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venerdì 3 gennaio 2020

L’UOMO NEL DISEGNO DI DIO



3a MEDITAZIONE

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La sessualità possiede un mistero. È vero che si possono fare tutte le analisi che si vogliono, dai  rapporti Kings in poi, sui comportamenti sessuali delle persone; è vero che la si può analizzare dal  punto di vista psicologico, dal punto di vista sociale e tutte queste cose; però la sessualità custodisce  in sé un mistero che è irriducibile, e il suo mistero sta essenzialmente nella capacità che la sessualità  possiede di suscitare amore.
Lʼamore è immensamente di più del sesso, ma la sessualità lo suscita, perché quella percezione  dellʼessere incompleto che è propria della sessualità – la sessualità dice incompletezza, gli organi  sessuali sono mezzi organi, che funzionano solo nel completamento dellʼaltra metà – proprio questa  percezione della propria incompletezza, apre al desiderio e quindi allʼamore: fa chiedere amore ed  esprimere amore. È capace di esprimere amore.
Cʼè evidentemente una dimensione biologica della sessualità: questo non ha niente di misterioso,  è quella che abbiamo in comune con tutti gli animali. Ma cʼè una dimensione umana propria della  sessualità che comprende conoscenza, affetto, progettualità, scelta, amore, dono, condivisione. Credo che il grande compito che allʼuomo viene chiesto è quello di riempire il significato della bio- logia sessuale con una ricchezza di valori umani, con una ricchezza di affetti (non solo di emozioni),  di sentimenti, di esperienza di dono, di amore, di offerta e impegno della propria vita.
Quando il Cantico dei Cantici racconta quella esperienza di ricerca, di amore dello sposo e della  sposa, usa alcune espressioni che sono significative. La prima è quella formula famosa (Ct 2,16): “Il  mio amato è per me e io per lui” che dice la relazionalità e dice la percezione della propria esistenza  come una esistenza “per”: la sessualità deve condurre lì, a percepire la vita così. Ma la cosa interessante  è che questa formula non è altro che la formula di Alleanza, tradotta nel rapporto tra uomo e donna.  La formula dellʼAlleanza è “Io sono il vostro Dio e voi siete il mio popolo”, io sono per voi e voi per  me. Il Signore è per noi e noi per il Signore. Ma il legame delle due formule è significativo perché  vuole dire che la esperienza di comunione tra lʼuomo e la donna ha il suo modello in quella relazione  dʼamore che Dio ha stabilito con gli uomini: è quello il modello.
Si può interpretare lʼuomo a partire dal mondo animale – ricordavo ieri quel libro famoso di Morris, 
“La scimmia nuda” –; si può partire dallʼetologia e interpretare il comportamento dellʼuomo a partire  da lì. La Bibbia, come ho detto più volte, parte al contrario, parte da Dio: se vuoi capire lʼuomo lo  devi vedere sullo sfondo del mistero di Dio, è immagine e somiglianza di Dio. E anche lʼamore uma- no è collocato sullo sfondo dellʼAlleanza tra Dio e gli uomini. Il motivo della fedeltà, il motivo della  dedizione di sé, dellʼamore, etc., ha lì la sua radice ultima.
Il ché evidentemente ci pone davanti ad un compito che è immenso, uno può dire superiore alle nostre  forze (e per molti aspetti lo è). Credo però che perlomeno si possa dire che affascinante lo è: il riuscire  a dare forma allʼesistenza umana e alla sessualità, a dare una forma che sia di spirito umano, anzi di  rivelazione del mistero di Dio, dellʼamore di Dio; è un modo straordinariamente stimolante di pensare  e di vivere i rapporti umani, fino a quella conclusione. 

Ricordate il Cantico:

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è lʼamore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere lʼamore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dellʼamore, non ne avrebbe che dispregio. (Ct 8,6-7)

Ricordate cosa sono i sigilli nellʼantichità: generalmente sono dei cilindretti incisi che si fanno  passare sopra lʼargilla come firma, come segno di appartenenza. La firma si fa facendo passare il ci- lindretto sopra allʼargilla in modo che lasci la sua impronta. E, evidentemente, il sigillo è personale.  Non sono fatti in serie; ciascuno è fatto con lʼimmagine che uno sceglie e che è la sua. Non è fatto in  serie perché il sigillo è la mia firma, quindi deve essere personale. E proprio perché è personale, non  lo lascio mica in giro, lo porto con me, lo porto attaccato al collo, o al polso, in una catenina, in una  cordicella, dove volete, perché è mio, altrimenti se uno me lo porta via può firmare i documenti come  se fossero miei.
“Mettimi come sigillo sopra il tuo cuore, come sigillo sopra il tuo braccio”: la mia identità è unita  indissolubilmente con te, portami con te dovunque, perché ti appartengo e appartengo a te solo.
“Perché forte come la morte è lʼamore, tenace come gli inferi è la passione”; “Le grandi acque  non possono spegnere lʼamore”. Le grandi acque sono quelle dellʼoceano, di quellʼoceano che cir- conda la terra: nemmeno queste, le acque primordiali, le acque della morte, nemmeno queste possono  spegnere lʼamore.
Cʼè dentro un desiderio che accompagna questa esperienza di comunione e cʼè dentro una vocazione a  rendere lʼamore umano ad esserne espressione. Povera, piccola, fragile, limitata; non cʼè bisogno che  ce lo diciamo, anzi, sì perché non pensiamo queste cose qui come semplicemente sogni. Sappiamo che  la realizzazione è faticosa, però è una realizzazione che dà il senso vero alla realtà della sessualità. Faticosa come è faticoso per unʼartista mettere la sua intuizione di bellezza dentro alla materia: un  Michelangelo deve essere capace di mettere lʼintuizione di bellezza dentro alla materia, deve farci  venire fuori “La pietà”. Credo si faccia fatica, bisogna fare molte prove, bisogna purificare, riprovare,  correggere, inventare.
Poi può darsi che non venga fuori un capolavoro perfetto, e che venga fuori con tanti limiti. In realtà a  volte anche quella che sembra imperfezione o incompletezza è, dal punto di vista artistico, uno spet- tacolo: “La pietà Rondanini” non è meno bella, meno espressiva della “Pietà” di San Pietro, anche se  dà lʼimpressione dellʼincompleto, del non realizzato. Ma può darsi che nella vita dellʼuomo, proprio  lì, nellʼincompleto e nel non realizzato ci sia quello che riesce ad alludere meglio alla pienezza di  significato che è quella di Dio.
Lʼuomo, per fortuna, ha questo di bello: che non ci sono delle situazioni così sbagliate nella sua vita  che non possano esprimere, almeno sotto forma di desiderio, sotto forma di pentimento, sotto forma  di anelito, il mistero grande di Dio di cui lʼuomo è fatto a immagine e somiglianza.

Ci fermiamo qui. Lʼesercizio è quello di rivedere, ripensare il modo in cui pensiamo e viviamo la  nostra identità nella dimensione anche della polarità sessuale.
Evidentemente, per quello che riguarda gli sposi lʼesame di coscienza è da fare e si capisce bene,  ma credo che il discorso riguardi un poʼ tutti: quello che è il significato della relazione che noi vi- viamo con lʼaltro sesso, con lʼaltra polarità dellʼesperienza umana, e il verificare se il modo in cui la  pensiamo (già il modo in cui la pensiamo) e il modo in cui la viviamo entra dentro a questa vocazione  che la Parola di Dio ci presenta.

