IL VIZIO CAPITALE
“La superbia è la lussuria dello spirito. La concupiscenza o voglia di essere simili a Dio per orgoglio, è la concupiscenza stessa di Lucifero. Da questo ribelle, la superbia ha preso la tenacia, oltre la violenza” (Libro di Azaria, p. 394).
“La superbia, nasce come per generazione spontanea, dai doni più squisiti di Dio. Basta l’orgoglio per fare di un dono un danno! Se i doni di Dio cadono in cuori superbi, diventano causa di rovina, non per colpa dei doni, ma per la superbia (di chi li riceve)”.
“La superbia è la calamìta che strappa gli spiriti a Dio, la leva che li ribalta”. “Sei tra due forze che ti attirano: Dio (il suo amore) e il demonio, (il tuo “io”). “Sei superbo, per questo sprofondi” (Gesù a Giuda).
“Dio perdona tante cose. La sua luce splende amorosa per illuminare le ignoranze e fugare i dubbi, ma non perdona la supebia che lo deride”.
“Ai superbi, Dio toglie l’intelletto”! “ La superbia è fumo che nasconde la verità e corrompe il cuore” (Quad. ‘44, p. 216).
“La superbia, quindi, uccide tutte le virtù.
Il superbo non tratta con rispetto neppure il Padre Celeste, non ha viscere di misericordia verso i fratelli, si crede superiore alle debolezze della natura e alle regole della Legge.
Perciò pecca continuamente e dello stesso peccato che fu la rovina di Lucifero, di Adamo e della sua progenie. Soprattutto la superbia uccide la carità. Distrugge perciò l’unione con Dio” (Quad. ‘43, p. 197).
“Respingete Dio, respingendo la sua Volontà, lo Spirito Santo. Siccome il cuore dell’uomo non può stare senza adorare qualcosa, al posto del Dio vero che respingete, adorate il vostro “io”, la vostra superbia, la vostra carne, dio quattrino, adorate Satana in queste sue manifestazioni. Perciò divenite idolatri, e di orride divinità che vi tengono schiavi e schiavi infelici” (Id. p. 292) del vizio adorato nella dèa Venere.
“La ribellione (atto di superbia) è, quindi, come un peccato di magia, il non volere assoggettarsi è come un peccato d’idolatria.
L’ubbidienza (atto di umiltà) vale più dei sacrifici” (I Re, 15°, 22).
René Vuilleumier
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