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mercoledì 27 luglio 2022

Il Dogma dell'Inferno. - Il negare l'Inferno è braveria da insensato.

 


Il negare l'Inferno è braveria da insensato. 

Si danno sciagurati, o per dir meglio insensati, i quali nel delirio di loro empietà osano beffarsi  dell'Inferno dicendo, ma solo a fior di labbra, che la coscienza loro vi protesta contro con un'aperta  mentita. Collot d'Herbois, famigerato per la sua empietà egualmente che per la sanguinaria ferocia,  fu l'autor principale dei macelli di Lione nel 1795, ove perirono da mille e seicento vittime. Nel  1799 venne rilegato a Caienna e continuava esalando la rabbia sua infernale col bestemmiare ogni  cosa più santa. Il minimo atto di religione, la minima apparenza di cristiana pietà, riusciva oggetto  de' suoi scherni, ed avendo una volta veduto un soldato segnarsi, gli gridò: «Imbecille! ancora tu  credi alla superstizione? Non sai che il buon Dio, la Vergine, il Paradiso, l’Inferno sono invenzione  della maledetta razza dei preti?» Poco appresso ammalò; pativa violenti dolori, ed in un accesso di  febbre trangugiò d'un tratto una bottiglia di liquore, onde il suo male aggravossi a segno, che egli si  sentiva come bruciare le viscere da un fuoco divorante. Mandava urli spaventosi, invocava Dio, la  Vergine, un sacerdote in suo aiuto. Come! domandò il soldato, voi un prete? Voi temere l'Inferno?  Non imprecavate al prete? Non vi burlavate dell'Inferno? ahimè, diss'egli allora, la mia bocca  mentiva al mio cuore! Così a non molto spirò, vomitando bava e sangue. 

   Il fallo seguente accadde nel 1857. Un sottotenente, entrato nella chiesa dell'Assunzione a Parigi,  vide un sacerdote inginocchiato presso un confessionale; e com'egli avea per abito di fare oggetto  de' suoi scherni ogni cosa di religione, pensò di prendersi sollazzo; fingendo di volersi confessare.  Onde accostatosi al prete dimandò: Reverendo, vorreste voi confessarmi? Volentieri, rispose quegli,  confessatevi pure liberamente. - Ma bisogna che prima vi dica esser io un peccator singolare. - Non  importa; il sacramento di penitenza è istituito per ogni sorta di peccatori - Ma io non credo più che  tanto alle cose di religione. - Vi credete più di quello che pensate. - Vi credo? Io? Me ne rido di  tutto - Vedendo allora il sacerdote che si trattava di una beffa, rispose sorridendo: Vi ridete di tutto?  Anche di me? - Il finto penitente sorrise anch'egli. Ascoltate dunque, ripigliò l'altro, poiché non fate  davvero, lasciamo da parte la confessione, e se vi piace facciamo un po' di conversazione. Io amo  assai i soldati, e poi voi mi avete l'aria di buon figliuolo. Ditemi, qual è il vostro grado? -  Sottotenente - Fino a quando? - Per due, tre, forse anche quattro anni. - E poi? - Salirò a tenente, - E poi? ­ Spero di riuscire capitano - E poi? - Tenente colonnello. - E poi? - Colonnello. ­ Quanti anni avrete allora? - Dai quaranta ai quarantacinque. - E poi? - Sarò promosso generale di brigata. - E  poi? - Se vado più su, potrò esser generale di divisione. - E poi? - E poi rimane solo il bastone da  maresciallo; ma tanto non pretendo. - Sia, con bene. Ma e non pensate voi di collocarvi? ­ Anzi, quando sarò ufficiale superiore. - Benissimo! Eccovi sposo, ufficiale superiore, generale, forse  anche maresciallo di Francia, chi sa? E poi? - E poi? Per fermo, io non ne so altro. - Vedete cosa  singolare? disse allora il prete in tono sempre più grave. Voi sapete ciò che avverrà fino a quel  punto, ed ignorate ciò che verrà appresso. - Ebbene, lo so io, e ve lo dirò. Appresso, voi morrete, voi  sarete giudicato, e se continuate a vivere così, andrete dannato a bruciare nell'Inferno Questo verrà  appresso. - A questo termine, parendo che il giovane annoiato mirasse a bellamente svignarsela: Un  momento, signor mio, disse il sacerdote. Voi sentite il punto d'onore, ed io pure: e poiché non potete  negare di aver mancato con me, mi dovete una riparazione. Ve la domando ben semplice. Prima di  coricarvi, direte per otto giorni: Un giorno io morrò, ma me ne rido; dopo morto sarò giudicato, ma  me ne rido; dopo giudicato andrò perduto, ma me ne rido; dovrò abbruciare nell'Inferno  eternamente, ma me ne rido! Ecco tutto; ma voi dovete darmi parola d'onore di non mancarvi. La  date? L'ufficiale, per liberarsi da quella noia, promise. Venuta la sera, si mise alla prova: Io morrò,  dicendo; sarò giudicato... ma non gli bastò l'animo di aggiungere: Me ne rido. Né gli otto di erano  scorsi, che tornò alla chiesa stessa, si confessò seriamente, tornando dal sacro tribunale col volto  bagnato di lagrime, col cuore innondato di gioia. 

