venerdì 23 luglio 2021

VI PRESENTO L'AMORE

 


MEZZI PER CONSERVARE GLI AMICI

Non possiamo essere un vero amico di chi non conosciamo. Pochi di noi conoscono  realmente se stessi e pochi sentono il bisogno di conoscersi. Noi immaginiamo  d'essere molto differenti da quello che siamo in realtà, perché portiamo una maschera  in pubblico e soltanto qualche volta ce la togliamo, quando siamo da soli. Da qui  viene che noi crediamo che i nostri critici ci giudichino sempre ingiustamente, e che  gli amici hanno ragione quando ci lodano. Molte nostre conoscenze potrebbero dirci i  difetti che noi a voce alta siamo disposti a negare; mentre sono molto veri.

Conosci te stesso.

I greci, molto sapientemente avevano scritto sul frontone del tempio di Apollo a  Delfi: conosci te stesso. Il vecchio Plutarco osserva a questo riguardo: «Se il conosci  te stesso dell'oracolo non fosse facile per ogni uomo, i greci non l'avrebbero  considerato come un comandamento divino ».

Anche il Redentore divino, narrando la storia del fìgliol prodigo caratterizzò il  momento della sua conversione con queste parole: «Ritornato in se stesso, egli disse:  ritornerò al padre». (San Luca, 15, 25). Ritornare in se stesso equivale a conoscere se  stesso, non in modo intellettuale, ma in modo morale. Non si tratta quindi di un fatto  psicologico, ma di un fatto teologico: non si tratta di conoscere ciò che noi pensiamo,  ma di conoscere i motivi e le segrete sorgenti delle nostre azioni. L'esame di se stesso  dev'essere fatto alla presenza di Dio, perché dobbiamo paragonare noi stessi non col  nostro prossimo, e neppure coi nostri ideali soggettivi, ma con il Perfetto. Quante  volte ci sentiamo interamente rivelati a noi stessi, venendo in contatto con una vita  nobile! Nell'esame di noi stessi, è Dio e non l'uomo che ci fa entrare nell'interno. Il  vecchio Simeone quando ebbe fra le braccia il bambino Gesù, disse : « Questo  bambino è una pietra di paragone che toglierà il velo a molti cuori e a molti pensieri».  (S. Luca, 2, 34-35).

Alla presenza tremenda di Dio, non c'è posto per l'orgoglio nascosto nè per le vuote  illusioni.

I danni della psicanalisi.

I nevrastenici, i traviati, i delusi, in questi tempi, corrono in massa verso i psicanalisti per farsi analizzare le proprie menti, mentre avrebbero bisogno di andare a Dio per  farsi perdonare i peccati.

Non ci può essere sanità dell'anima o del corpo, senza l'interna lotta morale. La  moderna mentalità crede di sbarazzarsi dell'inferno e invece lo scopre dentro di sè.  Un psicanalista pretende di sublimare i conflitti interni, dando loro l'apparenza di  arte, altruismo, ecc.; mentre Dio solo può dar la pace. Il dottor Jung, famoso  psicanalista, francamente dichiara: «circa un terzo dei casi da me esaminati non  soffrono per neurosi definita in termini clinici; ma soffrono per l'insensibilità e la  vuotaggine delle loro vite. Così può essere definita la neurosi dei nostri tempi. Un  numero considerevole di pazienti vengono a vedermi, non perché soffrono di forme  neurose; ma perché non trovano uno scopo nella vita ».

Le vite moderne sono disordinate e infelici, perché sono multiple. Esse sono simili a  specchi spezzati che riflettono centinaia di oggetti diversi e quindi non sanno volere  un preciso scopo che dia unità alla vita. Il divino Maestro, quando gli fu presentato il  giovane posseduto dal demonio, domandò il nome al demonio stesso e questi rispose:  «il mio nome è legione, perché siamo molti». (S. Marco, 5, 9). Quel povero ragazzo  aveva perduto l'unità interiore.

Una delle ragioni della moderna tensione interna è la seguente: non avere mai  stabilito in modo assoluto se deve dominare il nostro corpo o la nostra anima. Se ci  concentriamo nei piaceri del corpo, rinunziamo alle gioie dell'anima. Se ci  concentriamo nell'anima, rendiamo servo il nostro corpo e quindi partecipiamo alle  gioie dell'anima.

