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lunedì 21 agosto 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Pene del Purgatorio. - S. Perpetua. - S Geltrude. - S. Caterina da Genova. - S. Maddalena de' Pazzi.  - La beata Margherita della Visitazione. 


Come già dicemmo, la pena del senso ha diversi gradi d'intensità: è meno terribile per le anime  che non hanno peccati gravi da espiare, o che avendo già terminata questa più rigorosa espiazione,  s'avvicinano alla loro liberazione. Allora molte di queste anime non altro soffrono che la pena del  danno, anzi già in esse cominciano a brillare i primi raggi della gloria e a gustare come le primizie  della beatitudine. 

    Quando santa Perpetua vide nel Purgatorio il suo fratellino Dinocrate, questo fanciullo più non  sembrava patire crudeli torture. Ella stessa, l'illustre martire, scrisse il racconto di quella visione,  nella sua prigione di Cartagine, ov'era stata rinchiusa per la fede di Gesù Cristo, durante la  persecuzione di Settimio Severo nel 205. Le apparve il Purgatorio sotto la figura d'un arido deserto,  ove vide il suo fratello Dinocrate morto all'età di sette anni. Il fanciullo aveva un'ulcere sulla faccia,  e tormentato dalla sete invano cercava dissetarsi alle acque d'una fontana, che gli stava dinanzi, ma  di cui erano troppo alti i margini per arrivarci. 

    La santa martire comprese che l'anima di suo fratello era nel luogo delle espiazioni e che  chiedeva il soccorso delle sue preghiere. Pregò dunque per lui; e tre giorni dopo, in una nuova  visione vide lo stesso Dinocrate in. mezzo ad un giardino delizioso: il suo volto era bello come  quello di un angelo; era vestito d'una ricchissima veste; gli orli della fontana si erano abbassati  dinanzi a lui; con una coppa d'oro ne attingeva le vive acque e a lunghi sorsi si dissetava. - Conobbe  allora la santa che l'anima del suo fratellino godeva finalmente delle gioie del Paradiso. 

    Nelle Rivelazioni di S. Geltrude leggiamo (28) che una giovane religiosa del suo monastero, da  lei singolarmente amata per le sue grandi virtù, era morta coi più bei sentimenti di pietà. Mentre  ardentemente raccomandava quest'anima cara a Dio, fu rapita in estasi, ed ebbe una visione. Le fu  mostrata la defunta dinanzi al trono di Dio, circondata d'una brillante aureola e coperta di ricche  vesti. Però era triste e preoccupata; i suoi occhi erano abbassati, come si vergognasse di comparire  alla presenza di Dio: si sarebbe detto che voleva nascondersi e fuggire. Geltrude, tutta sorpresa, al  divino Sposo delle Vergini domandò la causa di quella tristezza e di quell'imbarazzo in un'anima  tanto santa. «Dolcissimo Gesù, esclamò, perché nella vostra bontà non invitate la vostra sposa ad  avvicinarsi a voi e ad entrar nella gioia del suo Signore? Perché la lasciate in disparte triste e timorosa?» ­ Allora Nostro Signore, con un sorriso d'amore, fece segno a questa sant'anima d'avvicinarsi; ma essa ancora più turbata, dopo d'avere esitato un poco, tutta tremante,  profondamente s'inchinò e si allontanò. 

     A quella vista S. Geltrude, direttamente indirizzandosi all'anima: c Ecchè! figlia mia, le disse, vi  allontanate quando il Signore vi chiama? Voi che tutta la vita sospiraste dietro a Gesù, ora che vi  stende le braccia, indietreggiate dinanzi a lui! - Oh! madre mia, rispose quell'anima, non sono  ancora degna di comparire dinanzi all'Agnello immacolato: ho ancora delle macchie che contrassi  sulla terra. Per avvicinarsi al sole di giustizia, bisogna essere più puri del raggio della luce: io non  ho ancora quella perfetta purità che vuol contemplare nei suoi Santi. Sappiate, che se mi fosse  aperta la porta del Cielo, non oserei varcarne la soglia prima di essere interamente purificata dalle  più piccole macchie: mi sembra che il coro delle vergini che seguono l'Agnello con orrore mi  respingerebbe. - Eppure, riprese la santa abadessa, vi veggo circondata di luce e di gloria! - Quanto  vedete, rispose l'anima, non è che la frangia del vestimento della gloria: per indossare quella veste  ineffabile del Cielo, bisogna aver nessun'ombra di macchia». 

