SIAMO TUTTI COLPEVOLI
Non tutti sanno delle tante migliaia di cubani fucilati da Fidel Castro appena egli ebbe raggiunto il potere.
Non tutti sanno della tremenda dittatura instaurata dal medesimo e della gravissima crisi economica ad essa seguita. Non tutti sanno dell'opera scientifica di distruzione della fede cattolica dal medesimo abilmente condotta con l'esito di ridurre la frequenza alla Messa festiva dall'85% allo 0,70%. È estremamente interessante conoscere la lettera del rivoluzionario castrista pentito Miguel Angel Quevedo al suo amico Ernesto Montaner e da questi pubblicata in « El Triunfo », giornale degli esuli cubani a Miami, di cui è direttore.
Miguel Angel Quevedo era il direttore della rivista « Bohemia », edita all'Avana, diffusa in tutto il continente americano con una tiratura di oltre un milione di copie. All'inizio della rivoluzione di Fidel Castro, egli ebbe un ruolo importantissimo nella presa del potere. Fu dopo, quando vide gli effetti disastrosi della rivoluzione cubana, che Quevedo capí di aver sbagliato. Purtroppo, dopo aver compreso il suo sbaglio, si suicidò, in esilio, nell'agosto del 1969.
Questa sua lettera a Montaner, ha tutto il sapore di un testamento politico. Ecco le parti essenziali: « So che dopo la mia morte molte accuse pioveranno sulla mia tomba. So che mi presenteranno come "il solo colpevole" della disgrazia di Cuba. Non nego i miei errori, né la mia colpevolezza. Nego dì essere "il solo colpevole". Colpevoli lo fummo tutti, ciascuno con una parte più o meno grande di responsabilità.
Sì, fummo tutti colpevoli. I giornalisti, che ingombravano la mia scrivania di articoli distruttivi contro tutti i governanti. I cacciatori di applausi che per soddisfare le masse, per avere l'approvazione della plebe, rivestivano l'odiosa uniforme della "opposizione sistematica". "Uniforme" che non si abbandonava mai. Poco importava chi era il Presidente. Poco importavano le buone cose che stava per fare a Cuba. Bisognava attaccarlo, distruggerlo. Anche il popolo chiedeva a gran voce la sua testa, sulla pubblica piazza. Il popolo fu anch'esso colpevole. Fidel non è nient'altro che il risultato dell'esplosione della demagogia e della follia. Noi tutti abbiamo contribuito a creare il suo personaggio. Colpevoli furono i commentatori della radio e della televisione, che elogiarono quella decisione. La popolazione che l'applaudì in maniera delirante sui gradini del Congresso della Repubblica.
Colpevoli furono i milionari che coprirono di denaro Fidel perché sconfiggesse il regime.
Coloro che si occupavano di più del contrabbando e del furto, che delle azioni militari nella Sierra Maestra.
Colpevoli furono i preti dalle rosse sottane, che mandavano i giovani nella Sierra a servire Castro e i suoi guerriglieri. Colpevole la gerarchia ecclesiastica, che, ufficialmente, appoggiava la rivoluzione comunista.
Colpevoli furono gli Stati Uniti d'America, che bloccarono le armi destinate alle Forze Armate di Cuba per la lotta contro i guerriglieri. Colpevole fu il Dipartimento di Stato, che appoggiò la congiura internazionale diretta dai comunisti per impadronirsi di Cuba.
Colpevole fu la maggioranza della stampa americana: in particolare il "New York Times", che, con le sue campagne, presentò Fidel come un eroe da leggenda.
Colpevoli furono il governo e l'opposizione, di non essere pervenuti ad un accordo soddisfacente, pacifico e patriottico. Colpevoli gli infiltrati di Fidel, incaricati di sabotare quel tentativo.
Tutti noi fummo colpevoli. Tutti! Per azione di omissione. Giovani e vecchi. Ricchi e poveri. Bianchi e neri. Onesti e ladri. Virtuosi e peccatori.
Muoio solo. Proscritto. Esiliato. Tradito ed abbandonato dagli amici ai quali avevo offerto generosamente il mio appoggio morale e finanziario in giorni difficili. Quando si convinsero che ero anticomunista, mi mostrarono di essere "antiquevedisti".
Almeno che la mia morte sia feconda! Che spinga alla meditazione! Che i giornali e i giornalisti non dicano mai più quello che la folla incolta e scomposta desidera intendere! Che la stampa non sia mai più un'eco della strada, ma un faro che l'orienta! Che i milionari non diano più il proprio denaro a chi poi li spoglia di tutto! Infine, che il popolo mediti e ripudi i portavoce dell'odio, i cui frutti, come si è visto, non possono che essere amari!
Noi fummo un popolo avvolto dall'odio. I nostri peccati pesarono più che le nostre virtù. Dimenticammo la sentenza del poeta Nunez de Arce: "Quando un popolo dimentica le sue virtù, i suoi vizi gli danno un tiranno"».
Padre Ildebrando A. Santangelo (Servo di Dio)
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