Apparizione a Lazzaro
3 aprile 1945.
Il sole di un sereno mattino d'aprile empie di brillii i boschetti di rose e gelsomini del giardino di Lazzaro. E le siepi di bosso e d'alloro, il ciuffo di un'alta palma che ondeggia lieve al limite di un viale, il foltissimo lauro presso la peschiera, sembrano lavati da una mano misteriosa, tanto la copiosa rugiada notturna ne ha deterse e irrorate le foglie, che ora paiono coperte di uno smalto nuovo tanto sono lucide e nette. Ma la casa tace come fosse piena di morti.
Le finestre sono aperte, ma non una voce, non un rumore viene dalle stanze, in penombra per-ché tutte le tende sono calate. Nell'interno, oltre il vestibolo nel quale si aprono molte porte tutte aperte - ed è strano vedere senza nessun apparato le sale solitamente usate per i conviti più o meno numerosi - vi è un ampio cortile lastricato e circondato da un portico sparso di sedili. Su questi, e persino seduti sul suolo, su stuoie, o anche sul marmo stesso, sono numerosi discepoli. E fra essi vedo gli apostoli Matteo, Andrea, Bartolomeo, i fratelli Giacomo e Giuda d'Alfeo, Giacomo di Zebedeo e i discepoli pastori con Mannaen, oltre ad altri che non conosco.
Non vedo lo Zelote, non Lazzaro, non Massimino. Infine questo entra con dei servi e distribuisce a tutti del pane con cibi diversi, ossia ulive o formaggio, o miele, e anche latte fresco per chi lo vuole. Ma non c'è voglia di mangiare, per quanto Massimino esorti tutti a farlo. L'accasciamento è profondo. I visi si sono in pochi giorni infossati, fatti terrei sotto il rossore del pianto. Specie gli apostoli e quelli fuggiti fin dalle prime ore mostrano un aspetto avvilito, mentre i pastori con Mannaen sono meno accasciati, anzi, meno vergognosi, e Massimino è solo virilmente addolorato. Entra quasi di corsa lo Zelote e chiede: «É qui Lazzaro?». «No, è nella sua stanza. Che vuoi?».
«Sul limite del sentiero, presso la fontana del Sole, è Filippo. Viene dalla piana di Gerico. É sfinito. E non vuole venire avanti, perché... come tutti, si sente peccatore. Ma Lazzaro lo persuaderà». Si alza Bartolomeo e dice: «Vengo anche io...». Vanno da Lazzaro che, chiamato, esce con un volto straziato dalla stanza semibuia, dove certo ha pianto e pregato. Escono tutti e traversano prima il giardino, poi il paese nella parte che si dirige già verso le pendici del monte
Uliveto, e poi raggiungono il limite di questo paese dalla parte dove esso termina col terminare del pianoro su cui è costruito, per proseguire unicamente colla via montana che scende e sale a scalinate naturali per le montagne, che degradano verso la pianura a est e salgono verso la città di Gerusalemme a ovest. Qui è una fontana dal largo bacino, dove certo armenti e uomini si dissetano.
Il luogo è in quest'ora solitario e fresco, perché molta ombra di alberi folti è intorno alla cisterna piena di un'acqua pura, che sempre si rinnova scendendo da qualche sorgiva montana e trabocca tenendo umido il suolo. Filippo è seduto sull'orlo più alto della fonte, a capo basso, spettinato, polveroso, con i sandali rotti che pendono dal piede scorticato. Lazzaro lo chiama, con pietà: «Filippo, vieni a me! Amiamoci per amor suo. Stiamo uniti nel suo Nome. E amarlo ancora fare questo!». «Oh! Lazzaro! Lazzaro! Io sono fuggito... e ieri, oltre Gerico, ho saputo che è morto!... Io... io non mi posso perdonare di essere fuggito...».
«Tutti siamo fuggiti. Meno Giovanni che è rimasto a Lui fedele e Simone che ci ha radunati per ordine suo dopo che da vili fuggimmo. E poi... di noi apostoli, nessuno fu fedele», dice Bartolomeo. «E te lo puoi perdonare?». «No. Ma penso riparare come posso col non cadere nell'abbattimento sterile. Dobbiamo unirci fra noi. Unirci a Giovanni. Sapere le sue ultime ore. Giovanni lo ha sempre seguito», risponde a Filippo il compagno Bartolomeo. «E non fare morire la sua Dottrina. Bisogna predicarla al mondo. Tenere viva quella almeno, posto che, troppo pesanti e tardi, non sapemmo provvedere in tempo a salvarlo dai suoi nemici», dice lo Zelote.