    Questa visione ci mostra un'anima assai vicina alla gloria, ma nel tempo stesso indica che questa  anima ha lumi ben diversi dai nostri riguardo all'infinita santità di Dio. La chiara cognizione di quella santità le fa ricercare, come un bene, le espiazioni di cui abbisogna per essere degna degli  sguardi di Dio tre volte santo. 

    E ciò è pure quanto insegna espressamente S. Caterina da Genova. Si sa che questa santa  ricevette da Dio lumi al tutto particolari sullo stato delle anime nel Purgatorio: scrisse un opuscolo,  intitolato Trattato sul Purgatorio, che gode d'un'autorità simile alle opere di S. Teresa, ove, al capo  VIII, in tal modo si esprime: 

    «Il Signore è tutto misericordia e tiene le braccia aperte per riceverci nella sua gloria. Ma veggo  altresì che questa divina essenza è d'una tale purità, che l'anima non saprebbe sostenere il suo  sguardo, se non è assolutamente immacolata. Se in sé trova il minimo atto d'imperfezione, piuttosto  che rimanere con una macchia alla presenza della divina maestà, si precipiterebbe nel fondo  dell'Inferno. Trovando dunque il Purgatorio creato per levarle le sue sozzure, vi si butta dentro; e  stima esser effetto d'una grande misericordia l'esser dato a lei un luogo ove possa liberarsi  dall'impedimento alla suprema felicità cui anela». 

    Si legge nella vita di S. Maddalena de' Pazzi, che una delle sue suore di nome Maria Benedetta,  religiosa d'eminente virtù, morì fra le sue braccia. Nella sua agonia vide una moltitudine di angeli,  che con aria giuliva la circondavano, aspettando che esalasse l'anima per portarla nella celeste  Gerusalemme; e al momento in cui spirò, la santa li vide ricevere quell'anima beata sotto la forma  d'una colomba, la cui testa era dorata e con essa scomparire. 

    Tre ore dopo, vigilando e pregando vicino al santo corpo, Maddalena conobbe che l'anima della  defunta non era né in Paradiso, né fra i tormenti, ma in un luogo particolare ove, senza soffrire  alcuna pena sensibile, era priva della vista del suo Dio. 

    L'indomani, celebrandosi la messa per l'anima di Maria Benedetta, al Sanctus Maddalena fu di  nuovo rapita in estasi, e Dio le fece vedere quell'anima beata in seno alla gloria del Paradiso.  

    Maddalena si permise di domandare al Salvatore Gesù perché non avesse più presto ammessa alla  sua santa presenza quell'anima teneramente amata. Le fu risposto che nella sua ultima malattia suor  Benedetta s'era mostrata troppo sensibile alle cure che per lei si prendevano, il che per qualche  tempo aveva interrotta l'abituale sua unione con Dio, e la perfetta sua conformità al divino volere. 

    Terminiamo quanto abbiamo a dire sulla natura delle pene con alcune particolarità che troviamo  nella Vita della B. Margherita Maria della Visitazione. Sono tolte in parte dalle Memorie della  madre Greffier, quella superiora la quale, saggiamente diffidente riguardo alle grazie straordinarie  concesse alla beata Margherita, non cominciò a riconoscerne la verità che dopo mille prove. La  madre Filiberta Emmanuele di Montoux superiora d'Annecy, morì il 2 febbraio 1683, dopo una vita  che edificò tutto l'istituto. La madre Greffier la raccomandò particolarmente alle preghiere di suor  Margherita. Dopo alcun tempo, questa disse alla sua superiora che Nostro Signore le aveva fatto  conoscere essere a lui carissima quell'anima, pel suo amore e per la fedeltà al suo servizio; che le  riservava un'ampia ricompensa nel cielo, dopo che avesse terminato di purificarsi nel Purgatorio. 

    La beata vide la defunta nel luogo delle espiazioni. Nostro Signore gliela mostrò nei patimenti,  dove riceveva grandi sollievi dall'applicazione dei suffragi e delle opere buone che ogni giorno per  lei si offrivano in tutto l'Ordine della Visitazione. La notte dal giovedì santo al venerdì, mentre Suor  Margherita ancor pregava per lei, gliela fece vedere come posta sotto il calice contenente 1'ostia  all'altare portatile dell'adorazione: là partecipava ai meriti della sua agonia nell'orto degli Ulivi. 

