Gabriele Amorth racconta...
É in quella fase delicatissima della sua formazione che il frate riceve da padre Agostino
una regola che seguirà ferreamente tutta la vita. Gli scrive da San Marco la Catola il 29
gennaio 1916: «... L’autorità potrà sbagliare: l’obbedienza non sbaglia mai. Dio medesimo
non ha dispensato mai nessuno santo dall’obbedienza all’autorità. Il provinciale nel tuo caso
giunge a dire che il tuo spirito è vittima di un’illusione diabolica e tu dovresti vincerla».
La «notte oscura» sperimentata da tanti grandi mistici, e anche da sacerdoti e semplici
cristiani sembra aver avuto, nel caso di Padre Pio, una difficoltà supplementare; e cioè la
lotta costante, sotto tutte le forme possibili, con il demonio. Una prova evidente la leggiamo
nella lettera inviata il 13 agosto 1916 a padre Benedetto: «... Che debbo dirvi delle altre prove
con le quali il Signore ha voluto colpirmi? Le tenebre in mezzo delle quali è coinvolta l’anima
vanno crescendo sempre di più e, lungi dallo scorgere l’alba la poverina non vede, se non
avanzarsi sempre la notte. L’anima non vede Iddio se non lontano lontano e anche a lui lo
vede che si va rivestendo non saprei dire di che, ma se pur vi possa esser figura a cui possa in
qualche maniera paragonarsi, dessa è quasi somigliante a quelle caligini, che sogliono
innalzarsi in certe mattine d’intorno al fiume, le quali quando sono troppo dense impediscono
di fare e scorgere lo stesso fiume che pure scorre in mezzo a esse. La guerra poi che vado
sostenendo col nemico di nostra salute, è indescrivibile. La lotta incalza propria direttamente
tra spirito e spirito. Che agonia, che terrore per la povera anima! Non si è libero quasi un
momento. Il nemico vuole proprio espugnare la fortezza, la piccola cittadella. Egli tende
proprio alla prevaricazione dell’anima, col rappresentarmi tanti di quei ritrovati, che solo la
di lui malignità è capace di rappresentare. E stante la resistenza continua e la guerra che
sempre è in piedi, avviene di tanto in tanto, negli assalti più violenti, quello scombussolamento
che si riversa anche nella parte del fisico, e che esternamente si manifesta in abbondantissimi
sudori freddi, i quali certamente essendo causati non da effetti naturali, ma sibbene dalla lotta
che ferve nello spirito, non rispettano una stagione calda e molto meno la stagione fredda. Io
tremo per questo, che non dovessi divenire infedele a Dio. Piaccia a lui farmi morire innanzi
di permettere una sì fatta sventura».
E alla stessa persona, qualche mese più tardi, P8 novembre 1916, il giovane cappuccino
confessava di essere giunto allo stremo delle risorse spirituali: «... Abbiate la bontà di
ascoltare quale è il mio presente stato, che vi prometto di farlo brevemente. La battaglia è
stata ripresa con più accanimento. Il mio spirito da più giorni è immerso nelle più fitte
tenebre. Mi riconosco di ritrovarmi nella più grande insufficienza di praticare il bene; mi trovo
in un estremo abbandono: molto disturbo nello stomaco spirituale, molta amarezza io
esperimento nella bocca interiore, la quale mi rende amaro il vino più dolce di questo mondo.
Pensieri di bestemmie mi attraversano di continuo la mia mente; e più ancora suggestioni,
infedeltà e miscredenze... Il demonio strepita e ruggisce assiduamente intorno alla mia povera
volontà. Non fo altro in questo stato, se non che dico con ferma risoluzione, sebbene senza
sentimento: Viva Gesù. Io credo... Ma chi può dirvi come pronunzio queste sante espressioni?
Le pronunzio con timidezza, senza forza e senza coraggio, e grande violenza debbo fare a me
stesso. Le più fitte tenebre regnano ancora su tutto dò che vado facendo. Un dubbio perenne
mi attraversa l'animo in tutte le mie azioni».
Di quella situazione, in cui «... La caligine che mi circonda è tanto fitta, che non lascia
passare il mio sguardo, che sta sempre fisso in quella, scorgervi colui, cui va in cerca l'anima
mia. Misero me! Io mi avvolgo di continuo tra spine e tra il buio pesto, e non mi è dato il modo
come poterne uscire» (4 dicembre 1916), c’è chi cerca di approfittare.
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