    Una giovane, fattasi per colpa del brutto suo vivere incredula, non cessava di aguzzare la rea  lingua contro la religione e di metterne in ridicolo le più terribili verità. Giulietta, le dissero un  giorno, la vuoi finir male; Dio si stancherà delle vostre bestemmie, e ne sarete castigata. Ih, rispose  colei procacemente, ben poco me ne do pensiero! Chi è tornato a dirci che avviene di là? Men di otto giorni appresso la fu trovata in camera senza verun segno di vita e già fredda, laonde giudicata  per morta, fu messa nella bara e sotterrata. Il giorno dopo, venuto il becchino a scavare presso la  fossa della infelice Giulietta, ode romore, come di chi ne percotesse la cassa. Appressa tosto al  suolo l'orecchio, e di fatto sente una cupa voce gridare aiuto! aiuto! Le autorità vi sono chiamate, si  apre per ordine loro la fossa, se ne ritrae e dischioda la cassa, cessa ogni dubbio, la donzella era  stata sepolta viva. I suoi capegli erano scarmigliati, sconvolto il lenzuolo mortuario, il volto  sanguinava. Mentre la disciolgono e pongono al cuore la mano per accertarsi se ancor palpitasse,   ella manda un sospiro come persona da gran tempo priva di aria, poi apre gli occhi, fa uno sforzo  per sollevarsi e dice: Dio mio vi ringrazio! E come ebbe ripreso bene i sensi e ricuperate con un  poco di cibo le forze, aggiunse: Quando rinvenni entro la fossa, e riconobbi la spaventosa verità del  mio sotterramento, e dopo mandate grida, cercato di sforzare la cassa, percossa la fronte contro le  tavole, vidi che tutto era inutile, la morte mi si fece presente con tutti i suoi orrori: ma la morte  temporale mi sgomentava meno assai della morte eterna; vedea chiaramente che andava dannata...  Dio mio, troppo lo avea meritato! Allora pregai, gridai, aiuto, riperdetti i sensi, fino al momento che  li riacquistai disseppellita. O bontà del mio Dio! diceva ella versando lagrime, io vi avea  disprezzato; voi mi avete punita, ma nella vostra misericordia; non son più quella; credo, mi  pento!Chi nega l'Inferno, sarà ben presto sforzato ad ammetterlo, ma ohimè, troppo tardi! Il padre  Nieremberg, nel suo libro Differenza tra il tempo e l'eternità, parla di uno sventurato peccatore, che  per effetto de' suoi disordini avea perduta la fede. La buona sua moglie esortavalo a tornare a Dio,  rammentandogli l'Inferno; ma egli rispondeva ostinato: Non vi è Inferno. Un giorno ella lo trovò  morto, e, cosa strana, con in mano una misteriosa carta, ove a grandi caratteri era scritta la terribile  confessione: Ora so che vi è l'Inferno! 

del R. P. SCHOUPPES S.J.

lunedì 6 dicembre 2021

Il Dogma dell'Inferno

 



Apparizioni di Reprobi. 

