Come non v'è nel mondo Cosa di maggior diletto, che mortificare totalmente la sua volontà per fare quella di Dio.
Con l'essere di tanto onore il non far la sua, ma la divina volontà, si congiunge il non ritrovarsi cosa più dilettevole e gustosa; affinché almeno per questo giocondo titolo e che è tanto potente a muovere i cuori di tutti, ci animiamo a tanto nobile esercizio. E l'onore umano è riposto in cose moleste e difficili, e non se ne fa acquisto se non con azioni ardue e faticose e di niun gusto per sé stesse. Ma tuttavia ha questa occupazione un tal privilegio, che con essa si acquista il maggior onore del mondo, che è l'essere uno amico di Dio: e oltre di ciò ella è in sé medesima la più gustosa e dolce di tutte, e di maggior pace e soddisfazione, e sebbene a prima vista sembri nuovo e incredibile che il mortificare in tutto la propria volontà, sia cosa di gusto, non è però esagerazione alcuna: perché ne abbiamo l'esempio chiaro in ciò che succede nei Beati, non essendoci chi ritenga meno della propria volontà, né chi viva con maggior gusto e godimento di essi.
Tanto è lontana dall'esser penosa la mortificazione e annegazione della propria volontà, che non può essere la beatitudine senza una totale annichilazione del proprio volere, per accomodarsi a quello di Dio. Questo bastava per assicurarci e toglierci la paura, che sia malinconia e afflizione di cuore il non fare la propria volontà, per fare e volere quella di Dio. Né disturba agli Angeli la loro gloria quello che di essi dice Davide: che adempiono la parola di Dio, cioè quello che egli comanda e vuole: il che adempiscono con tanto gusto e sapore, che stanno anelanti e attenti alla sua voce per udire quello che tornerà loro di nuovo a comandare. In quella guisa che un fanciullino, che ha gustato di una vivanda saporita che gli è stata pòrta, torna a fissar gli occhi nel piatto, aspettando che gliene sia dato di nuovo. Ed é di tanto gusto ai Beati il non fare la loro volontà, ma quella di Dio, che si rallegrano molto più di questa che della grandezza della sua gloria e della sua beatitudine. Più si rallegrano della volontà di Dio, perché volle che fossero beati, che del godimento della loro propria beatitudine.
Nella terra ancora abbiamo esempio di questo nelle persone sante, le quali non facendo mai la propria volontà, mortificandosi in tutte le cose, vivono contentissime, piene di giubilo e allegrezza. S. Francesco Saverio, il quale non anelava ad altro che di adempire la volontà di Dio, senza aver riguardo alla sua, e che cominciava sempre la sua orazione con quelle parole di S. Paolo: Signore, che volete ch'io faccia? Viveva tanto ripieno di gaudio, che non gli capiva il cuore nel petto; onde slacciandosi la veste, diceva: Basta, Signore, basta, chiedendo con ciò a Dio, per le molte consolazioni e favori divini che riceveva, che temperasse la dolcezza e le abbondanti misericordie, con le quali lo regalava. S. Efrem ancora era tanto fortemente rapito da questo gusto celestiale dell’adempimento della volontà divina, che non potendo soffrire la grandezza della sua letizia e diletto, esclamava a Dio, dicendo: Signore, allontanatevi un poco da me; perché non può la debolezza del mio corpo soffrire la grandezza dei vostri diletti.
