domenica 5 febbraio 2023

Che modo è da tenere a potere stirpare da' nostri cuori le radici de' nostri vizii, che regnano in noi.

 


OPERA A BEN VIVERE 

Dico dunque, che a volere istirpare da' nostri cuori ogni vizio e mala consuetudine, ci  bisogna pigliare l'esempio del villano, che vuole addomesticare il suo giardino, estirpare  d'esso le male radici delle male erbe: che, prima si spogliano de' vestimenti loro, a ciò che  più espeditamente si passino meglio esercitare; e poi, così leggieri, pigliano i ferramenti atti  a ciò, e con molta fatica si esercitano. Or dico (così), a loro esempio, dobbiamo fare noi  spiritualmente, a volere istirpare li nostri vizii da' nostri cuori: che prima ci bisogna  ispogliare d'ogni amore mondano, e tutto l'amar nostro metterlo solamente alle cose  celestiali; e poi, così spogliati, pigliamo i ferri che siano più atti a ciò fare, e che meglio ci  passino servire, senza durare molta fatica. Onde a questo esercizio fare, non ci conosco  miglior ferro, né più atto, che l'amore di Dio. 

   Bisognaci dunque, a volere bene istirpare li nostri vizii da' nostri cuori, che prima  inebbriamo bene le anime nostre dello amore di Dio; e poi che d'esso siamo bene armati,  usciamo fuori nel campo alla battaglia, e farci incontra alle avversità, e non fuggirle. Però  che ogni vizio si vince meglio per pugnare con tra esso, che fuggendo: eccetto che il vizio  della tentazione della carnalità, il quale, non come gli altri ci gli dobbiamo fare innanzi, ma  dobbiamo fuggire ogni sua cagione: ma, da questo in fuori, ad ogni altro ci dobbiamo, come  valenti cavalieri di Cristo, farci loro innanzi, e non fuggire. 

   Onde il nostro ortolano Gesù Cristo benedetto, il quale perfettamente conosce come  meglio possiamo stirpare dall'orto della terra del cuor nostro dette male radici, per potervi  poi su seminare il buon seme delle sante virtù, a ciò che possa producere il frutto netto, che  ci abbi a tenere sazii poi sempre della grazia sua, grida e dice: «Chi non odia il padre, e la  madre, e la moglie, e i figliuoli, e i fratelli, e le sorelle, ed eziandio l'anima sua, non può  essere mio discepolo». 

   Ecco dunque, che a voler essere discepolo di Dio, cioè, a venire alle virtù, e ad alcuna  perfezione e gusto di Lui, vuole che prima ci spogliamo d'ogni amore terreno, ed eziandio  del nostro proprio. E anca dice: «Chi vuole venire dopo me (cioè, al regno del cielo)  anneghi sé medesimo (cioè, la propria volontà, cioè, ogni suo proprio amore terreno e  sensuale e vizioso) e taglia la croce sua, e segui ti me». Cioè, che s'armi di quella armatura  per mio amore, che io per suo armai me. Siccome volesse dire: come io per amore vostro,  essendo vero Dio, m'armai di questo amore, non avendo io peccato, a ciò che, morendovi su,  potessi voi nettare da ogni vizio e da ogni peccato; così voi, rendendo cambio a me, a  esempio di me, pigliate la croce vostra dell'amore, a ciò che per esso amore possiate stirpare  da' cuori vostri ogni mala radice di vizio e di peccato, senza fatica. 

  Onde dice Santo Giovanni Grisostomo, che «nullo legame di fune, o di catene di ferro,  avrebbe potuto tenere Cristo in croce, se non fusse che ve lo tenne il legame dello amore».  E' dunque necessario, a volere istirpare dai nostri cuori le male radici de' nostri vizii, che  prima ci armiamo di questo santo amore di Dio: però che, se così faremo, nulla fatica ci  parrà a combattere colle nostre male consuetudini, e a stirpare da' nostri cuori; altrimenti, se  questo amore noi non avessimo, ogni picciola fatica ci parrebbe impossibile, e mai a nulla  perfezione di virtù potremmo pervenire. 

