giovedì 1 aprile 2021

Aumentava sempre più in me la fiducia in Dio; mi sentivo sempre più attratto verso Gesù;


 EPISTOLARIO

Le sempre nuove e più meravigliose scoperte che l'anima, alla luce di  questa intima contemplazione, va facendo di Dio, dei suoi misteri e dei suoi  attributi, la riempiono d'ammirazione profonda e d'incontenibile gioia, d'una  felicità di paradiso e la inondano di una "quasi continua indigestione di  consolazioni".  

Ci sono, è vero, parentesi dolorose, ma l'anima non le rimpiange come abbandoni  di Dio, ma come "scherzi d'amore", "squisitezza del suo finissimo amore". Le  gioie e le consolazioni non escludono il dolore, ma lo rendono tollerabile,  desiderabile e amabile. Amore e dolore seguono una via parallela; l'uno e  l'altro esercitano un'azione congiunta di purificazione e di trasformazione:

"Gesù non lascia di tratto in tratto di raddolcire le mie sofferenze in altro  modo, cioè col parlarmi al cuore. Oh si, padre mio, quanto è buono Gesù con me!  Oh che preziosi momenti sono questi; è una felicità che non so a che  paragonarla; è una felicità che quasi solo nelle afflizioni il Signore mi dà a  gustare. In questi momenti, più che mai, nel mondo tutto mi annoia e mi pesa;  niente desiderio fuorché amare e soffrire. Si, padre mio, anche in mezzo a tante  sofferenze, sono felice perché sembrami di sentire il mio cuore palpitare con  quello di Gesù. Ora s'immagini quanta consolazione deve infondere in un cuore il  sapere di possedere, quasi con certezza, Gesù [...]. E' anche vero che Gesù  spesso spesso si nasconde, ma che importa, io cercherò col suo aiuto di stargli  sempre intorno, avendomi lei assicurato che non sono abbandoni, ma scherzi di  amore. Oh! quanto bramerei in questi momenti aver qualcuno che mi aiutasse a  temperare le ansietà e le fiamme da cui il mio cuore è agitato" (4 9 1910; cf.  anche 29 11 1910; 20 12 1910).  

"Ho osservato da vari giorni in qua una gioia spirituale da non potersi  spiegare. La causa di ciò l'ignoro. Non sento più quelle tante difficoltà che  sentivo una volta nel rassegnarmi ai divini voleri. Anzi respingo le calunniose  insidie del tentatore con una facilità tale, da non sentirne né noia né  stanchezza" (10 8 1911; cf. anche 13 1 1912; 16 3 1912; 25 3 1912).  

"Questa notte scorsa poi l'ho passata tutta intiera con Gesù appassionato. Ho  sofferto anche assai; ma in un modo ben diverso da quello della notte  precedente. Questo è stato un dolore che non mi ha fatto male alcuno; aumentava  sempre più in me la fiducia in Dio; mi sentivo sempre più attratto verso Gesù;  senza nessun fuoco vicino, mi sentivo internamente tutto bruciare; senza lacci  addosso, mi sentivo a Gesù stretto e legato; da mille fiamme mi sentivo  bruciare, che mi facevano vivere e mi facevano morire. Quindi soffrivo, vivevo e  morivo continuamente. Padre mio, se potessi volare, vorrei parlare forte, a  tutti vorrei gridare con quanta voce terrei in gola: amate Gesù che è degno di  amore" (28 6 1912).  

"In questi giorni tanto solenni per me, perché feste del celeste Bambino, spesso  sono stato preso da quegli eccessi d'amore divino, che tanto fanno languire il  mio povero cuore. Compreso tutto della degnazione di Gesù verso di me, gli ho  rivolto la solita preghiera con più confidenza: Oh Gesù, potessi amarti, potessi  patire quanto vorrei e farti contento e riparare in un certo modo alle  ingratitudini degli uomini verso di te!" (29 12 1912; cf. anche 17 10 1915; 14  10 1917; 29 1 1919). 

"L'anima mia da più tempo si trova immersa giorno e notte nell'alta notte dello  spirito [...]. Addio le delizie delle quali l'aveva inebriata il suo Signore!  Dov'è quel gusto di cui ella godeva dell'adorabile divina presenza?" (lett.  314).  

"In questo stato per la povera anima tutto è tormento. La poverina è posta di  continuo in una contemplazione tormentosissima in cui Dio, con mirabile notizia,  facendosi a lei vedere lontano, le sveglia un dolore sì acuto da ridurla alle  agonie di morte" (9 5 1915; cf. anche 6 9 1916). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

Ho visto la Passione di Gesù. Il racconto della Mistica Beata Caterina Emmerick. Giovedì Santo

 

PREGHIERA DI SALVEZZA PER LA CHIESA CATTOLICA

 


Ancora vedrete orrori sulla Terra. Cercate forze nel Vangelo e nell'Eucaristia. Camminate per un futuro di grande divisione e confusione.

 


Messaggio di Nostra Signora Regina della Pace, trasmesso il 30/03/2021

Cari figli, sono la vostra Madre Addolorata e vengo dal Cielo per condurvi a Mio Figlio Gesù. Intensificate le vostre preghiere. Vivete nel tempo delle grandi confusioni spirituali e solamente coloro che pregano sopporteranno il peso delle prove che verranno. DateMi le vostre mani! Io voglio aiutarvi, ma ho bisogno del vostro Sì sincero e coraggioso. Pentitevi e cercate la Misericordia di Mio Figlio Gesù. Avvicinatevi al confessionale e riempitevi dell'Amore di Dio; nella confessione c'è la cura per i vostri mali. Ancora vedrete orrori sulla Terra. Cercate forze nel Vangelo e nell'Eucaristia. Camminate per un futuro di grande divisione e confusione. Solamente i fedeli al vero Magistero della Chiesa del Mio Gesù resteranno in piedi. State attenti. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per averMi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Io vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.


 




SCANDALO DELLE MESSE VIETATE

 


Mons.Carlo Maria Viganò e la proibizione delle Ss. Messe in San Pietro. Come avviene anche in ambito civile da parte dell’autorità temporale, così anche in ambito ecclesiastico la dittatura ha bisogno di sudditi senza nerbo e senza ideali per imporsi  


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EXIVIT DE TEMPLO

A proposito della scandalosa proibizione delle Ss. Messe private

nella Basilica di San Pietro in Vaticano

 

 

 

Jesus autem abscondit se, et exivit de templo.

Gv 8, 59

 

 

 

Il 12 Marzo scorso, con una ordinanza senza firma, senza numero di protocollo e senza destinatario, la Prima Sezione della Segreteria di Stato ha vietato la celebrazione delle Messe private nella Basilica di San Pietro in Vaticano, a decorrere dalla Prima Domenica di Passione. Nei giorni successivi i Cardinali Raymond L. Burke, Gerhard L. Müller, Walter Brandmüller, Robert Sarah e Giuseppe Zen hanno espresso il proprio motivato sconcerto per questa decisione, che per la forma irrituale nella quale è stata redatta lascia intuire un ordine esplicito di Jorge Mario Bergoglio.

La dottrina cattolica ci insegna quale sia il valore della Santa Messa, quale la gloria resa alla Santissima Trinità, quale la potenza del Santo Sacrificio per i vivi e per i defunti. Sappiamo parimenti che il valore e l’efficacia della Santa Messa non dipendono dal numero dei fedeli che vi assistono né dalla dignità del celebrante, ma dalla reiterazione in forma incruenta dello stesso Sacrificio della Croce per opera del sacerdote celebrante, il quale agisce in persona Christi e a nome di tutta la Santa Chiesa: suscipiat Dominus sacrificium de manibus tuis, ad laudem et gloriam nominis sui; ad utilitatem quoque nostram totiusque Ecclesiae suae sanctae.