Non si può spiegare il giubilo che riceve un'anima mortificata, la quale non ha altra volontà né volere, se non quello di Dio: perché, come disse un dottore, ad ogni totale adempimento della volontà segue alcun gusto; e perciò l'adempimento della volontà divina contiene in sé un gusto divino, quando uno non ha più altra volontà che quella di Dio. E questa differenza v'ha da uno che adempie la sua propria volontà, ad uno che non tiene conto di essa, per adempire quella del suo Creatore: che colui avrà solo il gusto della volontà umana, ma questi il gusto della divina, cioè un gusto molto superiore a ogni altro gusto e partecipe del divino, che eccede tutte le dolcezze del mondo. Buon testimonio di questo è Davide, che in vari luoghi confessa questa soavità e gusto:
Nella via de' tuoi comandamenti, o Signore, io mi dilettai, come di tutte le ricchezze del mondo (Sal. 118. 32). I tuoi comandamenti, o Signore, sono più degni di essere desiderati che l'oro e le pietre preziose, e sono più dolci dei favi di miele (Ibid. 18, 11). 2
E acciocché alcuno non pensi che questo succedesse solamente a Davide, ovvero che egli lo dicesse come per esagerazione o modo di dire, sentiamo un testimonio de' nostri tempi, la cui santità è molto ben conosciuta e celebrata, che ci dirà quanto gran gusto sentiva in non fare il suo gusto. La venerabile vergine D. Luisa da Carvascial confessa quello che in questo particolare passava nell'anima sua, dicendo così: «Mentre io andava ricevendo la luce nel conoscimento del tesoro, che si racchiude nella cognizione della volontà di Dio, si venne ad imbevere 1'anima mia di un'intima affezione a questa virtù, la quale me ne ha fatti fare molti atti, tenendo diverse volte occupata la considerazione nelle sue qualità e grandezza; con che ho ricevuto molto accrescimento di luce continuamente fino ad oggi; e pare all'anima mia che non può essere possibile, secondo quello che prova di presente, di aver volontà differente da quella di Dio, nella quale si trova tanta felicità, soddisfazione e gloria, che, ancorché le avesse a costare 1'essere, che ha o un inferno di pene, non lascerebbe di goderla per quel breve tempo, nel quale avesse da congiungere il suo sì col sì di Dio. E il pensiero, che, quando Dio mi avesse disfatto e annientato tutto il mio essere, resterebbe esso glorificato nell'adempimento di questa sua volontà, e che finalmente si sarebbe fatto quello che avesse voluto, mi dà tanto gusto, che mi pare che non se ne trovi altro, con cui cambiarlo. E però, ancorché io voglia che me se ne offra o me se ne rappresenti alcuno per l'avvenire, subito Si sopisce tutto col rivolgermi a Nostro Signore e dirgli: In quello che voi volete, che cosa v'ha più da domandare o desiderare? Giungendo una cosa ad essere di vostro gusto, qual maggior gusto di questo ci può essere per me? E in tutti i travagli mi è un rifugio notabile e un'aura temperata, che viene da quel Regno pacifico e tranquillo; e con questa si ricrea e ristora l'anima, si mitiga la sete di vari desideri, che sorgano in essa, e finalmente s'invigorisce a passare innanzi, fino ad entrare nella perfetta possessione di quella virtù, per quanto le è possibile, mediante la grazia divina». Ed è tanto questo gusto che anche gli stessi tormenti rende saporiti: come parimente confessa la medesima serva di Dio e sposa di Cristo, la quale dice così: «Che in questo stato (che senza esperienza mi si discopre per via del lume dell'intelletto) possa esservi cosa della terra, che si possa chiamare travaglio, con difficoltà lo capisco; perché, restituita l'anima a questo terreno o celeste paradiso, appena giungono ad essa siffatti travagli e tribolazioni, che restano in vestiti da questo divino sole; e sono tanto luminosi, risplendenti e soavi, che apportano gusto nell'anima; e ancorché si sentano (avendo essi tale qualità in sé che si fanno in estremo sentire), senza levar via alle volte quella certa sorte di sentimento, Nostro Signore li mescola delicatissimamente insieme con un contento e sollievo meraviglioso: e l'amore in questo stato si ritrova tanto superiore di forze a tutto e tanto sitibondo, che se vedesse spargere quanto sangue è nel corpo, per causa di quel sommo bene che ama, non si potrebbe mai mitigare.» Così quella serva di Dio.
