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domenica 15 marzo 2020

ALLA SCUOLA DELL'AMORE



Una triplice presenza

Questa realtà del mistero implica una triplice presenza: presenza della Vergine, per la presenza della Vergine la presenza dello Spirito cui vi abbandonate, e per l'abbandono allo Spirito Santo la presenza stessa del Cristo, che vi prende e vi possiede come uno sposo la sposa, perché diveniate con lui un solo corpo, perché possiate vivere con lui una medesima vita, e possiate dire con l'apostolo Paolo: «Vivo io, ma non sono più io che vivo, il Cristo vive in me».
Non è questo già il Paradiso? Sì, il Paradiso non è nulla di più; noi viviamo questo nella fede, lo vivremo domani nella visione, quando i nostri occhi saranno capaci di vedere quello che oggi noi crediamo. Ma la realtà rimane la stessa, è comunione dolcissima con la Vergine pura, è abbandono totale di noi allo Spirito di Dio, è amore infinito del Cristo, che ci assume per divenire con noi un solo corpo vivo: questo è il Paradiso! Allora noi lo vedremo Dio, lo vedremo con gli occhi stessi del Verbo, perché divenuti una sola cosa con lui; una sarà la vita del Cristo con l'anima, una la lode del Cristo e dell'anima al Padre celeste. Lo facciamo già qui, perché ogni tempo per l'anima veramente fedele si apre nell'eternità di Dio, ogni luogo per l'anima veramente fedele si apre alla divina immensità. Ogni tempo e ogni luogo è per noi il segno e il sacramento che fa presente la realtà di questo mirabile mistero, il mistero di un amore infinito che si comunica al mondo, del Cristo e dello Spirito di Dio.
Ma questo mistero di comunione divina, di comunicazione divina, indubbiamente esige la presenza della Vergine, perché è la Vergine che ha creduto e deve insegnare anche a noi come si crede. Ricordate quello che dice Elisabetta alla Vergine, proprio quando la Vergine va a visitarla? «Beata tu che hai creduto, perché si compiranno in te tutte le cose che ti ha detto il Signore». Se dunque dobbiamo vivere questa comunione con Dio e con lo Spirito, noi vivremo questa comunione se parteciperemo alla fede stessa della Vergine, che ha creduto alla parola dell’Angelo. Che anche voi, possiate credere come Maria. Ecco perché Maria si fa presente, per donarvi e per parteciparvi qualche cosa della sua fede, e per vivere della medesima unione di amore. Fede, ma fede pura, fede semplice; ed è la fede che anche renderà possibile a voi, nella comunione della vostra anima con Cristo, di vivere l'amore stesso di Maria, la purezza di Maria, la semplicità di Maria, l'umiltà della Vergine pura.

Divo Barsotti

mercoledì 4 marzo 2020

ALLA SCUOLA DELL'AMORE



Esperienza di comunione

Ecco, mie care Sorelle, quello che mi sembra debba essere questo incontro reale con Dio, per la mediazione della Vergine pura: una esperienza più intima e dolce di questa comunione di vita che, mediante la mediazione di Maria, la Madre, noi vivremo col Cristo, una comunione reale con lui, anzi con lui una sola vita. E in questa comunione anche la nostra comunione con Dio, perché il Cristo è, sì, uomo, ma l'umanità del Cristo è la via che ci conduce a Dio, ed egli è anche Dio, come dice Agostino: Via e Vita.
Per entrare in questo mistero dunque si impone prima di tutto la fede! Se noi non crediamo, tutto quello che abbiamo detto diviene soltanto parole, che possono essere belle, ma che lasciano il tempo che trovano. E d'altra parte non è la fede che realizza questo mistero, ma è la fede che ci rende partecipi di questo mistero. Perciò quanto più pura e grande sarà la fede nella presenza del Cristo, nella presenza della Vergine, tanto più grande sarà l'esperienza di questa realtà nella quale Dio ci introduce.
Noi dobbiamo, in una fede pura, credere veramente che la Vergine è qui; ma noi lo dobbiamo vivere realmente questo incontro con lei, dobbiamo sentirla, riconoscerla come mamma, perché noi siamo tutti suoi figli, dobbiamo sentirei abbracciati da questa tenerezza di amore, dobbiamo sentirci invasi dalla dolcezza della sua carità.
Si diceva all'inizio di questa introduzione che Maria Santissima è continuamente in visita verso ciascuno di noi. La visita a santa Elisabetta l'ha fatta una volta sola, ma a ciascuno di voi Maria santissima è venuta in visita innumerevoli volte nella sua vita e anche stasera. Apriamo gli occhi della fede per vederne il volto, per ascoltarne la parola. Sia lei in questi giorni a parlarvi, e sarà lei che vi disporrà sempre di più non solo ad accogliere Cristo, ma ad accoglierlo in modo tale da divenire una sola cosa con lui, un solo corpo con lui, perché siete le sue spose.
Che ella vi insegni anche come ci si abbandona allo Spirito, perché soltanto nell’abbandono allo Spirito Santo si compie il mistero di questo prolungamento dell'Incarnazione che è la vita cristiana, di questo prolungamento di Incarnazione divina, che è il mistero stesso della Chiesa e della santità di ciascuno.

Divo Barsotti

mercoledì 19 febbraio 2020

ALLA SCUOLA DELL'AMORE



La realtà del mistero

In questi giorni dobbiamo dunque vivere la realtà di questo mistero. Non si tratta di meditare su qualche virtù, si tratta piuttosto di percepire nella fede una presenza: presenza della Vergine, presenza del Cristo, presenza dello Spirito di Dio. Perché è mediante lo Spirito Santo che noi possiamo vivere la presenza stessa della Vergine e del Cristo. Infatti è mediante lo Spirito che noi siamo introdotti nel Regno di Dio. Dice il Vangelo che lo Spirito Santo è come un vento che non sai né donde venga, né dove vada. Ma noi sappiamo che lo Spirito viene da Dio e a Dio conduce. E allora ecco che lo Spirito Santo che viene da Dio vi porta a Dio, o piuttosto vi porta nella realtà di questo mondo divino che è Cristo Signore e la Vergine Santa. Perché non è più vero che la Vergine fa parte di questo mondo, non è più vero che Gesù fa parte di questo mondo; siamo noi ed è questo mondo che deve entrare in questo «nuovo mondo» che è il Cuore del Cristo, in questo <
Vivere la realtà di questo mistero vuol dire vivere già in Paradiso. E voi vivete già da lungo tempo in Paradiso; infatti, la vita religiosa nella teologia cattolica è stata sempre ritenuta come una anticipazione della vita del cielo. Dicono che voi vivete in clausura, ma non è vero, perché una monaca che vive totalmente per Iddio vive la libertà pura di un'anima che spazia nell'immensità divina. Non è forse vero che il vostro luogo è l'immensità di Dio? Siete davvero chiuse? Sono chiusi quelli che vanno al mare e non vivono altro che la loro piccola vita. Ma la vostra anima, quale respiro non ha! Vivete in Dio e Dio è l'immenso, vivete nel Cristo e Cristo è l'Amore!
È lo Spirito Santo che vi ha condotto a vivere in questo «mondo nuovo» che è il Seno del Padre, il Cuore del Cristo e di Maria.
Ecco, durante questo ritiro non vivrete qualche cosa di nuovo in senso assoluto, ma cercherete di vivere con una consapevolezza nuova, quella che è la vostra vita di ogni giorno: vivere in Dio, vivere per Dio, vivere di Dio; e vivere per Dio, in Dio, di Dio vuol dire vivere in Cristo, per la mediazione della Maternità di Maria, e vivere in Dio, per Dio e di Dio vuol dire abbandonarsi alla potenza dello Spirito, perché lo Spirito operi in voi quello che ha operato un giorno nel seno della Vergine. E lo Spirito in Maria ha operato l'Incarnazione del Verbo! Per l'azione dello Spirito Santo deve prolungarsi in noi questo mistero, in tal modo che viva in noi Cristo, viva solo Cristo, e vivendo in noi Cristo e solo Cristo, vivremo di Dio, in Dio e per Dio come ha vissuto il Verbo incarnato nella natura umana, assunta.

