Apparizione a Giovanna di Cusa.
4 aprile 1945.
In una ricca stanza, dove a mala pena filtra la luce esterna, piange Giovanna tutta abbandonata su un sedile presso il basso letto coperto di splendide coperture. Piange con un braccio appoggiato alla sponda e la fronte sul braccio, tutta scossa dai singhiozzi che le devono rompere il petto. Quando, nell'affanno del piangere, solleva per un momento il viso, cercando aria, si vede una larga macchia d'umido sulla coperta preziosa, ed il suo viso è letteralmente inondato di lacrime. Poi torna a curvarlo sul braccio e torna a vedersi di lei solo il collo sottile e bianchissimo, la massa dei bruni capelli, le spalle e il sommo del tronco molto snelli.
Il resto si perde nella penombra che annulla il corpo, fasciato nell'abito viola scuro. Senza spostare tenda o socchiudere porta, entra Gesù, e senza rumore le va vicino. Le sfiora i capelli con la Mano e chiede in un sussurro: «Perché piangi, Giovanna?» E Giovanna, che deve credere che sia il suo angelo che l'interroga, e che non vede nulla perché non alza il capo dalla sponda del letto, con un pianto più desolato dice il suo tormento: «Perché non ho più neppure il Sepolcro del Signore per andare a versare il mio pianto e non essere sola...». «Ma è risorto. Non ne sei felice?». «Oh! si! Ma tutte lo hanno visto, meno io e Marta. E Marta certo lo vedrà a Betania... perché là è casa amica. La mia... la mia non è più casa amica... Tutto ho perduto con la sua Passione... E il mio Maestro e l'amore dello sposo... e la sua anima... perché non crede... non crede... e mi deride... e mi impone di non venerare neppure la memoria del mio Salvatore... per non rovinare lui... Per lui è più importante l'interesse umano... Io... io... io non so se continuare ad amarlo o ad averne ribrezzo.
Non so se ubbidirlo come moglie o disubbidirlo, come l'anima vorrebbe, per il più grande sponsale dello spirito col Cristo a cui resto fedele... Io... io vorrei sapere... E chi mi dà consiglio se Lui non è più raggiungibile dalla povera Giovanna? Oh!... per il mio Signore la Passione è finita!... Ma per me è cominciata il Venerdì, e dura... Oh! che tanto debole sono e non ho forza di portare questa croce!...» «Ma se Egli ti aiutasse, la vorresti portare per Lui?». «Oh! si! Purché Egli mi aiuti... Egli sa cosa è portare da solo la croce... Oh! pietà della mia sventura!..»
«Si. Io lo so cosa è portare da solo la croce. Per questo sono venuto e ti sono al fianco. Giovanna, comprendi Chi è che ti parla? La tua casa non è più amica del Cristo? Perché? Se egli, lo sposo terreno, è come astro coperto da una nube di miasmi umani, tu sei sempre Giovanna di Gesù. Non ti ha lasciata il Maestro. Gesù non lascia mai le anime a Lui sposate. É sempre il Maestro, l'Amico, lo Sposo, anche ora che è il Risorto. Alza il capo, Giovanna. Guardami. In quest'ora di ammaestramento segreto, e più dolce che se ti fossi apparso come alle altre, Io ti dico quale deve essere la tua condotta futura. Quella che dovrà essere di tante tue sorelle.
Ama con pazienza e sommissione il turbato sposo. Aumenta la tua dolcezza più egli fermenta in sé amarezza di umane paure.
Aumenta la tua luminosità spirituale più egli genera da sé ombre di terreni interessi. Sii fedele per due. E sii forte nel tuo sponsale dello spirito. Quante, in futuro, dovranno scegliere fra il volere di Dio e quello del consorte! Ma saranno grandi quando, sopra l'amore e la maternità, seguiranno Iddio. La tua passione incomincia. Si. Ma tu vedi che ogni passione termina in una risurrezione...». Giovanna è andata piano piano alzando il capo. I suoi singhiozzi si sono diradati. Ora guarda e vede, e scivola in ginocchio, adorando e mormorando: «Il Signore!».