Fino a che siamo senza uno scopo nella vita, diventiamo simili a una radio che prenda  due stazioni differenti; quell'interferire di onde non produce armonia piacevole; ma  eccita l'ira e il disgusto.

Il « goal » del vivere.

Come il giocatore mira alla porta, anche il vivere umano deve avere il suo goal. — La vita deve raggiungere un vivere senza morire, una verità senza errore, un  amore senz'odio o sazietà. Deve raggiungere, cioè, Dio.

Un uomo è felice quando raggiunge lo scopo per cui fu fatto. Le cose create, danaro,  cibo, macchine, carne, affari, ecc., sono altrettanti mezzi per raggiungere Dio. Il fare  di queste cose altrettanti scopi della vita genera inevitabilmente l'egoismo, da cui  nasce il peccato con il disordine. Tutto ciò è così facile per la nostra natura caduca  che noi dobbiamo costantemente stare in guardia. A tale scopo, ecco un mezzo  infallibile: esaminare se stessi ogni sera prima di coricarsi; pregare per esprimere il  dolore dei nostri peccati; domandare a Dio perdono; risolvere di emendare le azioni e  fare penitenza per i peccati commessi.


I sette becchini dell'anima.

Ecco l'esame di coscienza, sopra i sette peccati capitali che si potrebbero chiamare i sette becchini dell'anima.

Superbia.

La superbia è un amore disordinato della propria eccellenza. Essa, quindi, detronizza  Dio dall'anima e intronizza l'« io ». « Nessun Dio, nessun padrone. Io sono Dio. Io  sono il mio proprio padrone ».

Gli uomini sono come spugne. Come una spugna può contenere quanta acqua  secondo la capacità. così ogni uomo può avere l'onore che si merita. Tanto l'uomo  come la spugna raggiungono presto il punto di saturazione. Quando una spugna passa  quel punto, comincia a gocciolare. Quando un uomo passa quel punto, non è lui che  porta l'onore, è l'onore che porta lui.

La gente superba esagera le sue personali qualità, parla di se stessa, delle sue imprese,  è gelosa di chiunque ottenga onore e quindi lo rubi a lui. Simili persone cadono in un  sacco di errori. L'invidioso non s'accorge che il suo criticare gli altri equivale a  criticare se stesso. Chi accusa gli altri d'infedeltà, di gelosia, di superbia,  generalmente commette tutti questi peccati. Egli proietta sopra gli altri i propri difetti  e nel giudicare gli altri, resta giudicato lui stesso.

Leggete queste domande lentamente e rispondete sinceramente.

— Ho attribuito alla mia opinione un valore superiore alla sapienza di Dio o alla sua  legge morale, o alla tradizione cristiana, o all'insegnamento della sua Chiesa?

— Ho avuto la presunzione di sentenziare su argomenti religiosi, malamente o  poco conosciuti?

— Ho trascinato altri in peccato col beffarmi della legge di Dio, chiamandola  antiquata, impossibile, troppo vecchia?

— Come può Dio riempirmi con la sua grazia, se io sono già riempito di me  stesso?

— Sono convinto che ogni pregio che ho ricevuto viene da Dio e che quindi devo  ringraziare Lui? Udite S. Paolo: «Che cosa hai tu che non abbia ricevuta e se tu l'hai  ricevuta, perché ti vai gloriando, come se non l'avessi ricevuta? » (Prima ai Corinti, 4,  7).

— Cerco sempre di essere osservato? Cerco la pubblicità, come se il principio e la conclusione della mia vita debbano essere conosciuti alla gente? Odi le parole del  Maestro : « Quando sei invitato a mensa, va' a sederti nell'ultimo posto, in modo che  chi ti ha invitato ti dica: — amico, vieni più in su. — Allora tu sarai glorificato  davanti ai presenti che siedono a tavola con te ». (S. Luca, 14, 10).

— Ho sempre praticato l'umiltà e riconosciuta la verità riguardo a me stesso? Odi  di nuovo il Maestro: «Prendete sopra di voi il mio giogo e venite a scuola da me,  perché io sono mite e umile di cuore. Voi così troverete pace per le vostre anime ».  (S. Matteo, 11, 29).