don Divo Barsotti

venerdì 31 gennaio 2020

ALLA SCUOLA DELL'AMORE



Una fede che apre gli occhi e il cuore

È vero che ella viene, ma è anche vero che noi dobbiamo aprirle le porte, e si aprono le porte della nostra anima alla Vergine, nella misura di una nostra fede semplice, pura, viva.
Crediamo davvero che Maria Santissima è qui con noi? Crediamo davvero che Maria Santissima vuole venire, e ci chiede di aprire la porta del cuore perché possa vivere con noi questi giorni, possa aiutarci a rispondere a Dio, anzi più ancora: aiutarci ad ascoltare la sua parola? È la visita di Maria santissima a santa Elisabetta che portò a Giovanni Battista Gesù; è la visita di Maria santissima a santa Elisabetta che portò anche ad Elisabetta Gesù, perché anche Elisabetta sentì che con la Vergine veniva a lei anche il Figlio di Dio.
La prima cosa dunque che si impone entrando in questo Ritiro è che nella fede noi prendiamo coscienza di questo mistero.
Certo: dobbiamo essere buoni, dobbiamo essere santi, ma è secondario tutto questo, è molto secondario. Primario nel cristianesimo è l'atto di fede che accoglie un Dio che si comunica in Cristo ad ogni uomo. E Cristo viene a noi, mediante la maternità verginale di Maria. Primario è vivere il mistero; è nel vivere il mistero di questa presenza che noi saremo anche buoni e santi. La santità sarà una conseguenza naturale di un incontro reale con la Vergine pura, con il suo Figlio divino.
S'impone dunque per prima cosa una fede vera, umile, semplice e pura che ci apra gli occhi e faccia esclamare anche a noi quello che Elisabetta esclamò: «A che debbo che la Madre di Dio, la Madre del mio Signore venga a me?».
La Vergine viene! La visita di Maria Santissima a noi non è meno vera dell'incontro che ella ha vissuto con Melania Calvat e con Massimino sul monte della Salette o con Bernardetta alla grotta di Massabielle. Non è meno vera, anche se i nostri occhi non la vedono. E noi non la vediamo, non perché lei voglia rimanere invisibile, ma perché i nostri occhi non possono captare la sua luce. Siamo come le civette, diceva san Giovanni della Croce, che ci vedono di notte e di giorno non possono vedere; perché la luce della divina Presenza, la luce della gloria di Dio, la luce della Presenza del Cristo, la luce anche della gloria della Vergine, sono tali che i nostri occhi rimangono come accecati, non vedono più. Noi non possiamo vedere per eccesso di luce, ma ella è qui, ella viene, porta a ciascuno Gesù.
Come saranno belli questi giorni di ritiro se noi li vivremo con lei, se li vivremo con lui! Non vi sembra? Non si tratta di viverli soltanto insieme tra noi; si tratta di vivere qualche cosa di più grande, qualche cosa di immensamente più bello: la nostra comunione con la Vergine pura. Non si tratta di imparare da lei come si vive, il modello si può avere anche attraverso la lettura o la meditazione di quello che ella ha vissuto, e voi lo conoscete. Ma è più bello vivere nella presenza pura di chi si ama piuttosto che ricevere e leggere una cartolina che ci viene da lontano. Ella è qui! Dobbiamo saperlo, ella è qui!
Non c'è luogo dove ella non sia, se in ogni luogo vi è un'anima che ella ama. Finché era sulla terra, condizionata dalla sua natura umana, non poteva essere nello stesso tempo ad Ain-Karem dove era Elisabetta, e a Nazaret dove era Giuseppe, non poteva essere nello stesso tempo a Betlemme e a Gerusalemme; ma ora è là dove ama, ed ella ama ogni suo figlio. Potete voi dubitare che Maria Santissima vi ami? Voi potete dubitare di amarla, ma non che ella vi ami; e forse neppure dubitate di amarla, e allora voi pensate che se lei vi ama di più di quanto voi l'amate, voglia stare lontano da voi?
Ella è con voi! Noi dobbiamo vivere questa presenza materna della Vergine. Se ella è mediatrice di ogni grazia, è perché da lei abbiamo ricevuto Gesù, e in ogni istante è dalle sue mani verginali e dal suo Cuore di Madre, che noi dobbiamo accogliere il Cristo.

Don Divo Barsotti

mercoledì 22 gennaio 2020

ALLA SCUOLA DELL'AMORE



IL MISTERO DELLA VISITAZIONE


Una visita personale

È un mistero dolcissimo. È il mistero della carità di Maria che va da sua cugina Elisabetta, per assisterla negli ultimi mesi della sua gravidanza. Mistero della carità di Maria, che è un continuo venire ad ogni anima, per assistere ogni anima nel suo cammino verso Dio.
Come Nostro Signore, anche Maria Santissima nei suoi misteri vive una missione, che non termina se non con la fine del tempo. Non solo la grazia di quella carità che porta la Regina del cielo dalla cugina Elisabetta si fa presente oggi nella Chiesa per ogni anima, ma, di più, si fa presente la visita stessa della Vergine ad ogni anima.
Nella sua vita terrena la Vergine, come noi, era condizionata dal tempo e dallo spazio; non poteva nel medesimo tempo andare da Elisabetta e rimanere con Giuseppe o andare al Tempio di Gerusalemme, vivere cioè in molteplici luoghi, come molteplice invece poteva essere il desiderio dell’anima sua di soccorrere tutti coloro che potevano avere bisogno di lei. Così anche Gesù. Non appare nel Vangelo che nella sua vita mortale abbia voluto usare del dono di una bilocazione, ad esempio: anche lui se era a Betlemme non era a Nazaret, se era a Gerusalemme non era in Samaria. Condizionata come noi, Maria non poteva vivere che in un solo luogo, non poteva vivere che un solo atto di amore.
Non così dopo la sua glorificazione. Come il Cristo dopo la sua risurrezione gloriosa si fa presente ad ogni anima, si unisce a ciascuno di noi e vive in ognuno di noi “Dimorate in me ed io in voi”, dice Gesù, così la Vergine; ella è là dove ama, ella è dunque in un continuo visitare ciascuno di noi, nella sua carità. Non è soltanto una presenza di ricordo, non è soltanto una presenza spirituale come potrebbe essere la presenza, in noi, del nostro affetto e del nostro amore per tutti coloro che amiamo. Non è così, è una presenza reale; la Vergine non è più condizionata né dal tempo né dallo spazio. Ella vive soltanto la pienezza di un amore, che rende possibile alla sua natura di donna glorificata di vivere con ciascuno di coloro che ama, di vivere venendo a ciascuno che ama. Perché la visita di Maria Santissima, non più legata ai luoghi, ma legata alle anime, viene a ciascuna anima che particolarmente è disposta ad accoglierla.

don Divo Barsotti

martedì 31 dicembre 2019

PARTECIPAZIONE ALLA MORTE DI CRISTO



La partecipazione attiva alla Messa è, sì, rispondere al Sacerdote, alzarsi quando si legge il Vangelo, ma questa è una partecipazione attiva al rito, non ancora al mistero. Invece noi possiamo partecipare al mistero anche quando non siamo presenti alla Messa. La partecipazione al mistero si realizza in una morte che ci associa alla Morte del Cristo, in una morte che fa presente in noi la sua Morte come atto di amore, di offerta, di redenzione.

Nel rito orientale della Messa, viene posto sopra l'altare un pane benedetto – non consacrato – di cui si fanno nove parti; e queste parti rappresentano tutto il popolo fedele: i defunti, i santi del Cielo, tutti i cristiani, anche i peccatori. Il pane è un simbolo reale: ogni cristiano è una vittima posta sull'altare, e vi dimora come Gesù, per essere offerto, immolato a Dio per il bene di tutti. È questa la nostra Messa. Tutta la nostra vita è partecipazione al Sacrificio di Cristo.

Si può vivere in casa nostra la vita nascosta di Gesù, o quella pubblica nell'apostolato cristiano, o la sua missione di taumaturgo nell'esercizio delle professioni, ma tutti dobbiamo vivere la nostra vita come ostie. Lo dice S. Paolo nella Lettera ai Romani: « Vi esorto, in nome della misericordia di Dio, affinché vogliate offrire a guisa di culto spirituale, e quindi gradito a Dio, i vostri corpi, come vittima vivente e santa ». Lo ripete nella Lettera agli Efesini: « Siate imitatori di Dio come figli carissimi; come Gesù morì vittima di soave odore, così offrite voi stessi a Dio ». È questa la vita cristiana. Non si può eliminare questa concezione della vita cristiana che è essenziale al nostro essere in Cristo: siamo vittime.

Il Battesimo ci ha consacrati a Dio. Essere consacrati vuoi dire essere riservati, messi da parte. I contadini mettono da parte le bestie riservate al macello: così la consacrazione ci risèrva: siamo separati dall'umanità, ma lo siamo per l'umanità; siamo messi da parte per essere immolati per il bene degli uomini. Chi compirà il nostro sacrificio? Colui che operò il sacrificio di Gesù. Per lo Spirito Santo egli si offrì al Padre: lo immolò soltanto il suo amore. Anche in noi la sofferenza e la morte saranno partecipazione alla Morte di Cristo, se saranno la prova che in noi vive l'amore.

