CATECHESI Gen 6,5-8,22 (Il diluvio)
Dopo il capitolo quarto su Caino e Abele, il blocco di capitoli 5-10 ha al suo centro la figura di Noè, l’evento del diluvio e la successiva ri-creazione. Infatti, la genealogia sacerdotale del cap. 5 si chiude proprio con Noè; questi è poi la figura centrale della catastrofe del diluvio (capp. 6-8); è con lui che Dio stipula un’alleanza dopo il diluvio (cap. 9), ed è infine lui il capostipite della nuova umanità che cresce e si moltiplica sulla terra (cap. 10). Il nome di Noè ricorre quarantun volte in questi sei capitoli.
Prendiamo in considerazione ora solo la parte relativa al diluvio.
Nei versetti 5-8 del capitolo 6 è inserito il momento preparatorio al diluvio, il motivo che lo ha scatenato e provocato: in essi è riportata la constatazione di Dio sulla malvagità umana. Il Signore “vede” che ogni pensiero e progetto che esce dal cuore dell’uomo non è che malvagità. L’uomo non è in grado di resistere alle tentazioni e il suo cuore non fa che concepire disegni malvagi. Ormai è tale la corruzione dell’uomo che è minacciato il suo stesso essere uomo.
Il Signore allora “si pente” di aver fatto l’uomo. Il sesto giorno della creazione, quando comparve l’uomo, Dio gioì vedendo che era cosa molto buona. Ma ora Dio, guardando l’uomo, è addolorato dalla malvagità del suo cuore. Dio aveva formato l’uomo e l’uomo era opera buona e bella di Dio, ma ciò che ora l’uomo forma, ogni sua formazione, cioè ogni suo pensiero, disegno e progetto, è opera cattiva e malvagia.
La punizione di Dio investe non solo l’uomo ma anche gli animali, estendendosi cioè a tutto il creato. L’uomo, infatti, è responsabile direttamente dell’ambiente in cui vive e di tutto il creato in cui è posto e che gli è stato affidato. Il suo agire male contamina la terra, distrugge l’ambiente. Ma di fronte a tutto questo, Dio soffre, si addolora: il nostro Dio non è un’entità astratta, non è impassibile, è un Dio che ama e quindi soffre per l’amato. E’ questa sua capacità di com-passione che farà sì che la sua massima epifania sia nel Cristo crocifisso e morto per noi uomini.
E’ vero che il diluvio è presentato come il castigo di Dio per il peccato dell’uomo, ma il castigo non è altro che il frutto delle scelte dell’uomo, l’allontanamento da Dio. Quindi non è che Dio punisce con la catastrofe la scelta del peccato, ma è l’uomo che scegliendo il male percorre una via di morte.
Dio però interviene con un atto di misericordia. “Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore” (Gen 6,8). Di fronte alla malvagità umana che si dà il castigo da sola, l’atteggiamento che Dio assume è quello della misericordia. Dio emette un giudizio, ma sempre promette salvezza a un “resto” che è oggetto di elezione in mezzo a una generazione perversa: Noè, salvato dal diluvio; Mosè, scampato dallo sterminio ordinato dal faraone e salvato dalle acque; Israele, sfuggito alle armate egiziane e salvato dal Mar Rosso. Noè è il segno e la garanzia che la storia dell’umanità continua anche dopo la catastrofe perché il mondo viene conservato da Dio per amore del giusto. Anche quando il male è dilagante su tutta la terra, la presenza di un solo giusto è sufficiente per assicurare che vi sarà salvezza per la terra: su quel male vincerà il bene e si manifesterà la misericordia di Dio.
La struttura del racconto del diluvio intreccia le due tradizioni, quella jahwista e quella sacerdotale. Ad esempio: secondo la tradizione jahwista entrano nell’arca sette coppie di animali puri e una coppia di animali impuri (Gen 7,2 s.), secondo quella sacerdotale solo una coppia di ogni specie (Gen 6,19 s.) E ancora, secondo la tradizione jahwista cade una pioggia che dura quaranta giorni e quaranta notti (Gen 7,4), per quella sacerdotale le acque salgono per centocinquanta giorni (Gen 7,4) e calano per centocinquanta giorni (Gen 8,3). Tuttavia, nonostante le differenze e qualche contraddizione, la redazione finale del testo è tesa a rispondere ad una precisa domanda: come mai la vita e le opere degli uomini sono minacciate da grandi catastrofi? Come mai l’uomo nel suo progresso conosce dei mali sempre più grandi?
Al centro della struttura del racconto, dopo la de-creazione e prima della ri-creazione, emerge il ricordo che Dio ha di Noè e di tutti gli animali che erano con lui. (“ Di si ricordò di Noè, di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui nell’arca” Gen 8,1a). Sempre il ricordarsi di Dio introduce una sua azione di salvezza, un suo intervento a favore del suo popolo o del suo eletto: è così fino al ricordo che culmina nell’intervento decisivo nella storia della salvezza, ossia l’invio del Messia. Dice il Benedictus:
…così Egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua Santa Alleanza…
E così anche il magnificat:
…Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre…
Dio ricorda la promessa e l’alleanza e così porta a compimento la storia della salvezza.