Santo Antonino arcivescovo di Firenze, riporta ne' suoi scritti un terribil fatto, accaduto nel  decimoquinto secolo, con ispavento di tutto il settentrione d'Italia. Un giovinetto tra i sedici e  diciassette anni, avendo taciuto un grave peccato in confessione, e poi così comunicatosi, avea  differito di settimana in settimana, di mesi in mesi, l'accusa dell'orrendo suo sacrilegio; e sebbene  tormentato dal rimorso, in luogo di scoprire con semplicità la sua disgrazia, si studiava di  tranquillarsi facendo di gran penitenza, ma indarno. Non potendo più reggere, entrò in un  monastero, dove almeno, si riprometteva egli, avrebbe detto tutto ed espiare le spaventose sue  colpe. Per sua sventura vi fu accolto dai superiori, che lo conosceano di fama, come soggetto di rara  virtù, e di qui venne a crescere in lui vergogna. Così egli durò un anno, due, tre nel doplorabile suo  stato, senza osar mai di svelarlo. Sopravvenne alfine una malattia che sembrò agevolargliene il  modo, ed egli disse: Voglio palesar tutto, voglio prima di morire far una buona confessione. Ma pur  troppo venuto al punto, anzichè manifestare sinceramente i suoi falli, li palliò di maniera che il  sacro ministro non ne poté intender niente. Sperava il misero di porvi riparo il domani, ed intanto in  un accesso di delirio inaspettatamente morì. La Comunità, ignara di quello che era, si sentiva  compresa di venerazione per lo defunto, sicché il cadavere ne fu trasferito con ogni solennità nella  chiesa e lasciato esposto in coro fino al mattino seguente, in cui doveansi celebrare i funerali. Ma  che? pochi momenti prima dell'ora a ciò fissata, uno di que' Religiosi, mandato a suonar la  campana, di colpo si vede innanzi il trapassato, carico di roventi catene, e con tutta la persona come  incandescente. Si spaventò il poveretto, e caduto in ginocchio tenea fisso lo sguardo nella orribile  apparizione. Allora gli disse il riprovato: «Non pregate punto per me, che sono all'Inferno per tutta  la eternità!» E qui si fece a raccontare la storia lagrimevole de' suoi sacrilegi e della sua sciagurata  vergogna. Dopo ciò disparve, lasciando nella chiesa un odore infetto, che si sparse anche per tutto il  monastero, come a testimonianza della verità delle cose udite dal Religioso. Onde avvisatine i  Superiori, fecero tosto levar via il cadavere, come indegno della ecclesiastica sepoltura. 

    Dopo citato questo esempio nel suo opuscolo sull'Inferno, monsignor de Sègur aggiunge: Nel  nostro secolo, tre fatti somiglianti, certissimi quanto mai, sono venuti a mia conoscenza. Il primo  ebbe luogo quasi nella mia famiglia, e fu a Mosca in Russia, poco prima dell'orrenda Campagna del  1812. Il mio avo materno, conte di Rostopchine governatore militare di quella città, era molto  intrinseco del generale conte Orloff, empio del pari che valoroso. Or questi una volta, dopo cenato  col generale V... suo amico e volteriano come lui, prese con esso a beffarsi orribilmente della  religione e sopratutto dell'Inferno. Peraltro, venne a dire, peraltro, e se vi fosse qualche cosa al di là  della cortina?... Allora, rispose il compagno, chi di noi se ne andrà il primo, vengane a dar notizie  all'altro. Siamo intesi? Egregiamente! conchiuse l'Orloff; ed ambedue s'impegnarono sul serio a non  mancar di parola. Alcune settimane appresso scoppiò la guerra, l'esercito russo si mise in campo, ed  il V. ricevette ordine di partire immantinente con un comando di grande rilevanza. Da due o tre  settimane avea lasciato Mosca, quando una mattina di buonissima ora, mentre il mio avo si vestiva,  bruscamente si apre l'uscio di sua stanza, ed ecco il conte Orloff, in veste da camera, in pianelle,  coll'occhio impietrito, pallido come un cadavere. Come! Orloff, voi! a quest'ora? in tale abito? che  avete? che vi accade? Oh mio caro, risponde il Conte, credo d'impazzire! Ho veduto testè il  generale V. - Il generale V.? È dunque tornato? Ah! no, ripiglia Orloff, gittandosi sopra un sofà e  stringendosi la testa fra le mani, non è tornato, no; e questo appunto mi spaventa! - Il mio avo non  intendea nulla, e cercava di calmarlo, dicendo: Su, dite, che vi accade? Io non capisco! Allora il  Conte, sforzandosi di reprimere la sua commozione, così raccontò: Il Rostopchine mio caro, poco  tempo fa il V... ed io ci eravamo dato parola giurata, che il primo di noi a morire venisse a dire  all'altro, se alcuna cosa vi è al di là del tendone, Or ecco, stamane, non è anche mezz'ora, stando io a  letto, desto da gran tempo, non pensando per niente all'amico, di tratto mi si aprono le cortine, e mi  vedo a due passi il general V., pallido, colla destra sul petto, che mi dice: «Un Inferno vi è, e vi  sono!» e così disparve. «Io sono venuto a voi subitamente; la mia testa se ne va; quale strano  evento! non so che pensarne!» L'avo mio lo acquietò del suo meglio; ma non era facile impresa. Gli parlò di allucinazioni, di asma notturno, di possibilità che dormisse, ed altrettali fanfaluche, e poi lo  fece ricondurre nel proprio calesse a casa. Intanto trascorsi dieci o dodici giorni; un corriere arreca  dal campo fra le altre notizie anche quella della morte del generale V., il quale uscito per  riconoscere le posizioni del nemico, caduto era trapassato da una palla di cannone, in quel giorno ed  ora precisa che comparve al conte Orloff. Vi è un Inferno, ed io vi sono! ecco le parole di qualcuno  che ne è ritornato. 