La vita presente è per tutti un morire: che sia per noi un morire per amore! Offriamoci per il bene dei fratelli; offriamo la nostra sofferenza, le nostre lacrime, la nostra povertà, ciò che ci umilia, tutta la nostra vita ...

O Signore, come siamo contenti di poter soffrire per dimostrare il nostro amore per Te! Ti offriamo il nostro corpo, la nostra anima, il nostro sangue, tutto, e vogliamo che il nostro dono sia salvezza per tutti.

Certo, sappiamo che il nostro dono non vale; ma è grande se lo uniamo all'offerta del Cristo. Noi siamo sull'altare proprio per questo: perché la nostra offerta non sia separata da quella del tuo Figlio! Quale immagine del Cristo più bella, più vera, del cristiano? Si può pensare che una statua, un dipinto sia un'immagine più vera di quello che è l'uomo che ha ricevuto la mattina la S. Comunione? La Comunione non ci trasforma nel Cristo? Non fa presente Gesù nella nostra vita, non fa vivere Cristo in noi? Pensiamo che la fede cristiana, l'unione intima con Gesù Salvatore, ci debba dispensare dalla sofferenza. A che serve esser cristiani, a cosa serve il pregare (dicono tanti) se dobbiamo soffrire come gli altri, se siamo sottoposti come gli altri alla morte? Non é come gli altri, ma come Gesù.

La nostra fede ci serve a soffrire di più, non certo a preservarci dal dolore, perché deve far presente in noi la Passione stessa del Cristo: non la sofferenza che è dovuta per i nostri peccati, ma la sofferenza che è dovuta a tutta quanta l'umanità, perché è questa sofferenza che Gesù ha preso sopra di sé. Nella misura in cui tu vivi nel Cristo, non vivi più soltanto il tuo dolore, ma vivi il dolore del mondo; tu non assumi soltanto il peso dei tuoi peccati, tu assumi il peso del peccato del mondo, per esserne a tua volta schiacciato.

L'uomo dovrebbe superare il dolore dopo aver vinto in sé il peccato: proprio allora, invece, incomincia per lui il vero martirio.

Nella mistica di S. Giovanni della Croce sembrerebbe che l'uomo, giunto all'unione trasformante, non dovesse più soffrire, ma S. Giovanni della Croce nelle sue opere non ci dà nemmeno la prova di quello che fu la sua esperienza interiore. Neppure S. Giovanni della Croce, una volta giunto all'unione trasformante, conobbe la gioia. Egli giunse all'unione trasformante nel carcere di Toledo; ma dopo il carcere di Toledo, Dio preparò per lui un abisso ancor più grande di sofferenza: l'abbandono da patte dei suoi fratelli, il tentativo di cacciarlo dall'Ordine, la morte. La sofferenza di S. Giovanni della Croce non terminò con l'unione trasformante: è con l'unione trasformante piuttosto che egli divenne capace di partecipare in un modo più intimo e vero alla Passione stessa di Gesù, che è Passione redentrice. La passione di S. Giovanni della Croce, gli meritò di essere il padre dell'Ordine: tutto l'Ordine vivrà nella sua passione. Come dalla Passione del Cristo è nata la Chiesa, così dalla passione dei santi si rinnova la Chiesa e nasce e vive ogni famiglia religiosa.

Così S. Teresa di Gesù Bambino. Sembra che ella sia giunta all'unione trasformante nel tempo in cui si offrì all'Amore misericordioso; se leggiamo la sua vita vedremo che è proprio da allora che la investe il massimo della sofferenza e delle tribolazioni interiori. Invece di liberarsi dalla sofferenza, proprio allora ella ottiene di divenire la più grande santa dei tempi moderni, assumendo tutto il peso del peccato umano per esserne come schiacciata, spezzata. L'Umanità di Gesù non sopportò il peso del dolore umano ed egli è morto sulla Croce: come potrebbe l'uomo, nella misura in cui fa suo il dolore del Cristo, reggere a tale peso?

La perfezione cristiana termina nella morte, non tuttavia in un'estasi di amore, come aveva scritto S. Giovanni della Croce; ma nell'agonia pura e semplice. nella desolazione dello spirito, nel sentimento dell'abbandono del Padre, perché così è morto Gesù e così deve morire chi a lui più si avvicina.

Questa la vera vita eucaristica. La Comunione non ti promette la dolcezza dell'estasi: Gesù si comunica all'uomo per imprimere in lui il suo Volto divino, affinché egli divenga la vera « icona » del Cristo, la vera immagine di Gesù. Presente realmente, ma misteriosamente nascosto nell'Eucarestia, Egli vuole rivelarsi in noi, vuoi farsi presente e visibile agli uomini nella nostra medesima vita, nel nostro medesimo corpo.

Noi non riceveremo le stigmate. Ma partecipando al suo mistero, dovremo esprimere chiaramente la nostra assimilazione a Cristo così che anche il corpo divenga veramente una immagine di Gesù. La vera immagine di Gesù è il santo: non scolpita o dipinta dalla mano dell'uomo, ma dallo Spirito Santo.

La mistica cristiana non è una mistica dell'Uno, un puro affondare dell'anima nella luce di Dio, un puro perdersi dell'uomo nella luce infinita: è un'assimilazione a Cristo. La nostra unione, la nostra unità con Dio, esige prima di tutto la nostra unità con tutta quanta l'umanità sofferente e peccatrice, nella nostra trasformazione in Cristo.

Gesù fa presente in te la sua Passione in un modo visibile e tu partecipi al mistero della sua riparazione. Quello che è nascosto nell'Eucarestia, nel santo diviene palese; quello che nell'Eucarestia è nascosto deve vivere in te.

Gesù si comunica a te, per vivere pienamente in te, per passare di nuovo dal mistero (non dalla realtà, perché la realtà è già tutta nel mistero) alla visibilità; per introdursi dal mistero nella vita del tempo. Attraverso la partecipazione al Mistero eucaristico, l'atto della Morte del Cristo entra nel tempo e nello spazio, diviene la vita di ogni uomo, la vita anche del mondo.

don Divo Barsotti

lunedì 30 dicembre 2019

La presenza reale



***
Si crede di poter superare la spiritualità cristiana. La natura umana si è realizzata pienamente nel Cristo, così il Cristo, non solo come Dio ma anche come Uomo, si propone agli uomini come norma e ideale. L’atto ultimo della storia non potrà mai superare la Morte di Croce. L’atto supremo dell’umanità, la massima realizzazione dell’umanità è in questo dono che Cristo ha fatto di Sé con la morte. È in quell’atto di amore che Egli eternamente rimane, e in questo atto Egli realizza l’unità con tutti i mondi, con tutte le anime.
Il Cristo rimane, nel suo Sacrificio, il termine di ogni umano cammino. Egli ci trascende. Noi ci doniamo a Lui, Egli si dona a noi, ma il suo dono non elimina la sua presenza oggettivamente distinta. Tu mangi il pane e lo elimini come pane perché diviene tuo corpo; tu mangi il Cristo, Egli si comunica a te, ma Egli rimane. Puoi comunicarti ogni giorno e ogni giorno tu devi comunicarti di nuovo; qualunque sia il dono che ricevi da Lui, tu in Lui non ti trasformi così da non essere sempre Egli, per te, Colui che ti trascende come legge di vita, come ideale ultimo che l’anima non potrà mai pienamente raggiungere, cui non potrà mai identificarsi pienamente. 
     