«Si. Il Signore. Tu vedi che, come con te, con nessuna Io sono stato. Ma Io vedo le necessità particolari e graduo il soccorso da dare alle anime che da Me aspettano aiuto. Sali il tuo calvario di sposa coll'aiuto della mia carezza e di quella del tuo innocente. É entrato con Me in Cielo e mi ha dato la sua carezza per te. Io ti benedico, Giovanna. Abbi fede. Io ti ho salvata. Tu salverai se avrai fede». Giovanna ora sorride e osa chiedere: «Dai bambini non vai?». «Li ho baciati all'aurora mentre ancora dormivano nel loro lettino, e mi hanno creduto un angelo del Signore. Gli innocenti li posso baciare quando voglio. Ma non li ho destati per non turbarli troppo. La loro anima conserva il ricordo del mio bacio... e lo trasmetterà, a suo tempo, alla mente. Nulla si perde di quanto è mio. Tu sii sempre una madre per essi. E sempre sii figlia di mia Madre. Non ti staccare mai totalmente da Lei. Ella ti perpetuerà, con soavità materna, ciò che fu la nostra amicizia. E portale i bambini. Ella ha bisogno di bambini per sentirsi meno sola della sua Creatura...». «Cusa non vorrà...» «Cusa ti lascerà fare». «Mi ripudierà, Signore?», è un grido di nuovo strazio. Un astro offuscato. Riportalo alla luce col tuo eroismo di sposa e di cristiana. Addio. Fuorché alla Madre mia, non dire ad altri questa mia venuta. Anche le rivelazioni vanno dette a chi e quando è giusto farlo». Gesù le sorride sfolgorando, e nel fulgore scompare. Giovanna si alza, trasognata, combattuta fra la gioia e la pena, fra il timore di aver sognato e la certezza di avere visto. Ma quanto sente in sé la rassicura. Va dai piccoli, che giuocano quieti sulla terrazza superiore, e li bacia.
«Non piangi più, mamma?», chiede timidamente Maria, non più la povera bambina miserella, ma una gracile e gentile fanciullina dalla veste ben curata ed i capellucci ravviati; e Mattia, bruno e snello con la sua esuberanza di maschietto, dice: «Dimmi chi ti fa piangere ed io lo punirò». Giovanna li raccoglie in un solo abbraccio sul cuore e dice, parlando sulla testolina castana di Maria, sui capelli bruni di Mattia: «Non piango più. Gesù è risorto e ci benedice». «Oh! allora non sanguina più? Non ha più male?», chiede Maria. «Stolta! Di' piuttosto: non è più morto! Ora è felice, allora!... Perché essere morti deve essere brutto...», dice Mattia. «Allora non c'è più da piangere, mamma?», torna a chiedere Maria. «No. Voi innocenti, no. Cogli angeli giubilate».
«Gli angeli!... Questa notte, non so che vigilia fosse, ho sentito una carezza e mi sono svegliata dicendo: "Mamma!", ma non chiamavo te. Chiamavo la mamma morta, perché quella carezza era più leggera e più dolce delle tue, e ho aperto un momento gli occhi. Ma ho visto solo una grande luce e ho detto: "Il mio angelo mi ha baciata per consolarmi del gran dolore che ho per la morte del Signore"», dice Maria. «Anche io. Ma io avevo sonno molto e ho detto: "Sei tu?". Pensavo al mio Custode e volevo dirgli: "Va' a baciare Gesù e Giovanna, perché non abbiano più paura", ma non ci sono riuscito. Ho ripreso a dormire e a sognare, e mi pareva di essere in Cielo con te e Maria. Poi è venuto quel terremoto e mi sono svegliato spaventato.
Ma Ester mi ha detto: "Non avere paura. É già passato", e io ho dormito ancora». Giovanna li bacia di nuovo e poi li lascia ai loro giuochi sereni e va alla casa del Cenacolo. Chiede di Maria.
Entra da Lei. Chiude l'uscio e dice la sua grande parola: «Io l'ho veduto. A te lo dico. Io sono confortata e felice. Amami, perché Egli lo ha detto che ti devo stare unita». La Madre risponde:
«Te l'ho già detto, che ti amo, nella giornata del sabato. Ieri.
Poiché è ieri... E pare tanto lontana, quella giornata di pianto e tenebre, da questa di luce e sorriso!». «Si... Tu hai già detto, ora ricordo, ciò che Egli ora mi ha ripetuto. Tu hai detto: "Noi donne dovremo fare perché noi siamo rimaste e gli uomini sono fuggiti... É sempre la donna la generatrice...". Oh! Madre, aiutami a generare Cusa! Egli è fuggito dalla Fede!...». Giovanna piange di nuovo. Maria la prende fra le braccia: «Più forte della fede è l'amore. E la più attiva virtù. Con essa creerai l'anima novella di Cusa. Non temere. Ma io ti aiuterò».
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