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venerdì 14 maggio 2021

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


L'OFFERTA DEL POVERO

Ma c'è solo una benedizione nella casa di Dio?

Non ha più nulla dunque da offrire a Dio il povero che vive la vita comune del mondo, il vero povero assoluto, colui che non ha alcun merito o ben poco davanti a Dio? Non ha dunque costui modo alcuno da attrarre su di sé la clemenza e la compiacenza di Dio?

Non c'è dunque un'altra benedizione per il povero?

Per colui che opera col suo lavoro il progresso civile, dato pure da Dio in compito all'umanità?

Per colui che lavora la terra e dà il sostentamento all'umanità, compresi i religiosi e le anime consacrate d'ambo i sessi?

Per colui e per colei che portano coi propri figli le pietre viventi necessarie alla costruzione del Corpo Mistico?

Per colui che ha gustato il calice umano dei piaceri e forse anche delle amarezze?

Per colui che si è stancato nelle vie del peccato e che ad un certo punto se ne è con sacrificio distaccato, per obbedire alla chiamata di Dio?

Per colui che non è riuscito a nulla nella vita: né negli affari, né nell'amore, né nei piaceri, né in alcun altro ideale?

Per colui che ha sperimentato la malizia degli uomini, le traversie degli avvenimenti, le morse della sventura?

Colui che ha fatto raccogliere i resti dei pani dopo la moltiplicazione, raccoglie con cura maggiore i resti del cuore e del corpo degli uomini.

Certamente però quanto più all'uomo resta da offrire, tanto più la sua offerta ha valore.

Dio raccoglie anche un briciolo di amore delle sue creature, accetta anche un po' d'aiuto per il suo Disegno Nascosto.

Ma se ancora il povero vuol fare qualche cosa di grande nella propria vita bisogna che offra a Dio tutto quello che ormai gli resta: tutto l'amore di cui ancora è capace e tutto intero quel cuore sopravvanzato o sopravvissuto alle creature o da esse rifiutato; quel corpo impegnato o forse sfiorito nei lavori o nei piaceri e tutte le forze che gli restano.

Gesù che non venne a spegnere il lucignolo fumigante (Is. 42,3), ma a ravvivarlo, darà una nuova vitalità al cuore del povero; vi farà rifiorire nuovi sprazzi di vita, di speranza, di amore.

Gesù che non è venuto a rompere la canna fessa, ma a rinsaldarla, darà al corpo del povero nuovo vigore; gli darà l'energia di operare del bene e di percorrere la sua via crucis.

Anche il povero ed il peccatore possono santificarsi; ma bisogna che si convertano a Dio e subito si mettano dietro Cristo con molta buona volontà e con molta umiltà.

Se il santo si stima un buono a nulla, che cosa deve stimarsi il peccatore?

Solo colla sua maggiore umiltà, col suo atteggiamento dimesso e confuso nell'assemblea dei figli di Dio, come un povero capitato in un ricevimento di nobili, col suo costante mettersi e stimarsi all'ultimo posto, può attrarre lo sguardo e la compiacenza di Dio e sentirsi da lui ripetere: « Vieni avanti » (Lc. 14,10).

Possono anche il povero ed il peccatore contrito percorrere il cammino delle tre età, ma con santa umiltà e senza pretese.

Se lo percorrono per intero, bruciando le tappe con più buona volontà se hanno già parecchio vissuto, potranno anche loro raggiungere la perfezione. Ma è necessario che tutto quello che possono fare lo facciano.

Un mezzo per santificarsi senza amore e senza sacrificio non è stato ancora inventato e non lo sarà mai.

Come bisognò che Cristo patisse per così entrare nella gloria (Lc. 24,26); così bisogna che tutti patiamo con Cristo per essere glorificati con Cristo.

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO


domenica 18 aprile 2021

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’



NOSTRA OFFERTA


 

L'OFFERTA PREZIOSA

Molti credono che il consacrarsi a Dio sia un rifugio.

Dicono che nel mondo non c'è nulla; che il mondo è un colossale trucco e che riserva solo spine; dicono che è beato chi si dà a Dio e che la più bella vita si fa nel servizio di Dio.

È vero che la mia sorte non la cambierei per tutto l'oro e i piaceri del mondo, ma non per questa vita, sebbene per l'altra.