*  *  *
Dio è presente per comunicarsi. La Presenza reale implica e realizza la vera comunione di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. Pur vivendo nel medesimo mondo, gli uomini sono come dimore chiuse. Il fatto che vivono in un corpo rende possibile, attraverso il rapporto del corpo, una qualche comunicazione fra loro, ma la comunicazione rimane essenzialmente esteriore. Attraverso il corpo le anime comunicano fra loro; l’unione d'amore ha inizio nel corpo per consumarsi nello spirito. Il corpo, tuttavia, nello stesso tempo che è mezzo, è anche ostacolo alla comunione perfetta.
Viviamo nel medesimo mondo, ma non siamo presenti gli uni agli altri. L’uomo può essere veramente presente soltanto a Dio, e Dio soltanto può esser presente veramente all’uomo, perché la presenza vera, reale, perfetta, implica una totale comunicabilità, un rapporto totale. Si è realmen- te presenti uno all’altro quando uno all’altro possiamo donarci e uno e l’altro possederci fino in fondo. Ogni altra presenza è presenza di contiguità, è presenza di cose, non di esseri vivi, non di persone viventi. Dio si fa presente nel Cristo risorto.
Il Mistero eucaristico è il Mistero di quella Presenza reale. Egli non era presente fra gli uomini prima della sua resurrezione come ora è presente nel sacramento eucaristico. Nella Presenza reale del Cristo, Dio si dona all’uomo e l’uomo sfugge alla sua solitudine umana donandosi a Dio. Nel Cristo l’uomo, come può ricevere Dio, così può totalmente aprirsi e totalmente donarsi. Anzi, la Presenza reale è già la comunione perfetta perché, in Cristo, Dio e l’uomo già divengono uno. Per questo il Cristianesimo può presentarsi come la religione più alta anche a quelli che non credono, perché è l’unica religione che assicura di realizzare la suprema comunione di vita di un amore personale, che è totale dono di sé. Gli asiatici non accettano che il Cristianesimo sia la religione più alta. I buddisti ci dicono: “Solo la religione buddista libera gli uomini da ogni mitologia e realizza la pura vita spirituale nell’assoluto rifiuto di tutto quello che è relativo; il Budda non si è pronunciato su Dio, ma è stato proprio il suo rifiuto a parlarne, che salva la trascendenza di ciò che non è impermanente; la trascendenza non ha nome, rimane inoggettivabile, rimane senza espressione né sensibile né concettuale: pura vacuità”.
Ma il Cristianesimo può essere riconosciuto più alto del Buddismo proprio dal fatto che la vita religiosa nel Cristo si compie, non in un puro rifiuto, ma in un atto totale di amore. L’uomo non può dare un nome a Dio, non può definirLo né pretendere di conoscerLo, ma Dio può farsi conoscere, può dire il suo nome, donarsi all’uomo, se vuole, e l’uomo può raggiungerlo non soltanto facendoGli posto nel vuoto dentro di sé, ma in atto puro e totale che acconsente ad esser invaso e posseduto da Dio. Il rifiuto proprio del Buddista a incatenare Dio nelle maglie del pensiero e dell’esperienza, diviene nel Cristianesimo certezza di una libera ma piena comunione di amore di Dio con l’uomo nel Mistero della Presenza reale. Dio non si fa presente nel Cristo che in quanto si dà, così la Presenza reale è il dono di Dio all’uomo che l’uomo può ricevere nell'atto in cui egli stesso si dona all'Amore.
L’uomo « è » nella misura in cui si dona a Dio, nella misura che, come è creato da Dio, così diviene puro riferimento di amore a Lui. Così tutta la mia vita è il dono di me stesso a Dio nel Cristo. Nella sua presenza Egli si dona all’uomo e l’uomo si dona a Dio in una totale comunicabilità.
Così la vita del Cristianesimo è purezza di amore, è perfezione di amore, ma di un amore che non è più angoscia nella volontà di donarci senza che alcuno possa riceverci, non è più desiderio di accogliere senza poter accogliere l'altro: è veramente un essere l'uno nell’altro in modo perfetto, a somiglianza di quello che avviene nelle Persone divine, onde il Padre è nel Figlio e il Figlio è nel Padre. Così dice Gesù nel sermone dopo la Cena: noi siamo in Lui ed Egli è in noi, « Rimanete in me ed io in voi » (Gv 15,4). Egli è presente nell’Eucaristia in quanto si dona; Egli è presente in quanto Egli è per me ed in me, ed io sono per Lui e in Lui. Il Padre totalmente si ordina al Figlio e il Figlio totalmente al Padre; la Presenza reale del Cristo è la realtà di un amore, che è perfetta e piena comunione del Cristo ad ogni uomo ed esige la comunione di ogni uomo con Lui.
L’uomo è un mondo, ed è più vasto del mondo. Quale profondità di vita egli possiede! Gli uomini vivono gli uni accanto agli altri, vivono forse nella medesima casa e sono estranei fra loro. Qualsiasi amore che ci portiamo può far sì che noi possiamo più o meno intuire l’altro, più o meno capirlo, ma rimaniamo nonostante tutto degli estranei. Che presenza è la nostra? La vera presenza è il Signore. Io sono veramente presente soltanto per Lui che mi ama ed Egli è presente realmente soltanto per me. Se non viviamo la sua Presenza reale siamo come dei morti, degli alienati, al di fuori di noi stessi, e nessuno ci conosce e ci riceve. Non viviamo in nessun luogo, perché l’unico luogo che veramente ci accoglie è il Corpo di Cristo, Questo Corpo è il mondo nuovo che tutti ci accoglie. L’uomo non può essere veramente presente che in Lui. Io posso amare chiunque, ma chiunque io ami, mi rimane estraneo. Quale angoscia deve essere quella di chi realmente ama, di vivere insieme e non potersi mai posseder totalmente! Ma l’uomo può esser nel Cristo, e il Cristo stesso tutto vuol essere in te e realmente si dona. Nessuna presenza è comparabile alla sua: Egli è la Presenza reale.
Vivere la Presenza reale è vivere finalmente la liberazione dalla solitudine propria dell’uomo. Così la Presenza reale del Cristo realizza la Chiesa moltitudine e unità dei redenti; così nel Sacramento eucaristico è vinta la solitudine dell’uomo e la solitudine di Dio. Dio non vive più nella sua solitudine: Egli è l’Amore che si dona; e gli uomini non vivono più nella loro solitudine: essi sono coloro che hanno  accolto l’Amore. Finalmente Uno si dona agli uomini e gli uomini in Lui  divengono uno. Finalmente anche tu puoi donarti perché trovi uno che può ricevere fino in fondo. Egli vive in te, tu vivi in Lui: questa è la Presenza reale.
Gli uomini, se non hanno fede, vivono alienati a se stessi. Vivere nell’alienazione è angoscia senza fine. Essi cercano di impegnare in qualche modo la vita al di fuori di sé, ma senza realizzare se stessi, senza vivere la vita di Dio. Se l’uomo invece realizza la presenza del Cristo, anche gli altri si fanno presenti. In Lui e per Lui tutto diviene fraterno e intimo all’uomo. La vita cristiana è precisamente a imitazione di quella che è la vita di Dio: puro rapporto di amore.
Quando le cose cadranno, che cosa vivrai se non hai incontrato l’amore? Quando tutto l’universo visibile precipiterà per te come nel nulla, non ti rimarrà che il tuo vuoto e la tua solitudine, se non sei entrato in questa presenza. Ma se tu sei entrato in questa presenza, questa presenza rimane e tu vivrai in Lui ed Egli in te e la vita sarà un’immensa comunione di amore.

don Divo Barsotti

sabato 28 dicembre 2019

La presenza reale




***
Dio non è soltanto la causa « fontale » dell’essere creato, ma è anche la « causa  finale ». Tutte le cose dipendono da Lui e hanno da Lui il loro essere e così anche tendono a Lui come a loro fine; per il fatto stesso che da Lui sono create, a Lui anche sono ordinate. Tutto, infatti, Egli ha creato per la sua gloria, ci dice la Sacra Scrittura.