La scandalosa decisione di un anonimo funzionario della Segreteria di Stato, facilmente identificabile nell’innominabile mons. Edgar Peña Parra, rappresenta purtroppo una esplicitazione della prassi delle Diocesi di tutto il mondo: sono sessant’anni che le deviazioni dottrinali introdotte dal Vaticano II insinuano che la Messa senza popolo non abbia valore, o che ne abbia meno rispetto ad una concelebrazione o ad una Messa alla quale assistono i fedeli. Le norme liturgiche postconciliari vietano l’erezione di più altari nella stessa chiesa e prescrivono che durante la celebrazione di una Messa all’altare maggiore non si debbano celebrare altre Messe negli altari laterali. Lo stesso Missale Romanum montiniano prevede addirittura un rito specifico per la Missa sine populo, nel quale sono omessi i saluti – ad esempio il Dominus vobiscum o l’Orate, fratres – come se, oltre ai presenti, non assistessero al Sacrificio Eucaristico anche la Corte celeste e le anime purganti. Quando un sacerdote si presenta in qualsiasi sacristia dell’orbe chiedendo di poter celebrare la Messa – non dico nel rito tridentino, ma anche in quello riformato – si sente rispondere invariabilmente che può unirsi alla concelebrazione già prevista, e in ogni caso è guardato con sospetto se chiede di poter celebrare senza avere al seguito qualche fedele. Inutile obiettare che la Messa privata è un diritto di ogni sacerdote: la mens conciliare sa andare ben oltre la lettera della legge per applicare con tetragona coerenza lo spirito del Vaticano II manifestandone la vera natura.

D’altra parte, la Messa riformata è stata modificata per attenuare, tacere o negare esplicitamente quei dogmi cattolici che costituiscono un ostacolo al dialogo ecumenico: parlare dei quattro fini della Messa è considerato scandaloso, perché questa dottrina disturba quanti negano il valore latreutico, propiziatorio, di azione di grazie e impetratorio del Santo Sacrificio, definiti dal Concilio di Trento.

Per i Modernisti non vi è nulla di più detestabile della celebrazione contemporanea di più Messe, così come è intollerabile la celebrazione coram Sanctissimo (cioè davanti al tabernacolo posto sopra l’altare). La Santa Messa, per costoro, è una cena, una festa conviviale, e non un sacrificio: per questo l’altare è sostituito da una tavola e il tabernacolo non è più presente sopra l’altare, spostato in «un luogo più consono per la preghiera e il raccoglimento»; per questo il celebrante è rivolto al popolo e non a Dio.

L’ordinanza della Segreteria di Stato, al di là dello sgarbo nei riguardi dei Canonici della Basilica e dell’ipocrita escamotage dell’assenza di firma e protocollo, rappresenta solo l’ultima conferma di un dato di fatto che evidentemente non vuole essere né ammesso né contrastato da quanti, pur con buone intenzioni, si ostinano a considerare i singoli atti senza volerli inquadrare nel contesto più vasto del cosiddetto postconcilio, alla luce del quale anche i più insignificanti cambiamenti acquistano una coerenza inquietante e dimostrano la valenza eversiva del Vaticano II. Il quale, è ben vero, ribadisce a parole il valore della Messa privata – come ricorda Sua Eminenza Burke nel suo recente intervento – ma di fatto l’ha resa appannaggio di qualche “nostalgico” destinato all’estinzione o di gruppi di fedeli eccentrici. La sufficienza con cui i liturgisti pontificano su questi temi è indicativa di un’insofferenza per tutto ciò che di Cattolico sopravvive nel martoriato corpo ecclesiale. Sempre in coerenza con questa impostazione, Bergoglio può impunemente negare a Maria Santissima il titolo di Mediatrice e Corredentrice, con il solo intento di compiacere i Luterani, secondo cui i “papisti” idolatrano una donna e negano che Gesù Cristo sia l’unico Mediatore.

Proibire oggi le Messe private a San Pietro legittima gli abusi delle altre Basiliche e chiese dell’orbe, dove questo divieto vigeva già da decenni pur senza esser mai stato formulato esplicitamente. Ed è ancor più significativo che questo abuso sia imposto con un atto apparentemente ufficiale, nel quale l’autorità della Segreteria di Stato dovrebbe mettere a tacere, per timore reverenziale, quanti vorrebbero rimanere Cattolici nonostante gli sforzi di senso contrario dell’attuale Gerarchia. Ma chi già prima di Benedetto XVI voleva celebrare la Santa Messa a San Pietro non aveva vita facile, ed era scacciato dal tempio, al pari di uno scomunicato vitandus, se solo osava celebrare il Novus Ordo in latino; non parliamo poi del rito tridentino.

Certo, per i neomodernisti si possono proibire le Messe private e si cercherà anche di abrogare il Motu proprio Summorum Pontificum perché – come ha di recente ammesso “Max Beans”, uno dei più zelanti cortigiani di Santa Marta – la liturgia tridentina presuppone una dottrina che è intrinsecamente opposta alla teologia conciliare. Ma se siamo giunti allo scandalo della proibizione delle Messe private in San Pietro, lo dobbiamo anche al modus operandi dei Novatori, i quali procedono per gradi applicando in campo liturgico, dottrinale e morale i principi della «finestra di Overton». Riconosciamolo: questi ammiccamenti indecorosi a eretici e scismatici rispondono ad una strategia rivolta alle sette acattoliche che trova il proprio completamento nella più ampia strategia rivolta alle religioni non cristiane e alle ideologie neopagane oggi imperanti. Solo così si comprende questa deliberata volontà di assecondare i nemici di Cristo, per piacere al mondo e al suo principe.

In quest’ottica vanno lette le proiezioni di animali sulla facciata della Basilica Vaticana; l’ingresso dell’idolo della pachamama portato a spalle da Vescovi e chierici; l’offerta dedicata alla Madre Terra posta sull’altare della Confessione durante una Messa presieduta da Bergoglio; la diserzione dell’altare papale da parte di colui che rifiuta il titolo di Vicario di Cristo; la soppressione delle celebrazioni con il pretesto della pandemia e la loro sostituzione con cerimonie che ricordano il culto della personalità dei regimi comunisti; la piazza completamente immersa nelle tenebre per allinearsi ai nuovi riti dell’ecologismo globalista. Questo moderno vitello d’oro attende il ritorno di un Mosé che scenda dal Sinai e restauri nella vera Fede i Cattolici dopo aver scacciato i nuovi idolatri, seguaci dell’Aronne di Santa Marta. E non si osi parlare di misericordia o di amore: niente è più distante dalla Carità dell’atteggiamento di chi, rappresentando l’autorità di Dio in terra, ne abusa per confermare nell’errore le anime che Cristo gli ha affidato con l’ordine di pascerle. Il pastore che lascia aperto l’ovile e incita le pecore a uscirne mandandole nelle fauci dei lupi rapaci è un mercenario e un alleato del Maligno, e ne dovrà render conto al Pastore Supremo.

Dinanzi a questo ennesimo scandalo, possiamo constatare con sgomento il silenzio pavido e complice dei prelati: dove sono gli altri Cardinali, dov’è l’Arciprete emerito della Basilica, dov’è il cardinale Re, che come me ha celebrato per anni, quotidianamente, la sua Messa privata in San Pietro? Perché ora tacciono di fronte a tanto sopruso?

Come avviene anche in ambito civile in occasione della pandemia e della violazione dei diritti naturali da parte dell’autorità temporale, così anche in ambito ecclesiastico la dittatura ha bisogno di sudditi senza nerbo e senza ideali per imporsi. In altri tempi la Basilica vaticana sarebbe stata presa d’assedio dai sacerdoti, prime vittime di questa odiosa tirannide che ha l’improntitudine di spacciarsi per democratica e sinodale. Dio non voglia che l’inferno in terra che va instaurandosi in nome del globalismo non sia che la conseguenza dell’ignavia e della pavidità, anzi del tradimento di tanti, troppi chierici e laici.

La Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, sta avvicinandosi alla sua Passione, per compiere nelle proprie membra i patimenti del suo Capo. Siano questi giorni che ci separano dalla Resurrezione del nostro Redentore uno sprone alla preghiera, alla penitenza e al sacrificio, affinché possiamo unirci alla Beata Passione di Nostro Signore in spirito di espiazione e di riparazione, secondo la dottrina della Comunione dei Santi che ci permette, nel vincolo della vera Carità, di fare del bene ai nostri nemici e invocare da Dio la conversione dei peccatori: anche di quelli che la Provvidenza ci ha inflitto come Superiori temporali ed ecclesiastici.