    Il giorno di Pasqua, che in quell'anno cadeva il 18 aprile, la beata la vide come in un principio di  felicità, in atto di desiderare e di sperare prossima la vista ed il possesso di Dio. 

    Finalmente, quindici giorni dopo, il 2 maggio, domenica del Buon Pastore, la vide come  immergersi dolcemente nella gloria, melodiosamente cantando il cantico dell'amor divino. 

    Ecco come la B. Margherita rende ella stessa conto di quest'ultima apparizione in una lettera  indirizzata il giorno stesso, 2 maggio 1683, alla madre di Saumasie a Digione: 

     «Viva Gesù! La mia anima si sente penetrata da una sì grande gioia che a stento posso contenerla  in me stessa. Permettetemi, mia buona madre, di comunicarla al vostro cuore che col mio non forma  che un solo in quello di Nostro Signore. Questa mattina, domenica del Buon Pastore, due delle mie  buone anime sofferenti, allo svegliarmi. vennero a darmi l'addio: oggi il divin Pastore le riceveva nel suo eterno ovile, con più d'un milione d'altre anime. Tutt'e due, unite a quella beata moltitudine,  se ne andavano con inesprimibili cantici d'allegrezza. Una è la buona madre Filiberta Emmanuele di  Montoux, l'altra la mia sorella Giovanna Caterina Gàcon. Una ripeteva del continuo queste parole: 

L'amore trionfa, l'amore gode, l'amore gioisce in Dio. L'altra diceva: Beati sono i morti che  muoiono nell'esatta osservanza delle loro regole. Tutt'e due vogliono che vi dica da parte loro, che  ben può la morte separare gli amici, ma non disunirli. 

    «Se sapeste quanto l'anima mia fu inondata dalla gioia! Giacché loro parlando le vedeva a poco a  poco inabissarsi nella gloria, come uno che si affoga in un vasto oceano. Esse vi chiedono un  rendimento di grazie all'augustissima Trinità, un Laudate e tre Gloria Patri. Avendole pregate di  ricordarsi di noi, esse mi dissero che l'ingratitudine non è mai entrata in cielo». 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 

martedì 15 agosto 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Pene del Purgatorio - Il religioso ammalato. - Durata d'un quarto d'ora al Purgatorio. - II fratello  Angelico. - Una religiosa defunta e la beata Quinzioni.- L'imperatore Maurizio. 


Ciò che ancora dimostra il rigore del Purgatorio è che il tempo più breve ivi sembra lunghissimo.  Tutti sanno che presto passano i giorni della gioia e sembrano corti, mentre ci torna lunghissimo il  tempo del patire. Oh! quanto lentamente scorrono le ore della notte per i poveri infermi che le  passano nell'insonnia e nei dolori! Oh! quanto sembrerebbe lungo un minuto, se durante questo  minuto si dovesse tener la mano immersa nel fuoco! Si può dire che più intense sono le pene che si  soffrono, e più lunga sembra la minima durata. Questa regola ci dà un nuovo mezzo d'apprezzare le  pene del Purgatorio. 

    Negli annali dei Frati Minori, sotto l'anno 1285, si trova il seguente fatto. Un religioso, che da  lungo tempo soffriva una dolorosa malattia, si lasciò vincere dallo scoraggiamento e supplicò Dio di  farlo morire per esser liberato dai suoi mali. Non pensava che il prolungamento della sua malattia  era una misericordia di Dio, che con ciò voleva risparmiargli le più rigorose sofferenze. 

    A risposta della sua preghiera, Dio incaricò il suo angelo custode di offrirgli la scelta, o di morire  immediatamente e sostenere tre giorni di Purgatorio, o di continuare per un anno ancora nella sua  malattia e poscia andare direttamente al Cielo. L'infermo non esitò, e scelse i tre giorni di  Purgatorio. Morì dunque all'istante ed andò al luogo d'espiazione. 