Il Cristo è il fine ultimo dell’universo. Il cammino dell’uomo non porta al di là del Cristo. Egli è il Cuore del mondo e l’ultimo termine di tutta la storia. L’umanità intera non andrà mai oltre il Cristo. Ed Egli è presente. Il Cristo è presente come Colui che trascende ogni uomo, ogni mèta dell’uomo, tutta la storia. È questa presenza di Lui, tuttavia, che sollecita l’umanità a un cammino che non ha altro fine che Lui.
La vita dell’uomo, la vita di tutta l’umanità non ha in sé il suo fine: come l’uomo non si crea da se stesso, così in se stesso non raggiunge il suo fine. Principio e fine dell’uomo è Dio che è l’Eterno, ma l’uomo raggiunge Dio e si unisce a Lui nel Mistero del Cristo. Così il Cristo è il termine ultimo del suo cammino. Tutta l’umanità avrà conseguito il suo fine quando avrà raggiunto il Cristo e si sarà identificata con Lui.
Egli è presente; pur tuttavia il cammino della umanità sembra non poter aver mai fine tanto Egli trascende ogni uomo e l’umanità. Sotto le specie del pane e del vino Dio è presente per l’uomo: Dio in quanto è l’Amore che ama e si dona, in quanto è l’Amore che chiama e innalza.
Il cammino dell’uomo termina nella presenza del Cristo. Non esiste un cammino originale di storia per l’uomo. Se il Cristo è presente, la fine, pur non essendo mai raggiunta, è presente. L’universo la raggiungerà solo per un prodigio di amore, quando Egli stesso interverrà e ci avrà assunto in Lui. Dice San Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi che noi saremo vivi quando Egli ritornerà e ci trasporterà con Sé nelle nubi, nel Cielo (1Ts 4, 16-17). San Paolo parla di un intervento divino assoluto. Come fu un intervento assoluto la creazione, così sarà un intervento assoluto la fine. Il Cristo, che ora è presente ma nascosto, finalmente apparirà e in Lui, nella sua gloria manifesta, avrà fine la storia del mondo. Egli ci trarrà a Sé, ci farà una sola Ostia con Lui, un solo Sacrificio con Lui, un solo Amore con Lui al Padre e fra noi.
E tuttavia in Lui l’universo già ha raggiunto in qualche modo il suo fine, se Egli è presente. Non c’è cammino oltre il Cristo. Il suo Sacrificio rimane unico anche se cambiano i riti. La presenza del Cristo pone fine alla storia, è la fine stessa della storia del mondo.
« Tutto è compiuto »: Egli ha detto sulla croce. 
« Tutto è stato creato in vista di Lui », scrive San Paolo nella Lettera ai Colossesi (Col 1, 16). Ingenuo il giudizio di tanti, i quali ragionano come se il Cristo per gli uomini fosse soltanto una forza che li solleva e non anche il termine ultimo che essi debbono raggiungere! Egli è il fine del- l’universo. La creazione avrà raggiunto la sua mèta quando Egli l’avrà sollevata a Sé per un atto della sua onnipotenza di amore.
Tutta la vita del mondo consuma in Lui. Al di fuori della comunione col Cristo non c’è possibilità per l’uomo di conseguire il suo fine. Ma il Cristo è presente. In Lui l’uomo ha già raggiunto fin da ora, in qualche modo, alla sua mèta ultima: Dio.
La fine si accompagna al cammino. Noi camminiamo nel tempo, ma il nostro cammino suppone     « una presenza » che è già la fine del tempo. Del Signore non si dice che cammina con noi. Il Cristo è al di fuori del flusso del tempo, proprio perché Egli è realmente presente. Nell’atto della sua morte, Egli ha già raggiunto, non solo per sé ma per tutto l’universo, la fine. Nella presenza del Cristo l’uomo può trovare dunque già ora il suo riposo. Se, morendo, l’uomo dovesse rinunciare alle mète che saranno raggiunte nel tempo, l’uomo non potrebbe rassegnarsi alla morte. Con la sua morte termina il suo cammino; con la sua morte deve giungere alla fine. Ma se il Cristo, nella sua presenza, è già la fine del tempo, anche se l’uomo cammina con gli uomini, egli può raggiungere la fine se può inserirsi nel Cristo, se il Cristo lo assume.
Gli uomini di oggi non sono andati più avanti di San Giovanni l’Apostolo o di Sant’Agostino. Gli uomini che verranno domani non saranno più grandi della Vergine, Madre di Dio. La sua grandezza è nell’aver realizzato il Mistero del Cristo, nell’essersi unita intimamente a Colui che era presente.
L’atto liturgico sovrasta tutta l’attività umana e si pone come norma e mèta di tutto lo sforzo dell'uomo sia sociale e politico, sia ascetico e morale. Lo sforzo umano non solo ha dall’atto liturgico, anzi dal Mistero liturgico il suo orientamento sicuro, ma la sua forza e la sua stessa efficacia.
Lo sforzo umano non va aldilà di quella « presenza », non è che inserimento in quella « presenza ». Così l’uomo nella sua storia, nel suo cammino non va oltre la « presenza »: la mèta allo sforzo umano non è mai lontana e irraggiungibile; il cammino non procede in avanti, ma affonda nella « Presenza reale » perché « tutto » è già presente nel Mistero.
La fine accompagna il cammino. L’uomo realizza veramente se stesso se realizza la sua unione con Cristo; se lo raggiunge, in Lui egli ha raggiunto tutte le cose. Se entriamo oggi in comunione con una stella, la quale ci manda la luce da tre miliardi di anni ed questa stella non è più, quanto più possiamo comunicare oggi con Cristo che è presente, pur essendo la fine di tutto! Vivendo in Cristo la fine, l’uomo in Lui ha già superato tutti i tempi, già vive, nel cammino del tempo, l’immu- tabile presenza di un Dio che realmente si è dato al mondo nel Cristo.
Se ancora non siamo nel Cristo, è la sua presenza tuttavia che comanda la direzione del nostro cammino. Camminare può voler dire andar fuori di strada. La direzione al cammino la può dare soltanto la mèta. E l’uomo non conosce il cammino perché non conosce la mèta se il Cristo non è presente. Ma il Cristo è presente, Egli che è anche la realtà ultima, la fine di tutto.
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Divo Barsotti