   Or torniamo al nostro proposito. Il Signore ci dice, che, se vogliamo andare dopo Lui a  vita eterna, ci bisogna pigliare la nostra croce, e seguitarlo; cioè, per la via delle virtù. Le quali mai fare non potremo, se prima noi non istirpiamo e diradichiamo le male radici de'  vizii. 

   Bisognaci dunque con molta fatica, come fece Cristo, il quale era senza peccato, noi  peccatori, a suo esempio, partirci da' vizii perfettamente, innanzi che possiamo pervenire  alle virtù. Le quali virtù quando ci saremo giunti, allora avremo negato noi medesimi. Onde  dice Santo Gregorio: «Picciola fatica è lasciare quello che l'uomo ha, cioè li beni terreni; ma  grande cosa è lasciare quello che l'uomo è, cioè le male consuetudini». E poi dice: «Chi è  superbo, egli diventi umile e mansueto, annega sé medesimo; chi è iracondo, e diventi  mansueto, annega sé medesimo; chi è lussurioso, e diventi continente, annega sé medesimo;  chi è avaro, e largisca del suo, il quale prima soleva rapire quel d'altrui, senza dubbio  annega sé medesimo». 

   Vuole dunque, figliuola mia, questo nostro dolcissimo Padre da noi cambio per cambio:  che, come Egli, per nostro amore, negò e fuggì ogni sensualità, e piacere, e consolazione  mondana, e [volle] per via di croce, cioè, di fatica e pena, andare al regno suo; così questo  medesimo richiede da noi: che, per suo amore, neghiamo noi medesimi, cioè, di neghiamo e  vietiamo alla nostra sensualità tutte quelle cose, che offendono Dio, e che c'impediscono  d'andare alla nostra vera patria celestiale; e che la prima cosa che sia in noi, che tutto il  nostro amore e desiderio sia in Lui, contemplando sempre d'andare per quella via che Esso  andò, cioè, per via di fatiche. Onde dice San Bernardo: «Chi si crede andare al regno del  cielo per altra via, che s'andasse Gesù Cristo, erra». E anco dice: «O buon Gesù! se Tu che  eri signore e re di paradiso, volesti con tanta pena e fatica, e poi alla fine con sì dura morte,  entrare nel regno tuo; che bisognerà fare a noi, miseri peccatori, per volere entrare nel regno  che non è nostro?». Quasi dica: molto, molto c'è da fare. Ad esempio dunque di Cristo, è  bisogno che ci facciamo innanzi alle tribulazioni, e male nostre consuetudini, e virilmente  combattiamo con esse, e non fuggirle; però che quanto più le fuggissimo, più forza ci  arebbero addosso. 

   Onde Gesù Cristo, a nostro esempio, sempre li diletti e onori fuggì; come fu quando non  volle essere fatto re; e alle tribulazioni si fece innanzi come fe', quando lo vennero a  pigliare, il quale, se volea, potea fuggire. Or così noi, a suo esempio, e per suo amore, ci  dobbiamo sempre fare incontro ad ogni sensualità, e saperci vincere, pigliando sempre le  arme contrarie che vorrebbe la nostra sensualità. E a modo che dice Santo Gregorio, che si  curano le infermità, dicendo: «Le calde col freddo, e le fredde si curano col calore»; così  noi, spiritualmente ci bisogna adoperare le arme contrarie, per istirpare e guarire le infermità  dell'anima. Cioè, contra alla superbia, l'umiltà; contra all'invidia, la carità; con tra  all'iracondia, la mansuetudine; contra alla lussuria, la continenza; con tra all'avarizia, la  largità. 

