18 gennaio 1946, S. Antonio.
"La mia anima è triste fino alla morte" dice Gesù. Nostro Signore non impiega un'ipèrbole. Egli dice ciò che è. Quale può dunque essere questa tristezza mortale? Noi siamo tristi talvolta sotto l'influenza, per esempio, di un profondo dolore, di un dispiacere intenso, come quello che ci è causato dalla morte di una persona cara; allora le fibre del nostro cuore sono come spezzate, il dolore di aver perduto qualcuno che ci era caro può portarci a desiderare la morte per accomunarci alla sorte di quello che non è più, per ritrovarlo nell'aldilà, per distaccarci da tutto il resto. Certo Gesù ha potuto e dovuto provare un tale sentimento di tristezza: nel momento in cui sapeva di dover morire, che gli importava il mondo? Nel momento in cui stava per lasciare tutto ciò che gli era caro: sua Madre, i suoi apostoli, i suoi convertiti, quale vuoto non doveva sentire il Suo cuore amante!
Nell'istante in cui la Sua opera costruttiva si annientava nell'odio, nell'impotenza, nell'umiliazione, nell'abbandono, quale non doveva essere anche il Suo disinganno! Aver messo tutta la Sua vita in un'opera redentrice, e vederla abbattuta! Giacché, se la Passione di Gesù ci ha salvati, noi avremmo potuto esserlo rispondendo spontaneamente ai suoi appelli, mentre ci è voluta da parte del Salvatore una Misericordia tutta particolare per salvare gli uomini che non avevano risposto alle Sue prime offerte di Misericordia. Ma la profondità di questo dolore e di questo disinganno non è ancora quella tristezza che va alla morte, che poteva dare la morte. E di fatto, se un angelo non fosse venuto a riconfortare la Divina Vittima, Essa sarebbe crollata nel Suo sudore di sangue e non si sarebbe più rialzata. Qual è l'uomo che ha potuto conoscere un simile dolore, una sì atroce agonia tanto da fargli uscire sudore di sangue, tanto da portarlo alla morte? E quale ha dovuto essere la causa di un tale stato? L'angoscia della morte!
Certo, nell'Autore stesso della vita, il fatto della morte ha dovuto provocare una repulsione di cui nessun mortale può avere l'idea. Noi non possiamo misurare i sentimenti del Figlio di Dio, noi semplici mortali. Nel Dio eternamente felice, l'accumulo della somma dei dolori della passione ha dovuto causare una reazione che solo l'Essere estremamente delicato di Gesù ha potuto sentire. Ma questo non spiega ancora le parole:
"Sono triste fino alla morte". Senza dubbio Gesù ha misurato allora l'inutilità di questa Passione tremenda per le anime di un gran numero di uomini. Questi uomini, li ha creati per Lui, per essere eternamente felici con Lui. Egli si immola per loro e sa che li perderà eternamente, essi che Egli ama infinitamente. É a questo dolore infinito causato dal Suo amore infinito che sorpassa i limiti finiti del corpo e dell'anima di Gesù e che lo schiaccia come le olive nel frantoio, alla cui forza esse non possono resistere. L'agonia di Nostro Signore non è altro che la prova del Suo amore. Ecco perché desiderava tanto la collaborazione supplice dei suoi apostoli. Più tardi, Egli avrà quella degli stimmatizzati che avranno accettato di soffrire con Lui e per Lui per la salvezza delle anime. Ma questa sera, niente. É il vuoto, l'abbandono totale!
Signore, abbi pietà di noi che non Ti comprendiamo, che non Ti amiamo, che non Ti assecondiamo! Con tutta la misura della nostra debole volontà, noi ti offriamo il nostro aiuto; ecco, Signore, il nostro amore sofferente, compassionevole, comprensivo e riconoscente. Gesù agonizzante, siamo tutti con Te.
meditazioni, ritrovate tra i suoi scritti Fernand Crombette
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