domenica 4 ottobre 2020

LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE

 


Come non v'è nel mondo Cosa di maggior diletto, che mortificare totalmente la sua volontà  per fare quella di Dio. 

Con l'essere di tanto onore il non far la sua, ma la divina volontà, si congiunge il non ritrovarsi  cosa più dilettevole e gustosa; affinché almeno per questo giocondo titolo e che è tanto potente a  muovere i cuori di tutti, ci animiamo a tanto nobile esercizio. E l'onore umano è riposto in cose  moleste e difficili, e non se ne fa acquisto se non con azioni ardue e faticose e di niun gusto per sé  stesse. Ma tuttavia ha questa occupazione un tal privilegio, che con essa si acquista il maggior onore  del mondo, che è l'essere uno amico di Dio: e oltre di ciò ella è in sé medesima la più gustosa e  dolce di tutte, e di maggior pace e soddisfazione, e sebbene a prima vista sembri nuovo e incredibile  che il mortificare in tutto la propria volontà, sia cosa di gusto, non è però esagerazione alcuna:  perché ne abbiamo l'esempio chiaro in ciò che succede nei Beati, non essendoci chi ritenga meno  della propria volontà, né chi viva con maggior gusto e godimento di essi. 

   Tanto è lontana dall'esser penosa la mortificazione e annegazione della propria volontà, che non  può essere la beatitudine senza una totale annichilazione del proprio volere, per accomodarsi a  quello di Dio. Questo bastava per assicurarci e toglierci la paura, che sia malinconia e afflizione di  cuore il non fare la propria volontà, per fare e volere quella di Dio. Né disturba agli Angeli la loro  gloria quello che di essi dice Davide: che adempiono la parola di Dio, cioè quello che egli comanda  e vuole: il che adempiscono con tanto gusto e sapore, che stanno anelanti e attenti alla sua voce per  udire quello che tornerà loro di nuovo a comandare. In quella guisa che un fanciullino, che ha  gustato di una vivanda saporita che gli è stata pòrta, torna a fissar gli occhi nel piatto, aspettando  che gliene sia dato di nuovo. Ed é di tanto gusto ai Beati il non fare la loro volontà, ma quella di  Dio, che si rallegrano molto più di questa che della grandezza della sua gloria e della sua beatitudine. Più si rallegrano della volontà di Dio, perché volle che fossero beati, che del godimento  della loro propria beatitudine. 

   Nella terra ancora abbiamo esempio di questo nelle persone sante, le quali non facendo mai la  propria volontà, mortificandosi in tutte le cose, vivono contentissime, piene di giubilo e allegrezza.  S. Francesco Saverio, il quale non anelava ad altro che di adempire la volontà di Dio, senza aver  riguardo alla sua, e che cominciava sempre la sua orazione con quelle parole di S. Paolo: Signore,  che volete ch'io faccia? Viveva tanto ripieno di gaudio, che non gli capiva il cuore nel petto; onde  slacciandosi la veste, diceva: Basta, Signore, basta, chiedendo con ciò a Dio, per le molte  consolazioni e favori divini che riceveva, che temperasse la dolcezza e le abbondanti misericordie,  con le quali lo regalava. S. Efrem ancora era tanto fortemente rapito da questo gusto celestiale  dell’adempimento della volontà divina, che non potendo soffrire la grandezza della sua letizia e  diletto, esclamava a Dio, dicendo: Signore, allontanatevi un poco da me; perché non può la  debolezza del mio corpo soffrire la grandezza dei vostri diletti. 

   Non si può spiegare il giubilo che riceve un'anima mortificata, la quale non ha altra volontà né  volere, se non quello di Dio: perché, come disse un dottore, ad ogni totale adempimento della  volontà segue alcun gusto; e perciò l'adempimento della volontà divina contiene in sé un gusto  divino, quando uno non ha più altra volontà che quella di Dio. E questa differenza v'ha da uno che  adempie la sua propria volontà, ad uno che non tiene conto di essa, per adempire quella del suo  Creatore: che colui avrà solo il gusto della volontà umana, ma questi il gusto della divina, cioè un  gusto molto superiore a ogni altro gusto e partecipe del divino, che eccede tutte le dolcezze del mondo. Buon testimonio di questo è Davide, che in vari luoghi confessa questa soavità e gusto: 