   E così ci bisogna combattere, e avvezzarci a poco a poco; tanto che, collo aiuto di Dio, le  male consuetudini s'abbattino. Questo stile tennero i Santi Padri: li quali Iddio pose in  questo mondo, come luminari e guide nostre per andare al regno del cielo, a ciò che ci  avessero ad illuminare, e a guidare ad esso sicuramente. I quali insegnarono a' loro discepoli  quest'arte perfettamente, cioè, che, sempre faceano lor fare il contrario di quello, che  conoscevano che l'animo loro arebbe voluto fare: e così, vincendo ogni propria volontà,  venivano a tanta perfezione, che, per cosa sinistra che avvenisse loro, mai si turbavano, né  perdevano la tranquillità della mente loro; e così, con mente pacifica e tranquilla, servivano  a Dio in purità e semplicità di cuore, disprezzando il mondo, e ogni suo diletto, come  spazzatura. 

Onde, conoscendo questo una gentilissima donna di Alessandria, e avendo questo santo  desiderio che ha la carità vostra, di venire a qualche perfezione e gusto di Dio; e conoscendo  che ciò fare non poteva, se prima non istirpasse da sé le radici delle male consuetudini che  in lei regnavano; e conoscendo che perfettamente ciò non poteva fare, se prima non si  avvezzasse a vincere sé medesima le sue passioni; illuminata dallo Spirito Santo, prese  questo partito. Andossene a Teofilo, patriarca di Alessandria, e pregollo che le dovesse dare  una delle povere vedove, ch'egli sosteneva delle sostanze della chiesa; ch'ella la volea per  sua compagnia, e ciò ch'ella [la vedova] la facesse buona, e lei la voleva nutricare a spese  sue. 

   E considerando il patriarca la nobiltà della donna, comandò a quello che avea cura delle  povere vedove, che gliene dovesse dare una, delle più costumate e migliori che vi fusse; il  quale egli così fece. E menandosela seco la gentildonna a casa sua, quella vedova, come  buona e santa, cominciò a servire la gentildonna con molta reverenza, ringraziandola ad  ogni ora di tanti beneficii che le faceva. La qual cosa considerando la gentildonna, e  conoscendo che colei non era il bisogno suo, parendole essere stata più atta a insuperbire per  gli onori ch'ella le faceva, che a diventare umile e paziente; licenziò la buona donna, e fecela  ritornare donde l'avea levata. 

   E poi con grande fervore ritornò al patriarca, e dissegli: Io t'avevo pregato, che tu mi dessi  una compagna che mi facesse buona, e io non sono stata servita. La qual cosa udendo il  patriarca, e dubitando che ella non avesse avuto la donna, maravigliandosi che egli non  fusse stato obbedito, fece chiamare quello che era sopra di loro, e domandollo s'egli avea  dato la donna, come egli aveva ordinato. E trovando ch'ella l'avea avuta, e la più santa e  migliore che vi fusse, disse alla donna: Buona donna, io non v'intendo, se più chiaramente  non mi parlate. Allora ella gli aperse il suo desiderio, dicendogli come desiderava di  pervenire a qualche virtù, e che desiderava d'avere una compagna che la provocasse; a ciò  che, per mezzo di lei, ella avesse cagione d'esercitarsi a vincere sé medesima. Il qual  desiderio intendendo il patriarca, essendo molto bene edificato di lei, le fece dare una  garrizzaia, superba e impaziente e brontolosa. 

   La quale ella se la menò a casa, e cominciolla a servire il meglio che poteva, facendole  molta reverenza e onore: ma quella, come superba, quanto più carezze le faceva, tanto più  insuperbiva; dicendole molte ingiurie e parole dispettose, ed eziandio veniva a tanto, ch'ella  le metteva le mani addosso. 

   Ma quella gentilissima donna, d'anima e di corpo, desiderando di pervenire alla virtù,  s'ingegnava, quanto poteva, di rispondere umilmente, e di servirla con più diligenza che  poteva. 

   Così esercitandosi per lungo spazio di tempo, adoperandovisi la divina grazia, venne a  tanta perfezione e stabilità di mente, che di cosa avversa che gli avvenisse, perdeva mai la  tranquillità della mente sua. E sentendosi ella così perfetta, ritornò al patriarca con detta  donna, dicendogli: Io ti ringrazio, che mi hai dato buona maestra, e che bene mi provvedesti  secondo che era il mio bisogno. 