«Non potevate salvarlo. Nulla lo poteva salvare. Egli me lo ha detto. Lo ridico un'altra volta», dice sicuro Lazzaro. «Tu lo sapevi, Lazzaro?», chiede Filippo. «Lo sapevo. La mia tortura è stata di sapere, dalla sera del sabato, la sua sorte da Lui, e nei particolari, nel sapere come noi avremmo agito...». «No. Tu no. Tu hai solo ubbidito e sofferto. Noi abbiamo agito da vili. Tu e Simone siete i sacrificati all'ubbidienza», prorompe Bartolomeo.
«Si. All'ubbidienza. Oh! come è pesante fare resistenza all'amore per ubbidienza all'Amato!
Vieni, Filippo. Nella mia casa sono quasi tutti i discepoli. Vieni tu pure». «Mi vergogno di apparire al mondo, ai compagni...». «Tutti uguali siamo!», geme Bartolomeo. «Si. Ma io ho un cuore che non si perdona». «Ciò è orgoglio, Filippo. Vieni. Egli mi ha detto la sera del sabato: "Essi non si perdoneranno. Di' loro che Io li perdono, perché so che non sono loro che agiscono liberamente. Ma è Satana che li travia". Vieni». Filippo piange più forte, ma cede. E, curvo come fosse divenuto vecchio in pochi giorni, va a fianco di Lazzaro fino al cortile dove tutti lo attendono. E lo sguardo che egli dà ai compagni, e quello che i compagni dànno a lui, è la confessione più chiara del loro accasciamento totale. Lazzaro lo nota e parla: «Una nuova pecora del gregge di Cristo, intimorita dalla venuta dei lupi e fuggita dopo la cattura del Pastore, è stata raccolta dall'amico di Lui.
A questa dispersa, che ha conosciuto l'amarezza dell'essere sola, senza neppure il conforto di piangere lo stesso errore fra i fratelli, io ripeto il suo testamento di amore. Egli, lo giuro alla presenza dei cori celesti, mi ha detto, con tante altre cose che la vostra umana debolezza presente non può sopportare perché, veramente, sono di una desolazione che mi lacerano da dieci giorni il cuore - e se non sapessi che la mia vita serve al mio Signore, benché così povera e manchevole come è, mi abbandonerei alla ferita di questo dolore di amico e di discepolo che tutto ha perduto, Lui perdendo - mi ha detto: "I miasmi di Gerusalemme corrotta renderanno folli anche i miei discepoli. Essi fuggiranno e verranno da te". Infatti, vedete che tutti siete venuti.
Tutti, potrei dire. Perché, meno Simon Pietro e l'Iscariota, tutti siete venuti verso la mia casa e il mio cuore di amico. Ha detto: "Tu le radunerai. Le rincuorerai le mie pecore disperse. Dirai loro che Io le perdono. Ti affido il mio perdono per loro. Non si daranno pace di essere fuggiti.
Di' loro di non cadere nel più grande peccato del disperare del mio perdono Così ha detto. E io, perdono per Lui vi ho dato. E ne ho avuto rossore di darvi in suo Nome questa cosa così santa, così sua, che è il Perdono, ossia l'Amore perfetto, perché perfettamente ama chi al colpevole perdona. Questo ministero ha confortato la mia aspra ubbidienza...
Perché là avrei voluto essere, come Maria e Marta, le mie dolci sorelle. E se Lui fu crocifisso sul Golgota dagli uomini, io qui, ve lo giuro, sono crocifisso dall'ubbidienza, ed è ben straziante martirio. Ma se serve a dargli conforto allo Spirito, se ciò serve a salvargli i suoi discepoli sino al momento in cui Egli li radunerà per perfezionarli nella fede, ecco, io immolo una volta ancora il mio desiderio di andare almeno a venerarne la salma prima che il terzo giorno muoia. Lo so che dubitate. Non dovete. Io non so le sue parole del banchetto pasquale altro che per quello che voi mi avete detto. Ma più le penso, più alzo uno per uno questi diamanti delle sue verità, e più sento che essi hanno un sicuro riferimento al domani immediato. Egli non può avere detto: "Vado al Padre e poi tornerò" se non avesse veramente a tornare.
Non può avere detto: "Quando mi rivedrete sarete pieni di gaudio" se fosse scomparso per sempre. Egli lo ha sempre detto: "Io risusciterò". Voi mi avete detto che disse: "Sui semi gettati in voi sta per cadere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il Paraclito che li farà divenire alberi potenti". Non disse così? Oh! non fate che ciò avvenga solo per l'ultimo dei suoi discepoli, per il povero Lazzaro che non fu con Lui che raramente! Quando Egli tornerà, fate che trovi germogliati i suoi semi sotto la rugiada del suo Sangue. In me è tutta una accensione di luce, è tutto un erompere di forze dall'ora tremenda in cui Egli salì sulla Croce.