Avarizia.

L'avarizia è l'amore disordinato dei beni terrestri. L'amore eccessivo della ricchezza  dà all'uomo un « cuore d'oro », cioè un cuore freddo e giallo.

— Ho procurato la ricchezza, senza tener conto dei diritti altrui?

— Faccio spese superflue, soltanto per me e per i miei propri piaceri: per bere, per  divertirmi, ecc., invece che per gli altri, cioè per i poveri, per gli ammalati, per il  culto, ecc.?

— Mi preoccupo di aumentare i miei affari invece di pagare il salario dovuto per la  vita dei miei dipendenti?

— Ho passato molto tempo rifiutando di far l'elemosina ai poveri, ai bisognosi, ai  derelitti?

— Sono convinto che nel giorno della mia morte l'unico possesso che io avrò sarà  quello che avrò dato, appunto perché il merito di quello che ho dato sarà ancora con  me?

— Specialmente, ho meditato e medito su due insegnamenti del Maestro? « Non  raccogliete tesori sulla terra, dove la tignuola e la ruggine consumano e dove i ladri  bucano le pareti e rubano. Ma, invece, raccogliete tesori in cielo, dove la ruggine e la  tignuola non consumano e dove i ladri non bucano le pareti e non rubano » (S.  Matteo, 6, 19-20). «Cercate pertanto in primo luogo il regno di Dio e ciò che conduce  al regno, e tutte queste cose vi saranno date in più ». (S. Matteo, 6, 33).

Invidia.

L'invidia è sentirsi scontenti del bene altrui; è un desiderare l'abbassamento del bene  altrui, come se fosse un affronto alla nostra superiorità.

— Ho io manifestato invidia con l'abbassare gli altri, mediante piccoli accenni,  mezze verità, ricerca di difetti, attribuzioni di falsi motivi?

— Mi sono rallegrato per sfortune altrui?

— Mi sono sforzato di curare la gelosia con il pregare per coloro dei quali sono  geloso?

— perché non ho considerato le belle qualità del prossimo come occasione  d'imitazione anziché d'invidia, aumentando in tal modo il benessere dell'umanità e la  gloria di Dio? Udite S. Paolo : « Se voi vi morderete e vi divorate l'un l'altro, state in  guardia di non consumarvi l'un l'altro ». (Ai Galati, 5, 15).

— La mia simpatia per i poveri è ispirata dall'amore per essi o non piuttosto  dall'odio per i ricchi?

Ira

L'ira è ingiusta quando consiste in un desiderio violento e disordinato di punire.  Spesse volte è accompagnato dall'odio che cerca non solo di respingere l'aggressione;  ma di prendere vendetta.

— Sono io impaziente con gli altri? Mi abbandono a scatti di nervoso, a frasi  taglienti e sarcastiche, quando la mia volontà è contrastata?

— Trovo scuse per essere stato provocato da altri; mentre non ammetto le stesse  scuse per essere altri provocati da me?

— Pratico la pazienza che consiste nel pensare prima di parlare e nel parlare a se  stessi, per giudicare l'effetto che le parole fanno sugli altri?

— Mi son mai domandato in qual modo Dio perdonerà i miei peccati, se io non  perdono quelli degli altri?

— Sono convinto che l'essere io trasportato all'ira è un segno di egoismo e che il  mio carattere è conosciuto dalle cose che io odio? Se io amo Dio, odierò il peccato.  Se amo il peccato, odierò la religione. Ecco il profondo senso di queste parole del  Maestro: «Non giudicate alfine di essere anche voi giudicati». (S. Matteo, 7, 1). 

Gola.

La gola è l'abuso di quel piacere lecito che Dio ha unito al mangiare e al bere,  ambedue condizioni necessarie per conservare la vita. Il nutrirsi diventa peccaminoso  quando ci rende incapaci di compiere i nostri doveri, quando danneggia la salute,  quando compromette gli interessi degli altri.

— Ho io indotto altri a l'ubriachezza?

— Come cattolico, ho violato le leggi della Chiesa che riguardano il digiuno e  l'astinenza?