 

 

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

 

 

31 Marzo 2021

Feria Quarta Hebdomadae Sanctae

Chi non porta la felicità nel suo cuore, è facile preda per il male.



Maria Madre di Dio

Chi non porta la felicità nel proprio cuore, è facile preda del male, perchè lui sfrutta la mancanza di gioia nel vostro cuore e cerca di riempire questo "spazio vuoto", con l'odio, l'invidia e altri sentimenti maligni, il che porta come conseguenza che diventate un po ' aggressivi e avete pensieri peccaminosi che possono portare ad atti peccaminosi.
Un cuore pieno di felicità e di gioia di vivere, non ha posto per i sentimenti "provocati" dal diavolo e quindi non è  facile preda per il male.
Vivete quindi la gioia! Siate felici e divertitevi! Riempite i vostri cuori di gioia e di amore, e vivete la felicità divina sulla terra. Allora, Miei Cari Figli, l'avversario avrà difficoltà con voi, perché non ha nessuna porta aperta, che avrebbe potuto usare per entrare nel vostro cuore.
Miei cari figli, restate sempre nella gioia verso di Noi, e non appena qualcosa vi “turba ", o “va storto” o "vi opprime ", offritelo a Dio Padre, e insieme donate a Gesù anche il vostro SI. In questo modo non dovete portare tutto da soli, e il vostro cuore resta nell’ amore, nell’ amore per Noi.
Così Sia.



Amen, questo vi dico:
Chi è puro di cuore Mi troverà.
Chi vive la felicità e la gioia, verrà sedotto con grande difficoltà dall’avversario.
Io amerò sempre chi mi dà il suo amore e siccome Io stò  dalla sua parte, il diavolo si deve allontanare.
DateMi il vostro SÌ, e grande sarà la gioia nei vostri cuori.
Così sia.
Il vostro Gesù che vi ama.

mercoledì 31 marzo 2021

La storia è di Dio e chi vuole condurla, dovrà essere con Dio, altrimenti è il fallimento. Viene per tutti il giorno della prova e del giudizio.

 


LIBRO DEL PROFETA DANIELE 

7 Essi replicarono: «Esponga il re il sogno ai suoi servi e noi ne daremo la spiegazione». 

Maghi e indovini sanno di non poter esaudire la richiesta del re. Insistono perché lui riveli loro il sogno. Solo allora saranno capaci di interpretarlo.  

Essi replicarono: «Esponga il re il sogno ai suoi servi e noi ne daremo la spiegazione». Se tu non riveli il sogno, come possiamo noi spiegarlo? 

Per maghi e indovini è giunto il momento di dimostrare la verità della loro scienza. Essi attestano di essere incapaci, non utili.  

Questo momento della prova dell’attestazione della propria verità viene per ogni uomo. Anche per i maghi d’Egitto venne questo momento. 

Il Signore disse a Mosè: «Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio di fronte al faraone: Aronne, tuo fratello, sarà il tuo profeta. Tu gli dirai quanto io ti ordinerò: Aronne, tuo fratello, parlerà al faraone perché lasci partire gli Israeliti dalla sua terra. Ma io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nella terra d’Egitto. Il faraone non vi ascolterà e io leverò la mano contro l’Egitto, e farò uscire dalla terra d’Egitto le mie schiere, il mio popolo, gli Israeliti, per mezzo di grandi castighi. Allora gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando stenderò la mano contro l’Egitto e farò uscire di mezzo a loro gli Israeliti!». 

Mosè e Aronne eseguirono quanto il Signore aveva loro comandato; così fecero. Mosè aveva ottant’anni e Aronne ottantatré, quando parlarono al faraone. 

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Quando il faraone vi chiederà di fare un prodigio a vostro sostegno, tu dirai ad Aronne: “Prendi il tuo bastone e gettalo davanti al faraone e diventerà un serpente!”». Mosè e Aronne si recarono dunque dal faraone ed eseguirono quanto il Signore aveva loro comandato: Aronne gettò il suo bastone davanti al faraone e ai suoi ministri ed esso divenne un serpente. A sua volta il faraone convocò i sapienti e gli incantatori, e anche i maghi dell’Egitto, con i loro sortilegi, operarono la stessa cosa. Ciascuno gettò il suo bastone e i bastoni divennero serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni. Però il cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva detto il Signore. 

Il Signore disse a Mosè: «Il cuore del faraone è irremovibile: si rifiuta di lasciar partire il popolo. Va’ dal faraone al mattino, quando uscirà verso le acque. Tu starai ad attenderlo sulla riva del Nilo, tenendo in mano il bastone che si è cambiato in serpente. Gli dirai: “Il Signore, il Dio degli Ebrei, mi ha inviato a dirti: Lascia partire il mio popolo, perché possa servirmi nel deserto; ma tu finora non hai obbedito. Dice il Signore: Da questo fatto saprai che io sono il Signore; ecco, con il bastone che ho in mano io batto un colpo sulle acque che sono nel Nilo: esse si muteranno in sangue. I pesci che sono nel Nilo moriranno e il Nilo ne diventerà fetido, così che gli Egiziani non potranno più bere acqua dal Nilo!”». Il Signore disse a Mosè: «Di’ ad Aronne: “Prendi il tuo bastone e stendi la mano sulle acque degli Egiziani, sui loro fiumi, canali, stagni e su tutte le loro riserve di acqua; diventino sangue e ci sia sangue in tutta la terra d’Egitto, perfino nei recipienti di legno e di pietra!”». 

Mosè e Aronne eseguirono quanto aveva ordinato il Signore: Aronne alzò il bastone e percosse le acque che erano nel Nilo sotto gli occhi del faraone e dei suoi ministri. Tutte le acque che erano nel Nilo si mutarono in sangue. I pesci che erano nel Nilo morirono e il Nilo ne divenne fetido, così che gli Egiziani non poterono più berne le acque. Vi fu sangue in tutta la terra d’Egitto. Ma i maghi dell’Egitto, con i loro sortilegi, operarono la stessa cosa. Il cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva detto il Signore. Il faraone voltò le spalle e rientrò nella sua casa e non tenne conto neppure di questo fatto. Tutti gli Egiziani scavarono allora nei dintorni del Nilo per attingervi acqua da bere, perché non potevano bere le acque del Nilo. Trascorsero sette giorni da quando il Signore aveva colpito il Nilo. 

Il Signore disse a Mosè: «Va’ a riferire al faraone: “Dice il Signore: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! Se tu rifiuti di lasciarlo partire, ecco, io colpirò tutto il tuo territorio con le rane: il Nilo brulicherà di rane; esse usciranno, ti entreranno in casa, nella camera dove dormi e sul tuo letto, nella casa dei tuoi ministri e tra il tuo popolo, nei tuoi forni e nelle tue madie. Contro di te, contro il tuo popolo e contro tutti i tuoi ministri usciranno le rane”» (Es 7,1-29).  

Il Signore disse a Mosè: «Di’ ad Aronne: “Stendi la mano con il tuo bastone sui fiumi, sui canali e sugli stagni e fa’ uscire le rane sulla terra d’Egitto!”». Aronne stese la mano sulle acque d’Egitto e le rane uscirono e coprirono la terra d’Egitto. Ma i maghi, con i loro sortilegi, operarono la stessa cosa e fecero uscire le rane sulla terra d’Egitto. 

Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse: «Pregate il Signore che allontani le rane da me e dal mio popolo; io lascerò partire il popolo, perché possa sacrificare al Signore!». Mosè disse al faraone: «Fammi l’onore di dirmi per quando io devo pregare in favore tuo e dei tuoi ministri e del tuo popolo, per liberare dalle rane te e le tue case, in modo che ne rimangano soltanto nel Nilo». Rispose: «Per domani». Riprese: «Sia secondo la tua parola! Perché tu sappia che non esiste nessuno pari al Signore, nostro Dio, le rane si ritireranno da te e dalle tue case, dai tuoi ministri e dal tuo popolo: ne rimarranno soltanto nel Nilo». 

