogni valida celebrazione dell’Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l’intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate da Roma” [CDF, Communionis notio, 14: AAS 85 [1993] 847].
L’Eucaristia crea comunione ed educa alla comunione. San Paolo scriveva ai fedeli di Corinto mostrando quanto le loro divisioni, che si manifestavano nelle assemblee eucaristiche, fossero in contrasto con quello che celebravano, la Cena del Signore. Conseguentemente l’Apostolo li invitava a riflettere sulla vera realtà dell’Eucaristia, per farli ritornare allo spirito di comunione fraterna [cfr. 1Cor 11,17-34]. Efficacemente si faceva eco di questa esigenza sant’Agostino il quale, ricordando la parola dell’Apostolo: “Voi siete corpo di Cristo e sue membra” [1Cor 12,27], osservava: “Se voi siete il suo corpo e le sue membra, sulla mensa del Signore è deposto quel che è il vostro mistero; sì, voi ricevete quel che è il vostro mistero” [Sermo 272: PL 38, 1247]. E da tale constatazione deduceva: “Cristo Signore [...] consacrò sulla sua mensa il mistero della nostra pace e unità. Chi riceve il mistero dell’unità, ma non conserva il vincolo della pace, riceve non un mistero a suo favore, bensì una prova contro di sé” [Ibid., 1248]»[354].
Ancora alcuni bellissimi testi di San Tommaso in merito: «L’Eucaristia è il sacramento dell’unità della Chiesa, la quale risulta dal fatto che molti sono “una sola cosa in Cristo” [Gal 3,28]»[355].
«La virtù dello Spirito Santo, che mediante l’unione della carità rende intercomunicanti i beni delle membra di Cristo, fa sì che il bene privato, presente nella messa di un buon sacerdote giovi anche agli altri. Invece il male privato di una persona non può nuocere ad altri, se questi, come spiega S. Agostino, in qualche modo non vi consentono»[356], perché «“la malizia del ministro non può ridondare sui misteri di Cristo”»[357].
«Il Corpo vero di Cristo è figura del suo Corpo mistico... L’unità del Corpo mistico è frutto della comunione del vero Corpo di Cristo. Ora, quelli che si comunicano o l’amministrano indegnamente perdono codesto frutto…»[358].
«…si dispone il popolo mediante la pace, che viene data invocando l’“Agnello di Dio”: l’Eucaristia è infatti il sacramento dell’unità e della pace…»[359].
«L’Eucaristia è il sacramento della perfetta unità della Chiesa. Quindi particolarmente in questo sacramento più che negli altri si deve rammentare tutto ciò che si riferisce alla salvezza della Chiesa intera»[360].
La Messa è l’inno trionfale della Chiesa Una: «La Chiesa, mentre è pellegrinante qui in terra, è chiamata a mantenere ed a promuovere sia la comunione con Dio Trinità sia la comunione tra i fedeli. A questo fine essa ha la Parola e i Sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, della quale essa “continuamente vive e cresce” [LG, 26] e nella quale in pari tempo esprime se stessa. Non a caso il termine comunione è diventato uno dei nomi specifici di questo eccelso Sacramento.
L’Eucaristia appare dunque come culmine di tutti i Sacramenti nel portare a perfezione la comunione con Dio Padre mediante l’identificazione col Figlio Unigenito per opera dello Spirito Santo. Con acutezza di fede esprimeva questa verità un insigne scrittore della tradizione bizantina: nell’Eucaristia, “a preferenza di ogni Sacramento, il mistero [della comunione] è così perfetto da condurre all’apice di tutti i beni: qui è l’ultimo termine di ogni umano desiderio, perché qui conseguiamo Dio e Dio si congiunge a noi con l’unione più perfetta” [N. Cabasilas, La vita in Cristo, IV, 10: Sch 355, 270]. Proprio per questo è opportuno coltivare nell’animo il costante desiderio del Sacramento eucaristico. È nata di qui la pratica della “comunione spirituale”, felicemente invalsa da secoli nella Chiesa e raccomandata da Santi maestri di vita spirituale. Santa Teresa di Gesù scriveva: “Quando non vi comunicate e non partecipate alla messa, potete comunicarvi spiritualmente, la qual cosa è assai vantaggiosa... Così in voi si imprime molto dell’amore di nostro Signore” [Cammino di perfezione, c. 35]»[361].
Padre Carlos Miguel Buela
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