S.E. Mons. LUCIANO MONARI

giovedì 12 dicembre 2019

L’UOMO NEL DISEGNO DI DIO



3a MEDITAZIONE
***
Tenete presente che, per capire il testo, donna è detto in questo caso in ebraico ʼishsha e uomo è ʼish. Sono evidentemente termini che si richiamano, uno sembra il femminile dellʼaltro. In realtà gli studiosi dicono che la questione è più complicata; però dal punto di vista del suono e della percezione di uno che legge, ʼishsha è il femminile di ʼish e quindi quando si dice: la si chiamerà ʼishsha perché da ʼish è stata tolta questa, si capisce immediatamente quello che si vuole dire. Si vuole dire che lʼuomo e la donna sono fatti con lo stesso materiale, sono forme diverse ma della stessa realtà, complementari uno con lʼaltro, uno per lʼaltro, in questo rapporto che è un rapporto di vicinanza, di comunione e di dono di sé.
“Per questo lʼuomo abbandonerà suo padre e sua madre e aderirà a sua moglie e i due saranno una carne sola.”
Dove viene data la risposta a quella domanda sorprendente che dicevo allʼinizio: Da dove viene questa forza che spinge lʼuomo ad incontrare la donna e che è così forte da tagliare i legami con la famiglia di origine? Legami che evidentemente sono profondissimi, sono ampi, ma questo ci introduce dentro a un tema che credo sia fondamentale per capire lʼesistenza dellʼuomo, che è il tema del distacco.

La vita dellʼuomo si realizza attraverso un distacco progressivo. Se il feto non si distacca dalla madre, questo è motivo di morte per lʼuno e per lʼaltro. È vero che quel distacco è doloroso, è vero che il bambino che deve cominciare a respirare in modo autonomo patisce un trauma: ce lo diceva Leopardi ieri, che nasce a fatica e la prima cosa che fa è piangere. Piange per questo trauma che è un trauma inevitabile: il passaggio da una situazione di totale dipendenza a quella di una parziale autonomia; deve respirare per conto suo e questo è un distacco doloroso, come tutti i distacchi. Non esistono distacchi non dolorosi; eppure il distacco fa parte della vita dellʼuomo. Dove il distacco non è conosciuto e vissuto, la vita dellʼuomo isterilisce, muore.
Quel distacco che avviene al momento della nascita continua con il cammino della vita. Il Vangelo di Luca ricorda quellʼepisodio di Gesù a dodici anni, nel tempio di Gerusalemme, che in qualche modo è il segno del distacco dellʼadolescenza, quando i figli incominciano ad avere consapevolezza della loro differenza rispetto ai genitori. Lo fanno anche in modo esagerato, nella cultura contemporanea. 
Lʼadolescenza, per certi aspetti, è una invenzione contemporanea, nellʼantichità non cʼera. Ma il senso di questo distacco e del trauma che questo comporta cʼè ed è fortissimo nei figli, che sono costretti ad affrontare la vita con paura e, dallʼaltra parte, con aggressività, tentando addirittura di esagerare il distacco dai genitori, per cui fanno fatica a tenerli per mano in certi momenti della fase della loro crescita.
Ma questo è inevitabile fino a quel distacco che è il distacco del matrimonio: “Lʼuomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola”.
Il significato è proprio quello di una maturazione dove la propria identità comporta una alterità. La fusione non è possibile: il cammino dellʼuomo non è un cammino che va verso la fusione con qualcuno, ma verso lʼamore. Mentre la fusione toglie la propria individualità, lʼamore la sviluppa come unʼidentità relazionale: sono me stesso “insieme con”, anzi, “in vista di”, “per”, per il rapporto con unʼaltra persona. Tanto che addirittura dice: “Si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola.”
Nonostante quello che sembra a prima vista, il riferimento non è allʼunione sessuale, ma è a tutto quel complesso di relazioni, di conoscenza, di affetto, sʼintende anche di unione sessuale, a tutta la gamma dellʼesperienza coniugale come una relazione che è la più forte che lʼuomo possa sperimentare con qualcun altro. È a questa dinamica di amore che tende alla globalità, alla pienezza, che fa riferimento il Libro della Genesi.

Potete pensare al significato dellʼinnamoramento come superamento della barriera che separa dallʼaltro. Quello che cʼè di affascinante nellʼinnamorarsi sembra essere proprio questo: la percezione che le barriere siano cancellate. Mentre nei confronti di tutti sono costretto ad avere delle maschere, mi sembra di non riuscire ad esprimermi e mi sembra di non riuscire a capire del tutto quello che ho davanti. Quando mi innamoro lʼimpressione è di capire benissimo, che ci sia una luce, una trasmissione, una comunicazione perfetta. Il ché, naturalmente, è illusione; poco alla volta appaiono cose nellʼaltra persona che al momento dellʼinnamoramento non sono chiare, non si percepiscono: si imparano a conoscere le doti, i difetti, i limiti dellʼaltra persona; ci si rende conto che lʼaltra persona è unʼaltra, quindi deve essere riconosciuta e accettata nella sua alterità.

Qui cʼè la grande crisi del cammino della crescita e della maturazione di un rapporto di amore. 
Quando mi rendo conto che tu sei unʼaltra, devo prendere posizione: o ti rifiuto, ti abbandono, perché non sei quello che volevo; e lʼaltra non è mai quello che volevo io, ma è quello che è lei. Posso avere lʼimpressione che sia la principessa che avevo sognato, però dopo mi devo rendere conto che principessa lo è, ma che non è quella che avevo sognato, perché ha la sua esperienza, ha la sua famiglia, ha le sue relazioni, ha il suo modo di agire, di pensare, di costruirsi che non è il mio, non può essere il mio, o cʼè il passaggio a un tipo di rapporto diverso, che è quello dellʼimparare a prendersi cura uno dellʼaltro e a essere contento di prendersi cura uno dellʼaltro.
È il superamento di quellʼamore narcisista che alla fine cerca sempre e solo se stesso, cerca sempre e solo la propria immagine per sentirsi bello e per affermarsi bello, per cui lʼaltro è semplicemente uno specchio, uno specchio in cui voglio vedere me, mi voglio vedere usando la percezione dellʼaltro. Ma questo è amore sterile: il mito di Narciso termina con la sua morte, con lʼannegamento. Perché quello che fa vivere lʼuomo è lʼalterità, è il rapporto con lʼaltro: questo rende la vita dellʼuomo feconda, feconda di futuro e feconda di speranza.
Si tratta ancora di superare quellʼamore che è fondamentalmente amore di consumo, dove lʼaltro diventa lʼoccasione o lo strumento per sperimentare una emozione o una gratificazione o qualche cosa che interessa a me. Cʼè evidentemente anche questo, lʼemozione cʼè, eccome! Ma quando il rapporto di amore diventa un rapporto di consumo, lʼaltro è evidentemente uno strumento.