   Il secondo fatto è il seguente, narrato al Segur nel 1859 da un venerando sacerdote, superiore di  ragguardevoli Comunità. Durante l'inverno 1847-48, dimorava in Londra una vedova Dama di circa  ventinove anni, ricca molto e molto mondana. Tra coloro che ne frequentavano la casa era un  giovane signore, la cui soverchia assiduità e mal regolati diportamenti non poco nuocevano alla  buona riputazione di lei. Una notte leggeva ella sul proprio letto non so quale romanzo; ma udito  scoccar l'ora, spense il lume per pigliar sonno. Ed ecco a suo grande stupore, una strana luce  biancastra, che parea venir dalla porta della sala, e lentamente diffondendesi per la stanza, a  ciascuno istante si aumentava. Rimase la donna sulle prime attonita, non sapendo che fosse, ma poi  cominciò a sgomentarsi; quando vide a poco a poco aprirsi la porta nell'attigua sala e per essa  entrare il giovin signore suo complice Il quale, prima ch'ella potesse dire pur sillaba, le fu da presso,  ed afferratala per la giuntura della man sinistra, con voce stridente esclamò: Vi è un inferno! La  misera ne risentì al braccio tale dolore che svenne. Riavutasi dopo una mezz'ora, suonò alla  cameriera, la quale al primo ingresso sentì odore d'abbrustolito, e fattasi vicino alla padrona, che a  stento potea parlare, le scoperse intorno al braccio una scottatura profonda fino a all'osso, larga  quanto la mano di un uomo. Inoltre osservò che dalla porta al letto, e dal letto alla porta, il tappeto  era impresso da vestige di piè umano, che ne aveano bruciato il tessuto da parte a parte, ed al di là 

in sala scomparivano affatto. Il dì appresso l'infelice Dama riseppe, con un terrore facile ad  immaginare, come la notte precedente, ad un'ora, quel signore erasi trovato briaco fradicio sotto la  tavola, e portato dai domestici nella sua stanza, tra le loro braccia era spirato. Io non so, aggiunge  quel superiore, se così terribil lezione abbia convertito la sciagurata femmina, ma ben so ch'ella vive  ancora, e per sottrarre agli sguardi le tracce della funesta sua bruciatura, portasi a guisa di smaniglia  un largo nastro d'oro al polso manco, né lo depone giammai. Questi particolari, lo ripeto, tengo da  un prossimo parente di lei, cristiano assai di proposito, alla parola del quale io presto fede  pienamente. In sua famiglia non se ne parla mai, ed anche a voi lo confido tacendone al tutto i nomi  delle persone. Ed io, ancora conchiude il Ségur, nonostante l'arcano onde si volle coperto il fatto,  giudico non potersene menomamente chiamare in dubbio la terribile autenticità. 