Nella via de' tuoi comandamenti, o Signore, io mi dilettai, come di tutte le ricchezze del mondo (Sal.  118. 32).  I tuoi comandamenti, o Signore, sono più degni di essere desiderati che l'oro e le pietre  preziose, e sono più dolci dei favi di miele (Ibid. 18, 11). 2 

   E acciocché alcuno non pensi che questo succedesse solamente a Davide, ovvero che egli lo  dicesse come per esagerazione o modo di dire, sentiamo un testimonio de' nostri tempi, la cui santità è molto ben conosciuta e celebrata, che ci dirà quanto gran gusto sentiva in non fare il suo  gusto. La venerabile vergine D. Luisa da Carvascial confessa quello che in questo particolare  passava nell'anima sua, dicendo così: «Mentre io andava ricevendo la luce nel conoscimento del  tesoro, che si racchiude nella cognizione della volontà di Dio, si venne ad imbevere 1'anima mia di  un'intima affezione a questa virtù, la quale me ne ha fatti fare molti atti, tenendo diverse volte occupata la considerazione nelle sue qualità e grandezza; con che ho ricevuto molto accrescimento  di luce continuamente fino ad oggi; e pare all'anima mia che non può essere possibile, secondo  quello che prova di presente, di aver volontà differente da quella di Dio, nella quale si trova tanta  felicità, soddisfazione e gloria, che, ancorché le avesse a costare 1'essere, che ha o un inferno di  pene, non lascerebbe di goderla per quel breve tempo, nel quale avesse da congiungere il suo sì col  sì di Dio. E il pensiero, che, quando Dio mi avesse disfatto e annientato tutto il mio essere,  resterebbe esso glorificato nell'adempimento di questa sua volontà, e che finalmente si sarebbe fatto  quello che avesse voluto, mi dà tanto gusto, che mi pare che non se ne trovi altro, con cui  cambiarlo. E però, ancorché io voglia che me se ne offra o me se ne rappresenti alcuno per  l'avvenire, subito Si sopisce tutto col rivolgermi a Nostro Signore e dirgli: In quello che voi volete,  che cosa v'ha più da domandare o desiderare? Giungendo una cosa ad essere di vostro gusto, qual  maggior gusto di questo ci può essere per me? E in tutti i travagli mi è un rifugio notabile e un'aura  temperata, che viene da quel Regno pacifico e tranquillo; e con questa si ricrea e ristora l'anima, si  mitiga la sete di vari desideri, che sorgano in essa, e finalmente s'invigorisce a passare innanzi, fino  ad entrare nella perfetta possessione di quella virtù, per quanto le è possibile, mediante la grazia  divina». Ed è tanto questo gusto che anche gli stessi tormenti rende saporiti: come parimente  confessa la medesima serva di Dio e sposa di Cristo, la quale dice così: «Che in questo stato (che  senza esperienza mi si discopre per via del lume dell'intelletto) possa esservi cosa della terra, che si  possa chiamare travaglio, con difficoltà lo capisco; perché, restituita l'anima a questo terreno o  celeste paradiso, appena giungono ad essa siffatti travagli e tribolazioni, che restano in vestiti da  questo divino sole; e sono tanto luminosi, risplendenti e soavi, che apportano gusto nell'anima; e ancorché si sentano (avendo essi tale qualità in sé che si fanno in estremo sentire), senza levar via  alle volte quella certa sorte di sentimento, Nostro Signore li mescola delicatissimamente insieme  con un contento e sollievo meraviglioso: e l'amore in questo stato si ritrova tanto superiore di forze  a tutto e tanto sitibondo, che se vedesse spargere quanto sangue è nel corpo, per causa di quel  sommo bene che ama, non si potrebbe mai mitigare.» Così quella serva di Dio. 

