martedì 3 marzo 2020

UNA TRIPLICE VIA VERSO DIO



È importante per il nostro scopo soffermarsi un istante su questo nuovo aspetto delle cose. Se è vero che Tommaso attende dal suo discepolo una attitudine di rinuncia intellettuale spinta al massimo, tuttavia non si tratta affatto di una abdicazione più o meno mascherata. Il teologo deve dar prova di una non meno grande magnanimità intellettuale per impiegare con lo stesso rigore tutte le risorse della sua mente. Ci si rende conto molto bene di questo osservando la progressione metodica con cui avvia lo sviluppo delle «tre vie». Per riprenderla molto liberamente, si può seguire qui una delle esposizioni più esplicite di san Tommaso, nel suo commento su un versetto della lettera ai Romani (1, 20):  «Fin dalla creazione del mondo, ciò che Dio ha di invisibile si lascia vedere dall‘intelligenza nelle opere di lui». Questo luogo comune della Scrittura si ritrova sulla bocca di san Paolo nel discorso agli ateniesi (At 17, 24-28), oppure nel libro della Sapienza (13, 5): «La grandezza e la  bellezza delle creature permettono, per analogia, di contemplare il loro autore». Questi testi richiedono subito una prima messa a punto:  «Occorre sapere che vi è qualcosa di Dio che resta totalmente sconosciuto all‘uomo durante questa vita: ciò che Dio è (quid est Deus)... La ragione sta nel fatto che la conoscenza umana trova il suo punto di partenza nelle realtà che ci sono connaturali, le creature corporali, che non sono adatte a rappresentare l‘essenza divina. Tuttavia, così come afferma Dionigi nel libro Sui nomi divini (7, 4), all‘uomo è possibile conoscere Dio a partire da queste creature in maniera triplice.  La prima è costituita [dalla via della] causalità. Dato che queste creature sono defettibili e mutevoli, è necessario ricondurle [reducere: riportare alla loro spiegazione] a un principio immutabile e perfetto. Secondo questa via, si arriva all‘esistenza di Dio (cognoscitur de Deo an est)» 85 . Considerata in se stessa, questa prima via sarebbe insufficiente e anche assolutamente ingannatrice, poiché il concetto di causa non ha lo stesso senso se losi utilizza per Dio o se lo si utilizza per l‘uomo. In termini tecnici — che bisogna spiegare, ma che sono indispensabili —, si tratta di un concetto analogo e non univoco 86 . Diciamo concetto univoco quello applicato in modo uguale a due o più realtà differenti: applicato al cane o al gatto, «animale» ha sempre lo stesso senso. Il concetto analogo, al contrario, indica una certa somiglianza all‘interno di una completa dissomiglianza. Questo sarà vero per tutti i nomi o tutte le qualità che potremo applicare a Dio. Nessuna delle nostre perfezioni, fosse anche la più elevata che possiamo immaginare, potrebbe convenire a Dio nello stesso modo in cui conviene a noi. Se prendiamo per esempio il concetto di causa applicato a Dio oppure all‘uomo, non si dirà semplicemente: Dio gioca nei riguardi della creazione un ruolo simile a quello che un artigiano gioca nei confronti della sua. Col rischio di indurre in errore, questo primo accostamento deve essere immediatamente rettificato: applicato alla creazione dell‘universo, non rimanda al suo autore come l‘esistenza di un quadro permette di inferire l‘esistenza del pittore, poiché l‘azione di Dio non si esercita su una materia preesistente (prima della creazione non vi è niente), e bisogna abbandonare quindi l‘ordine del creato per trovare la sua ragion d‘essere. E per questo che Tommaso aggiunge subito:  «La seconda è la via d‘eminenza (qui: excellentiae). Infatti, le creature non sono riferite al primo principio come possono esserlo alla loro causa propria ed univoca (ciò che accade quando un uomo genera un uomo), ma giustamente come a una causa universale e trascendente. Si comprende così che Dio si trova ai di sopra di tutto (super omnia)».  Si potrebbe pensare che il procedimento è compiuto a partire dal momento in cui Dio è stato caratterizzato come causa trascendente, la causa al di sopra di tutte le cause. Ciò significherebbe conoscere male l‘esigenza intellettuale e spirituale del Maestro d‘Aquino.  «Dicendo di Dio che è vivente, non intendiamo dire che egli sia la causa della nostra vita o che differisca dai corpi inanimati... Così pure, quando si dice: Dio è buono, non si vuol dire che Dio è causa della bontà, oppure: Dio non è malvagio; invero il senso è questo: ciò che noi chiamiamo bontà nelle creature preesiste in Dio — e, in verità, secondo un modo ben superiore 87 — Non ne segue dunque che a Dio spetta essere buono perché è la causa della bontà; ma piuttosto, al contrario, perché egli è buono, effonde la bontà nelle cose, secondo il detto di sant‘Agostino: E perché egli è buono, che noi esistiamo» 88 . Se in Dio non si vedesse che la causa di ogni bontà o di ogni saggezza che si trova in questo mondo, egli sarebbe concepito a partire da questo mondo: Dio potrebbe essere, buono o saggio, alla maniera dell‘uomo. Anche così restiamo sotto la minaccia dell‘univocità. E necessario dunque compiere un ultimo passo:  «La terza via è quella della negazione. Se in effetti Dio è una causa trascendente, niente di ciò che si trova nelle creature gli può essere attribuito... Così noi diciamo di Dio che è in-finito, im- mutabile, e così via». Quest‘ultimo momento del processo consiste dunque nel negare che ciò che noi chiamiamo essere, bontà o saggezza si realizza in Dio nel modo in cui lo sperimentiamo quaggiù: Dio ne è la fonte poiché tutto ciò preesiste in lui, ma egli non è essere, saggio o buono nel modo in cui lo sono gli uomini. Pur affermando l‘esistenza di questa perfezione, Tommaso nega la possibilità di conoscerne il modo di realizzazione 89 . Sappiamo dunque che Dio possiede in modo eminente tutto ciò che rappresenta qualche bene nel nostro mondo, ma il modo in cui lo possiede ci sfugge completamente. L‘essenziale (la ratio o la res significata, secondo l‘espressione consacrata) di queste perfezioni si ritrova in lui, ma il modo della nostra conoscenza e del nostro linguaggio (modus significandi) non è proporzionato al modo in cui esse vi si trovano, modo che resta inaccessibile.  

P. Angelo Zelio Belloni o.p

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