   Il terzo caso arrecato dallo stesso scrittore è questo. Nel 1873 pochi dì prima dell'Assunzione ebbe  luogo in Roma una di quelle apparizioni che confermano sì efficacemente la verità dell'Inferno. Una  casa di peccato, aperta colà dopo l'invasione savoina, era situata presso l'ufficio di questura, ed una  delle miserabili abitatrici, feritasi una mano, dovette trasportarsi all'ospitale della Consolazione,  dove qual che ne fosse la causa, ella durante la notte inaspettatamente morì. Nello stesso punto una  delle sue compagne, ignara certo dell'avvenuto allo spedale, si mise a gridare disperatamente, per  modo da mettere in iscompiglio la casa, da destare i vicini, da far correre le guardie di polizia. Che  era mai? La morta nello spedale erale apparsa circondata di fiamme, dicendo: «Sono dannata! Se tu  non vuoi essere come me, esci da questo infame luogo, e fa ritorno a Dio!» Niente poté calmare lo  spavento di quella meschina, che al rompere dell'alba se ne fuggì, lasciando le altre disgraziate  immerse nello stupore, sopratutto dacché riseppero la morte dell'altra compagna. In questi fatti, la  padrona del luogo, garibaldina esaltata e come tale riconosciuta fra' suoi, caduta inferma fa ben  tosto chiamare un sacerdote per provvedere all'anima sua. Ci venne il degno prelato monsignor  Sirolli, parroco di San Salvatore in Laura, il quale prima di ogni altra cosa esigette dall'inferma la  piena ed intera ritrattazione delle sue bestemmie contro il Papa e la pronta cessazione del mestiere  infame da lei esercitato. Ella senza esitare acconsentì, fece purgare la casa, poi si confessò e  ricevette il santo Viatico con gran sentimento di penitenza e di umiltà. Sentendosi presso a morire,  come nella notte avvenne, ella supplicava il caritatevole ministro del Signore di non abbandonarla,  per lo continuo spavento in che era, a cagione dell'apparizione di quella dannata figliuola. Tutta Roma ebbe tra breve notizia di questi paurosi avvenimenti; ma gli empi ed i libertini, al loro solito,  se ne beffarono; i buoni ne approfittarono per migliorarsi e mantenersi ancor più fedeli ai loro  doveri. 

del R. P. SCHOUPPES S.J.

giovedì 28 ottobre 2021

Il Dogma dell'Inferno - Manifestazioni dell'Inferno.

 


Manifestazioni dell'Inferno. 


   Come dicevamo, il dogma dell'Inferno appoggiasi all'infallibile parola di Dio, il quale peraltro, in  aiuto della nostra fede, permette misericordiosamente che di quando in quando si appalesi questa  verità in maniera sensibile. E di vero, siffatte manifestazioni sono più frequenti che non si pensa; e  quando vengano con sufficienti testimonianze accertate, si debbono ammettere come ogni altro fatto  della storia. 

    Eccovi uno di tali fatti, provato giuridicamente nel processo della canonizzazione di san  Francesco di Girolamo, e deposto con giuramento da gran numero di testimoni oculari  

   L'anno 1707 predicava il Santo, secondo l'usato, per le contrade di Napoli, parlando dell'Inferno e  dei castighi terribili che attendono i peccatori ostinati. Abitava lì vicino una donna di mala vita, la  quale importunata da quella voce che destava in cuore i rimorsi, cercò di sopraffarla con ischerni e  gridi, accompagnati dal suono di romorosi strumenti. E com'ella stavasi sfrontatamente alla finestra,  il Santo le gridò su: Badate, figliuola, che se voi resistete alla grazia, il Signore prima di otto giorni  vi punirà! Ma la infelice seguitò anche peggio. Trascorsi gli otto giorni, il Servo di Dio tornò a  predicare di rimpetto alla medesima casa, che questa volta era in silenzio, a finestre chiuse; e gli  uditori costernati gli si fanno incontro dicendo: Caterina, tal era di nome la mala femmina, è morta  subitaneamente poche ore sono. È morta! rispose il Santo; ebbene, or ella ci dirà che abbia  guadagnato a beffarsi dell'Inferno. Su, andiamo ad interrogarla. - Le quali parole, scolpite con  accento da ispirato misero tutti in aspettazione di un miracolo. Ed egli, seguito da gran folla, sale di  presente al camera mortuaria; dove fatta breve preghiera, scopre la faccia della estinta, chiedendo a  gran voce: Catterina, di' ove ora tu sei! A tale domanda, la morta solleva il capo aprendo le truci  pupille, si ricolora in volto, contrae i lineamenti in aspetto di orribile disperazione e con lugubre  voce risponde: All'Inferno, sono all'Inferno! E ripiomba cadavere. - Io fui presente a tale spettacolo,  depone uno dei testimonii nei processi, ma non potrò mai spiegare l’impressione da esso prodotta in  me e negli astanti; né quella che provo tuttora, ogni qualvolta passo davanti a quella casa e riguardo  a quella finestra, parendomi udire risonar tuttavia da quella sinistra dimora il grido lugubre: 

All'Inferno, sono all'Inferno! 

    Radbodo re dei Frisoni, del quale si parla nella storia ecclesiastica al secolo ottavo, avea detto a  san Vulfrando di non temere l'Inferno, e di volervi essere coi re suoi antenati ed altri illustri  personaggi, aggiungendo: Del resto, potrò sempre ricevere il battesimo più tardi. Signore, gli  rispose il Santo, non trascurate la grazia offertavi, mentre quel Dio che offre perdono al peccatore,  non gli promette il domani. - Il re non diede ascolto e differì la conversione; ma un anno appresso,  saputo l'arrivo di san Villibrordo, gli andò un messo pregandolo di venire in corte a battezzarlo.  Troppo tardi, rispose il Santo all'inviato, il vostro signore, dopo la vostra partenza, è morto. Ha  sfidato il fuoco eterno, e vi è caduto. Questa notte appunto l'ho io visto carico di ardenti catene in  fondo all'abisso. 

