Dell’essenza della grazia divina
1. La grazia di Dio è un raggio della divina Bellezza che dal cielo si riversa nell’anima nostra e ne penetra le più recondite profondità di una luce così ineffabile che l’occhio stesso di Dio ne è rapito ed il suo Cuore infiammato di amore. Di più la grazia conferisce all’anima una tale dignità che questa viene accolta da Dio come sua figlia e sposa e sollevata al di sopra di ogni confine della natura, sino al Cielo, affinché, essendo conforme al Figlio Divino per la nascita, partecipi alla sua santa vita e poi come Lui possa ricevere in eredità il regno delle magnificenze divine.
2. Ma mentre la nostra lingua va pronunziando, direi quasi ad ogni parola, una nuova meraviglia, il nostro intelletto non è capace di seguirla. E come potremmo noi arrivare a comprendere questi beni celesti così sublimi se gli stessi spiriti beati che già ne gustano le delizie appena possono intenderli nella pienezza del loro valore. Essi pure, riguardando il trono della divina misericordia, compresi della più profonda venerazione, non possono che restare stupiti per tale eccesso di grazia e benignità per parte di Dio.
Ma più ancora essi stupiscono della nostra stoltezza, la quale apprezza così poco la grazia divina, la ricerca con tanta negligenza e la trascura con incredibile leggerezza. Quando noi dall’alto trono di dignità celeste a cui ci ha sollevato la grazia, cadiamo, per il peccato, nel profondo abisso in cui caddero gli spiriti ribelli, essi piangono per la nostra immensa sventura.
3. L’angelo della scuola c’insegna (1) che il mondo intero con tutto ciò che esso contiene ha meno valore agli occhi di Dio della grazia divina in una sola creatura ragionevole. Anzi S. Agostino (1) afferma che il firmamento stesso (s’intende nella sua magnificenza naturale) non può esserle comparato. Perciò l’uomo dovrebbe essere più grato a Dio per la più piccola particella di grazia che se ricevesse la perfezione naturale degli spiriti più sublimi e gli fosse dato pieno dominio ed ampia potestà come re del firmamento e di tutti gli astri. E quanto più varrà dunque la grazia di tutti i beni di questa terra!
Ed invece, sia per la stoltezza, sia per indegno disprezzo delle cose di Dio, la grazia è messa al di sotto delle cose più comuni e che niente valgono, e ciò, non solo con grande indifferenza, ma come per giuoco! Sempre vi sono uomini che rigettano questa pienezza di beni, che pospongono Dio stesso al nemico dell’anima loro, e questo per non privarsi di uno sguardo inverecondo su di un oggetto lurido, per non rinunziare a dei piaceri volgari, indegni dell’uomo; uomini che, leggeri come Esaù, cedono una eredità, vasta come il mondo intero, per un miserabile piacere di un istante!
4. «Stupitevi, o cieli, di questo fatto», grida il Profeta, «e voi porte della sua terra rattristatevene!» (Ger 2, 12). Chi sarebbe tanto stolto e temerario da voler sacrificare il mondo intero al suo palato ed ai suoi capricci se sapesse che per un breve piacere peccaminoso che si permetta, il sole sparirà, le stelle cadranno dal cielo e tutti gli elementi si solleveranno a grande scompiglio? Ma cos’è mai la rovina del mondo a confronto della perdita della grazia? Quanti pochi si curano d’impedire in se stessi ed in altri questo male reale, e quanti meno ancora si trovano che veramente deplorino tale sventura!
Ci fa orrore un terremoto che distrugge una città, una pestilenza che faccia strage di uomini e di animali. Eppure avvengono cose ancora più terribili, che si ripetono migliaia di volte al giorno e noi vi assistiamo senza commuoverci, con occhio asciutto, mentre tante e tante creature umane perdono nel modo più miserando la grazia di Dio e disprezzano stupidamente l’opportunità di riacquistarla.
La devastazione della Santa Città riempì il Profeta Geremia di un dolore inconsolabile, l’improvvisa rovina della fortuna di Giobbe tenne i suoi amici per sette giorni in muto cordoglio. E qui dovremmo invero piangere e dolerci senza tregua e senza fine: il nostro dolore non arriverà mai ad esprimere, nemmeno in parte, la sventura che a noi tocca quando devastiamo, per il peccato, il celeste giardino dell’anima nostra, quando rigettiamo da noi lo splendore della natura divina, la regina delle virtù – che è la divina carità col suo celestiale corteo, – i doni dello Spirito Santo, anzi lo stesso Divino Paraclito, l’amicizia di Dio, il diritto alla sua ricca eredità, il frutto dei nostri meriti, in una parola quando allontaniamo da noi Dio e tutto il paradiso!