giovedì 26 dicembre 2019

La presenza reale



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Dio, donandosi, crea per tutta l’umanità la capacità di un movimento di storia, fa sì che l’umanità stessa possa procedere sempre in avanti verso una direzione precisa, verso una mèta che Dio stesso ha mostrato e ha fatto presente nel Cristo. Dio, pur suscitando questa forza, pur donando questo potere, rimane anche al di sopra, rimane « altro » dall’uomo, « altro » dal mondo, « altro » dall’umanità. Pur accogliendo il dono divino ed entrando sempre più nel mistero, l’umanità in tutta la sua storia non potrà mai attingere quaggiù le abissali profondità di Dio.
La trascendenza di “Dio che si dona” ci si manifesta precisamente nella Presenza eucaristica. Sotto questo aspetto è più significativa la festa del Corpus Christi che quella della SS. Trinità, perché l’oggetto della nostra adorazione, in questa ultima festa, può più facilmente trasformarsi in una nozione teologica e astratta; nella festa della SS. Trinità ci si può dimenticare che il Mistero è sovrana Realtà: Dio nelle Tre Divine Persone, non è un puro principio metafisico. Invece nella festività del Corpus Christi è molto più remoto il pericolo. Possiamo certo speculare sul Mistero Eucaristico, ma la Presenza reale di Dio-fatto-Uomo pur sotto le specie, anzi proprio per esse, s’impone più concretamente al nostro spirito. Il carattere oggettivo di una Presenza reale del Cristo nell’Eucaristia potrebbe essere infatti meno viva se Egli si facesse presente spiritualmente senza i segni sacramentali, ma non si può equivocare sulla oggettività di questa Presenza quando dobbiamo adorare un Dio fatto Uomo e presente nella sua Umanità sotto i segni del sacramento.
Noi ci troviamo sempre di fronte a Dio, ci troviamo sempre in un rapporto col suo Mistero, ma noi viviamo il rapporto con Dio attraverso le cose, attraverso gli uomini, attraverso avvenimenti storici precisi. Nel Mistero Eucaristico il rapporto è esclusivamente con Dio-fatto-Uomo: dopo la Consacrazione non rimangono né il pane né il vino, il tuo rapporto è immediatamente col Cristo. Questa è la cosa grande della Presenza reale: l’uomo è chiamato a comunicare con Cristo, a riceverlo in sé; l’uomo è chiamato ad accogliere Dio-fatto-Uomo che si dona all’anima sua come alimento. In ogni cosa è il segno di una volontà divina, di un dono di Dio, ma nessuna immediatamente ti dona Dio. È attraverso la persona cui parlo che giungo a Dio, à attraverso ogni cosa che Dio si comunica a me; ma l’uomo deve fare un cammino immenso per giungere a Dio attraverso le cose, e in questo cammino l’uomo non sa in che modo raggiungere Dio, o se invece le cose lo tengono avvinto a se stesse e non lo fanno procedere oltre.
È ben difficile poter definire il rapporto dell’uomo con Dio attraverso le cose. Quando si tratta dell’Eucaristia nulla ci trattiene: l’Eucaristia stessa è il rapporto di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. Non più un mondo, una storia che sono soltanto significativi di un Dio che rimane distinto e lontano. Tutte le cose possono essere significative di Lui, tutte le cose possono annunciarmi la sua venuta, ma nessuna è Lui, nessun avvenimento è direttamente e immediatamente la sua venuta.  Attraverso l’avvenimento Egli può giungere, attraverso le cose Egli può donarsi, ma le cose direttamente non sono Lui stesso.
Nell’Eucaristia invece Dio non interpone fra te e Lui alcun mezzo, tranne le specie: che sono il velo più tenue. 
L’Eucaristia ci pone in un contatto con Dio, pur vivendo noi ancora quaggiù sulla terra; e questo contatto con Dio-fatto-Uomo dona all’uomo un senso impressionante della sua povertà, suscita in lui un’esigenza infinitamente angosciosa del superamento di sé. Nulla come l’Eucaristia per l’uomo è vocazione a un infinito trascendersi, nulla più dell’Eucaristia è per l’uomo esperienza di una sua povertà essenziale.
Forse consideriamo Gesù nell’Eucaristia soprattutto come un simbolo sacro, come « qualche cosa » alla quale dobbiamo accostarci con infinito rispetto. Non comprendiamo infatti come la Presenza reale implichi un rapporto personale e stabilisca un nostro rapporto personale con Dio: Dio è al di là ed è qui, Dio ti trascende, è Altro da tutto ed è anche Presente. L’Eucaristia è Presenza ed è Alterità; mistero di una comunione totale di Dio all’uomo ed esperienza di una sua trascendenza infinita.
Mai Dio nella sua immanenza e nella sua trascendenza è conosciuto in modo più drammatico. Nell’Eucaristia Dio si dona a noi in modo anche più intimo che nei nostri sentimenti e nei nostri pensieri. Il dono di Dio ci trasforma ontologicamente, ci fa un solo Corpo con Cristo, ci fa vera- mente consorti della divina natura; prima ancora di trasformare i nostri pensieri o i nostri sentimenti, Egli trasforma l’intimo nostro, la radice dell’essere. « A coloro che ricevono il Cristo – dice Giovanni - Dio ha dato il potere di diventare figli di Dio » (Gv 1,12). Mai Dio è così immanente come in questo mistero onde noi siamo come assunti da Lui sì da divenire con Lui un solo Corpo, un solo Spirito, un essere solo. 
E tuttavia, se l’Eucaristia realizza questa immanenza di Dio nell’uomo, dona a noi anche l’esperienza più viva e drammatica della Alterità di Dio. Nella Eucaristia Dio, infatti, non soltanto si fa immanente all’uomo in quanto si comunica a lui, ma si impone all’uomo in tutta la sua grandezza, in tutta la sua maestà, in una Presenza reale che distrugge la sostanza stessa del pane e del vino, sotto i cui segni Egli rimane.
Tu sei così vicino a Dio, da sentire tutto il tuo nulla nei confronti dell’Immenso. Proprio perché Dio si fa più vicino, tu lo senti anche più trascendente, proprio perché Egli si fa più vicino te lo senti altro da te totalmente ed Egli impone a te l’adorazione più piena. 
Non puoi sfuggire alla sua presenza e la presenza ti impone il massimo della fede, dell’umiltà, dell’amore.
Il cristiano è sollecitato all’adorazione di Dio, massimamente in rapporto all’Eucaristia. In questo rapporto con l’Eucaristia egli vive un’adorazione in cui ogni suo pensiero, ogni suo sentimento, ogni sua indagine si disfà come nebbia. Nessun sentimento o pensiero è adeguato al Mistero che l’uomo contempla. Come questa Presenza si impone attraverso il tenue velo delle specie! Come rimane davvero “duro” anche oggi questo linguaggio di Cristo (Gv 6, 60)! È veramente “duro” anche oggi per l’uomo dover credere che sotto le specie del pane e del vino è presente Dio nel mistero della natura umana assunta. Ogni facoltà di analisi, ogni potere di giudizio sono come paralizzati da questa presenza. È Dio che ti giudica, non sei tu che puoi esprimere giudizi su di Lui
L’uomo moderno è chiamato, in rapporto al Mistero Eucaristico, all’atto più eroico che possa essergli chiesto! Egli non è presente nel Mistero Eucaristico che per essere adorato; ma il fatto che Egli sia presente impone un’adorazione che è assoluta umiltà. Ogni potere di raziocinio onde l’uomo pretende giudicare i Misteri divini vien meno, ed è paralizzato ogni suo sentimento: il tuo essere è troppo fragile per sopportare il peso di questa realtà.
Gesù nell’Eucaristia è Dio-con-noi. Non si può dire che Dio sia soprattutto nel più profondo dell’uomo. Anche nel discendere in te, tu non lo incontri; l’uomo deve affondare al di sotto di sé per incontrarsi con Lui. L’uomo non si identifica a Lui, Egli rimane « Altro » dall’uomo.
Il linguaggio « dei mistici dell’essenza » potrebbe lasciarci perplessi o anche indurci in errore. Quello che ci libera da tale pericolo è il Mistero Eucaristico. 
La vita religiosa porta sempre con sé il pericolo di una immanenza che potrebbe pian piano escludere Dio come « Altro » dall’uomo, scivolando in un certo « monismo dell’essere ». Ma la Presenza reale di Cristo nell’Eucaristia salva la trascendenza oggettiva di Dio. Dio si dona a noi nel Cristo e vive in noi in quanto è da noi totalmente distinto come il figlio dalla madre, come lo sposo dalla sposa. Noi viviamo con Lui non per identità di persona, ma in quanto precisamente Egli come Persona si ordina a noi, e noi come persona ci ordiniamo a Lui: discepoli al Maestro, fratelli al Fratello e soprattutto sposa allo Sposo, madre al proprio figlio. 
Io sono salvo come persona proprio perché sono distinto da Lui. Se Dio fosse immanente all’uomo così da identificarsi con lui, Dio e l’uomo non sarebbero più che un Assoluto impersonale.
Gesù nell’Eucaristia è il Principio e la Fine, è anche colui che congiunge gli estremi (Ap 22, 13).
La vita del Cielo è la visione di Dio, rapporto immediato con Dio onde l’uomo Lo contempla e Lo ama con gli occhi stessi del Verbo. La vita dell’uomo quaggiù è vivere la presenza del Cristo. Proprio per questo tutto è significativo di questa presenza. Ogni ispirazione interiore ti mette in rapporto con Lui, ogni passo che fai è un passo che a Lui ti conduce. Se, per quanto riguarda il tuo rapporto con le cose, tu non sei mai garantito dall'illusione e soprattutto non sei mai garantito dall’egoismo che ti impedisce di passare oltre il segno e non ti fa giungere a Dio, nel Mistero Eucaristico il tuo rapporto non termina che in Cristo. Nulla può trattenere il tuo atto dal terminare nella pura presenza. La vita di grazia non ha altro contenuto che Cristo. L’uomo deve vivere questo contenuto in ogni suo rapporto con gli uomini e con le cose, nel suo rapporto con la Chiesa e col mondo. Ma la presenza del Cristo non si impone mai alla sua anima come nel Mistero Eucaristico, perché nella Eucaristia il segno non è più veramente che segno e non dice che Cristo.