    Ecco un'altra testimonianza di oltre tomba. Afferma la Storia che trovandosi san Francesco  Saverio in Cangoscima nel Giappone, vi operò gran numero di miracoli, tra i quali il risorgimento di  una illustre donzella, morta nel fiore degli anni, lasciando in estrema desolazione il genitore, che per  essere idolatra non potea riceverne conforto alcuno da' suoi. Prima però dei funerali, venuti a  visitarlo due, neofiti lo consigliarono a cercare soccorso dal Servo di Dio; domandandogli con  fiducia la vita della estinta figliuola. Così persuaso il pagano non essere niente impossibile al bonzo  di Europa, cominciò a sperare contro tutte le umane apparenze; laonde condottosi al Santo, gli si  gitta lagrimoso appiedi, supplicandolo di restituirgli viva l'unica figlia testè perduta, il che  tornerebbe un rendere al padre medesimo la vita. S'impietosì a tanta fede e cordoglio il buon Santo,  si ritrasse a pregare col compagno Fernandez, e poco appresso tornato: Andate, disse al desolato  genitore, la figliuola vostra è viva. L'idolatra che sperava dovesse il Saverio venire da lui ed  invocare il nome del Dio dei cristiani sul cadavere della defunta, ebbe la risposta per una beffa, e se  ne dipartiva malcontento; ma fatti alcuni passi, ecco un suo domestico gli corre incontro, gridando  con trasporti di gioia che la figliuola era viva; e ben tosto gli venne innanzi lei stessa. La quale dopo i primi abbracciamenti raccontò, come appena spirata due orribili demoni aveano ghermita l'anima  sua per gittarla in un abisso di fuoco; ma due uomini di aspetto venerando e modesto l'aveano loro  strappata di mano, rendendola al corpo, non sapea dirne il come. Il padre bene intese chi fossero i  due uomini, e di presente menò la figliuola dal Santo a ringraziarlo di tanto favore. Questa, subito  visto il Saverio ed il compagno, esclamò; Ecco i miei due liberatori! e nello stesso punto la figlia ed  il Padre domandarono il battesimo. 

   Nella vita del venerabile Bernardo Colnago, morto gesuita in Catania l'anno 1611, si legge che per  mantenersi ognor viva in cuore la memoria della morte, sì efficace a condurre una santa vita, si  tenea dinanzi nella sua cameretta un teschio collocato su picciola base. Or una volta gli cadde in  pensiero, come quello poteva essere stato di un'anima già ribelle a Dio, ed allora oggetto della  collera di lui. Pregò adunque il Giudice supremo d'illuminarlo intorno a tale dubbio, facendo  tremare il cranio, se lo spirito che avealo avvivato bruciava nell'Inferno. Non avea compiuto la  breve preghiera, e quello si agitò con orribile tremito, segno evidente che era cranio di un riprovato.  - Questo santo Religioso godette di straordinarii favori celesti, fra' quali di conoscere i secreti delle  coscienze, e talvolta i decreti della Giustizia divina. Un giorno il Signore gli rivelò la perdita eterna  di un giovinastro, che formava la desolazione del proprio parentado, L'infelice; dopo essersi  abbandonato ad ogni disordine, venne ucciso da un suo nemico. La madre, compresa per così trista  fine da gravi timori sulla eterna salute del figliuolo, prega il Colnago di farle sapere dove si trovasse  quell'anima; ed egli, malgrado le più vive istanze, non rispose parola, mostrando col suo silenzio di  non aver nulla di consolante a dire. Ma poi ad un amico, che gli chiedea, perché non avesse risposto  a quell'afflitta madre, disse apertamente di non averla voluta affliggere di vantaggio, mentre il  disonesto giovane era dannato, come il Signore glielo avea nell'orazione dato a vedere, sotto un  aspetto schifoso e spaventevole. 