    Dopo un'ora venne a visitarlo nei suoi patimenti il suo angelo. Vedendolo, il povero paziente si  lamentò perché l'avesse lasciato si lungo tempo nei suoi supplizi. «Eppure, aggiunse, mi avevate  promesso che non vi sarei stato che tre giorni. - Quanto tempo, domandò l'angelo, pensate voi d'aver  già patito? - Almeno parecchi anni, rispose, ed io non doveva soffrire che tre giorni. - Sappiate,  riprese l'angelo, che non è che da un'ora che vi trovate qui. Il rigore della pena v'inganna circa il  tempo, facendo che un istante vi sembri un giorno, ed un'ora degli anni. ­ Ohimè! disse allora gemendo, ben fui cieco, ben imprudente nella scelta che feci. Pregate Dio, mio buon angelo, che mi  perdoni e mi permetta di ritornare sulla terra. Sono pronto a soffrire le più crudeli malattie non solo  per un anno, ma per tutto quel lungo tempo che a lui piacerà. Piuttosto dieci anni di dolorose  malattie che un'ora sola in questo soggiorno d'inesprimibili torture». 

    Il seguente fatto è tolto da un pio autore citato dal P. Rossignoli (24). Due religiosi d'eminente  virtù vicendevolmente si eccitavano a condurre la più santa vita. Uno di essi s'infermò, e per visione  conobbe che ben presto morirebbe, che sarebbe salvo, e che solo rimarrebbe in Purgatorio fino alla  prima messa che si celebrerebbe per lui. Pieno di gioia a questa notizia, s'affrettò di farne parte al  suo amico, e lo scongiurò di non tardare dopo la sua morte a celebrare la messa che doveva aprirgli  il Cielo. 

    Morì l'indomani mattina, ed il suo santo compagno, senza perder tempo, andò ad offrire per lui il  divin sacrifizio. Finito questo, facendo il suo ringraziamento e continuando a pregare per il defunto,  questi gli apparve raggiante di gloria; ma con amichevole lamento gli domandò perché aveva tanto  differito a celebrare quella sola messa di cui aveva bisogno. - «Mio fortunato fratello, rispose il  religioso, ho tanto differito, voi dite? Non vi capisco. - Eh! non mi avete forse lasciato partire più di  un anno, prima di dir la messa per me? - Fratello mio, vi dico il vero, subito dopo la vostra morte  cominciai il santo sacrifizio: non vi fu l'intervallo di un quarto d'ora». Allora il beato esclamò: «Oh!  quanto dunque son terribili queste pene espiatrici, dacché mi fecero credere lunghissimo tempo il  breve spazio di alcuni minuti! Servite Dio, fratel mio, con esatta fedeltà onde evitare siffatti  castighi. Addio; io volo al Cielo, ove ben presto verrete a raggiungermi». 

     Questo rigore di giustizia riguardo alle anime più ferventi, si spiega colla infinita santità di Dio  che scopre macchie in ciò che a noi si presenta di più puro. Gli annali dell'Ordine di S. Francesco  (25) parlano d'un religioso per la sua eminente pietà soprannominato l'Angelico. Morì santamente in un convento dei Frati Minori a Parigi, ed uno dei suoi confratelli, dottore in teologia, persuaso che  dopo una vita sì perfetta fosse andato diritto al Cielo e che non avrebbe abbisognato di preghiere,  omise di celebrare per lui le tre messe d'obbligo secondo lo statuto per ogni defunto. Dopo alcuni  giorni, meditando, passeggiava in un luogo solitario, quando a lui si presentò il defunto, tutto  circondato di fiamme, e con voce lamentevole gli disse: «Caro maestro, vi scongiuro, abbiate pietà  di me! - Ecchè! fratello Angelico, abbisognate del mio soccorso? - Io sono ritenuto nel fuoco del  Purgatorio, ed aspetto il frutto del santo sacrifizio che tre volte dovevate offrir per me. - Amatissimo  fratello, credetti che già foste in possesso della gloria. Dopo una vita fervente ed esemplare come la  vostra, non potei immaginare che vi rimanesse qualche pena da scontare. - Ohimè! ohimè! riprese il  defunto, nessuno crederebbe con quale severità Iddio giudica e punisce la sua creatura. L'infinita  sua santità scopre nelle migliori nostre azioni dei lati difettosi, imperfezioni che a lui dispiacciono.  Si fa render conto fino all'ultimo quattrino: usque ad novissimum quadrantem». 