Rapporto di consumo vuol dire: (ricordate, lo dicevamo lʼanno scorso) sembra che lʼottica con cui noi siamo portati a sperimentare la vita sia, nella gran parte dei casi, unʼottica di consumo. Come se la vita e il mondo fosse un enorme supermercato dove andiamo a comperare i prodotti che ci interessano, i prodotti che servono per rendermi bello, o contento, o mi permettono di avere quelle emozioni e quelle gioie che mi sembrano irrinunciabili nella vita. E questi consumi sono evidentemente i consumi materiali ma sono anche i consumi psicologici, sono anche i consumi relazionali, sociali, politici: anche la politica può essere considerata come una merce di consumo, come uno strumento per riuscire ad ottenere quello che voglio per me.
Ora, quando lʼamore è valutato e sperimentato così, evidentemente lʼaltro viene percepito come prezioso solo fino a quando risponde ai miei bisogni: ho bisogno di compagnia, ho bisogno di gioia, di una spalla su cui piangere. Fino a che ho questi bisogni e tu me li soddisfi  il rapporto funziona, stiamo bene insieme, siamo contenti, affrontiamo meglio la vita.
Ma quando questo viene meno, quando è noioso il rapporto, non è più quello che sognavo, non mi dà più quelle emozioni che mi aveva dato nellʼadolescenza, non mi fa più sognare quello che sognavo qualche anno fa, allora evidentemente il rapporto infiacchisce, perché quello che teneva insieme era semplicemente la quantità di gratificazioni che dal punto di vista sessuale, psicologico, umano, il rapporto mi dava.
Se invece lʼamore diventa il prendersi cura uno dellʼaltro con la scelta di costruire insieme un progetto di vita, – per cui non ho più un progetto di vita individuale – e ne abbiamo costruito uno di coppia. Può accadere evidentemente che questo progetto di coppia vada in crisi, che non riusciamo a realizzarlo, che ci scontriamo con un ostacolo che impedisce di proceder., Ma se abbiamo il progetto non molliamo mica la presa. Quando uno ha un progetto e ha delle difficoltà, cerca di analizzare le difficoltà e di superarle in qualche modo, o di orientare il progetto in una direzione che diventi realisticamente possibile nella situazione concreta che ha davanti, ma non molla mica il progetto, non ricomincia daccapo, come se niente fosse.
Il cambiamento, lʼottica, è questa qui: “lʼuomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola”. Cʼè un unico progetto di vita che realizziamo in due, stando attento uno allʼaltro, prendendosi cura uno dellʼaltro, attraverso un cammino di amore che va verso la maturità.
Perfettamente maturo sarà difficile, ma un rapporto dʼamore narcisista, in cui ciascuno cerca solo se stesso nellʼaltro, è immaturo; un rapporto dʼamore consumista in cui uno cerca nellʼaltro solo la soddisfazione di bisogni o desideri suoi, è ancora immaturo. Quellʼamore che invece gioisce per la vita e per il bene dellʼaltro, questo va verso il senso di responsabilità: ci sentiamo responsabili uno per lʼaltro e tutti e due insieme per la famiglia che abbiamo costruito. Per la famiglia che abbiamo costruito vuol dire per i figli e per tutto quello che sta dentro alla costruzione della nostra vita insieme. Il senso della sessualità nellʼottica biblica è quello.
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S.E. Mons. LUCIANO MONARI


martedì 26 novembre 2019

L’UOMO NEL DISEGNO DI DIO



3a MEDITAZIONE

Abbiamo tentato ieri di cogliere il messaggio biblico sulla realtà del mondo e dellʼuomo come creatura di Dio, riflettendo su quel capitolo 1 del libro della Genesi e dintorni. Cʼè però un elemento che dobbiamo ancora ricordare. Il libro della Genesi dice:

«Facciamo lʼuomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». (Gen 1, 26)

Poi dice:

Dio creò lʼuomo a sua immagine;
 a immagine di Dio lo creò;
 maschio e femmina li creò. (Gen 1,27)

Il ché evidentemente vuol dire che la differenziazione dei sessi fa parte della determinazione dellʼessere umano in conformità con la creazione.
Dice Kasper, teologo e cardinale: “Lʼuomo in quanto tale non esiste affatto. Lʼuomo esiste solamente come maschio e femmina. Egli trova la sua pienezza umana di senso soltanto nellʼessere lʼuno con lʼaltro e lʼuno per lʼaltro dei due. Questo mistero che corre tra lʼuomo e la donna è così profondo che il loro reciproco legame è immagine e somiglianza dellʼalleanza di Dio con lʼuomo e figura dellʼamore di Dio, della sua fedeltà e della sua forza creatrice. Con ciò è assegnata al matrimonio una dignità difficilmente superabile, una dignità che esclude a priori ogni antagonismo tra i sessi”.

È su questo che volevo tentare di riflettere un poʼ, rileggendo il secondo racconto della creazione che si trova nel capitolo 2 della Genesi. Dicono gli esperti che la creazione è narrata due volte allʼinizio nel capitolo 1 e nel capitolo 2; il secondo capitolo dovrebbe essere il più antico dal punto di vista cronologico, anche se in realtà la cronologia dei testi biblici è una realtà notevolmente misteriosa. 
Leggo il brano e poi tentiamo di cogliere almeno alcune cose fondamentali del messaggio.

Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra lʼacqua dei canali per irrigare tutto il suolo –; allora il Signore Dio plasmò lʼuomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e lʼuomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò lʼuomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui lʼalbero della vita in mezzo al giardino e lʼalbero della conoscenza del bene e del male. […]
Il Signore Dio prese lʼuomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
Il Signore Dio diede questo comando allʼuomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dellʼalbero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».
Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che lʼuomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse allʼuomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo lʼuomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così lʼuomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma lʼuomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sullʼuomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta allʼuomo, una donna e la condusse allʼuomo. Allora lʼuomo disse:

«Questa volta essa
   è carne dalla mia carne
   e osso dalle mie ossa.
   La si chiamerà donna
   perché dallʼuomo è stata tolta».
  Per questo lʼuomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, lʼuomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna. (Gen 2,4b-9;15-25)

Questo è il racconto. Dunque lʼuomo viene plasmato da Dio con la polvere del suolo e, una volta plasmato, viene riempito di vita attraverso un alito che il Signore soffia nelle sue narici. Il racconto è molto semplice, lʼimmagine è quella del vasaio che con la creta fa velocissimamente un bellissimo vaso, e il completamento sta in quel soffio che viene messo nelle narici dellʼuomo, lʼalito della vita.
Lʼalito della vita vuol dire che lʼuomo è polvere ma non è solo polvere: cʼè un elemento irriducibile alla terra, un elemento che viene da Dio, questo alito di vita che il Signore gli ha donato.
Poi il Signore fa questo meraviglioso giardino, in Eden, che è il simbolo della prodigalità di Dio: è generosissimo, offre allʼuomo tutti gli alberi del giardino perché lʼuomo se ne possa nutrire. Alberi che producono frutti che sono belli, buoni, attraenti, dice il libro della Genesi. Insieme con questo, allʼuomo viene dato quel compito di cui abbiamo già parlato ieri di coltivare e custodire il giardino.
Ultimo elemento di questa costituzione della condizione umana è il comandamento di Dio: “«Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dellʼalbero della conoscenza del bene e del male (che sta in mezzo al giardino) non ne devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, moriresti»”. 
Messo così, evidentemente, il comandamento si presenta come un gesto di amore di Dio, come unʼavvertenza perché lʼuomo non abbia a morire, perché quella vita che gli è stata data non venga sciupata e rovinata dal comportamento dellʼuomo. E naturalmente il comando di Dio vuole indicare un limite: lʼuomo deve rendersi conto che la sua condizione è straordinariamente grande – “immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,27); “poco meno degli Eloim”, ci diceva il Salmo 8 – ma non è infinita. Cʼè un limite che lʼuomo deve imparare ad accettare, non può illudersi di poter sapere tutto, di potere tutto. 
Il comandamento lo custodisce nella sua identità, in una consapevolezza corretta di quello che lui è e di quello che lui può essere.
Il ché evidentemente vuol dire che quella immagine e somiglianza di Dio è nello stesso tempo un compito che lʼuomo deve realizzare e che deve realizzare secondo un cammino corretto di esistenza.