Vi è, infatti, una sacramentalità di tutte le cose, ma questa solo nel Sacramento eucaristico ha il suo compimento. Nei Sacramenti si realizza un contatto con Cristo, anzi l’inserimento in Lui. Si battezza ed è il Cristo che battezza; si assolve ed è il Cristo che assolve: il sacerdote « in Persona Christi » pronuncia le parole, ma attraverso il sacerdote è Gesù che tocca quell’anima e la unisce a Sé.  Tuttavia, anche indipendentemente dai Sacramenti, il Cristo in qualche modo è presente. Tu trovi un fratello, lo ascolti nella sua pena e lo soccorri nel suo bisogno, tu hai soccorso Gesù, ti sei incontrato con Lui: Egli ti ha toccato; è entrato con te in comunione di amore.
Che differenza vi è fra la presenza del Cristo nella Chiesa, nei fratelli, negli avvenimenti, nelle aspirazioni interiori e la presenza di Cristo nel Vangelo? Che differenza vi è fra la presenza di Cristo nell’Evangelo e la presenza del Cristo nei Sacramenti? Che differenza vi è fra questa presenza e la Presenza reale del Cristo nella Eucaristia? La più grande, ma non certo la sola, è che nel Mistero Eucaristico la presenza del Cristo, pur non eliminando le specie del pane e del vino, toglie alla specie ogni altra significazione che quella di garantire la stessa presenza. In questo mistero Cristo, poi, non è soltanto presente nell’atto in cui si comunica, ma la sua presenza rimane.
Alcune confessioni protestanti non negano la Presenza reale del Cristo nell’Eucaristia, ma negano che questa presenza sia permanente: Gesù è presente nell’istante in cui si dona. Siccome Egli ha istituito l’Eucaristia come Sacramento, Egli si fa presente quando nel pane e nel vino si comunica all’uomo. La differenza sostanziale, si direbbe, della dottrina eucaristica così come il Cattolicesimo l’ha sempre insegnata è precisamente questa: la presenza del Cristo nell’Eucaristia è permanente. La concezione protestante della Presenza eucaristica sembra uguale alla concezione della presenza del Cristo negli altri Sacramenti e nell’Evangelo. C’è anche una differenza del Cristo nel Battesimo o nella Penitenza, tuttavia per alcuni questa presenza è solo nell’atto in cui Cristo ti tocca, e tu ti incontri con l’Umanità di Gesù. Invece l’Eucaristia, secondo l’insegnamento cattolico, ci garantisce una Presenza reale alla quale l’uomo può non accostarsi e, se non ha fede, può rimanergli anche estranea, ma il Cristo rimane: Egli è presente.
Non è come se Dio toccasse per la tangente questo mondo per ritornarsene poi nel suo mondo divino; nell’Eucaristia la realtà della Presenza è tale da essere il fondamento e l’inizio della « nuova creazione » (Ap 21, 5).
Per il Mistero di questa Presenza si realizzano le parole di Paolo nella Lettera ai Colossesi     (1, 17 Et ipse est ante omnia, et omnia in Ipso constant): « Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui ». Tutte le cose veramente trovano un nuovo fondamento in Lui, una nuova consistenza in Lui.
Dio come creatore è fondamento di tutta la creazione nel suo Essere stesso come causa prima di tutto, ma l’uomo non potrebbe mai raggiungere questo fondo: Dio è presente e tuttavia inaccessibile; Dio è presente e tuttavia rimane per Sé in una solitudine infinita; l’uomo non ha mai possibilità di accedere a Lui. Dio si fa realmente presente per l’uomo nel Cristo risorto, sotto il segno della specie.
Che cosa intende dire San Paolo quando afferma che tutte le cose trovano una loro consistenza, una loro radice in Cristo? Che tutta quanta la creazione visibile e invisibile trova un suo nuovo fondamento di essere, quasi un essere nuovo, più alto, più pieno, più vero nel Cristo risorto?
La presenza di un essere vivente dice un riferimento non solo al luogo ma anche al tempo. La presenza del Cristo tuttavia non è condizionata né dal tempo né dallo spazio. Non sono il tempo e lo spazio che lo accolgono e danno al Cristo la realtà di una sua presenza; al contrario è Cristo la vera Presenza reale che dà realtà e consistenza nuova a ogni tempo, a ogni luogo. In verità « Egli è ». « Io sono » è il suo nome, secondo il quarto Evangelo [« Quando avrete innalzato il figlio dell'uomo, allora saprete che Io sono » (Gv. 8, 28); « In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono » (Gv 8, 58)]. Egli è Dio che ha assunto in Sé l’universo e l’universo ora sussiste in Lui. « Omnia in Ipso constant » (Col. 1, 17).
Egli « è » nell’atto della sua morte e della sua glorificazione. In questa presenza si radica il mondo, ha il suo fondamento il tempio di Dio che è l’universo. Il tempo sussiste solo perché attraverso il tempo l’universo deve radicarsi e può esserne escluso. Non dunque il Cristo è reale perché è in questo mondo, ma è il mondo che diviene pienamente reale perché si inserisce nel Cristo. Egli è la Presenza reale. Il mondo e gli uomini sono come non fossero, sono come non avessero realtà se non entrano in Lui. Sono già esclusi, se rifiutano di radicarsi in Lui; sono fuori, nel vuoto, nelle tenebre esteriori, se rifiutano di ordinarsi a Lui che è la realtà definitiva della creazione intera. 
Per trovare in Cristo il suo fondamento bisogna che la creazione tutta sia in Lui. Così la Presenza reale del Cristo nell’Eucaristia è il fondamento che regge l’universo e gli dà consistenza. Che cos’è la pietra angolare o il fondamento della casa? È ciò che regge l’edificio. Così avviene per il mondo: esso è saldamente fondato perché poggia su di Lui. Se si toglie con l’Eucaristia la Presenza reale del Cristo dalla Chiesa, la Chiesa si disfà come non reggesse più: è come una casa senza fondamento che crolla. Si tolga l’Eucaristia dal mondo e il mondo sembrerà scompaginarsi e vacillare in se stesso. Quello che regge il mondo –  non dico la creazione come tale, ma la creazione in quanto ha ricevuto una vocazione divina e si ordina a Dio – questa creazione si disfà, viene meno.
Non è il Cristo che fa parte di questo mondo e acquista una sua realtà dal fatto che è tra noi, ma siamo noi che, nella Sua Presenza, acquistiamo realtà. È Lui che ci stabilisce nell’essere nostro più vero, ci dà un essere nuovo, sia che noi lo sappiamo, sia che non lo sappiamo. La presenza dell’Eucaristia dona a tutto l’universo un nuovo fondamento di essere, una nuova consistenza, una nuova solidità, una realtà, più piena e più grande di quella della prima creazione minacciata dal peccato: la realtà che gli deriva da una sua elevazione all’ordine divino, da un suo inserimento nel mondo divino.
Nell’Incarnazione Dio e l’uomo sono il Cristo; nella Presenza Eucaristica non solo l’Uomo che è nato dalla Vergine ma tutta l’umanità, tutta quanta la creazione sono attratti in Dio, sono in Cristo per divenire con Lui e in Lui una sola Realtà ultima: il suo mistico Corpo, il suo Plèroma
Non si può dire, come alcuni Indù, che la realtà creata è pura illusione; la realtà creata non è soltanto ombra e illusione, ma ha una sua consistenza; tuttavia questa consistenza è quasi ombra nei confronti della realtà che la creazione ottiene quando, mediante l’Incarnazione redentrice, il Verbo di Dio la attrae a Sé, la unisce a Sé per sussistere in essa.
Nell’Eucaristia Cristo prima di tutto in qualche modo assume gli elementi cosmici: il pane e il vino; ma per assumere soprattutto l’umanità. Si comunica a tutti noi associandoci a Sé; ci fa Sue membra, Suo Corpo, Sua Umanità. Così, mediante l’Eucaristia, tutta quanta la creazione entra in Dio. La creazione in qualche modo supera se stessa, supera la sua condizione creata per entrare nella condizione divina. La creazione non ha in sé la ragione del suo essere; se Dio sospendesse per un istante l’atto Suo creativo, tutto cadrebbe nel nulla. Ma ben altra è la consistenza della creazione quando Dio stesso nel Cristo l’attrae a Sé, donando alla creazione la forza, la realtà che gli è propria.
L’Eucaristia è dunque come il fondamento nuovo e universale della creazione visibile e invisibile. Questa Presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino è la radice di tutta quanta la creazione: la sostiene tutta, così come le fondamenta una casa, come le radici un albero. La Presenza reale non è solo in contiguità con la creazione, la investe tutta dall’intimo, la nutre di Sé, la sorregge.
È certo che noi dobbiamo adorare Cristo nell’Eucaristia, ma dobbiamo soprattutto ricordare che la sua Presenza è intima davvero a tutto l’universo così da essere di tutto l’universo la radice e il fondamento. Il mondo sussiste perché Gesù nell’Eucaristia gli dona il potere di una sussistenza nuova, attraendolo a Sé,  unendolo a Sé per fare di tutto l’universo in Lui un solo sacrificio, una sola oblazione di lode e di amore a Dio.
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Don Divo Barsotti