    Nella Vita della B. Stefanina Quinzioni (26), religiosa domenicana, si parla d'una suora, chiamata  Paola, che morì nel convento di Mantova, dopo una lunga vita, santificata colle più eccellenti virtù.  Il corpo era stato portato alla chiesti e, scoperto, collocato nel coro in mezzo alle religiose. Durante  l'ufficio, la B. Quinzioni si era inginocchiata presso la bara, a Dio raccomandando la defunta, a lei  stata carissima; quando quella tutt'ad un tratto, lasciando cadere il crocifisso postole fra le mani,  stende il braccio sinistro, e pigliata la mano destra della beata, strettamente la serra, come farebbe  un'inferma che nell'ardore della febbre chiede soccorso ad un'amica. Per un tempo considerevole la  tenne stretta, poscia ritirò il braccio, che inanimato ricadde nella bara. Le religiose, stupite per  questo prodigio, ne domandarono la spiegazione alla beata. Rispose che, quando la defunta le  serrava la mano, una voce non articolata le aveva parlato nel fondo del cuore, dicendo  «Soccorretemi, mia sorella, soccorretemi nei terribili supplizi che patisco. Oh! se sapeste la severità  del Giudice che vuole il nostro amore! Quale espiazione esige pei menomi falli prima d'ammetterci  alla ricompensa! Se sapeste quanto bisogna essere puri per veder la faccia di Dio! Pregate, pregate e  fate penitenza per me, che più non posso aiutarmi». 

    La beata mossa dalla preghiera della sua amica, si abbandonò ad ogni sorta di penitenze e d'opere  soddisfattorie, finché una novella rivelazione le fece conoscere che suor Paola era finalmente  liberata dai suoi supplizi ed ammessa alla gloria. Riferisce la storia (27) che l'imperatore Maurizio,  ad onta delle sue buone qualità che l'avevano reso caro a S. Gregorio Magno, sul finire della vita  commise un fallo considerevole e l'espiò con una esemplare penitenza. 

    Avendo perduto una battaglia contro il re degli Avari, ricusò di pagare il riscatto dei prigionieri,  sebbene per testa non si chiedesse che la sesta parte d'un soldo d'oro, il che faceva meno d'una lira  di nostra moneta. Questo sordido rifiuto fece montare in tale collera il barbaro vincitore, che tosto  fece trucidare i soldati romani in numero di ben dodicimila. Allora l'imperatore conobbe il suo fallo,  e tanto vivamente lo sentì che inviò denaro e ceri alle chiese principali ed ai principali monasteri  perché vi si pregasse il Signore di punirlo piuttosto in questa che nell'altra vita. 

   Queste parole furono esaudite. L'anno 602, avendo voluto obbligare le sue truppe a passar  l'inverno al di là del Danubio, con furore si ammutinarono, cacciarono il loro generale Pietro,  fratello di Maurizio, e proclamarono imperatore un semplice centurione di nome Foca. La città  imperiale seguì l'esempio dell'armata. Maurizio fu obbligato a fuggire di notte, dopo aver  abbandonato tutte le insegne della sua potenza, che altro non facevano che spaventarlo. Tuttavia fu  ancora riconosciuto. Fu arrestato colla sua moglie, con cinque suoi figli e le tre figlie, ossia tutti i  suoi figliuoli, ad eccezione del maggiore di nome Teodosio, che già aveva fatto coronare imperatore  e che per allora sfuggì al tiranno. Maurizio ed i cinque suddetti figli furono senza pietà sgozzati  vicino a Calcedonia. La carneficina cominciò dai giovani principi, fatti morire sotto gli occhi di  quel padre infelice, che non si lasciò sfuggire una sola parola di lamento. Pensando alle pene  dell'altra vita, si stimava fortunato di poter soffrire nella vita presente; e durante tutta la strage, dalla  sua bocca non uscirono che quelle parole del salmista: Signore, giusto voi siete e retti sono i vostri  giudizi (Salmo 118). 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G.

lunedì 7 agosto 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Pene del Purgatorio. - Antonio Pereyra. - Apparizione di Foligno. - Il religioso domenicano di  Zamorra. - Stanislao Chocosca. - La beata Caterina da Racconigi. 