Ma dopo di questo cʼè quella narrazione straordinaria (almeno, secondo me è straordinaria) della creazione della donna. È un racconto che nei suoi elementi è popolare e semplice, ma se uno va in profondità si rende conto che è un racconto notevolmente complesso, che tenta di rispondere ad alcune domande fondamentali.
Ricordate, lʼabbiamo già detto altre volte: perché lʼuomo è maschio e femmina? da dove il desiderio che conduce allʼincontro dellʼuomo e della donna? perché lʼuomo abbandona la propria famiglia da cui ha ricevuto la vita, lʼeducazione, il nutrimento e tutto? E la spiegazione sta in quelle prime parole: “Il Signore Dio disse «Non è bene che lʼuomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile»”.
Vuol dire che la relazione dellʼuomo e della donna è qualche cosa di originario nel disegno di Dio. 

Lʼuomo non è stato pensato come autosufficiente, non è stato pensato come autonomo, nasce da altri e ogni singola persona, ogni individuo non può realizzare la totalità dellʼessere umano: ne realizza solo una polarità. In qualche modo cʼè una dimensione simbolica in ogni persona umana.
La parola simbolo, come sapete, è un poʼ strana, ma viene dallʼimmagine di qualche cosa che è stato spezzato, per cui il pezzo che rimane allude ad un completamento, ad una pienezza che non ha e che può avere solo attraverso lʼaltro pezzo complementare, che è stato portato via. Unʼunità spezzata in due, in cui ciascuno di questi elementi è un simbolo, debbono essere messi insieme. Il termine “simbolo” (lo dice anche il greco) vuol dire “mettere insieme”, perché appaia lʼidentità completa.

La persona umana è in qualche modo simbolo dellʼumanità in quanto tale, perché ne esprime non la pienezza di significato e di valore ma semplicemente una polarità, un aspetto, maschile o femminile. 
E proprio per questo, dice il libro della Genesi, “«Non è bene che lʼuomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile»”.
Qui ci fermiamo un attimo a riflettere su questo “aiuto”. In ebraico il termine “Eser”, che è un termine che non si trova molto di frequente nella Bibbia; in tutto ventuno volte. La cosa più interessante è che, nella maggioranza dei casi (diciannove volte su ventuno) il riferimento è Dio, lʼaiuto è Dio. 
Pensate allʼespressione “Il nostro aiuto è nel nome del Signore, che ha fatto cielo e terra”, oppure “Il Signore è nostro aiuto e nostro scudo”. Nella quasi totalità dei casi il riferimento è a Dio, Dio come aiuto dellʼuomo.
Non aiuto strumentale, ci mancherebbe altro, ma aiuto personale, perché lʼuomo sia liberato da alcuni pericoli che messi insieme si possono rappresentare come il grande pericolo della morte. Di fronte al pericolo della morte Dio solo è capace di essere aiuto, Dio solo può diventare quellʼappoggio su cui lʼuomo costruisce la sua sicurezza e la sua speranza.
Potete prendere il Salmo 146:

Loda il Signore, anima mia:
loderò il Signore per tutta la mia vita,
finché vivo canterò inni al mio Dio.

Non confidate nei potenti,
in un uomo che non può salvare.
Esala lo spirito e ritorna alla terra;
in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni.

Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe,
chi spera nel Signore suo Dio,
creatore del cielo e della terra,
del mare e di quanto contiene.
Egli è fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.

Il Signore libera i prigionieri,
il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge lo straniero,
egli sostiene lʼorfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi. (Sal 146,1-9) 

Se tenete presente questo capite che cosa vuol dire lʼaiuto nella concezione biblica, nellʼuso biblico di questo termine.

Nel nostro contesto, il pericolo che minaccia lʼuomo è la solitudine. Essere soli può comportare morte, significa poter essere attaccato o colpito, significa vivere nella tristezza. Tanto che quando il Signore vuole fare di Geremia un annunciatore di giudizio e di morte, perché deve annunciare la fine di Gerusalemme, gli chiede il celibato. Geremia non deve sposarsi e non deve sposarsi per questo, perché deve annunciare con la sua solitudine la condizione di Gerusalemme: è una condizione di debolezza e di morte. E quando ancora Ezechiele deve annunciare la distruzione avvenuta di Gerusalemme questa distruzione va insieme con la sua esperienza di vedovanza: rimane vedovo e con la sua vedovanza, con la sofferenza e la mutezza (è reso muto, per un poʼ di tempo non può parlare), con questa esperienza di solitudine e di morte annuncia la fine della città santa.
Insomma, essere solo significa essere rigettato come un relitto, lontano dal fiume della vita. Questo è il contrario della comunione e della condivisione, è il contrario della fecondità e della benedizione, come ricordavamo ieri. Si può dire che la vita non è ciò che è, se non nel momento in cui la si può condividere e la si può trasmettere.
Se tenete presente questo capite il discorso: “Non è bene che lʼuomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile»”. Questa espressione “che gli sia simile” è in ebraico lʼunione di tre parole (lʼebraico usa questo modo di fare) che sono: “a somiglianza di”, “davanti a” e il suffisso. Quindi, in ebraico è letteralmente “come di fronte a lui”, davanti a lui. Si potrebbe dire: “alla sua altezza”, come un partner.
Il termine aiuto nel nostro linguaggio molte volte ci avvicina al significato di strumento: aiuti sono gli strumenti che usiamo per raggiungere qualche scopo, ma non è questo il senso del termine dellʼespressione ebraica. È, dicevo, un aiuto non strumentale ma personale ed è un aiuto non che sta sotto e che io uso, ma che mi sta di fronte e che è alla medesima altezza, appunto, di fronte.