Il cammino del mondo è cosparso di rose, sia pure con delle spine; il cammino dei discepoli di Gesù, come quello del Maestro, è cosparso di spine senza rose.

Nel mondo c'è abbastanza da divertirsi e da godere e se non ci andiamo dietro non è perché non ci attragga, ma per farne un sacrificio a Dio.

Nella famiglia acquisita ci sono le gioie più grandi ed i piaceri più forti della vita. Con un po' di intelligenza e di fortuna si può fare una vita molto dolce e comoda.

Nel servizio di Dio c'è rinunzia totale a tutto e chi non la pratica integralmente ne perde in massima parte il merito.

È vero che ai mondani spesso sopraggiungono preoccupazioni e disgrazie, che tolgono in parte ed anche in tutto il gusto di vivere; che molti mariti e molte mogli per i guai avuti dal coniuge, dalla salute o dai figli si sono amaramente pentiti d'essersi sposati; che molti ricchi muoiono di noia fra le loro ricchezze. Ma non bisogna neppure esagerare: il bene della vita mondana non viene per nulla sommerso dal male, tranne per un certo numero di disgrazie.

Se così non fosse nessuno penserebbe più a sposare; invece, la verità è che nessuno, tranne i pochi eletti, vuol consacrarsi a Dio. D'altro canto non è neppure giusto pensare a tutte le possibili complicazioni, anzi la natura stessa ci porta a trascurarle.

Ho dunque il diritto di pensare al più roseo avvenire; ed è questo quello che a Dio debbo sacrificare.

Possiamo osservare che amici nostri, meno belli e meno intelligenti di noi hanno fatto fortuna nel mondo e menano una vita piacevolissima.

È questa bella sorte, e forse una sorte ancora più bella, quella che dobbiamo sacrificare.

È tanto gradito a Dio e tanto meritorio avere qualche cosa di grande da offrirGli: la creatura bella dei nostri sogni, il più affascinante amore, i più voluttuosi piaceri, la gioventù, la vita.

È questo il nostro grande dono a Dio, che colma Dio di infinita compiacenza.

È questa l'offerta che dobbiamo fargli e rinnovare ogni giorno nella S. Messa, in unione all'offerta che di sé ivi rinnova Gesù.

Chi meglio di Gesù poteva fare una vita terrena bella, onorata e felice?

Eppure egli ha voluto la croce.

È giusto ed è bello che anche noi, per amor suo, sacrifichiamo il nostro successo terreno. Compagni nel dolore, lo saremo anche nella felicità.

Non dobbiamo offrire a Dio uno scarto, una vita più buona a nulla, un avvenire senza attrattive. A Dio le cose migliori ed il fiore della nostra vita. È vero che Dio non rifiuta nessuno; ma che valore ha una vita inutile? Quanto più belle qualità abbiamo per essere amati, quanto più belle sono le nostre speranze, quanto più gusto proviamo ad amare ed essere amati, tanto più il nostro dono è a Dio gradito, a noi meritorio e proficuo alla Chiesa.

Donandoci a Dio non dobbiamo pensare di fare una vita bella. Sarebbe un'illusione e poi un'amara delusione.

Avremo una vita sacrificata. Il servizio di Dio non è il rifugio dei deboli, ma l'agone dei forti. Dietro Gesù troveremo la croce; e questa croce, costituita dalla pratica dei voti e delle virtù cristiane, dobbiamo portarla per tutta la vita. Su questa croce, infine, dovremo morire.

Tuttavia il Signore dà a chi gliela chiede la forza necessaria per tutto affrontare e soffrire.

Il nostro premio sarà il Paradiso: sarà tanto grande che sarebbe sempre poco sacrificare per esso mille vite.

« Voi piangerete e gemerete, ci ha avvertito Gesù; il mondo godrà e voi sarete contristati; ma rallegratevi che la vostra tristezza sarà cambiata in gaudio » (Io. 16,20).

Tuttavia anche per questa vita Dio ci dà qualche cosa: una pace che supera ogni senso e che nessuno ci può togliere; un ideale altissimo di perfezione e di lotta; una visione più ampia dell'esistenza, l'unica visione reale dei valori della vita.

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO