martedì 11 gennaio 2022

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


Unità

 

«La custodia e la promozione della comunione ecclesiale è un compito di ogni fedele, che  trova nell’Eucaristia, quale sacramento dell’unità della Chiesa, un campo di speciale sollecitudine»[337].

Giovanni Paolo II


L’Eucaristia significa e causa l’unità della Chiesa. Il secondo effetto del sacramentosacrificio, la res tantum, è tale ineffabile realtà.

«L’Apostolo scrive: “Poiché uno è il pane, noi, benché molti, siamo un medesimo  corpo, partecipando tutti di un medesimo pane e di un medesimo calice” [1Cor 10,17]. Da  ciò risulta evidente che l’Eucaristia è il sacramento dell’unità ecclesiastica»[338]  .

«L’effetto di questo sacramento [res sacramenti] è l’unità del Corpo mistico, senza la  quale non ci può essere salvezza: poiché nessuno può salvarsi fuori della Chiesa, come nel  diluvio nessuno si salvò fuori dell’arca di Noè, simbolo della Chiesa, come insegna S.  Pietro [1Pt 3,20-21]. Ma abbiamo detto sopra che l’effetto di un sacramento si può ottenere  prima di ricevere il sacramento, per mezzo del voto stesso di accostarsi al sacramento.  Perciò prima di ricevere questo sacramento può l’uomo trovare salvezza dallo stesso  desiderio di riceverlo, così come prima di ricevere il Battesimo, in virtù del desiderio di  ricever il Battesimo...»[339].

«Come dice S. Agostino spiegando il testo evangelico citato, “per questo cibo e per  questa bevanda”, che sono la sua Carne e il suo Sangue, “vuole intendere la società del  suo Corpo e delle sue membra che è la Chiesa, formata dai suoi santi e dai suoi fedeli,  predestinati, chiamati, giustificati e glorificati”. Per cui, com’egli stesso altrove fa  osservare, “nessuno deve avere il minimo dubbio che ogni fedele diviene partecipe del  Corpo e del Sangue del Signore nel momento in cui col Battesimo diviene membro del  Corpo di Cristo: e dopo essere stato inserito nell’unità del Corpo di Cristo uno non rimane  privo della comunione di quel pane e di quel calice anche se, formando parte della unità  del Corpo di Cristo, parte da questo mondo prima di mangiare quel pane e di bere quel  calice”»[340].

«Il Battesimo è il sacramento della morte e della passione di Cristo, in quanto  l’uomo viene rigenerato in Cristo per virtù della sua passione. L’Eucaristia invece è il  sacramento della passione di Cristo in quanto l’uomo viene reso perfetto in unione a Cristo  che ha patito. Ecco perché mentre il Battesimo viene denominato “il sacramento della  fede”, la quale è il fondamento della vita spirituale; l’Eucaristia viene chiamata “il  sacramento della carità”, la quale è il “legame perfetto”, secondo l’espressione di S. Paolo [Col 3,14]»[341].

«Il secondo significato riguarda l’effetto presente, cioè l’unità della Chiesa in cui gli  uomini vengono congregati per mezzo di questo sacramento. Per tale motivo esso si  denomina “comunione” o “sinassi”: spiega infatti il Damasceno, che “si dice comunione  perché mediante l’Eucaristia comunichiamo con il Cristo, sia in quanto partecipiamo della  sua carne e divinità, sia in quanto comunichiamo e ci uniamo tra noi vicendevolmente  mediante essa”»[342].

S. Tommaso si pone la seguente obiezione: «Questo sacramento unisce gli uomini a  Cristo come membra al capo. Ma Cristo è il capo di tutti gli uomini, anche di quelli che  vissero all’inizio del mondo, come si disse sopra. Dunque l’istituzione di questo sacramento  non doveva essere differita fino alla Cena del Signore». E risponde: «L’Eucaristia è il  sacramento perfetto della passione del Signore in quanto contiene il Cristo stesso che ha  patito. Non poté perciò essere istituita prima dell’incarnazione: quello invece era il tempo  dei sacramenti che dovevano prefigurare la passione del Signore»[343].

Fu molto conveniente che nostro Signore istituisse come materia del sacrificio  incruento il pane e il vino «in rapporto all’effetto relativo a tutta la Chiesa, la quale,  secondo la Glossa posta a commento delle parole di S. Paolo: “Molti siamo un solo corpo” 

[1Cor 10,17], è costituita dalla diversità dei fedeli “come il pane deriva da chicchi diversi e  il vino è spremuto da diversi grappoli d’uva”»[344] «Le carni degli animali uccisi,  quantunque rappresentino la passione di Cristo in modo più espressivo, tuttavia sono meno  indicate per l’uso comune di questo sacramento e per esprimere l’unità della Chiesa»[345].

Anche l’aggiunta di qualche goccia d’acqua al vino fatta nell’offertorio contribuisce a  questa significazione, «poiché ciò concorre a esprimere l’effetto di questo sacramento, che è  l’unione del popolo cristiano con Cristo; come infatti spiega il papa Giulio I, “nell’acqua è  raffigurato il popolo, mentre nel vino si ha il Sangue di Cristo. Quando dunque nel calice si  aggiunge l’acqua al vino, il popolo si unisce a Cristo”»[346]. 

L’effetto del sacramento si può scoprire anche dalle specie nelle quali è donato: «…

l’effetto di questo sacramento si desume dalle specie sotto le quali ci viene dato. Osserva S.  Agostino in proposito: “Il Signore nostro ci affidò il suo Corpo e il suo Sangue servendosi  di sostanze che devono la loro unità a una pluralità di cose: la prima infatti”, cioè il pane,  “diviene un’unica sostanza da molti grani; la seconda”, cioè il vino, “lo diviene dal  confluire di molti chicchi di uva”. E per questo altrove esclama: “O sacramento di pietà,  segno di unità, o vincolo di carità!”. Ora, considerando che Cristo e la sua passione è la  causa della grazia, e che la refezione spirituale e la carità non si possono avere senza la  grazia, risulta da quanto abbiamo detto che questo sacramento conferisce la grazia»[347].

Perciò: «Questo sacramento conferisce spiritualmente la grazia assieme alla virtù  della carità. Per cui il Damasceno paragona questo sacramento al carbone acceso visto da  Isaia: “Come il carbone non è legno soltanto, ma legno unito al fuoco, così anche il pane  della comunione non è pane soltanto, ma pane unito alla divinità”. Ora, come osserva S.  Gregorio, “l’amore di Dio non rimane ozioso, opera bensì grandi cose, se c’è”. Perciò con questo sacramento, per quanto dipende dalla sua efficacia, l’abito della grazia e delle virtù  non viene soltanto conferito, ma anche spinto al atto, conforme alle parole di S. Paolo: “La  carità di Cristo ci sospinge” [2Cor 5,14]»[348].

Adesso l’unità e la pace si ottengono in modo imperfetto; non così nella gloria:  «Altrettanto si dica della refezione di questo cibo spirituale e dell’unità significata dalle  specie del pane e del vino: tali effetti si hanno, è vero, al presente, però in maniera  imperfetta; perfettamente essi si ottengono nello stato di gloria. Osserva in merito S.  Agostino a commento delle parole di Gesù, “la mia carne è vero cibo” [Gv 6,55]: “Gli  uomini che col mangiare e col bere desiderano di togliersi la fame e la sete, non ci riescono  propriamente se non con questo cibo e con questa bevanda, che rende i suoi consumatori  immortali e incorruttibili nella società dei santi, dove sarà pace e unità piena e  perfetta”»[349].

«Come sacramento l’Eucaristia produce il suo effetto in due modi: primo,  direttamente per virtù del sacramento; secondo, quasi per una certa concomitanza, come si è  detto a proposito di quanto è contenuto nel sacramento. In virtù del sacramento essa ha  direttamente l’effetto per il quale è stata istituita. Ora, l’Eucaristia non è stata istituita al fine  di soddisfare, bensì al fine di nutrire spiritualmente per l’unione con Cristo e con le sue  membra, ossia come il nutrimento si unisce a chi se ne ciba. Compiendosi però tale unione  mediante la carità, per il cui fervore si ha la remissione non solo della colpa ma anche della  pena, per una certa concomitanza con l’effetto principale l’uomo ottiene anche la remissione  della pena. Non di tutta però, ma in misura della sua devozione e del suo fervore.

In quanto poi è sacrificio, l’Eucaristia ha effetto soddisfattorio. Ma nella  soddisfazione pesa più la disposizione dell’offerente che la grandezza della cosa offerta,  cosicché il Signore dice che la vedova mettendo due spiccioli “aveva messo più di tutti”.  Perciò, sebbene questo sacrificio per la grandezza dell’offerta basti alla soddisfazione di  ogni pena, tuttavia diviene soddisfattorio per coloro per cui si offre, o per coloro che  l’offrono, in misura della loro devozione, non già di tutta la pena loro dovuta»[350].