Al giusto Noè Dio affida il proprio progetto. Il giusto conosce i pensieri di Dio, il giusto vede la via del peccato e della morte anche se gli altri non sanno vederla.
I giorni di Noè diverranno nel nuovo testamento figura del giorno escatologico, del giorno della venuta del Figlio dell’uomo, evento che coglierà molti all’improvviso perché non han saputo vigilare e son rimasti nella cecità, non rendendosi conto della rovina cui la loro vita stava andando incontro.
Come si legge in Matteo 24,37-39:
“Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finche venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo”.
Apparentemente non si svolge alcun dialogo tra Noè e Dio, perché è solo Dio che parla (non come avvenne con Adamo e Caino), ma in realtà, qui c’è il vero dialogo perché Noè si mette in ascolto, obbedisce ed esegue ( “Noè eseguì ogni cosa come Dio gli aveva comandato: così fece.” Gen 6,22).
Noè deve procedere a un’opera di separazione dell’interno dell’arca in tre piani nei quali ripartisce le differenti specie animali: bestiame della terra, rettili e volatili. Noè deve cioè riprodurre all’interno della’arca quell’opera di ordinamento e separazione attuata da Dio nella Creazione.
Noè poi distingue gli animali fra puri e impuri, fra maschi e femmine e li ordina per coppie ristabilendo il regime della dualità benedetta anche nel mondo animale. E’ “a due a due” che gli animali entrano nell’arca.
Conclusa l’entrata abbiamo l’espressione “Il Signore chiuse la porta dietro di lui” ( Gen 7, 16b) che indica la misura di premura e attenzione che il Signore ha per l’uomo.
Compare a questo punto l’affermazione che il diluvio durò quaranta giorni, tipica durata del tempo della prova in tutta la storia della salvezza ( Gen 7,17: “Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni…”). I quaranta giorni di Mosè sul monte, i quarant’anni di Israele nel deserto, i quaranta giorni di cammino di Elia verso l’Horeb e infine i quaranta giorni di Gesù nel deserto, attestano che si tratta di un tempo certamente lungo, duro e faticoso, ma non eterno e soprattutto segnato da una fine che è salvezza. Noè vive questo periodo nell’obbedienza piena: egli ha obbedito senza chiedere ragione, senza capire pienamente.
Il diluvio è un’anti-creazione, un ritorno al caos. La malvagità dell’uomo provoca la catastrofe, ma nella catastrofe c’è una speranza, un seme di salvezza: “…rimase solo Noè e chi stava con lui nell’arca” (Gen 7,23b). Con questa annotazione che apre un piccolo spiraglio di speranza dopo la catastrofe, si annuncia la seconda parte del racconto del diluvio: la ri-creazione.
Se la creazione era stata presieduta dal “soffio” di Dio che aleggiava sulle acque (Gen 1,2), ora la ri-creazione procede con l’atto di Dio che “fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono”. Dalla marea che ricopriva la terra emerge nuovamente l’asciutto.
Noè invia prima un corvo il quale “va e viene” perché ancora non è emerso l’asciutto. Quindi invia una colomba che ritorna non avendo dove posare le zampe. Dopo sette giorni invia nuovamente la colomba che ritorna portandogli un ramoscello di ulivo, simbolo della pace, così che Noè comprende che le acque si stanno ritirando e la vegetazione sta emergendo. Infine, dopo altri sette giorni, Noè invia per la terza volta la colomba che non torna perché la terra è ridiventata ospitale con gli animali e ormai può iniziare a realizzarsi la nuova promessa di benedizione sul creato. Nella scrittura la colomba è simbolo di Israele, il popolo eletto che trova riposo solo sulla terra promessa.
Cessato il diluvio e ricevuto il comando di uscire dall’arca, Noè, ancora in piena obbedienza, esegue il comando: esce dall’arca con tutta la creazione salvata e come primo atto fa un sacrificio al Signore, ossia riconosce di non essere lui il salvatore, ma che Dio ha operato la salvezza e lui stesso è un salvato. Dopo quest’offerta di Noè, Dio fa una promessa: mai più maledizioni della terra. L’uomo per natura è peccatore, disobbediente e ribelle: è questa una verità che noi cerchiamo sempre di rimuovere, che non accettiamo perché ci urta in profondità, ma è anche ribadita da Gesù stesso: “Voi che siete cattivi..” (Mt 7,11). Con un superficiale ottimismo noi esaltiamo la bontà dell’uomo, non riconoscendo il peccato nel suo cuore. Tuttavia nella fede, mediante l’adesione al Signore, noi possiamo essere giustificati e ottenere la salvezza.
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