Ma oltre i favori, consolazioni e regali, coi quali Dio ricrea sopranaturalmente quelli che solo attendono ad adempire la sua divina volontà, ne segue che questi vivono naturalmente senza pena alcuna e con gran pace dell'anime loro e allegrezza de' loro cuori; perché la causa di tutte le pene e affanni della vita è la nostra propria volontà, non le cose avverse che succedono. Quale altra è la causa dei disgusti, se non perché le cose succedono al contrario di ciò, che uno desidera, o perché fa qualche errore, che non vorrebbe? Di tutto questo resta libero chi non ha volontà propria, né fa, né vuole se non quello che vuole Dio; perché non avendo egli volere se non quello di Dio, e non potendo questi fallire, non gli succede cosa contraria al suo desiderio; per cui giuoca al sicuro, non desiderando se non quello che fa Dio; anzi se la passa con un perpetuo godimento, perché vede sempre adempire la sua volontà, anche nelle maggiori avversità; e quello che Dio vuole non è diverso da quello che egli vuole. Dall'altra parte nelle opere che farà, seguendo la volontà di Dio, non può errare, e neppure rattristarsi in esse: né avrà a pentirsi di quello che farà in questa maniera, ma sì bene rallegrarsi di servire a Dio e di fare il suo gusto, con quella soddisfazione, che gli dà la coscienza: e così vive ripieno di gusto e di contento. Il contrario è di chi tiene la propria volontà; ché, vedendo a ogni punto defraudati i suoi desiderii e le sue traccie, si rattrista da una parte; e dall'altra, considerando i suoi falli, imprudenze e errori, vive pieno di pentimenti e di disgusti. Molti filosofi, senza far riflessione alle cose divine, ma solamente per passar la vita quaggiù senza travaglio, consigliarono di lasciare tutti i desiderii e operare seguendo il parere altrui o il consiglio, che darebbe un savio e perfetto uomo. Quanto più lo dobbiamo far noi e mutare i desideri nostri che ci avvelenano, per avere solamente i divini, che sono ripieni di salute e sono indirizzati al nostro bene? Quanto meglio dobbiamo prendere per maestro delle nostre azioni il medesimo Dio, facendo quello, che egli ci consiglia e comanda per sé stesso e per mezzo de' suoi vicari, nostri superiori, o che richiede la legge della ragione?
Da ciò ne segue che non solo è gustoso fare la volontà divina, ma che nel fare altra cosa non v'ha contento vero e sicuro. Primo, perché, se la nostra affezione si accosta a qualche creatura, essendo per sé stessa caduca, nel mancarci, si converte tutto il nostro gusto, in maggior dispiacere e pena; perché le cose di questa vita sono di tale condizione, che sono più potenti a recarci dolore con la loro mancanza, che gusto col loro possesso. E però i mali e disgusti loro sono più e maggiori che non sono i loro contenti. Solo chi s'avvicina a Dio, ha gusto sicuro; e perciò dice S. Agostino: Se tu vuoi avere il tuo godimento, che sia eterno, avvicinati a quello che è eterno». L'ago della bussola non si ferma, finché non sta rivolto verso qualche punto fisso, e da qualsivoglia altra parte si ponga, sempre sta inquieto. E il nostro cuore, che fu fatto per Dio, più di qualsivoglia altra creatura, ha inclinazione al suo centro o alla sua perfezione naturale; né può star quieto, se non sta rivolto al suo Creatore. Secondo, perché, anche se le cose durassero sempre, sono tanto scarse e piccole, che non possono soddisfare al nostro appetito e al nostro cuore, il quale solo si può saziare di Dio, e però non si contenta mai di esse. A un avaro, tanto è l'aver molto, quanto poco, perché al medesimo modo desidera sempre più, senza termine alcuno, né si contenta mai di nulla. Le cose del mondo possono solamente occupare il cuore, non riempirlo. Dio solo lo riempie. Ed è bene che qui si rifletta, che siccome le altre cose, non riempiendo il cuore, l'occupano e l'imbarazzano a non attendere a Dio, per il contrario Iddio, riempiendo il cuore, non l'imbarazza, né impedisce che attenda ad altre cose, e che le faccia come van fatte, e che eserciti opere esteriori di carità, e che ami ancora tutto il mondo per il medesimo Dio. Di maniera che non ci è cuore più disimbarazzato per tutti e per abbracciare tutto il mondo con vero amore, che il cuore di chi lo tiene ripieno di Dio.
P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.
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