   Il 1 agosto 1645, morì nel collegio di Evora in odore di santità il fratello Antonio Pereira, la cui  vita è delle più straordinarie che si leggano negli annali della Compagnia di Gesù. Nel 1599, cinque  anni dopo il suo ingresso nel noviziato, fu colto da mortale malattia nell'isola di San Michele, una  delle Azori, e pochi momenti appresso ricevuti gli ultimi sacramenti, sotto gli occhi dell'intera  comunità presente alle sue agonie, parve rendesse l'anima, riducendosi a freddo cadavere. Solo un  leggerissimo palpito di cuore, appena sensibile, impedì che si pensasse tosto a seppellirlo, e così fu  lasciato disteso sul suo letticciuolo per tre giorni. Quand'ecco al quarto, mentre i segni di  putrefazione apparivano evidenti, egli di tratto apre gli occhi, respira e parla. Allora il padre Luigi  Piyneiro suo superiore gli ordina per ubbidienza di raccontare ciò che gli avvenisse dopo gli ultimi  tratti dell'agonia, ed eccone in breve la relazione da lui scritta poscia di propria mano. 

«Primieramente io vidi dal letto di morte il mio padre sant'Ignazio in compagnia di alcuni nostri  Padri del cielo, il quale venia a visitare i suoi figliuoli ammalati, cercandovi coloro che a lui  sembrassero degni di essere offerti da sé e dai compagni a nostro Signore. Quando egli mi venne  vicino, io credetti un momento che mi menerebbe seco, ed il mio cuore balzò di allegrezza; ma di  presente egli mi palesò in che dovessi correggermi prima di conseguire un sì gran bene». Allora  tuttavia l'anima del Fratello, per arcana disposizione di Provvidenza, se ne spiccò  momentaneamente dal corpo, e subito alla vista di un branco di orribili demonii si riempì di  spavento. Ma nel tempo istesso l'angelo suo Custode e santo Antonio di Padova suo protettore,  discesi dal cielo, misero in fuga i nemici, che le si precipitavano sopra, e la invitarono a venire con  loro a veder e gustare per brev'ora un saggio delle gioie e dei dolori della eternità. «Essi dunque,  seguita egli, mi condussero verso un luogo di delizie, dove mi mostrarono una corona di gloria  incomparabile, ma da me non ancora meritata: poi sull'orlo del pozzo di abisso io vidi le maledette  anime piombare nel fuoco eterno, alla maniera del grano gettato sotto una macina girante senza  posa; la voragine infernale era come una divampante fornace, dove per intervalli rimanea la fiamma  come soffocata sotto l'ammasso delle legna precipitatevi, delle quali alimentandosi si rilevava poi  con violenza maggiore».  Condotto quindi il Pereira al tribunale del Giudice divino, si udì  condannato al fuoco del Purgatorio, e niuna cosa di quaggiù, assicura egli, varrebbe di farci  comprendere ciò che là si patisce, né l'angoscia prodotta dalla brama prolungata di godere Iddio e la beatissima sua presenza. Pertanto, dappoichè per ordine di Dio fu egli tornato in vita, né i nuovi  dolori del male, continuato per sei interi mesi e vinto solo colla cura del ferro e del fuoco, né le  terribili penitenze di quarantasei anni appresso, non bastarono a calmare la sua sete di patimenti e di  espiazione; perciocché «Tutto questo, diceva egli, era un niente verso quello che la giustizia e la  misericordia infinita del Signore mi ha fatto, non solamente vedere, ma sentire». Finalmente come a  sigillo autentico di tante meraviglie, il Fratello svelò al Superiore i particolari disegni della  Provvidenza sul ristabilimento del regno di Portogallo, come un mezzo secolo dopo avvenne  precisamente secondo la predizione. Ma si può francamente aggiungere che la pruova più sicura di  tutti questi prodigi si è la stupenda santità verso la quale il Pereira non cessò mai pure un giorno di  sollevarsi. 

del R. P. SCHOUPPES S.J. 

lunedì 18 ottobre 2021

Il Dogma dell'Inferno.

 


I. - Il Dogma dell’Inferno. 


   Il dogma dell’Inferno è la verità più terribile di nostra fede; e noi ne siamo certi come  dell’esistenza di Dio e dell'esistenza del sole; non vi essendo verità più chiaramente rivelata che  quella dell'Inferno, da Gesù Cristo ben quindici volte affermata nel suo Vangelo. 

   Nel che la ragione viene in aiuto della rivelazione; mentre l'esservi un Inferno si accorda colle  immutabili nozioni di giustizia scolpite nel cuore umano, per modo che sì tremenda verità, rivelata  fino dal principio agli uomini e sì conforme al lume naturale, fu sempre ed è tuttavia riconosciuta da  quanti popoli non andarono per effetto di barbarie sommersi nella più selvaggia ignoranza. 