Mosè e Aronne si allontanarono dal faraone e Mosè supplicò il Signore riguardo alle rane, che aveva mandato contro il faraone. Il Signore operò secondo la parola di Mosè e le rane morirono nelle case, nei cortili e nei campi. Le raccolsero in tanti mucchi e la terra ne fu ammorbata. Ma il faraone vide che c’era un po’ di sollievo, si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva detto il Signore. 

Quindi il Signore disse a Mosè: «Di’ ad Aronne: “Stendi il tuo bastone, percuoti la polvere del suolo: essa si muterà in zanzare in tutta la terra d’Egitto!”». Così fecero: Aronne stese la mano con il suo bastone, colpì la polvere del suolo e ci furono zanzare sugli uomini e sulle bestie; tutta la polvere del suolo si era mutata in zanzare in tutta la terra d’Egitto. I maghi cercarono di fare la stessa cosa con i loro sortilegi, per far uscire le zanzare, ma non riuscirono, e c’erano zanzare sugli uomini e sulle bestie. Allora i maghi dissero al faraone: «È il dito di Dio!». Ma il cuore del faraone si ostinò e non diede ascolto, secondo quanto aveva detto il Signore. 

Il Signore disse a Mosè: «Àlzati di buon mattino e presèntati al faraone quando andrà alle acque. Gli dirai: “Così dice il Signore: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! Se tu non lasci partire il mio popolo, ecco, manderò su di te, sui tuoi ministri, sul tuo popolo e sulle tue case sciami di tafani: le case degli Egiziani saranno piene di tafani e anche il suolo sul quale essi si trovano. Ma in quel giorno io risparmierò la regione di Gosen, dove dimora il mio popolo: là non vi saranno tafani, perché tu sappia che io sono il Signore in mezzo al paese! Così farò distinzione tra il mio popolo e il tuo popolo. Domani avverrà questo segno”». Così fece il Signore: sciami imponenti di tafani entrarono nella casa del faraone, nella casa dei suoi ministri e in tutta la terra d’Egitto; la terra era devastata a causa dei tafani. 

1Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse: «Andate a sacrificare al vostro Dio, ma nel paese!». Mosè rispose: «Non è opportuno far così, perché quello che noi sacrifichiamo al Signore, nostro Dio, è abominio per gli Egiziani. Se noi facessimo, sotto i loro occhi, un sacrificio abominevole per gli Egiziani, forse non ci lapiderebbero? Andremo nel deserto, a tre giorni di cammino, e sacrificheremo al Signore, nostro Dio, secondo quanto egli ci ordinerà!». Allora il faraone replicò: «Vi lascerò partire e potrete sacrificare al Signore nel deserto. Ma non andate troppo lontano e pregate per me». Rispose Mosè: «Ecco, mi allontanerò da te e pregherò il Signore; domani i tafani si ritireranno dal faraone, dai suoi ministri e dal suo popolo. Però il faraone cessi di burlarsi di noi, impedendo al popolo di partire perché possa sacrificare al Signore!». 

Mosè si allontanò dal faraone e pregò il Signore. Il Signore agì secondo la parola di Mosè e allontanò i tafani dal faraone, dai suoi ministri e dal suo popolo: non ne restò neppure uno. Ma il faraone si ostinò anche questa volta e non lasciò partire il popolo (Es 8,1-28).  

Essi con somma onestà dichiararono al faraone che in Mosè agiva il dito di Dio. In loro agiva il dito della loro carne. Si arresero. Non sfidarono più Mosè. 

Per ogni uomo viene il momento di attestare la sua validità. Tutta la Scrittura è rivelazione di questo momento storico e anche eterno. 

A parole tutti sono bravi, giusti, capaci, esperti. Poi viene il giorno della prova. Dio mette in mano la conduzione della sua storia. È il fallimento. 

Perché? Perché la storia di Dio si può condurre solo con Dio. Se la storia non è nostra, Dio mai lascerà la sua conduzione nelle nostre mani. 

La storia è di Dio e chi vuole condurla, dovrà essere con Dio, altrimenti è il fallimento. Viene per tutti il giorno della prova e del giudizio.  

Dinanzi a Cristo Gesù si presentano scribi, farisei, capi dei sacerdoti, anziani del popolo. Tutti falliscono la loro prova. Sono servi incapaci di discernimento. 

Tutto il mondo dei Giudei non riesce a leggere il sogno di Dio in Cristo e neanche a darne la spiegazione, nonostante Cristo lo avesse raccontato. 

Ogni pagina di Vangelo attesta il non superamento di questa prova. Ma anche oggi il Signore viene e mette alla prova quanti dicono di conoscerlo. 

Ognuno può anche desiderare, bramare, aspirare, conquistare, usurpare il governo della storia, in ogni campo, sappia che sarà la sua prova. 

Sappia che la può governare solo se Dio è con lui, altrimenti è il vuoto assoluto, l’insuccesso pieno. Dio mai dona la sapienza a chi non è con Lui. 

MOVIMENTO APOSTOLICO CATECHESI

Le Profezie e le Rivelazioni di Santa Brigida di Svezia

 


Le parole della Vergine Maria a sua figlia, presentando una lezione utile su come dovrebbe vivere, e descrivendo molte cose meravigliose sulla sofferenza di Cristo. 


Capitolo 10

"Io sono la Regina del Cielo, la Madre di Dio. Ti ho detto di portare una spilla sul petto. Ora ti mostrerò più pienamente come, fin dall'inizio, quando ho sentito e compreso per la prima volta che Dio esisteva, mi sono sempre, e con timore, preoccupata della mia salvezza e della mia osservanza dei suoi comandamenti. Ma quando ho imparato di più su Dio - che era il mio Creatore e il giudice di tutte le mie azioni - l'ho amato più profondamente, ed ero costantemente timoroso e vigile per non offenderlo con parole o azioni.

Più tardi, quando sentii che aveva dato la Legge e i comandamenti al popolo e che aveva operato miracoli così grandi attraverso di loro, presi la ferma decisione nella mia anima di non amare mai nient'altro che lui, e tutte le cose del mondo mi divennero molto amare. Quando ancora più tardi sentii che Dio stesso avrebbe redento il mondo e sarebbe nato da una Vergine, fui preso da un amore così grande per lui che non pensavo a nient'altro che a Dio e non desideravo altro che lui. Mi ritirai, per quanto potevo, dalla conversazione e dalla presenza dei genitori e degli amici, e diedi via tutti i miei averi ai poveri, e non tenni per me altro che cibo e vestiti magri. 

Nulla mi era gradito all'infuori di Dio! Ho sempre desiderato nel mio cuore di vivere fino al momento della sua nascita, e forse, meritare di diventare l'indegna serva della Madre di Dio. Ho anche promesso in cuor mio di conservare la mia verginità, se questo era accettabile per lui, e di non avere possedimenti nel mondo. Tuttavia, se Dio voleva diversamente, la mia volontà era che fosse fatta la sua volontà, non la mia; perché credevo che egli potesse fare ogni cosa e non voleva altro che ciò che era benefico e migliore per me.  Perciò gli affidai tutta la mia volontà.

Quando si avvicinò il momento della presentazione delle vergini nel tempio del Signore, anch'io ero tra loro per la devota osservanza della Legge da parte dei miei genitori. Pensai tra me e me che nulla era impossibile a Dio, e poiché sapeva che non volevo e non desideravo altro che lui, sapevo che avrebbe potuto proteggere la mia verginità, se gli fosse piaciuto. Tuttavia, in caso contrario, volevo che fosse fatta la sua volontà. Dopo aver ascoltato tutti i comandamenti nel tempio, tornai a casa, bruciando ora più che mai dell'amore di Dio, essendo infiammata ogni giorno da nuovi fuochi e desideri d'amore.

Per questo motivo, mi ritirai ancora di più da tutti, e rimasi solo giorno e notte, temendo molto, e soprattutto, che la mia bocca dicesse qualcosa, o che i miei orecchi udissero qualcosa contro la volontà del mio Dio, o che i miei occhi vedessero qualcosa di allettante o dannoso. Avevo anche paura nel silenzio, e molto preoccupato che potessi tacere su cose di cui avrei dovuto, invece, parlare.