5. All’anima che perde la grazia può applicarsi con ragione quella «Lamentazione» che Geremia canta su Gerusalemme: «Come ha ricoperto il Signore di tenebre la figlia di Sion nel suo furore; Egli gettò dal cielo in terra l’inclita Israele, non ricordò lo sgabello dei suoi piedi nel dì del suo furore. Il Signore inabissò nella rovina senza remissione ogni più bel soggiorno di Giacobbe» (Lam 2, 1-2). Ma chi considera nel suo cuore questa immensa sventura, chi ne piange, chi v’è che questo lutto trattenga dal commettere nuovi peccati? E qui tornano a proposito le parole dello stesso Profeta: «Tutta desolata dalla devastazione è la terra perché nessuno riflette dentro del suo cuore» (Ger 12,11). Con ragione ascriviamo il triste destino del popolo ebreo al ben meritato adempimento della parola: «La vostra casa vi sarà lasciata deserta» (Lc 13, 35). A dir vero noi non ci portiamo meglio di quegli israeliti che il Signore, dopo averli liberati dalla schiavitù d’Egitto e condotti attraverso quegli aridi deserti, voleva introdurre in una terra dove scorreva latte e miele. Essi disprezzarono il dono immeritato ed inestimabile che Dio loro offriva, si disgustarono della manna che il Signore donava loro lungo il viaggio e rimpiangevano le pentole piene di carne, dell’Egitto. La terra promessa non era altro che un’immagine del cielo che il Signore ha promesso ai suoi eletti, e la manna era un simbolo della grazia che deve nutrirci ed infonderci nuovo vigore nel nostro cammino verso il cielo. Se «Dio levò la sua mano contro di loro, giurando di abbatterli nel deserto» perché «disprezzarono la terra desiderabile» (Sal 105, 24. 26), quanto più caro costerà a noi il poco conto che facciamo del cielo e della grazia, se già il disprezzo della figura venne castigato così severamente!
6. Questa poca stima da parte nostra ha una doppia origine. Da un lato noi stimiamo troppo le cose transitorie di quaggiù o mettiamo ogni nostra speranza di successo nella nostra attività e nelle nostre viste terrene; dall’altro abbiamo una conoscenza troppo superficiale dei beni celesti. Dobbiamo cercare perciò, per mezzo di una seria meditazione, di eliminare questi nostri errori e deficienze.
La nostra stima per i beni eterni crescerà a misura che allontaneremo da noi, nella giusta misura, la stima delle cose temporali, specialmente del mondo e dei suoi beni. Poiché, appunto dall’esagerato attaccamento alle cose terrene proviene la cecità per quelle spirituali; e dalla falsa fiducia nel mondo e dalla ingiusta stima delle sue imprese, nasce il disgusto e la nausea di ciò che è eterno (1).
Al contrario dobbiamo studiarci seriamente d’imparare meglio a conoscere la grazia divina. Ma non potremo farlo se non meditando costantemente la divina verità, e più ancora con la fedeltà ai lumi ed agli incitamenti che da esse provengono. Allora rimarremo così presi dalla sovrana bellezza dei suoi tesori, che esamineremo con più riflessione tutto ciò che è terreno, e quando la grazia penetrerà il nostro intelletto nella sua vera essenza esclameremo senza dubbio con S. Ignazio: «O come mi nausea la terra quando io rimiro il cielo!» (2).
– E Oh sì, impariamo davvero ad ammirare e stimare la grazia! Poiché chi è «rapito dalle bellezze della grazia», dice S. Giovanni Crisostomo, «la conserverà con somma cura, come fedele custode» (3).
7. Principiamo dunque, con l’aiuto di Dio, «le lodi delle meraviglie della sua grazia» (4). Ma Tu, grande e clementissimo Iddio, Padre dei lumi e di misericordia «da cui proviene ogni dono perfetto» (Gc 1, 17), poiché «ci hai eletti, nei decreti del tuo volere, in Gesù Cristo fin dalla fondazione del mondo, ad essere santi ed irreprensibili nel tuo cospetto, per amore» (Ef 1, 4. 6), dai a noi lo Spirito di Sapienza e di Rivelazione, rischiara gli occhi del nostro cuore, affinché conosciamo «qual è la speranza della vocazione a cui ci hai chiamati e quanto ricca sia la gloria della sua eredità fra i santi» (Ef 1, 17-18). Dammi lume e vigore affinché la mia parola non rechi alcun danno al dono ineffabile della tua grazia per la quale Tu accogli gli uomini nella tua regale famiglia.
Gesù Cristo nostro Salvatore, Figlio del Dio vivente, per quel tuo Sangue divino col quale hai ricomprato noi, povere tue creature, concedimi che io possa esporre a coloro che Tu hai redento con questo tuo Prezioso Sangue – restituendogli la grazia perduta – il valore incalcolabile di questo dono per il quale Tu non hai creduto eccessivo lo sborsare un prezzo così inaudito.
E Tu, o dolcissimo Spirito Santo, pegno e sigillo del divino amore, Tu ospite santificatore delle anime nostre, per il quale viene infusa nel nostro cuore la divina grazia, per i cui sette doni essa viene alimentata, che mai doni la grazia senza dare Te stesso, Tu, o Santo Spirito, insegnaci cosa sia questa divina grazia e come essa debba essere preziosa agli occhi nostri.
Santissima Madre di Dio, e perciò anche Madre della divina grazia, fai ch’io possa rivelare agli uomini che per la grazia sono divenuti figli di Dio, e perciò anche figli tuoi, i tesori della grazia per i quali tu sacrificasti volenterosa il tuo Divin Figlio.
Santi Angeli, Spiriti beati che siete ripieni e trasfigurati dagli ardori di questa grazia divina, e voi anime sante che già siete passate da questo luogo d’esilio agli amplessi del Padre Celeste per gustare i frutti della grazia e sperimentarne la dolcezza, assistetemi con le vostre preghiere affinché nessuna nube d’errore o di passione venga ad oscurare il mio sguardo o quello dei miei lettori, ed il Sole della grazia possa risplendere con più fulgore e chiarezza sopra di noi per illuminare e per risvegliare nei nostri cuori un acceso desiderio ed un amore inesauribile.
M.J. SCHEEBEN
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