Tutto si illumina, tutto nasce e mette stelo. Non c'è parola che mi resti nel suo povero significato umano. Ma tutto ciò che da Lui o di Lui udii, ecco che ora prende vita, e realmente la mia landa brulla si muta in fertile aiuola dove ogni fiore ha il suo Nome e dove ogni succo trae vita dal suo Cuore benedetto. Io credo, Cristo! Ma perché questi credano in Te, in ogni tua promessa, nel tuo perdono, in tutto quanto è Te, ecco, ti offro la mia vita. Consumala, ma fa' che la tua Dottrina non muoia! Frantuma il povero Lazzaro. Ma riunisci le membra disperse del nucleo apostolico. Tutto ciò che Tu vuoi, ma in cambio sia viva ed eterna la tua Parola, e ad essa ora e sempre vengano coloro che solo per Te possono avere la vita eterna». Lazzaro è realmente ispirato.
L'amore lo trasporta ben in alto. Ed è tanto forte il suo trasporto che solleva anche i compagni. Chi lo chiama a destra e chi a sinistra, quasi fosse un confessore, un medico, un padre. Il cortile della ricca casa di Lazzaro, non so perché, mi fa pensare alle dimore dei patrizi cristiani in tempi di persecuzione e di eroica fede... É curvo su Giuda d'Alfeo, che non riesce a trovare una ragione per calmare il suo affanno di avere lasciato il Maestro e cugino, quando qualcosa lo fa rialzare di scatto. Si volge intorno e poi dice netto: «Vengo, Signore».
La sua parola di pronta adesione di sempre. Ed esce, correndo come dietro a qualcuno che lo chiami e preceda. Tutti si guardano stupiti. Si interrogano. «Che ha visto?». «Ma non c'è nulla!». «Hai udito una voce tu?». «Io no». «E io neppure». «E allora? Lazzaro è forse malato di nuovo?». «Forse... Ha sofferto più di noi, e ha tanto dato di forza a noi, vili! Forse ora lo ha preso il delirio». «Infatti è molto sciupato nel volto». «E il suo occhio nel parlare ardeva». «Sarà Gesù che lo ha chiamato al Cielo». «Infatti Lazzaro gli ha offerto la vita poco fa... Come un fiore lo ha subito colto... Oh! noi miseri! E che faremo ora?». I commenti sono disparati e dolorosi.
Lazzaro traversa il vestibolo, esce nel giardino, sempre correndo, sorridendo, mormorando, e c'è la sua anima nella sua voce: «Vengo, Signore». Giunge ad un folto di bossi che fanno un recesso verde, noi diremmo un chiosco verde, e cade a ginocchi, col volto al suolo gridando:
«Oh! mio Signore!». Perché Gesù, nella sua bellezza di Risorto, è sul limitare di questo verde recesso e gli sorride... e gli dice: «Tutto è compiuto, Lazzaro. Sono venuto a dirti grazie, amico fedele. Sono venuto a dirti di dire ai fratelli di venire subito alla casa della Cena. Tu - un altro sacrificio, amico, per amor mio - tu resta, per ora, qui... So che ne soffri. Ma so che sei generoso. Maria, tua sorella, è già consolata, perché l'ho vista e mi ha visto». «Non soffri più, Signore. E questo mi ripaga di ogni sacrificio. Ho... sofferto a saperti nel dolore... e a non esserci...».
«Oh! c'eri! Il tuo spirito era ai piedi della mia croce ed era nel buio del mio sepolcro. Tu mi hai evocato più presto, come tutti quelli che mi hanno totalmente amato, dal profondo dove ero.
Ora Io ti ho detto: "Vieni, Lazzaro". Come nel giorno della tua risurrezione. Ma tu da molte ore mi dicevi: "Vieni". Sono venuto. E ti ho chiamato. Per trarti, a mia volta, dal profondo del tuo dolore. Va'. Pace e benedizione a te, Lazzaro! Cresci nell'amore di Me. Tornerò ancora». Lazzaro è sempre rimasto in ginocchio senza osare un gesto. La maestà del Signore, per quanto temperata d'amore, è tale che paralizza il solito modo di fare di Lazzaro.
Ma Gesù, prima di scomparire in un gorgo di luce che lo assorbe, fa un passo e sfiora con la sua Mano la fronte fedele. É allora che Lazzaro si desta dal suo stupore beato e si alza e, correndo precipitosamente dai compagni, con una luminosità di gioia negli occhi e una luminosità sulla fronte sfiorata dal Cristo, grida: «É risorto, fratelli! Mi ha chiamato. Sono andato. L'ho visto. Mi ha parlato. Mi ha detto di dirvi di andare subito alla casa della Cena. Andate! Andate! Io resto perché Egli lo vuole. Ma il mio giubilo è completo...». E Lazzaro piange nella sua gioia, mentre spinge gli apostoli ad andare per primi dove Egli comanda. «Andate! Andate! Vi vuole!
Vi ama! Non temete di Lui... Oh! è più che mai il Signore, la Bontà, l'Amore!». Anche i discepoli si alzano... Betania si svuota. Resta Lazzaro col suo grande cuore consolato...
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