Mentre ero così preoccupato nel mio cuore, da solo e ponendo tutta la mia speranza in Dio, mi venne un'ispirazione sulla grande potenza di Dio, e ricordai come gli angeli e ogni cosa creata lo servono, e come la sua gloria è indescrivibile e illimitata. Mentre ero così affascinato da questo pensiero, vidi tre cose meravigliose: Ho visto una stella, ma non di quelle che brillano nel cielo; ho visto una luce, ma non di quelle che brillano in questo mondo; ho sentito un profumo, ma non di erbe o di qualsiasi altra cosa di questo mondo. Era molto delizioso e veramente indescrivibile, e mi riempiva così completamente che giubilavo di gioia!

Dopo questo, sentii subito una voce - ma non da una bocca umana - e quando la sentii, rabbrividii con il grande timore che potesse essere un'illusione, o uno scherzo di uno spirito maligno. Ma poco dopo questo, un angelo di Dio apparve davanti a me; era come il più bello degli uomini, ma non nella carne come è il corpo di un uomo creato, e mi disse: "Salve, piena di grazia, il Signore è con te! 

Quando lo sentii, mi chiesi cosa volesse dire e perché fosse venuto da me con un tale saluto, perché sapevo e credevo di essere indegno di una cosa del genere - o di qualsiasi altra cosa buona! Tuttavia, sapevo anche che nulla è impossibile a Dio, se lo desidera.

Allora l'angelo parlò di nuovo: "Il bambino che nascerà in te è santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Sia fatta la sua volontà come a lui piace". Ma nemmeno allora mi considerai degno, e non chiesi all'angelo perché o quando questo sarebbe accaduto. Gli chiesi invece come poteva essere che io, una fanciulla indegna, che non conosceva nessun uomo, potessi diventare la Madre di Dio. L'angelo mi rispose (come ho appena detto): "Nulla è impossibile a Dio, perché qualsiasi cosa voglia fare sarà fatta".

Quando sentii queste parole dell'angelo, sentii il più fervente desiderio di diventare la Madre di Dio, e la mia anima parlò per amore e desiderio, dicendo: "Vedi, eccomi; sia fatta la tua volontà in me! Con queste parole, mio Figlio fu concepito nel mio grembo con una gioia indescrivibile della mia anima e di ogni mia membra! Mentre lo avevo nel mio grembo, l'ho portato senza alcun dolore, senza alcuna pesantezza o disagio. Mi sono umiliata in ogni cosa, sapendo che colui che portavo era l'Onnipotente! Quando lo diedi alla luce, fu anche senza alcun dolore o peccato, proprio come l'avevo concepito, ma con una tale esaltazione e gioia dell'anima e del corpo che i miei piedi non sentivano la terra dove erano stati a causa di questa gioia indescrivibile! Così come era entrato nelle mie membra per la gioia di tutta la mia anima, uscì dal mio corpo, lasciando la mia verginità intatta, e la mia anima e tutto il mio corpo in uno stato di gioia e giubilo indescrivibile.

Quando guardavo e contemplavo la sua bellezza, la gioia filtrava nella mia anima come gocce di rugiada e sapevo di essere indegna di un tale figlio. Ma quando consideravo i luoghi dove (come avevo imparato dalle predizioni dei profeti) i chiodi sarebbero stati trafitti attraverso le sue mani e i suoi piedi alla crocifissione, i miei occhi si riempivano di lacrime e il mio cuore era quasi straziato dal dolore.

Quando mio Figlio vide i miei occhi piangenti, si rattristò quasi mortalmente.  Tuttavia, quando consideravo il suo potere divino, mi consolavo di nuovo nel sapere che questo era ciò che voleva e che doveva accadere in questo modo, e univo tutta la mia volontà alla sua. Così la mia gioia era sempre mescolata al dolore.

Quando arrivò il momento della sofferenza di mio Figlio, i suoi nemici lo presero e lo colpirono sulla guancia e sul collo, gli sputarono addosso e lo ridicolizzarono. Poi fu condotto alla colonna del supplizio dove si tolse volontariamente le vesti e mise le mani attorno alla colonna, e i suoi nemici le legarono senza pietà. Quando stava legato alla colonna, non aveva alcuna copertura, ma stava nudo come era nato, soffrendo la vergogna della sua nudità.

Allora tutti gli amici di mio Figlio fuggirono da lui, e i suoi nemici si riunirono da tutte le direzioni e rimasero lì, flagellando il suo corpo, che era puro da ogni macchia e peccato. Io ero lì vicino e alla prima frustata caddi a terra come se fossi morto. Quando ripresi conoscenza, vidi il suo corpo frustato e flagellato così tanto che le costole erano visibili! Ciò che era ancora più terribile - quando la frusta fu estratta, la sua carne fu solcata e lacerata da essa, proprio come la terra da un aratro! Mentre mio Figlio stava lì, tutto insanguinato e ferito, così che non si poteva trovare su di lui nessun posto che fosse ancora intatto e nessun punto sano poteva essere flagellato, allora qualcuno lì presente, eccitato nello spirito, chiese: "Vuoi ucciderlo prima ancora che sia giudicato? Ed egli gli tagliò subito i legami.

Poi mio Figlio si è rimesso le vesti, e ho visto che il posto dove era stato in piedi era pieno di sangue! Osservando le impronte di mio Figlio, ho potuto vedere dove aveva camminato, perché anche lì la terra era insanguinata. Non aspettarono nemmeno che si vestisse, ma lo spinsero e lo trascinarono per farlo sbrigare. Mentre mio figlio veniva condotto via come un ladro, si asciugava il sangue dagli occhi. Quando fu condannato a morte, gli misero addosso la croce perché la portasse nel luogo della sofferenza. Quando l'ebbe portata per un po', arrivò un uomo che prese la croce per portarla al posto suo. Mentre mio Figlio andava al luogo della sofferenza, alcune persone lo colpirono sul collo, mentre altre lo colpirono in faccia. Fu picchiato così brutalmente e con forza che, anche se non vidi chi lo colpì, sentii chiaramente il suono del colpo. Quando raggiunsi il luogo della sofferenza con lui, vidi tutti gli strumenti della sua morte pronti. Quando mio figlio arrivò lì, si tolse i vestiti da solo.

I carnefici e i crocifissori si dissero: "Questi sono i nostri vestiti!  Non li riavrà perché è condannato a morte! Mentre mio Figlio era lì in piedi, nudo come era nato, un uomo si avvicinò di corsa e gli porse un panno con il quale egli coprì con gioia le sue parti intime. Allora i crudeli carnefici lo presero e lo stesero sulla croce. Per prima cosa, gli fissarono la mano destra alla trave di legno (che era fatta di fori per i chiodi), trafiggendola nel punto in cui l'osso era più solido e saldo. Poi tirarono fuori l'altra mano con una corda e la fissarono, in modo simile, alla trave.  Poi crocifissero il piede destro - con il piede sinistro sopra di esso - con due chiodi, in modo che tutti i suoi tendini e le sue vene fossero così tesi da scoppiare. Dopo aver fatto questo, gli misero in testa la corona di spine[1]. Essa incise la venerabile testa di mio Figlio così profondamente che i suoi occhi si riempirono di sangue che scorreva giù, le sue orecchie furono bloccate da esso, e la sua barba ne fu completamente impregnata. Mentre stava lì, così insanguinato e trafitto, si sentì dispiaciuto per me, perché io stavo lì vicino e piangevo.  Guardando con i suoi occhi pieni di sangue mio figlio, John, mi raccomandò alle sue cure. In quel momento sentii alcune persone dire che mio Figlio era un ladro!  Altri dicevano che era un bugiardo, e altri ancora che nessuno meritava di morire più di mio Figlio!

Il mio dolore fu rinnovato dall'udire tutto questo. E, come ho detto prima, quando il primo chiodo fu conficcato in lui, fui sopraffatto dal suono del primo colpo e caddi come morto con gli occhi oscurati, le mani tremanti e le gambe vacillanti. Nel mio amaro dolore e nella mia grande tristezza, non fui in grado di alzare di nuovo lo sguardo fino a quando non fu completamente inchiodato alla croce. Ma quando mi alzai, vidi mio Figlio appeso pietosamente, e io, la sua dolorosissima Madre, ero così addolorata e affranta che riuscivo a malapena a stare in piedi a causa del mio grande e amaro dolore. Quando mio Figlio vide me e i suoi amici in lacrime inconsolabili, chiamò con voce forte e addolorata suo Padre, dicendo: "Padre, perché mi hai abbandonato?" Era come se volesse dire: "Non c'è nessuno che abbia pietà di me tranne te, Padre".