lunedì 23 dicembre 2019

La presenza reale



Tanto la festa del Corpus Christi, come la festa della SS. Trinità sono abbastanza recenti. L’istituzione dell’una e dell’altra festa risale al secolo XIV, in piena decadenza dello spirito liturgico, e non senza perché. Il fatto della decadenza dello spirito liturgico ci spiega anche l’importanza che queste due feste hanno avuto in sèguito, nei secoli successivi.
La festa del SS. Corpo e Sangue di Cristo sembrava aver soppiantato, nella Chiesa, le festività più grandi dell’anno liturgico; non dico la Pasqua o il Natale, ma certamente la Pentecoste. E anche oggi, in fondo, la solennità con la quale viene celebrato il Corpus Christi è superiore a tante altre feste, che sono più essenziali nell’economia dell’anno liturgico (per esempio l’Ascensione).
Perché oggi nel rinnovamento dell’anno liturgico queste due feste sembra debbano essere accantonate? Certamente non vi è alcun cristiano che non riconosca che il mistero della SS. Trinità è il mistero più grande del Cristianesimo, ma oggi nessun cristiano veramente consapevole potrebbe celebrare la festa della SS. Trinità più di quanto celebra la Pasqua, la Pentecoste, l'Ascensione, o anche il Natale e l'Epifania, o anche la Trasfigurazione del Signore e l’Esaltazione della Croce.
Perché? Perché non celebriamo Dio in Sé, ma Dio nel Mistero. E il Mistero è Dio che si dona, si comunica all’uomo, Dio che trae l’universo nella sua intima vita. Il Mistero implica dunque due termini: Dio e l’universo. Suppone Dio e il mondo, ma in un loro rapporto, in un rapporto vivo, nel rapporto di quella alleanza che la Sacra Scrittura traduce nei termini di una unione nuziale. Così ne parlano il profeta Osea, Geremia, Ezechiele, il Cantico dei Cantici, e, nel Nuovo Testamento, il quarto Vangelo e l’Apocalisse.
Non si celebra Dio in quanto ci rimane estraneo, in quanto ci trascende e non ha alcun rapporto con noi, ma si celebra il Mistero di un Dio che si rivela, che si comunica e vuol essere possedu- to, così da divenire la vita stessa del mondo, la vita dell’uomo cui Egli si è comunicato.
Per questo nei primi secoli del Cristianesimo, quando questa verità era ben viva nella coscienza cristiana, non si è sentito mai il bisogno di celebrare né la SS. Trinità, né il Corpus Christi perché tanto la SS. Trinità come l’Eucaristia sono evidentemente l’oggetto di ogni celebrazione liturgica. Dio che si rivela e Dio che viene conosciuto dall’uomo è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’avvenimento di questa rivelazione, di questo dono che Dio fa di Se stesso, si fa presente oggi per l’uomo nel Mistero Eucaristico. È al Padre per il Cristo nell’unità dello Spirito che si eleva ogni preghiera della Chiesa. Il cristiano non vive che entrando in questo mistero e vive questo mistero, vi partecipa in ogni suo atto soprannaturale. D’altra parte tutta la vita soprannaturale ha il suo principio nell’Eucaristia e trova in essa il suo alimento e la sua perfezione. Così non è possibile nel Cristianesimo celebrare una festività senza la Messa. A che scopo allora celebrare con una festa particolare il Corpus Christi e la SS. Trinità? Queste due feste hanno una funzione anche oggi, oppure, nel rinnovamento liturgico, sono destinate a scomparire? Il problema si pone.
Il rinnovamento liturgico certo ridimensiona queste due festività in tal modo che nessun cristiano oggi potrebbe pensare che possano avere una grandissima importanza nell’anno. Queste due feste sono nate alla fine del Medio Evo quando, alla teologia monastica e patristica, subentrò la grande teologia scolastica. Come si differenzia la teologia scolastica dalla teologia monastica o patristica? La teologia scolastica è una scienza che vuol essere trasmessa con l’insegnamento, ha necessariamente un linguaggio tecnico, esige una elaborazione razionale e sistematica. Nel monachesimo e nell'epoca patristica sono rare le somme teologiche. L’uomo, fosse un vescovo o fosse un monaco, si avvicina alla rivelazione non tanto per guardarla dal di fuori o per possederla come una scienza, quanto per entrarvi e assimilarla per una conoscenza sperimentale. Con la scolastica, la scienza teologica si distingue dalla mistica, e il teologo non tanto si impone di viverla quanto di insegnarla correttamente. Dopo l’avvento della scolastica, per essere teologi non sembra sia necessario esser santi. Per i Padri della Chiesa e per il monachesimo antico, invece, la teologia è preghiera e la preghiera è teologia. Non si può conoscere Dio che attraverso un processo di assimilazione a Lui. Il mistero non può essere contemplato come un oggetto di fronte al quale ti poni; ogni mistero implica per te un inserimento, una assimilazione, una trasformazione in quello che vedi.
L’uomo deve certo sentire che la verità divina lo supera. La concezione di un Dio che è nei cieli è mitologica, ma altrettanto lo è la nozione di un Dio che ci è estraneo, che è totalmente « altro » da noi, perché Egli è il nostro Creatore, è più intimo a noi di noi stessi. Cerchi Dio discendendo nel fondo di te, però quando sei sceso nel fondo senti che Dio è ancora al di là o è ancora più in fondo, tu non lo raggiungi mai; Egli ti trascende in profondità come in altezza. Così l’assimilazione al mistero non è mai tale che distrugga il mistero, che lo elimini: Dio ci trascende. 
L’uomo non può vivere una vita soprannaturale che in quanto entra nel Mistero, in quanto il Mistero lo assume e tuttavia il Mistero rimarrà sempre infinitamente al di là di ogni sua possibilità di assimilazione. Il contenuto della festa della SS. Trinità e del Corpus Christi è il riconoscimento precisamente della trascendenza totale del Mistero nei confronti dell’uomo e di ogni creatura. 
Certo, Cristo nell’Eucaristia è presente per comunicarsi all’uomo. Il suo Sacri-ficio diviene il nostro sacrificio, la sua adorazione diviene la nostra adorazione, la sua espiazione diviene la no- stra salvezza. Egli è presente per essere nostro: « Per noi uomini e per la nostra salvezza Egli è disceso dal cielo », si è fatto uomo, è morto ed ora è realmente presente nell’Eucaristia, sotto i segni del pane e del vino, cibo e bevanda per noi. Ma questo non esclude e non elimina la Presenza reale. Quantunque Egli sia presente per donarsi a me, io non sono mai così trasformato in Lui da rendere inutile la celebrazione quotidiana del suo Sacrificio. Se veramente l’Eucaristia mi avesse trasformato pienamente nel Cristo, non avrei più bisogno di riceverlo ancora. Se la Chiesa, il Corpo Mistico del Cristo, è frutto adeguato dell’Eucaristia, una volta che la Chiesa è, perché an- cora sussiste il Mistero Eucaristico? Al contrario è l’Eucaristia che fa la Chiesa, ma precisamente la costruisce nel suo sviluppo, la fa peregrinare verso la Patria.
Nella Chiesa militante e peregrinante della terra sussisterà sempre il Mistero Eucaristico. Nel Paradiso, al contrario, il mistero eucaristico non sussiste più, sussiste il Cristo che vien meno a se stesso nella sua umanità totalmente invasa dalla gloria divina. Ma il Cristo è tutta l’umanità redenta divenuta con Lui un solo mistico corpo. Il paradiso è la Pasqua del Cristo totale: tutto l’universo viene meno alla sua condizione di peccato, di miseria, di morte ed è invaso dalla gloria divina: il mistero della sua Morte e Resurrezione. In Paradiso non si celebrerà più il Corpus Christi: non sarà più necessario un rito attraverso il quale gli uomini debbano assimilarsi a nostro Signore. L’assimilazione si sarà già compiuta, ed una assimilazione maggiore non ci sarà per tutta l’eternità. Non ci sarà più bisogno della Presenza reale del Cristo nel Sacramento. Il Cristo non sarà più separato dagli uomini, perché gli uomini saranno veramente un solo Corpo con Lui e non vivranno con Lui che una medesima vita. Al contrario, quaggiù, la Chiesa celebrerà sempre il Corpus Christi come fonte per Essa di un progresso continuo, come sorgente di una vita che non è mai piena e perfetta e mèta irraggiungibile che guida il cammino terrestre.
Gesù nell’Eucaristia non è presente per essere adorato, tuttavia deve essere adorato perché è presente. Egli è presente per donarsi a noi, ma anche se noi Lo riceviamo, non lo riceviamo mai così pienamente, in modo che Egli non continui a trascenderci nella sua santità: pur donandosi e nell’atto stesso in cui si dona, Egli rimane infinitamente più grande dell’uomo e richiede la sua adorazione. Dobbiamo adorare Cristo perché è presente e la Chiesa tutta intera dovrà adorarLo fino alla consumazione di tutte le cose. Per questo, dopo la Scolastica, si è evitato di insegnare, come faceva l’antica teologia, che l’Eucaristia è il Corpo mistico del Cristo e la sua Presenza reale è la Chiesa. Solo quando l’Umanità intera non sarà più che un solo corpo con Lui, il Sacramento verrà meno e noi tutti saremo col Cristo un solo Sacrificio, un solo inno di lode al Padre. Questa sarà la Chiesa trionfante nel cielo.
Nel tempo presente, la festa del Corpus Christi come la festa della SS. Trinità dovranno significare l’impotenza dell’uomo – nell’economia presente – di assimilare e abbracciare totalmente il mistero. La piena trasformazione dell’uomo nel Cristo già lo porterebbe al di fuori dell’economia presente, distruggerebbe ogni ragione del tempo e della storia per il mondo. I Padri della Chiesa avevano ben coscienza della loro povertà nei confronti del Mistero. Oggi l’orgoglio dell’uomo vuole identificare l’esperienza umana al contenuto del mistero.
Queste due feste debbono venir celebrate per ricordare la trascendenza del Mistero presente nella Chiesa, per richiamare l’uomo a una necessaria umiltà. Certo, Dio ci chiama a vivere nel suo medesimo Seno; certo Dio ci chiama a vivere la sua medesima vita; certo Dio veramente si dona; e tuttavia rimane nel dono stesso che fa, più grande di quanto ogni anima possa accoglierlo e possederlo.
Nell’atto stesso nel quale Egli si dona, viene affermata la trascendenza di Dio. Ed è perché Egli ti trascende anche nell’atto in cui si comunica, che è possibile un tuo cammino di ascesa. 
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Divo Barsotti