«In questo come negli altri sacramenti, quel che è il rito sacramentale è segno del  effetto prodotto dal sacramento [res sacramenti]. Ora, la realtà prodotta dal sacramento  dell’Eucaristia è duplice, come sopra abbiamo detto: la prima, significata e contenuta nel  sacramento, è Cristo stesso; la seconda, significata e non contenuta, è il Corpo mistico di  Cristo, ossia la società dei santi. Chi dunque si accosta all’Eucaristia, per ciò stesso dichiara  di essere unito a Cristo e incorporato alle sue membra. Ma questo si attua per mezzo della  fede formata [dalla carità], che nessuno ha quando è in peccato mortale. È chiaro dunque che  chi riceve l’Eucaristia con il peccato mortale commette una falsità nei riguardi di questo  sacramento. Perciò si macchia di sacrilegio come profanatore del sacramento. E quindi  pecca mortalmente»[351].

«Cristo, apparendo visibilmente nella sua specie, non si lasciava toccare dagli  uomini in segno della loro unione spirituale con lui, come invece si offre per essere assunto  in questo sacramento. Perciò i peccatori toccandolo nella sua propria specie non  commettevano un peccato di falsità contro le cose divine, come lo commettono i peccatori che ricevono questo sacramento.

Inoltre Cristo possedeva allora una carne “simile a quella di peccato”: perciò era  giusto che si lasciasse toccare dai peccatori. Ma una volta eliminata dalla gloria della  resurrezione la somiglianza con la carne di peccato non volle essere toccato dalla donna,  che mancava di fede nei suoi riguardi, dicendole: “Non mi toccare, perché non sono  ancora salito al Padre mio” [Gv 20,17]; cioè “nel tuo cuore”, come spiega S. Agostino.  Così i peccatori, che nei riguardi di lui mancano di fede formata [dalla carità], sono esclusi  dal contatto di questo sacramento»[352].

Riguardo a coloro che sono separati dalla fede cattolica: «è più grave l’impedimento  della carità stessa che l’impedimento del suo fervore. Di conseguenza il peccato  d’incredulità che separa radicalmente l’uomo dall’unità della Chiesa, parlando in senso  assoluto, indispone l’uomo più di ogni altro peccato a ricevere l’Eucaristia, che è il  sacramento di tale unità, come si è detto. Quindi un incredulo pecca più gravemente  ricevendo questo sacramento che un credente peccatore, e più gravemente oltraggia Cristo  presente in questo sacramento, specialmente se non crede alla sua reale presenza; perché,  per quanto dipende da lui, sminuisce la santità di questo sacramento e la virtù di Cristo  che opera in esso: ciò equivale a disprezzare il sacramento in se stesso. Il fedele invece,  che si comunica cosciente di essere in peccato, non profana questo sacramento in se  stesso, ma ne profana l’uso, ricevendolo indegnamente. Ecco perché l’Apostolo, dando la  ragione di questo peccato, dice: “Non distinguendo il Corpo del Signore” [1Cor 11,19],  cioè “non facendo differenza tra esso e gli altri cibi”; e ciò lo fa massimamente chi non  crede alla presenza di Cristo in questo sacramento»[353]. 

A questo punto è indispensabile ricordare l’enciclica di Giovanni Paolo II Ecclesia  de Eucharistia, e citare alcuni paragrafi: «La celebrazione dell’Eucaristia, però, non può  essere il punto di avvio della comunione, che presuppone come esistente, per consolidarla e  portarla a perfezione. Il Sacramento esprime tale vincolo di comunione sia nella  dimensione invisibile che, in Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, ci lega al Padre e tra  noi, sia nella dimensione visibile implicante la comunione nella dottrina degli Apostoli, nei  Sacramenti e nell’ordine gerarchico. L’intimo rapporto esistente tra gli elementi invisibili e  gli elementi visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come sacramento  di salvezza [cfr. CDF, Communionis notio, 4: AAS 85 [1993] 839-840]. Solo in questo  contesto si ha la legittima celebrazione dell’Eucaristia e la vera partecipazione ad essa.  Perciò risulta un’esigenza intrinseca all’Eucaristia che essa sia celebrata nella comunione,  e concretamente nell’integrità dei suoi vincoli […].

La comunione ecclesiale dell’assemblea eucaristica è comunione col proprio  Vescovo e col Romano Pontefice. Il Vescovo, in effetti, è il principio visibile e il fondamento  dell’unità nella sua Chiesa particolare [LG, 23]. Sarebbe pertanto una grande  incongruenza se il Sacramento per eccellenza dell’unità della Chiesa fosse celebrato senza  una vera comunione col Vescovo. Scriveva sant’Ignazio di Antiochia: “Si ritenga sicura  quell’Eucaristia che si realizza sotto il Vescovo o colui a cui egli ne ha dato incarico” [PG  5,713]. Parimenti, poiché “il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e  visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli” [LG, 23], la comunione con lui è un’esigenza intrinseca della celebrazione del Sacrificio  eucaristico. Di qui la grande verità espressa in vari modi dalla Liturgia: “Ogni  celebrazione dell’Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche  con il Papa, con l’Ordine episcopale, con tutto il clero e con l’intero popolo. Ogni valida  celebrazione dell’Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l’intera  Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate  da Roma” [CDF, Communionis notio, 14: AAS 85 [1993] 847].