Ormai i suoi occhi sembravano mezzi morti. Le sue guance erano infossate, il suo viso era triste, la sua bocca aperta e la sua lingua sanguinava. Il suo stomaco era premuto verso la schiena a causa di tutto il liquido che aveva perso. Era come se non avesse intestini. Tutto il suo corpo era pallido e languido a causa della perdita di sangue. Le sue mani e i suoi piedi erano molto rigidi, perché erano stati estesi e resi conformi alla forma della croce. La sua barba e i suoi capelli erano completamente intrisi di sangue. Quando mio Figlio stava lì così livido e pallido, solo il suo cuore era ancora vigoroso, perché era della natura migliore e più forte. Aveva preso dalla mia carne il corpo più puro e ben fatto. La sua pelle era così sottile e tenera che Il sangue sgorgava all'istante se veniva flagellato anche solo leggermente. Il suo sangue era così fresco che poteva essere visto all'interno della pelle pura. E poiché aveva la costituzione migliore, la vita contendeva la morte nel suo corpo trafitto. A volte il dolore delle membra e dei tendini trafitti saliva fino al suo cuore, che era ancora completamente vigoroso e illeso, e lo tormentava con il dolore e la sofferenza più insopportabili. A volte il dolore scendeva dal suo cuore nelle sue membra ferite e, così facendo, prolungava la sua morte amara.

Circondato da questi dolori, mio Figlio vedeva i suoi amici piangere che, con il suo aiuto, avrebbero preferito soffrire loro stessi il suo dolore o bruciare all'inferno per sempre piuttosto che vederlo torturato in questo modo. Il suo dolore per il dolore dei suoi amici superava tutte le amarezze e i dolori che aveva sopportato nel corpo e nel cuore, perché li amava così teneramente. Poi, per la grandissima sofferenza e l'angoscia del suo corpo, gridò al Padre per la sua virilità: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito". Quando io, la sua dolorosissima Madre, sentii la sua voce, tutto il mio corpo tremò nell'amaro dolore del mio cuore. Tutte le volte che in seguito ho pensato a questo grido, era come se fosse ancora presente e fresco nelle mie orecchie.

Quando la sua morte si avvicinò, il suo cuore scoppiò per la violenza del dolore.  Tutto il suo corpo ebbe delle convulsioni, la sua testa si sollevò un po' e poi ricadde. La sua bocca era aperta e la sua lingua era completamente insanguinata. Le sue mani si ritirarono un po' dal luogo dei fori dei chiodi, e i suoi piedi furono costretti a sopportare più del peso del suo corpo. Le sue dita e le sue braccia erano un po' distese, e la sua schiena era strettamente premuta contro la croce.

Allora alcuni mi dissero: "Tuo figlio è morto, Maria! Ma altri dissero: "È morto, ma risorgerà". Quando tutti se ne stavano andando, venne un uomo e gli conficcò la sua lancia nel fianco con tanta forza che quasi usciva dall'altra parte!  Quando la lancia fu estratta, la sua punta sembrava essere rossa di sangue. Mi sembrò allora, quando vidi il cuore del mio amato Figlio trafitto, che anche il mio cuore fosse stato trafitto!

Poi fu portato giù dalla croce e io ricevetti il suo corpo sulle mie ginocchia.  Sembrava un lebbroso ed era completamente coperto di lividi e sangue. I suoi occhi erano senza vita e pieni di sangue, la sua bocca fredda come il ghiaccio, la sua barba come un filo, il suo viso paralizzato, e le sue mani erano così rigide che non potevano essere piegate sul petto, ma solo sullo stomaco, vicino all'ombelico. Lo feci mettere sulle mie ginocchia proprio come era stato sulla croce: irrigidito in tutte le sue membra.

Dopo questo, lo misero in un panno di lino pulito e io asciugai le sue membra con il mio panno di lino e gli chiusi gli occhi e la bocca, che aveva aperto quando era morto. Poi lo deposero nella tomba. Sarei stato volentieri messo vivo nella tomba con mio Figlio, se fosse stata la sua volontà! Quando queste cose furono fatte, il buon Giovanni venne e mi portò a casa. Guarda, figlia mia, ciò che mio Figlio ha sopportato per te, e amalo con tutto il tuo cuore!

[1] Spiegazione dal Libro 7 - Capitolo 15: "Poi la corona di spine, che gli avevano tolto dal capo mentre veniva crocifisso, ora la rimisero, mettendola sul suo santissimo capo. Essa punse la sua testa imponente con tale forza che allora e là i suoi occhi si riempirono di sangue fluente e le sue orecchie furono ostruite". 


Figli miei, non temete ciò che accade quando il vostro governo cambia, ma sappiate che proprio come ho salvato il mio popolo Israele, così salverò anche voi.

 


Ti condurrò fuori

  Figli miei, non temete ciò che accade quando il vostro governo cambia, ma sappiate che proprio come ho salvato il mio popolo Israele, così salverò anche voi. Ti condurrò fuori dalla schiavitù e nella tua terra promessa.

Cammina con Me e impara da Me perché il tuo tempo sulla terra non è lungo. Non stancarti di fare del bene, perché accumuli in cielo un tesoro di cui godrai presto mentre lo fai. Tutto quello che fai a chi ha bisogno, lo fai anche a Me, e io veglio su di te.


NOTA :   Mentre il Signore ha detto questo, ho sentito che stava parlando specialmente a quelli di noi in America mentre guardiamo il nostro governo dirigersi verso il comunismo. Siamo tutti consapevoli del pregiudizio in questo paese contro i cristiani e possiamo sentire cosa sta arrivando. Il Signore ha cominciato a dirmi due decenni fa che la Bibbia e ogni libro cristiano sarebbero stati messi fuori legge in America e ora possiamo vedere il nostro paese andare in quella direzione. Il Signore ci sta assicurando con questa parola che ha già fatto un piano per noi per questo tempo.

Glynda

SAN PIO V IL PONTEFICE DELLE GRANDI BATTAGLIE

 


IL DIPLOMATICO

Altre questioni più difficili, che interessavano direttamente il papato, attirarono l'attenzione di Pio V. San Carlo Borromeo operava con grande zelo delle urgenti riforme nella sua Milano. Disturbati nella loro vita comoda, i malcontenti spuntarono da ogni parte, e, assecondati da qualche ecclesiastico, divennero arroganti contro il loro arcivescovo. 

   Avendo il cardinale dato ordine al capitano dei suoi agenti di incarcerare alcuni individui sospetti e pericolosi, scoppiò una vera sedizione; l'autorità civile, sobillata dai ribelli, fece a sua volta arrestare il capitano, gli inflisse in punizione pubblica “tre tratti corda”, e lo fece bandire da Milano. L'arcivescovo, per vendicare l'offesa recata alla sua giurisdizione, scomunicò gli ufficiali e i procuratori che si erano immischiati in quella brutta faccenda, e rimise l'affare alla Santa Sede. 

   Il duca di Albuquerque, governatore della città, s'affrettò a informare il suo sovrano Filippo Il. Quindi, nell'ottobre del 1567, spedì a Roma il senatore Gian Paolo Chiesa con l'ordine di colorire abilmente la questione, di insinuare nell'animo del Pontefice sospetti sull'assolutismo del Borromeo, e ottenere se non un biasimo formale sull' operato del cardinale, almeno una parola ufficiosa che lasciasse trapelare qualche segno di disapprovazione per l'arcivescovo, e qualche attenuante per l'autorità civile da potersi facilmente sfruttare a proprio vantaggio. 