   Or così dunque questa gentildonna seppe bene trovare i ferramenti, atti a stirpare dall'orto  del cuor suo ogni mala radice, e passione di vizii, che in lei regnava; ma non è da credere  che, senza grande fatica di mente, e senza sua grande violenza, a tanta perfezione potesse  pervenire. 

   Or a questo modo è da fare: di farsi innanzi alle nostre passioni, e alle nostre sensualità e  vizii, e di valentemente pugnare con tra a essi; però che Dio, quando ci vede ben disposti a  volerci aiutare, sempre ci dà e porge il suo aiuto. 

A questa perfezione non pervenne, non volendosi esercitare, uno giovane impaziente, e  troppo delicato di sé medesimo, come si legge in Vita patrum. Infatti si dice, che, essendo in  uno monasterio uno giovane, il quale troppo si amava, il quale non volea vincere sé  medesimo, a stirpare del cuor suo le male radici de' vizi e male consuetudini; vivendo nel  monasterio sì come il vento lo menava, non curandosi troppo di pervenire ad alcuna  perfezione né gusto di Dio; ma stavasi così tiepidaccio, credendo che tutta la sua perfezione  stesse in dire orazioni o uffizi; il quale d'ogni picciola cosa si turbava, e perdeva la quiete  della sua mente. 

   Onde disse a sé medesimo: Andar voglio alla solitudine, dove non c'è persona che m'abbi  a fare turbare. E ciò facendo, andando un dì per l'acqua, e avendone piena una mezzina,  portandola alla sua cella, e posandola un poco in terra, la quale per operazione diabolica si  versò. E ritornando alla fonte, la riempiè da capo; e come la posò in terra, anco si versò  un'altra volta. Della qual cosa egli conturbandosi, prese quella mezzina, e ruppela; e rotta  che l'ebbe, ritornando in sé, e vergognandosi, disse: Or ecco che anco alla solitudine mi  scandalizzo! Onde veggio che in quel luogo c'è da fare, e veggio che c'è bisogno dell'aiuto  di Dio. 

   E ritornando al monasterio, cominciò a sopportare i costumi dei frati, facendo forza alla  sua sensualità, combattendo con tra alle sue male consuetudini; per modo che, collo aiuto di  Dio, in ispazio di tempo venne a gran pace e stabilità di mente, e diventò perfetto monaco. 

   A voler dunque pervenire a qualche perfezione, e gustare qualche cosa di Dio, e a venire a  qualche pace e quiete di mente, ci bisogna prima discacciare e diradicare da noi le male  consuetudini; e questo ci bisogna fare vincendo noi medesimi, facendosi violenza di quelle  cose che sono con tra alla nostra volontà e avvezzarci a poco a poco a sopportare con pace  quelle cose, che sono con tra all'animo nostro, e non volere rispondere ad ogni cosa; come  se alle parole ingiuriose e offendenti, e altri contrarii, che ad ogni ora ci può venire: tenendo  per fermo, che ciò che ci avviene, Dio lo permette per nostra utilità; le quali in nullo modo  ci possono avvenire, se Dio non permettesse. 

   E così, cominciandosi a poco a poco a vincersi la mente, si comincia a solidare nelle  buone opere; e per questo modo si stirpano le male radici. Le quali, quando sono stirpate,  generano nella mente uno gaudio e consolazione, la quale sempre sta assetata, e desiderosa  d'adempiere li comandamenti di Dio, parendole ogni gran fatica, poca; e così tutta si dispone  al ben fare, nel quale si trova perfetta pace, e per questo modo si cerca; come dice il profeta  nella terza parte: «Cerca la pace». 

   E questo basti aver detto, quanto alla seconda parte che ci dice il profeta, cioè che  facciamo bene. Ora resta a dire qualche cosa in che modo si perviene a perfetta pace,  assimigliata a quelli che hanno lavorato la terra, e che vi seminano su il buon seme. 

SAN ANTONINO


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