E di fatto questo è il motivo per cui il racconto continua con la creazione degli animali che lʼuomo impara a distinguere, ai quali dà il nome. Dare il nome vuol dire che li integra dentro alla sua esperienza di vita, che sa trovare la collocazione giusta e lʼatteggiamento giusto di fronte ad ogni specie animale, a quelli che sono animali selvatici, a quelli che sono addomesticabili, a quelli che possono essere usati per il lavoro, e tutte queste cose. 
“Ma lʼuomo non trovò un aiuto che gli fosse simile”, perché questi sono aiuto strumentale. Hanno il loro valore, si intende: servono eccome! Servivano una volta per il lavoro, servono per la compagnia o tutto quello che volete, ma non solo quel “aiuto come di fronte a lui”, di cui lʼuomo ha bisogno per superare la solitudine. Gli animali non sciolgono la solitudine dellʼuomo. Le cose non sciolgono questo bisogno di comunione che lʼuomo si porta dentro.
Allora “Il Signore Dio fece scendere un torpore sopra lʼuomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto”. Può sembrare una specie di anestesia per una operazione chirurgica, ma il significato più vero è che lʼazione di Dio è unʼazione misteriosa. Lʼuomo vede il risultato dellʼazione di Dio nelle creature, negli avvenimenti, ma non può vedere il come Dio ha fatto: questo rimane misterioso, rimane incomprensibile per lʼuomo e lʼuomo deve rispettare il mistero delle cose, senza pretendere di mettere tutto in luce. Cʼè qualche cosa di oscuro dentro alla realtà e anche dentro alla persona umana.
“Gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta allʼuomo, una donna e la condusse allʼuomo. Allora lʼuomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. Questa volta la si chiamerà donna, perché dallʼuomo è stata tolta»”.
Questo primo poema della Bibbia vuole tentare di esprimere lo stupore e la gioia e la riconoscenza per quella presenza che libera finalmente dalla solitudine, che libera dalla paura che accompagna la solitudine; che libera dalla sterilità e dalla morte che accompagnano la solitudine.

***

S.E. Mons. LUCIANO MONARI

giovedì 7 novembre 2019

L’UOMO NEL DISEGNO DI DIO



2a MEDITAZIONE

“Il canto notturno del pastore errante per lʼAsia” di Leopardi mi interessa per quella descrizione della condizione umana che ha molto di verità da un certo punto di vista. La vita è una condizione di fatica, di sofferenza; addirittura la nascita con il rischio di morte è accompagnata dal pianto, tanto che il genitore come prima sua attività esplica la consolazione. Cerca di consolare il bambino che piange e, dice Leopardi, i genitori non possono fare niente di più grande che consolare, per permettere al bambino che cresce, che si fa grande, di accettare positivamente o con meno sofferenza la sua condizione umana. 
Il traguardo di questo itinerario di sofferenza, sempre in questo cantico, è la morte come abisso orrido, immenso dove tutto si oblia, che cancella definitivamente il ricordo, la consapevolezza della vita.
Lʼuomo non sa a chi dire questo. Il pastore lo dice alla luna: parla con la luna alla quale non interessa la condizione umana e nemmeno la sofferenza della condizione umana, per cui lʼuomo viene a trovarsi radicalmente solo, senza la possibilità di lamentarsi con qualcuno che gli spieghi questa condizione faticosa dellʼuomo, della vita umana.
Al cantico vorrei mettere in parallelo la preghiera del salmo che abbiamo pregato questa mattina alle Lodi, il Salmo 8:

O Signore, nostro Dio, 
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. 
Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, 
per ridurre al silenzio nemici e ribelli. 

Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, 
la luna e le stelle che tu hai fissate, 
che cosa è lʼuomo perché te ne ricordi
e il figlio dellʼuomo perché te ne curi? 

Eppure lʼhai fatto poco meno degli angeli, 
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, 
tutto hai posto sotto i suoi piedi; 
tutti i greggi e gli armenti, 
tutte le bestie della campagna; 
gli uccelli del cielo e i pesci del mare, 
che percorrono le vie del mare. 

O Signore, nostro Dio, 
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.  (Sal 8)

La chiave di interpretazione del salmo è lʼinterrogativo che sta a metà: “che cosʼè lʼuomo perché te ne ricordi, il figlio dellʼuomo perché te ne curi?”.  Lʼuomo è questo grande interrogativo che si erge sullʼorizzonte piatto di questa terra, la creatura cui Dio ha usato una grande generosità da farlo poco meno degli Angeli (Angeli è una traduzione di Eloim che è il nome di Dio e quindi si potrebbe tradurre come esseri divini).
È interessante che descrivendo lʼuomo lo si paragoni a ciò che sta sopra non a ciò che sta sotto. È vero che lʼuomo è un animale politico ragionevole, ma il salmo dice che è poco meno di Eloim (essere divino). Quel Dio che ha fissato il sole e le stelle, e come un abile artigiano infinitamente potente e capace, ha usato nei confronti dellʼuomo una generosità sorprendente. Ci sono sei verbi che descrivono lʼatteggiamento di Dio nei confronti dellʼuomo: “te ne ricordi, te ne  curi”, è un ricordo accompagnato da affetto, come se Dio  si sentisse responsabile di quella creatura. Poi ci sono altri 4 verbi: “lo hai fatto poco meno degli angeli, lo hai coronato di gloria e di onore, gli hai dato potere nelle opere delle mani, hai posto tutto sotto i suoi piedi”. 
Lʼuomo  viene posto in una specie di cerimoniale che colloca lʼuomo re sopra la natura e sopra tutti gli animali e i greggi e gli armenti, per cui sgorga la conclusione: “O Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.” È una riflessione rivolta alla grandezza dellʼuomo stesso, interessante in modo particolare perchè unisce la proclamazione della grandezza di Dio e della gloria dellʼuomo: lo hai coronato di gloria e di onore. La gloria di per sé è un attributo di Dio, eppure Dio ha dato allʼuomo gloria. 
Questo discorso è interessante perché una delle radici dellʼateismo contemporaneo è quella che vede in contrasto la libertà dellʼuomo e la presenza di Dio. Se vogliamo che lʼuomo sia libero bisogna che Dio non esista, perché la presenza di Dio è una presenza che occupa troppo spazio, che soffoca lʼuomo e la sua responsabilità e la sua capacità di crescere. Bisogna in qualche modo che Dio muoia perché lʼuomo possa vivere; questa è una delle radici dellʼateismo contemporaneo.
Il nostro Salmo fa un ragionamento opposto: la grandezza di Dio sta proprio nella grandezza che ha dato allʼuomo e la grandezza dellʼuomo sta proprio nellʼaverla ricevuta da Dio. Non cʼè nessun contrasto, non cʼè nessuna contrapposizione, non cʼè nessuna limitazione di vita che venga allʼuomo dalla presenza di Dio, anzi è proprio il contrario: la grandezza dellʼuomo è ricevuta, donata, comunicata senza invidia da Dio stesso.

Ritorniamo quindi al tema che abbiamo visto stamattina, al tema della creazione, come fondamentale, per riuscire a collocare lʼuomo di fronte al cosmo, al mondo e al mistero della nostra vita. Se torniamo al capitolo primo del libro della Genesi al versetto 26 troviamo il racconto della creazione dellʼuomo. È il sesto giorno della creazione, dopo aver fatto gli altri animali, le bestie selvatiche, Dio vede che è una cosa buona:

 E Dio disse: «Facciamo lʼuomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini 
sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche 
e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». 

Dio creò lʼuomo a sua immagine; 
a immagine di Dio lo creò; 
maschio e femmina li creò. 

Dio li benedisse e disse loro:

«Siate fecondi e moltiplicatevi, 
riempite la terra; 
soggiogatela e dominate
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente, 
che striscia sulla terra».

Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra 
e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le 
bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla 
terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio 
vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto 
giorno.