L’Eucaristia crea comunione ed educa alla comunione. San Paolo scriveva ai fedeli di  Corinto mostrando quanto le loro divisioni, che si manifestavano nelle assemblee  eucaristiche, fossero in contrasto con quello che celebravano, la Cena del Signore.  Conseguentemente l’Apostolo li invitava a riflettere sulla vera realtà dell’Eucaristia, per farli  ritornare allo spirito di comunione fraterna [cfr. 1Cor 11,17-34]. Efficacemente si faceva eco  di questa esigenza sant’Agostino il quale, ricordando la parola dell’Apostolo: “Voi siete  corpo di  Cristo  e  sue  membra”  [1Cor 12,27],  osservava: “Se voi siete il suo corpo e le  sue membra, sulla mensa del Signore è deposto quel che è il vostro mistero; sì, voi ricevete  quel che è il vostro mistero” [Sermo 272: PL 38, 1247]. E da tale constatazione deduceva:  “Cristo Signore [...] consacrò sulla sua mensa il mistero della nostra pace e unità. Chi riceve  il mistero dell’unità, ma non conserva il vincolo della pace, riceve non un mistero a suo  favore, bensì una prova contro di sé” [Ibid., 1248]»[354].

Ancora alcuni bellissimi testi di San Tommaso in merito: «L’Eucaristia è il  sacramento dell’unità della Chiesa, la quale risulta dal fatto che molti sono “una sola cosa  in Cristo” [Gal 3,28]»[355].

«La virtù dello Spirito Santo, che mediante l’unione della carità rende  intercomunicanti i beni delle membra di Cristo, fa sì che il bene privato, presente nella  messa di un buon sacerdote giovi anche agli altri. Invece il male privato di una persona  non può nuocere ad altri, se questi, come spiega S. Agostino, in qualche modo non vi  consentono»[356], perché «“la malizia del ministro non può ridondare sui misteri di  Cristo”»[357].

«Il Corpo vero di Cristo è figura del suo Corpo mistico... L’unità del Corpo mistico è  frutto della comunione del vero Corpo di Cristo. Ora, quelli che si comunicano o  l’amministrano indegnamente perdono codesto frutto…»[358].

«…si dispone il popolo mediante la pace, che viene data invocando l’“Agnello di  Dio”: l’Eucaristia è infatti il sacramento dell’unità e della pace…»[359]. 

«L’Eucaristia è il sacramento della perfetta unità della Chiesa. Quindi  particolarmente in questo sacramento più che negli altri si deve rammentare tutto ciò che si  riferisce alla salvezza della Chiesa intera»[360].

La Messa è l’inno trionfale della Chiesa Una: «La Chiesa, mentre è pellegrinante qui in terra, è chiamata a mantenere ed a promuovere sia la comunione con Dio Trinità sia la  comunione tra i fedeli. A questo fine essa ha la Parola e i Sacramenti, soprattutto  l’Eucaristia, della quale essa “continuamente vive e cresce” [LG, 26] e nella quale in pari  tempo esprime se stessa. Non a caso il termine comunione è diventato uno dei nomi  specifici di questo eccelso Sacramento.

L’Eucaristia appare dunque come culmine di tutti i Sacramenti nel portare a  perfezione la comunione con Dio Padre mediante l’identificazione col Figlio Unigenito per  opera dello Spirito Santo. Con acutezza di fede esprimeva questa verità un insigne scrittore  della tradizione bizantina: nell’Eucaristia, “a preferenza di ogni Sacramento, il mistero [della comunione] è così perfetto da condurre all’apice di tutti i beni: qui è l’ultimo termine  di ogni umano desiderio, perché qui conseguiamo Dio e Dio si congiunge a noi con  l’unione più perfetta” [N. Cabasilas, La vita in Cristo, IV, 10: Sch 355, 270]. Proprio per  questo è opportuno coltivare nell’animo il costante desiderio del Sacramento eucaristico. È  nata di qui la pratica della “comunione spirituale”, felicemente invalsa da secoli nella  Chiesa e raccomandata da Santi maestri di vita spirituale. Santa Teresa di Gesù scriveva:  “Quando non vi comunicate e non partecipate alla messa, potete comunicarvi  spiritualmente, la qual cosa è assai vantaggiosa... Così in voi si imprime molto dell’amore  di nostro Signore” [Cammino di perfezione, c. 35]»[361].

Padre Carlos Miguel Buela

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