   Pio V in questa contesa si mostrò diplomatico fine e risoluto. Senza tagliar subito netta la questione, volle, a quanto sembra, risolverla elegantemente. Accolse con grande cortesia l'inviato milanese, e lo indusse ad ammettere che l'ossequio dimostrato dall' Albuquerque verso il re di Spagna giustificava perfettamente l'ossequio che egli dimostrava nella difesa dei diritti dell'onore del Re dei re. E dopo che il Chiesa fu uscito dal Quirinale, contentissimo dell'udienza, Pio V si felicitò per mezzo di lettere col senato di Milano che contasse tra i suoi membri una persona cosi distinta, e l'assicurò che prima di pronunciare una sentenza arbitrale, la commissione dei cardinali e giuristi da lui incaricati avrebbe esaminate seriamente tutte le rimostranze fatte. 

   Filippo II, avendo a sua volta udito l'inviato d'Albuquerque, ebbe l'impressione che l'arcivescovo di Milano fosse un ambizioso, esperto in cabale, pronto ad arrogarsi il governo della città, e che sotto il manto della divozione nascondesse ambizioni prettamente umane. Ordinò dunque al marchese Seralvio di rivendicare presso il Pontefice il libero esercizio della sua sovranità, e di passare a Milano per fare all'arcivescovo le proprie rimostranze. 

   L'abboccamento fu assai vario e piccante. Minacce, preghiere, promesse si alternarono sulle labbra dell'ambasciatore, il quale credeva di intimorire il Borromeo con la sua alterigia castigliana e la dignità che gli conferiva l'importanza della sua missione. 

   San Carlo trattò la questione a base di diritto canonico, e si guardò dignitosamente dal lasciarsi cogliere nella rete 4 . E, congedato il marchese, per mezzo dell'Ormanetto fece rimettere a Pio V una lettera che onora ugualmente i due santi, tanta rettitudine, serenità e confidenza risplendono in essa. 

   “Io non domando, gli scrisse, alcuna soddisfazione per l'oltraggio fatto alla mia persona, e prego la Santità Vostra a non darsene pensiero. Basterà che la S. V. giudichi secondo l'equità ch'è propria della Sede Apostolica, e ottenga il rispetto dovuto all'autorità del Pontefice. La mia condotta si ispira solo alla difesa dei diritti della Chiesa milanese, e protesto che non ho altra intenzione se non quella di rimettere nelle mani dei miei successori il libero esercizio della loro giurisdizione. Ma poiché V. S. conosce bene i titoli sui quali si fondano i privilegi della Chiesa, lascio alla vostra prudenza ogni decisione. Avete presso di voi, Santo Padre, degli uomini molto pii, dotti, pieni di discernimento; parecchi di essi ebbero già a trattare simili questioni al Concilio. E quello che più conta, V. S. è guidata dallo Spirito Santo. Io attendo dunque con tranquillità d'animo le vostre decisioni, alle quali intendo di sottomettermi con tutto il cuore, essendo intimamente convinto che i vostri ordini non possono essere che giustissimi, e santissime le vostre deliberazioni”. 

   Per parte sua Pio V continuava ad agire. Non contento di tener corrispondenza coll'arcivescovo, col governatore e col senato di Milano, diede ordine al suo Nunzio a Madrid di rendere nota a Filippo II la gravità della contesa, e fargli constatare il contrasto fra lo zelo che il re mostrava per la religione e l'atteggiamento preso dai suoi delegati. 

   “Voi farete presente a Sua Maestà, scrisse il cardo Alessandrino, che il S. Padre, ben lontano dal sollevare i sudditi contro il re, desidera renderli sempre più devoti all'autorità reale, ma ch'è assai più facile governare gli Stati i cui popoli vivono cristianamente e rispettano la Chiesa, che le province irreligiose e dissolute... Sua Santità è molto addolorata per questa disubbidienza ed è disposta a infliggere severe punizioni. Abbiate dunque cura di parlar a sua Maestà con l'energia che si conviene. 

   Il Papa citò infatti i colpevoli a Roma. Tuttavia, in vista delle richieste del march. Seralvio e per non disgustare il re di Spagna per questioni di procedura, ottenuta soddisfazione sui punti essenziali, temperò il suo rigore. Questa condiscendenza del Papa fu interpretata come una manovra e una tacita lezione per l'arcivescovo di Milano. Lo stesso Borromeo non poté evitare che si facesse su lui un tale sospetto. Nel 1570, ritornando sulla questione, diceva all'Ormanetto: “Io non nego di avere talvolta l'impressione che molte persone d'importanza e che guardano troppo agli umani interessi, abbiano forse influito alquanto sulle sante intenzioni e sullo zelo di Sua Santità. Né posso negare che molteplici considerazioni, riguardanti il governo generale della Chiesa, abbiano agito sul suo animo, considerazioni ch'io ignoro, né posso scoprire. Ma io penso sempre che se all'inizio del conflitto si fosse proceduto senza indugi, si sarebbe distrutta la cagione di questi avvenimenti nella sua stessa sorgente. Queste dilazioni hanno infatti dato luogo a molti di credere, e qui e in Spagna, che il S. Padre abbia avuto timore delle minacce del marchese Seralvio. Tuttavia, io non dubito affatto che Sua Santità ha fatto tutto colla sola intenzione di procurare più sicuramente la gloria di Dio e la pace della Chiesa...” (18 gennaio 1570. Bibl. dei Barn., tomo I, Del Governo). 

   Intanto gli oppositori del Borromeo coglievano tutti i pretesti per nuocergli. Una folla di invidiosi ronzava attorno alla sua riputazione, impaziente di metterla alla prova. Il Borromeo, caduto in disgrazia del re di Spagna e accusato a Milano, pareva ormai vicino a soccombere sotto i colpi di numerosi spiacevoli incidenti. Sembra che anche i canonici della Scala abbiano avuto parte in questo complotto; l'atteggiamento da loro preso favori per lo meno i progetti degli intriganti. . 

   Questo nobile Capitolo, come tanti altri in quei tempi, si faceva forte della sua esenzione dalla giurisdizione vescovile. Ma nessun arcivescovo aveva mai acconsentito a una tale emancipazione. Il Borromeo comunque avvisò i canonici che avrebbe fatta la visita pastorale alla loro collegiata. A questa nuova, lo stupore dei canonici si tramutò presto in collera; essi invocarono l'appoggio dell'Albuquerque, che si mostrò ben contento di sostenerli, fomentando il loro risentimento. Presto incominciarono le ostilità. 

   I canonici scomunicarono il vicario dell'arcivescovo, e giunsero al punto di citare lo stesso cardinale al tribunale d'un subexecutor apostolicus improvvisato. Ma San Carlo era della stessa tempra di Pio V; intervenne personalmente alla visita e si presentò alla porta della chiesa. I canonici si barricarono, appostando degli uomini armati che tiravano alcuni colpi d'archibugio. Davanti ad una simile violenza, il Borromeo lanciò l'interdetto sul Capitolo e sul giudice impostore. 

L'Albuquerque colse la palla al balzo. Con lettere piene di sdegno fece conoscere al re e al Papa i nuovi attentati dell'arcivescovo. La città si mise in rivolta; era quindi necessario agire prontamente. Solo la rimozione di questo turbolento che minacciava di sottrarre i milanesi alla giurisdizione del re poteva calmare l'effervescenza generale. 

   Pio V, avvisato del conflitto il 1° settembre 1569, impiegò dieci giorni a fare un'inchiesta. Al “delitto del figlio Gabriele de Queva, duca d'Albuquerque, governatore dello Stato di Milano”, scrisse un Breve nel quale, nonostante le formule ossequiose, dichiarava di schierarsi dalla parte di San Carlo. 

   “Ogni affronto, diceva, fatto a una sì eminente dignità della Chiesa, è fatto a noi e alla Santa Sede. Vostra Signoria desidera che noi giudichiamo il cardinale Borromeo uomo impetuoso e ostinato; ma, benché abbiamo rispetto per le vostre parole, siamo costretti dall'equità a non accettare questa vostra opinione. Ci ricordiamo benissimo dell'ammirabile condotta tenuta da cotesto degno arcivescovo, quando, sotto il pontificato di Pio IV, suo zio e nostro illustre predecessore, disbrigava meravigliosamente gli affari della Chiesa. S'egli meritasse veramente quanto voi gli rimproverate, come mai durante il tempo di un'amministrazione più importante e più difficile di quella di Milano non ha lasciato nessuna traccia dell'indole che voi gli rinfacciate? Sentiamo perciò una gran pena nel vedere un vescovo, dato manifestamente da Dio alla vostra città, così puro, così zelante, così attento nell'estirpare gli abusi, perseguitato da quelli che dovrebbero difenderlo e colmarlo di elogi, e diventar vittima di recriminazioni tanto ingiuste, non essendovi in lui ombra di alcuna mancanza”. 