Si capisce che siamo di fronte a qualche cosa di straordinariamente importante, lʼultima delle opere di Dio, non solo in senso cronologico, ma nel senso che porta a perfezione la creazione di Dio, se manca questo lʼopera di Dio è incompleta, perde qualche cosa di essenziale per capire. Anche il resto è incomprensibile senza la creazione dellʼuomo. È per questo che il libro della Genesi fa precedere allʼazione di Dio una deliberazione. Quando Dio dice: “ facciamo lʼuomo a nostra immagine secondo la nostra somiglianza”  sembra una riflessione che Dio fa con se stesso prima di prendere la decisione, perché  la decisione è ricca di conseguenze e quindi ci pensa bene. La valuta, arriva  ad una decisione consapevole che riguarda lʼuomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, che vuol dire: primo, lʼessere dellʼuomo è essenzialmente relativo. Lo si può capire non isolandolo e facendo unʼanalisi chimicamente pura di quello che è, ma mettendo noi in relazione non con il mondo, ma con Dio. A immagine e somiglianza di Dio il chè evidentemente vuol dire che cʼè nellʼuomo una realtà misteriosa che va oltre ogni possibilità di definizione. Potete definire lʼuomo come vi pare, potete definirlo come una scimmia nuda (Morris), potete definirlo con animale politico (Aristotele) come un animale ragionevole, in tutti i modi che volete, però ogni definizione si rivelerà insufficiente perché la dimensione dellʼuomo  è una dimensione aperta a Dio quindi allʼinfinito e ogni definizione può solo alludere a quello che lʼuomo è nella realtà.
Quando SantʼAgostino racconta la sua sofferenza di fronte alla morte di un amico e tutta quella riflessione che ha fatto con se stesso, dice di essere diventato lui, per se stesso, un grande interrogativo. 
Si è interrogato su chi sia lʼuomo e che cosa sia lʼuomo e Agostino si rende conto di non poter rispondere in un modo esauriente, perché lʼuomo è più grande di se stesso, la sua misura non è una misura fissa e definibile, è una misura aperta di cui lʼunico riferimento esaustivo è Dio, che evidentemente non possiamo comprendere, che non può, che non possiamo mettere dentro i confini.
Nessun uomo comprende del tutto se stesso, perché lʼatto con cui si comprende è in qualche modo fuori dalla comprensione, quindi non è in grado di apprezzare completamente il suo mistero. Lʼuomo può avere qualche volta  lʼillusione di abbracciare tutto il senso della sua vita, e che non ci siano più veli né maschere quando ha lʼimpressione di potersi fondere con unʼaltra persona; ma anche questa è illusione e questa fusione non riesce mai del tutto: lʼalterità rimane, la diversità rimane.
Lʼ uomo non è mai definibile, posso mettere insieme tutte le azioni della mia vita, descriverne le motivazioni, nelle loro conseguenze (non tutte le conseguenze sono  comprensibili del tutto), ma anche questa descrizione è incompleta. Lʼuomo è aperto  a un futuro  creativo: può avere compiuta una serie di decisioni di un certo tipo e compierne una di tipo completamente diverso, completamente nuova, creativa. Così lʼuomo non è riducibile  ai suoi consumi, a quello che usa, non solo dal punto di vista materiale, ma anche psicologico. 
Per questo per accostarsi alla realtà dellʼuomo cʼè bisogno della poesia, dellʼarte, della musica, cioè tutte quelle realtà che ci aiutano ad alludere al mistero, senza la pretesa di esaurirlo, di comprenderlo del tutto. Quello che hanno di caratteristico tutte queste forme di espressione umana è di alludere a qualche cosa di infinitamente più grande.
La parola in poesia ha questo significato: essa dice molto di più di quello che il dizionario spiega nella definizione, la forma in arte lo stesso. Cʼè sempre unʼallusione che apre alla comprensione dellʼuomo, senza volerla bloccare in nessun aspetto.

Credo che il libro della Genesi vada in questa direzione. Lʼuomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, è un mistero per gli altri e per se stesso, anche per lo psicanalista, anche per colui che tenta di fare  lʼanalisi del profondo, del subconscio e dellʼinconscio. Nemmeno lui riesce a cogliere del tutto il senso dellʼesistenza umana. Che cosa vuol dire immagine e somiglianza di Dio, a che cosa allude?
Allude alla presenza dellʼuomo nel mondo come rappresentante di Dio, come vicario di Dio. Potete immaginare la creazione come la costruzione di un immenso tempio che Dio edifica con tutte le creature del cosmo e in questo tempio, il luogo della presenza di Dio è lʼuomo, lʼuomo con quello che vive, con quello che spera, con quello che compie e opera in nome di Dio, come vicario di Dio.
Provo a spiegarmi: con quello che lʼuomo vive, con le sue libertà e responsabilità con le sue scelte introduce dentro la realtà del cosmo, dentro la costruzione della storia, tutta una serie di realtà che riflettono il mistero di Dio, a cominciare dal lavoro. Ricordate che nel capitolo secondo della Genesi si dice:

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò lʼuomo che 
aveva plasmato…
 Il Signore Dio prese lʼuomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo 
custodisse. (Gen 2,8-15)

Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che Dio ha fatto il mondo grezzo, come unʼopera non finita e ha fatto lʼuomo come un creatore, che porta a compimento questa opera che ha delle realizzazioni inedite e creative. Non è vero che lʼarte è una riproduzione della natura, è creazione della natura e lʼuomo, con la sua arte, crea delle cose inedite in nome di Dio, fa quello che appartiene di per sé a Dio solo. Lʼuomo prende delle pietre, del legname, dei metalli e fa una cattedrale. Fare una cattedrale vuol dire mettere dentro questo mondo qualche cosa di inedito, qualcosa che porta in sé la realtà del mistero; è allusione a Dio. La cattedrale è opera dellʼuomo, dal progettista a colui che ha costruito il muro, ma non cʼè dubbio che in una cattedrale ci sia il mistero del divino che comincia ad incarnarsi in pietre e legname mondano. Il cosmo assume una forma dove Dio ha messo lʼimpronta.
La casa e il lavoro vanno in quella direzione, trasformano il cosmo dandogli una forma inedita, una forma umana. Una casa vuol dire realtà di relazioni, legami, e tutto questo vuol dire lavoro. Ma non solo lavoro. Lʼuomo ha creato istituzioni politiche, e ciò vuol dire creare un ordine che garantisca a ciascuno il rispetto dei suoi diritti fondamentali, che garantisca quella che noi diciamo giustizia. È vero che le nostre realizzazioni sono povere, fragili, per cui le nostre istituzioni politiche sono segnate da tanti egoismi e cose del genere, ma dentro la politica cʼè anche la dimensione di giustizia come aspirazione, come realizzazione incompleta, come sono tutte le realizzazioni umane, ma autentica e vera.
Dove cʼè la giustizia cʼè qualche cosa che partecipa del mistero di Dio. La vita economica  è vero che è fatta di tanti egoismi, ma economia vuol dire anche produzione di ricchezza con cui si possano sostenere gli anziani, i bambini, i bisognosi. Cʼè anche questa dimensione di assistenza che è resa possibile dal benessere economico. Quindi anche lì ci sono piccoli frammenti. 
Lʼuomo non è Dio, è solo immagine di Dio. Lʼuomo non ha la bellezza dellʼamore di Dio, ha però delle immagini, delle scintille che alludono allʼamore di Dio. Credo che sarebbe bello vedere come in tutte queste attività dellʼuomo, questa dimensione del lavoro che trasforma il mondo e ci mette una forma di intelligenza, una forma di amore, una forma di giustizia si manifesti nellʼarte, nel lavoro e anche nella moda.
Sarebbe interessante vedere che cosa cʼè di positivo e di negativo, di incompleto: il mondo riceve dallʼattività dellʼuomo una forma nuova e intelligente e buona, come dicevo, con tutti limiti, perchè ci sono anche le cattiverie e gli egoismi e tutto il resto. Il problema è proprio quello: verificare dentro alla nostra attività quanto è immagine di Dio e quanto invece nasconde Dio perché è opaco e quindi non manifesta la verità di Dio stesso. Naturalmente al di là del lavoro bisogna guardare soprattutto allʼamore. 