   Ma oltre i favori, consolazioni e regali, coi quali Dio ricrea sopranaturalmente quelli che solo  attendono ad adempire la sua divina volontà, ne segue che questi vivono naturalmente senza pena  alcuna e con gran pace dell'anime loro e allegrezza de' loro cuori; perché la causa di tutte le pene e  affanni della vita è la nostra propria volontà, non le cose avverse che succedono. Quale altra è la  causa dei disgusti, se non perché le cose succedono al contrario di ciò, che uno desidera, o perché fa  qualche errore, che non vorrebbe? Di tutto questo resta libero chi non ha volontà propria, né fa, né  vuole se non quello che vuole Dio; perché non avendo egli volere se non quello di Dio, e non  potendo questi fallire, non gli succede cosa contraria al suo desiderio; per cui giuoca al sicuro, non desiderando se non quello che fa Dio; anzi se la passa con un perpetuo godimento, perché vede  sempre adempire la sua volontà, anche nelle maggiori avversità; e quello che Dio vuole non è  diverso da quello che egli vuole. Dall'altra parte nelle opere che farà, seguendo la volontà di Dio,  non può errare, e neppure rattristarsi in esse: né avrà a pentirsi di quello che farà in questa maniera,  ma sì bene rallegrarsi di servire a Dio e di fare il suo gusto, con quella soddisfazione, che gli dà la  coscienza: e così vive ripieno di gusto e di contento. Il contrario è di chi tiene la propria volontà;  ché, vedendo a ogni punto defraudati i suoi desiderii e le sue traccie, si rattrista da una parte; e dall'altra, considerando i suoi falli, imprudenze e errori, vive pieno di pentimenti e di disgusti. Molti  filosofi, senza far riflessione alle cose divine, ma solamente per passar la vita quaggiù senza  travaglio, consigliarono di lasciare tutti i desiderii e operare seguendo il parere altrui o il consiglio,  che darebbe un savio e perfetto uomo. Quanto più lo dobbiamo far noi e mutare i desideri nostri che  ci avvelenano, per avere solamente i divini, che sono ripieni di salute e sono indirizzati al nostro bene? Quanto meglio dobbiamo prendere per maestro delle nostre azioni il medesimo Dio, facendo  quello, che egli ci consiglia e comanda per sé stesso e per mezzo de' suoi vicari, nostri superiori, o  che richiede la legge della ragione? 

   Da ciò ne segue che non solo è gustoso fare la volontà divina, ma che nel fare altra cosa non v'ha  contento vero e sicuro. Primo, perché, se la nostra affezione si accosta a qualche creatura, essendo  per sé stessa caduca, nel mancarci, si converte tutto il nostro gusto, in maggior dispiacere e pena;  perché le cose di questa vita sono di tale condizione, che sono più potenti a recarci dolore con la  loro mancanza, che gusto col loro possesso. E però i mali e disgusti loro sono più e maggiori che  non sono i loro contenti. Solo chi s'avvicina a Dio, ha gusto sicuro; e perciò dice S. Agostino: Se tu  vuoi avere il tuo godimento, che sia eterno, avvicinati a quello che è eterno». L'ago della bussola  non si ferma, finché non sta rivolto verso qualche punto fisso, e da qualsivoglia altra parte si ponga,  sempre sta inquieto. E il nostro cuore, che fu fatto per Dio, più di qualsivoglia altra creatura, ha  inclinazione al suo centro o alla sua perfezione naturale; né può star quieto, se non sta rivolto al suo  Creatore. Secondo, perché, anche se le cose durassero sempre, sono tanto scarse e piccole, che non  possono soddisfare al nostro appetito e al nostro cuore, il quale solo si può saziare di Dio, e però  non si contenta mai di esse. A un avaro, tanto è l'aver molto, quanto poco, perché al medesimo  modo desidera sempre più, senza termine alcuno, né si contenta mai di nulla. Le cose del mondo  possono solamente occupare il cuore, non riempirlo. Dio solo lo riempie. Ed è bene che qui si  rifletta, che siccome le altre cose, non riempiendo il cuore, l'occupano e l'imbarazzano a non  attendere a Dio, per il contrario Iddio, riempiendo il cuore, non l'imbarazza, né impedisce che  attenda ad altre cose, e che le faccia come van fatte, e che eserciti opere esteriori di carità, e che ami  ancora tutto il mondo per il medesimo Dio. Di maniera che non ci è cuore più disimbarazzato per  tutti e per abbracciare tutto il mondo con vero amore, che il cuore di chi lo tiene ripieno di Dio. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.

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