   Questa lettera, che era per se stessa una punizione, non disarmò il governatore il quale, oltre ad avanzare nuove istanze presso la corte di Madrid, si lamentò amaramente con S. Pio V. Avendo appreso dai suoi corrieri che la commissione cardinalizia aveva dichiarato illegittime le pretese dei canonici della Scala e ratificato le decisioni dell'arcivescovo, perdette completamente il senso della misura, raccolse delle abbiette calunnie, lasciandosi sfuggire parole di vendetta. 

   Il Papa si mostrò alquanto commosso per il suo dolore, e si degnò rispondergli, ma con un linguaggio sostenuto e pieno di energia. Questi riguardi, usati verso Albuquerque per calmare la sua irritazione e ricondurlo a pensieri più giusti, non fanno altro che mettere meglio in rilievo le gravi rimostranze del Papa. Come avrebbe avuto ardire il governatore di mandare ad effetto le sue minacce, quando gli si facevano sentire senza ambagi le punizioni che gli sarebbero state inflitte? 

   Pio V scrisse il giorno 8 ottobre 1569: 

   “Per una specie di paterno mutismo, suggeritoci dal nostro affetto verso la S. V., passiamo sotto silenzio ciò che nelle ultime vostre lettere ci sembra offrire minor materia a discussioni, perché la salvezza della vostra anima e il rispetto che abbiamo per la giustizia devono essere la regola di quanto scriviamo. Se non conoscessimo molto bene il card. Borromeo, saremmo vivamente impressionati dalle cattive informazioni che voi allegate, a proposito dei suoi costumi, delle sue mire e del suo modo di procedere. Ma la stima personale che abbiamo di lui, confermata da relazioni esatte su quanto egli pensa, sulla sua condotta, sui suoi famigliari e sulla sua amministrazione, ci, inclina a credere che il nemico del genere umano, giudicando funeste ai suoi progetti le buone relazioni tra la S. V. e il cardinale, faccia di tutto per far perdere la stima a un prelato così santo... Voi dite che per assicurare la giurisdizione regale siete costretto a farlo allontanare dalla città e dallo Stato. Quantunque noi non abbiamo difficoltà a rispondere alle vostre minacce secondo giustizia, vi avvertiamo tuttavia, per pura benevolenza, che riflettiate bene a quanto volete fare, per non dover pentirvi troppo tardi di esservi messo in un imbarazzo che potrebbe recarvi del danno. Per il cardinale noi non abbiamo alcuna apprensione. Qual gloria maggiore per lui che essere bandito, per aver difesa la libertà e i diritti della Chiesa? Quand'anche dovesse suggellare col sangue i suoi interdetti, non dovrebbe considerarsi come un essere privilegiato da Dio? È dunque vostro interesse evitare qualsiasi misura imprudente, poiché mentre procurereste al cardinale una gloria imperitura, attirereste sul vostro capo il biasimo del mondo cristiano, e coprireste il vostro nome d'una macchia indelebile”. 

   Questa contesa tra autorità locali, gonfiata a bella posta, tini di provocare un conflitto tra la Spagna e la Santa Sede. Pio V, desiderando di evitarlo, avverti il suo nunzio di mettere in guardia Filippo II da falsi rapporti; quindi spedì a Madrid come ambasciatori straordinari Vincenzo Giustiniani, generale dei domenicani e Acquaviva referendario della Signatura. I due inviati riuscirono a dissipare le prevenzioni del re, ottennero che questi disapprovasse il modo di agire dell'Albuquerque e facesse buon viso alle ragioni di San Carlo. 

   Ma siccome l'affronto era stato pubblico, e le violenze del governatore e dei canonici continuavano a tenere in subbuglio la città, il Papa volle una riparazione solenne. I magistrati, complici della temeraria impresa, furono costretti a chiedere perdono davanti al popolo, e i canonici della Scala dovettero fare ammenda onorevole all'arcivescovo, accompagnandolo processionalmente fino alla loro collegiata, ove gli prestarono omaggio di obbedienza. 

   Si comprende come il Borromeo, sensibile a questi atti del Santo Padre e alle lodi tributate al suo zelo abbia voluto rendergli questa testimonianza: “nelle perturbazioni provocate contro il mio ministero ho ricevuto dal S. Padre degli aiuti che non avrei osato sperare neppure da Pio IV, mio zio” 5 . 

Card. GIORGIO GRENTE

Sì, Gesù, noi vogliamo seguirti, facendo quanto ci insegni.

 


COLLOQUI EUCARISTICI


A - "Sì, Gesù, noi vogliamo seguirti, facendo quanto ci insegni. Oggi però è tanto difficile difendersi dal mondo e affrontarlo efficacemente, perché ogni giorno ci presenta nuove idee errate in maniera subdola, che ci confondono e quasi ci inducono a dargli ragione...

È più facile stare in guardia da un'eresia chiaramente pronunciata, che da certe idee presentate come parte della cultura moderna, che creano stati d'animo contrari alla fede senza che nemmeno uno se ne accorga."

 

R - "È la nuova arte del Maligno che sa adattare ai tempi la sua azione malefica, e intensifica la sua battaglia con le arti più subdole.

Ma non temete: egli non ha vinto le guerre anche se possiede le armi più affinate da mettere in campo.

Ora ha scatenato il vento del modernismo e della malata contestazione e dissacrazione, della negazione di tutte le verità di fede e alimenta i suoi errori con dottrine che la gente non conosce, e appunto per questo ne assimila gli elementi più comodi, più conformi al proprio modo di vivere umano, quindi più deleteri.

Ognuno si fa una religione e una morale su misura dei propri istinti e dei propri gusti, non curandosi della realtà oggettiva della Rivelazione e della Redenzione, non curandosi della sublime realtà della mia Chiesa che Io vi ho dato quale sacramento di salvezza, depositando in essa l'unica mia rivelazione destinata a salvarvi.

Si è fatto credere che ciò che più vale è esistere, è lo stare bene.

Questo ha portato a mettere in evidenza il fatto dell'esistere per se stesso, non del suo fine, non dei suoi modi. Ha esaltato il possedere, l'edonismo, e ha provocato il decadimento dei valori che erano sostenuti dall'idea del bene, del buono, dell'eterno.

Così sono emersi i fatti più penosi: l'angoscia e il nichilismo, che hanno partorito il pessimismo.

Niente più speranza, niente più visione di una vita futura che esalta, che premia, che incorona la vita terrena.

Questo perché l'uomo sarebbe azionato da due princìpi: il principio del sesso e il principio della morte, uno più macabro dell'altro.

Accettando questi princìpi si è arrivati al disprezzo di tutto e di tutti e si è contenti se si può arrivare a denigrare chiunque abbia fatto qualcosa di buono: l'autorità, i grandi nomi della storia.

Non avete più stima l'uno dell'altro per il gusto recondito di trovare in ognuno il bassofondo melmoso, senza misericordia per nessuno.

Allora anche i miei santi che sono in mezzo a voi non li riconoscete, perché il vostro occhio malato non vede la luce, il bello, la bontà, ma solo le tenebre.

Avete dimenticato che Io vi avevo detto: "Non giudicate per non essere giudicati, perché con la misura con cui giudicate sarete misurati" (Mt. 7-1,3)

Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? (…) Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello" (Mt. 7 - 3, 6)

Voi, invece, non vi amate, ma vi adirate l'uno contro l'altro, vi emarginate a vicenda e la discordia turba i vostri giorni e le vostre notti, e la pace non trova posto nelle famiglie e nel mondo.

Se avete l'abitudine mentale di sottovalutare i vostri fratelli, di attribuire ad essi sempre un'intenzione cattiva, di andare a rimescolare sempre il peggio nella loro vita, correggetevi, perché con questo piombo osceno nell'anima non vi innalzate verso l'amore, verso la bontà di cui quell'abitudine mentale è la negazione."