Lʼuomo è posto nel mondo come una sorgente di amore, ma è sorgente derivata, si intende, la sorgente prima e unica dellʼamore è Dio stesso, ma lʼuomo è capace di amare, Dio lo rende capace! 
Nella prima lettera di San Giovanni al capitolo 4, ai versetti 11 e 12 cʼè scritto:

Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno 
mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e lʼamore di lui è 
perfetto in noi. (1Gv 4,11-12)

È una cosa grossa. Dio non lʼha mai visto nessuno: è un mistero insondabile e non possiamo raggiungerlo con tutte le nostre immaginazioni, nemmeno con le nostre speculazioni filosofiche e psicologiche. 
Nemmeno con le nostre ascesi spirituali noi riusciamo a raggiungere Dio con le nostre forze. Dio è oltre, al di là, se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi. Lʼamore ha come origine Dio stesso: 
lʼamore con cui ci amiamo, se è autentico, è amore dove Dio è presente, dove Dio diventa visibile perché incarnato. Dio in sé è invisibile, ma se è incarnato diventa visibile. Lʼamore umano è incarnazione dellʼamore di Dio, “Dio rimane in noi e il suo amore è perfetto in noi”. Vuol dire che quando Dio ci ha amato aveva il desiderio di mettere noi dentro la dinamica del suo amore. Con quellʼamore con cui lui ama, amiamo anche noi e quando questo avviene lʼuomo è immagine e somiglianza di Dio in modo straordinario. Forse non cʼè una presenza così viva di Dio se non nellʼamore umano.

Ce nʼè unʼaltra ed è quella dellʼuomo che prega, che loda e che supplica. Nella lettera ai Romani al capitolo 8, al versetto 26 San Paolo scrive:

 Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nem-
meno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede 
con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali 
sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni 
di Dio. (Rom 8,26-27)

E vuole dire: preghiamo, chiediamo al Signore, presentiamo i nostri desideri, i nostri sogni, le nostre speranze  che sono espressione della nostra condizione umana. Però se la preghiera è autentica, piano piano i miei desideri assumono la forma dei desideri di Dio, i miei desideri diventano: “Padre allontana da me questo calice, ma non la mia ma la tua volontà si compia!”. I miei desideri diventano che il regno di Dio venga, che il nome di Dio sia santificato, che la volontà di Dio sia compiuta sulla terra, come è compiuta in cielo. Questi diventano i miei desideri.
Dove ci sono questi desideri, cʼè qualche cosa che ha ricevuto forma da Dio. Se posso desiderare il compimento della volontà di Dio è perché questa volontà di Dio si è impressa nella mia coscienza e nei miei desideri, ha dato forma ai miei desideri, che non sono più desideri  egoistici, ma diventano desideri che hanno un colore divino, hanno sapore e armonia divina. In tutti questi modi lʼuomo è immagine e somiglianza di Dio: con la sua preghiera, con il suo amore, con il suo lavoro lʼuomo  mostra il mistero di Dio dentro un mondo, che assume pian piano una forma non più semplicemente materiale, ma una forma spirituale. Lʼuomo è spirito incarnato. Bene, in qualche modo questa incarnazione è presente nelle pietre della cattedrale che diventano spirituali, perché portano dentro una intuizione, una esperienza del mistero di Dio.
La realizzazione è dellʼuomo in quanto essere, realizzazione dellʼuomo autentico, e vuol dire non dellʼuomo stupido, perché quando lʼuomo è tale, evidentemente non può manifestare Dio e non dellʼuomo cattivo, perché uno  cattivo non può manifestare Dio. Quando lʼuomo ha nella sua vita qualcosa di saggezza e qualcosa di amore realizza  quello che sta nel progetto creativo di Dio: “facciamo lʼuomo nostra immagine secondo la nostra somiglianza”.
Da quello che abbiamo detto è chiaro  che è un dono e nello stesso tempo una consegna. Sono fatto a immagine e somiglianza di Dio e questo vuol dire che debbo operare e manifestare a immagine e somiglianza di Dio; debbo diventare quello che sono, sono solo uomo, ma lo debbo diventare perché lʼuomo vero è quello maturo, e maturo ancora non lo sono. Sono immagine e somiglianza di Dio, ma lo devo diventare; sono immagine e somiglianza di Dio, perché ho dentro la capacità di rappresentare Dio nel mondo, ma non lo rappresento sempre! E tutto il senso della mia vita è quel cammino di trasformazione di me stesso, perché la mia vita diventi una vita non più opaca, ma luminosa nella quale si scorge, si manifesta qualche cosa del mistero di Dio.

Naturalmente tutto questo discorso va collegato a quello che dice il libro della Genesi:

Dio creò lʼuomo a sua immagine; 
a immagine di Dio lo creò; 
maschio e femmina li creò. 
Dio li benedisse e disse loro:
«Siate fecondi e moltiplicatevi, 
riempite la terra; 
soggiogatela e dominate
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente, 
che striscia sulla terra». (Gen 1,27-28)

Dove il discorso diventa quello della procreazione. La procreazione è la continuazione della creazione di Dio e anche questo rende visibile il mistero di Dio nel mondo e nella storia. Per rendere visibile questo, perché il progetto di Dio è che la famiglia umana riempia la terra, allora la procreazione allarga la presenza dellʼumanità sulla terra e rientra in questo progetto. Ma evidentemente cʼè di più!
Nella procreazione lʼuomo opera un dono che non è mai restituibile del tutto. Dio, mediante la vita che abbiamo ricevuto dai nostri genitori, ci ha dato una responsabilità: dobbiamo rispondere a questo dono con la fedeltà alla vita, con il sì alla vita, con la generosità nei confronti degli altri, trasmettendo a nostra volta la vita che abbiamo ricevuto dai genitori. Ma evidentemente non è mai possibile restituire del tutto il dono della vita che abbiamo ricevuto dei nostri genitori. Questo vuol dire che nella procreazione cʼè una specie di eccesso di dono che va nella direzione in cui lo scambio non è più possibile, quello che si fa alla pari. Se vado al supermercato compro 27 prodotti e io pago 512 euro; abbiamo fatto uno scambio e non cʼè più nessun legame tra di noi, questo vale per il supermercato, vale per le transazioni economiche, ma per la procreazione no: nella procreazione cʼè un dono ricevuto che non posso restituire e rimango sempre in qualche modo debitore. Posso pagare questo debito non ai genitori, ma agli altri: ai figli e nipoti a quelli che vengono dopo, non ai genitori.
Questo fa sì che il dono della procreazione dica qualche cosa del mistero di Dio, come sorgente infinita di dono e di un dono che non può essere restituito del tutto. Non si può restituire a Dio del tutto quello che abbiamo ricevuto come non lo si può restituire ai genitori. Quando si mette al mondo un figlio si compie una scelta che va dentro la logica del mistero di Dio, proprio perché è scelta di dono; dopo ci sono tutte le nostre fragilità umane e uno può alterare questo dono con elementi di egoismo che stanno nelle cose umane, ma il senso della procreazione, del dono, va nella direzione dellʼamore.