   Così non fu mai l'Inferno negato né da eretici, né dai giudei, né dai maomettani, e gli stessi gentili,  tuttoché in mezzo a tanti errori ne avessero alterato il concetto, non ne perdettero però mai la  credenza. 

   Alla moderna empietà delirante era serbato il superar quella di tutte le precedenti età col negare  l'esistenza dell'Inferno. Sì, vi sono uomini che si ridono dell'Inferno, o lo mettono in dubbio, o lo  negano apertamente! 

   Si ridono dell'Inferno; come? Ridersi della credenza universale dei popoli, di una dottrina che  riguarda il destino eterno dell'uomo, del supplizio di fuoco da tollerarsi per una eternità! Mettono in  dubbio, o negano anche l'Inferno; ma in un punto di religione non può decidere chi non è giudice  competente; ma non si può mettere in dubbio, e meno ancora negare una credenza stabilita sì  sodamente, senza recare irrepugnabili argomenti. Ora sono essi competenti in materia di religione  coloro che negano il dogma dell'Inferno? o non sono anzi del tutto estranei a quella parte di scienza  che appellasi teologia? e non ignorano per ordinario fino ai primi clementi del Catechismo? 

   Donde viene lor dunque la smania di metter bocca in una questione religiosa, che supera le loro  facoltà? perché tanto ardore in combattere la credenza dell'Inferno? Ah troppo ne va del lor proprio  interesse! Sentono eglino, che se l'Inferno vi è, sarà loro porzione, c vorrebbero pure i miseri che  non vi fosse; quindi pongono sforzi a persuadersi che di fatto non vi è; sforzi che riescono per lo più  ad una specie d'incredulità, la quale in sostanza è un puro dubbio, ma dagl'increduli manifestato con  una negazione. 

   Dicono, non vi è Inferno! E per quali ragioni, negano sì arditamente? Ecco in breve tutte le loro  ragioni e ragionamenti. - Io non credo l'Inferno. - Chi lo afferma, non ne sa nulla. - La vita futura è  questione insolubile, un forse invincibile. - Nessuno è tornato mai dopo morte per attestare che vi  sia inferno. - Qui stanno le pruove tutte dei dottori dell'empietà. Esaminiamole. 

    Io non vi credo. Non credete? E perché non credete voi, non vi è l'Inferno? Per questo solo vostro  capriccio? Se un ladro fosse insensato al punto di negare che vi sia la prigione, la prigione  cesserebbe per questo di essere? ed il ladro non vi potrebbe cadere? 

    La vita futura è un oscuro problema, l'Inferno è un forse. Vi ingannate: il problema è sciolto  pienamente dalla rivelazione, né ombra di dubbio vi rimane. No, no, qui non han luogo i forse, ma  tutto vi è salda certezza: l'Inferno è un fatto di fede, come l'esistenza del genere umano è un fatto  indubitabile di natura. Ma poniamo pure per un istante che vi sia qualche incertezza, sì che possa  dirsi con qualche probabilità: Forse non vi è punto l'Inferno; io domando a chiunque abbia sana  ragione: Chi appoggiandosi a tale semplice forse si esponesse a cader nel supplizio dì un fuoco  eterno, non sarebbe il più insensato degli uomini? 

    Nessuno é tornato dal sepolcro a parlarci dell'Inferno. E se ciò fosse vero, non esisterebbe  l'Inferno? Tocca forse ai dannati il manifestarci che vi è? Tanto varrebbe a dire che ufficio è dei  prigionieri l'attestarci che vi sono prigioni. Ah non è punto necessario che vengano i dannati ad  accertarci esservi l'Inferno; ci basta la parola di Dio, che lo proclama per ammaestramento  dell'uman genere. 

   Ma voi che pretendete, non essere alcuno dei trapassati venuto a parlarvi dell'Inferno, ne siete poi  ben sicuro? Lo dite, lo affermate; ma vi stanno contro fatti storici, accertati, incontrastahili. Né  parlo io qui di Gesù Cristo, disceso all'inferno e risorto da morte: altri morti vi sono che tornarono  alla vita, e reprobi che ci hanno fatto riconoscere la loro eterna riprovazione. Tuttavolta, sia quale si voglia la certezza storica di tali fatti, non è su di essi, ripeto, che intendiamo stabilire il dogma  dell'Inferno; ma sulla parola infallibile di Dio. I fatti però, che qui si arrecano, servono bene a  confermarlo ed a metterlo in maggior luce. 

del R. P. SCHOUPPES S.J.