— Ho fatto attenzione che il principale danno del cosidetto « Cocktail » o la  frequenza dei bar non consiste in un completo avvelenarsi, ma nel rendere materiale  la vita e nel perdere la nozione dei valori spirituali?

— Mi sono convinto che i doni di Dio del mangiare e del bere e delle altre  necessità sono altrettanti mezzi e non fini; che cioè essi mi furono dati per rinnovare  la mia forza onde mettermi al servizio di Dio? Sapienti le parole di S. Paolo: « Sia  che voi mangiate, sia che voi beviate, sia che facciate qualunque altra cosa, fate ogni  cosa per la gloria di Dio ». (I ai Corinti, 10,31).

Accidia.

L'accidia è una malattia della volontà che fa trascurare i doveri. Prende un aspetto  fisico quando si manifesta con la pigrizia, col tramandare, con l'ozio, con  l'indifferenza. Prende un aspetto spirituale, quando si manifesta con il disgusto per le  cose dello spirito, con la fretta nelle divozioni, con la tiepidezza religiosa e con la  negligenza nel coltivare nuove virtù.

— Sono inclinato ad accettare opinioni già fatte dai propagandisti, invece di  esaminarle da me stesso nella prospettiva della storia e della morale?

— Trovo scuse nel mio prendere il cristianesimo come troppo difficile e non  accettabile, secondo lo spirito del secolo ventesimo?

— Mi occupo seriamente per aumentare il mio patrimonio spirituale?

— Ho trascurato i miei doveri verso Dio?

— Sono assiduo alla preghiera?

Parole di S. Paolo al discepolo Timoteo, parlando di certe cristiane: «Sono oziose,  vanno girando per le case; sono cianciatrici, curiose, chiacchierone in modo  sconveniente ». 1, 5-13).

Impurità.

L'impurità è un amore disordinato dei piaceri sessuali. Come Dio ha unito il piacere  al mangiare e al bere, per la conservazione della vita individuale, così ha unito un più  grande piacere alla sessualità, per la conservazione della vita sociale e del Regno di  Dio sulla terra.

Il piacere sessuale diventa peccaminoso, quando è usato come un fine esclusivo  anziché come un mezzo. Per questa ragione, l'impurità è l'indisciplina dell'amore; è l'amore pervertito. Esso ha di mira non il bene degli altri; ma il piacere di se stesso.  In certo modo l'amore pervertito spezza il bicchiere per rubare il vino e spezza la lira  per rubare la musica.

— Ho acconsentito a pensieri impuri?

— Se è male commettere certe azioni, mi sono trattenuto in esse col pensiero?  Tremende parole del Maestro : « Chiunque guarderà una donna con sentimento  impuro, nel suo cuore ha già commesso adulterio con essa». (S. Matteo, 5, 28).

— Ho incoraggiato altri a peccare, mediante pensieri, parole, azioni?

— Ho violato la purezza col pensiero, colle parole o con le opere?

— Mi sono sforzato di coltivare un amore più alto, per sublimare l'amore più  basso?

L'onestà sessuale è un peso soltanto per coloro che hanno perduto il senso dei diritti  altrui. Tremende parole del Maestro : « Chi fa il peccato è schiavo del peccato ». (S.  Giovanni, 8, 34).

Luminose parole del Maestro: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ». (S.  Matteo, 5 8).

Luminose parole di S. Paolo: «Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo  spirito di Dio abita in voi ». (I Ai Corinti, 3, 16).

« Per i puri tutte le cose sono pure ; ma per gli impuri e per gli infedeli niente è puro,  perché la loro mente e la loro coscienza è corrotta ». (A. Tito, 1, 15).

«Vi scongiuro, o fratelli, per la misericordia di Dio affinché offriate i vostri corpi  come un vivente sacrificio, santo, gradito a Dio, spirituale adorazione ». (Ai Romani,  12, 1).

Luminoso pensiero di San Pietro!

« Carissimi, vi scongiuro di comportarvi come stranieri e pellegrini col trattenere voi  stessi dai desideri carnali che fanno guerra contro l'anima ». (Prima S. Pietro, 2, 11).

FULTON J. SHEEN

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