Il secondo libro della Genesi dice la vera immagine di Dio nel mondo, quella vera, perché ce ne sono anche delle false come  gli idoli che vorrebbero essere immagine di Dio, ma in realtà si rivelano un nulla, una menzogna. Uno dei termini che la Bibbia usa per definire gli idoli è dire che sono il nulla. Il Salmo 115  dice: 

Il nostro Dio è nei cieli,
egli opera tutto ciò che vuole.

Gli idoli delle genti sono argento e oro, 
opera delle mani dellʼuomo. 
Hanno bocca e non parlano, 
hanno occhi e non vedono, 
hanno orecchi e non odono, 
hanno narici e non odorano. 
Hanno mani e non palpano, 
hanno piedi e non camminano; 
dalla gola non emettono suoni. 
Sia come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida. 

Israele confida nel Signore:
egli è loro aiuto e loro scudo. (Sal 115, 3-9) 

Gli idoli si vorrebbe assomigliassero a Dio, ma sono menzogna perché non hanno vita; lʼuomo vede, odora, parla, cammina e in questa realtà dellʼuomo cʼè la vera somiglianza con Dio. In questa realtà della creatura che vive il suo rapporto con Dio nella fiducia, che non adora gli idoli, perché quando adora gli idoli diventa menzogna anche lui, quando mantiene il suo rapporto di fiducia in Dio, lʼuomo diventa Eloim, immagine e somiglianza di Dio e sta nel Suo progetto originario. Questo progetto è così forte che nemmeno il peccato con tutta la sua negatività riesce a toglierlo.
Il peccato di Adamo ha rovinato la felicità dellʼuomo ma non ha tolto la somiglianza con Dio e quando si parla della continuazione della vita sulla terra dopo il peccato di Adamo, il capitolo 5 della Genesi dice:

 Quando Dio creò lʼuomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, 
li benedisse e li chiamò uomini quando furono creati. Adamo aveva centotrenta anni 
quando generò a sua immagine, a sua somiglianza, un figlio e lo chiamò Set. Dopo 
aver generato Set, Adamo visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. Lʼintera 
vita di Adamo fu di novecentotrenta anni; poi morì. 
  (Gen 5,1-5)

Dunque immagine e somiglianza continuano, cʼè un cammino che il peccato non è stato capace di bloccare, perché la benedizione di Dio originaria è una benedizione creativa e forte (ricordate il senso della benedizione che è “potenza che fa vivere”). 
Ci sono nella Bibbia due concetti complementari che parlano dellʼazione di vita che viene da Dio e che si rivolge allʼuomo. Uno è il tema della salvezza e lʼaltro è quello della benedizione. Quello della  salvezza parla di quegli interventi di salvezza di Dio che avvengono una tantum, ad esempio lʼuscita dallʼEgitto. Dio è intervenuto e ha aperto il mare davanti agli Israeliti; oppure lʼingresso nella terra promessa  con un intervento che si colloca in un certo  periodo storico. Col termine salvezza si intende una azione unica di Dio compiuta nella storia, ma questa non è lʼunica attività di Dio, lʼunica energia vitale di Dio.
Cʼè quella che va sotto il nome di benedizione, che è quella potenza di vita che accompagna normalmente lʼesistenza dellʼuomo, quotidianamente, giorno dopo giorno, che non si manifesta in miracoli, nel  senso di avvenimenti straordinari, ma si manifesta  nel concorso usuale delle circostanze, dove non cʼè niente di straordinario, ma dove cʼè la potenza di vita di Dio che ci sostiene: il campo che continua a produrre il grano, le viti che continuano a dare uva, non sono miracoli ma sono certamente benedizione di Dio. Cʼè una azione di Dio che passa attraverso questo complesso di realtà mondana e che sostiene lʼesistenza dellʼuomo, della persona e della società umana, quella che in fondo noi chiamiamo essenzialmente provvidenza, non idea miracolistica, ma di assistenza continua che entra nel succedersi delle cause.

Il discorso riguardava stamattina; oggi la creazione dellʼuomo prevede lʼatteggiamento di fiducia che deve andare al di là di ogni paura, di ogni attaccamento seduttivo nei confronti della realtà, la creazione dellʼuomo deve portare lʼuomo a vivere ad immagine e somiglianza di Dio, a trovare dentro la sua vita il riflesso di Dio, con il suo lavoro, con il suo amore, la sua preghiera. Tutto questo discorso si lega in maniera molto forte, nella Genesi,  con il discorso della famiglia umana e della procreazione, come luogo di amore e di prolungamento del dono che ha la sua origine in Dio e che deve animare i rapporti umani. 

Lʼesercizio da fare sarebbe questo: 
1) Provate a rivedere le tracce della presenza di Dio, dellʼazione di Dio, nella vostra vita, in quello che siete, in quello che fate, in quello che desiderate. Notate che paradossalmente cʼè una traccia di Dio anche nellʼesperienza del peccato, quando la riconosciamo come esperienza di peccato. Quando il peccato è riconosciuto come tale, cʼè una dimensione di verità che entra nel riconoscimento del peccato; cʼè una presenza, una testimonianza di Dio.
2) Forse ricordate la preghiera: “Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare oggi le sue opere. Cristo non ha più piedi, ha soltanto i nostri piedi per andare oggi incontro agli altri uomini. 
Cristo non ha più voce ha soltanto la nostra voce per parlare agli uomini. Cristo non ha più forza, ha soltanto le nostre forze per guidare gli uomini a sé. Cristo non ha più Vangeli che essi leggano ancora, ma ciò che noi facciamo in parole e opere è lʼEvangelo che lo Spirito sta scrivendo”. Questa è più o meno la preghiera: provate a scriverne una voi, che non deve diventare un capolavoro letterario, però può esprimere quello che vivete o quello che sognate, quello che desiderate vivere. Una preghiera che faccia venir fuori il desiderio e che gli dia forma.
3) Per ultima cosa eventualmente, potete riprendere il Salmo 8 che è quello dellʼimmagine dellʼuomo creato da Dio, e provate a rileggerlo come fa il Nuovo Testamento e cioè in riferimento a Gesù Cristo. In fondo per noi lʼuomo è Gesù Cristo, nel senso che la realizzazione del sogno di Dio, dellʼuomo fatto a Sua immagine e somiglianza, è compiuto in modo perfetto in Gesù Cristo. Vederlo dentro la creazione dellʼuomo vuol dire ritrovare la nostra vocazione e quindi il cammino che siamo chiamati a percorrere.

S.E. Mons. LUCIANO MONARI