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Ai fatti precedenti aggiungiamo ancora il seguente, ricavato dagli annali della Compagnia di  Gesù, cioè il prodigio avvenuto nella persona di Antonio Pereyra, fratello coadiutore di detta  Compagnia, morto in odore di santità nel Collegio di Evora in Portogallo, il 10 agosto 1645. -  Quarantasei anni prima, nel 1599, e cinque anni dopo la sua entrata nel noviziato, questo fratello fu  colpito da una mortale malattia nell'isola di San Michele, una delle Azzorre; e pochi istanti dopo  d'aver ricevuto gli ultimi sacramenti, sotto gli occhi di tutta la comunità che assisteva alla sua  agonia, sembrò rendere l'anima, e ben presto divenne freddo come un cadavere. L'apparenza quasi  impercettibile d'un leggero palpito di cuore fu il solo ostacolo ad una pronta sepoltura. Si lasciò  dunque per tre giorni intieri sul suo letto di morte; di già si scoprivano nel suo corpo segni evidenti  di decomposizione, quando tutto ad un tratto, il quarto giorno, aprì gli occhi, respirò e parlò. 

    Allora gli fu imposto per obbedienza di raccontare al suo superiore, il P. Luigi Pinheyro, tutto  quanto gli era avvenuto, dopo le ultime angosce della sua agonia; ed ecco il sunto della relazione  scritta di sua propria mano: «Dapprima, dice egli, dal mio letto di morte vidi il mio Padre S. Ignazio, accompagnato da alcuni dei nostri Padri del Cielo, che veniva a visitare i suoi figli infermi,  cercando quelli che gli sembravano degni d'esser da lui e dai suoi compagni offerti a Nostro  Signore. Quando fu vicino a me, credetti per un momento che seco mi avrebbe condotto, ed il mio  cuore balzava per la gioia; ma ben presto mi indicò di che cosa doveva correggermi prima d'aver  una sì grande fortuna». 

    Tuttavia allora, per una misteriosa disposizione della Provvidenza, l'anima del fratello Pereyra  momentaneamente si distaccò dal suo corpo, e tosto la vista d'una orribile truppa di demoni, che si  precipitavano su di lei, la riempì di spavento. Ma nel tempo stesso il suo angelo custode e S.  Antonio da Padova, suo compatriota e suo patrono, scendendo dal Cielo, misero in fuga i suoi  nemici, e la invitarono ad andare, in loro compagnia, a cominciar a vedere e gustare per un  momento qualche cosa delle gioie e dei dolori dell'eternità: «Mi condussero dunque  alternativamente, aggiunge, egli, verso un luogo di delizie, dove mi mostrarono una corona di gloria  incomparabile, ma che non aveva ancora meritato; poscia sull'orlo del pozzo dell'abisso, ove vidi le  anime maledette cadere nel fuoco eterno con tanta furia come i grani di frumento gettati sopra una  macina che si volge senza riposo; la voragine infernale era come una di quelle fornaci ove per un  momento la fiamma e come soffocata sotto l'ammasso del materiale che vi si precipita, ma per  risollevarsi, nutrendosene, con più spaventevole violenza». 

    Di là condotto al tribunale del Giudice supremo, Antonio Pereyra udì d'essere condannato al  fuoco del Purgatorio; ed assicura che nulla quaggiù varrebbe a far comprendere ciò che vi si patisce,  né lo stato d'angoscia in cui vi si è ridotti pel desiderio e per la dilazione, del godimento di Dio e  della beata sua presenza. 

    Quindi, quando la sua anima fu di nuovo riunita al corpo per comando di Nostro Signore, né i  novelli patimenti della malattia, che colla cura giornaliera del ferro e del fuoco, per sei interi mesi  terminò di far cadere a brani la sua carne, irrimediabilmente attaccata dalla corruzione di quella  prima morte; né le spaventevoli penitenze alle quali non cessò d'abbandonarsi per quanto glielo  permetteva l'obbedienza, nei quarant'anni della novella sua vita, poterono saziare la sua sete di  dolori e di espiazioni. «Tutto ciò, diceva, è un niente, dopo quanto la giustizia e la misericordia  infinita di Dio mi fecero, non solo vedere, ma soffrire». Finalmente, come autentico sigillo di tante  meraviglie, il fratello Pereyra, in particolare, scoprì al suo superiore i segreti disegni della  Provvidenza sulla futura ristorazione del regno del Portogallo, allora ancora lontana di più d'un  mezzo secolo. Ma senza paura si può aggiungere, che la più irrecusabile garanzia di tutti questi prodigi fu la sorprendente santità, alla quale Antonio Pereyra non cessò per un solo istante di  innalzarsi. 

    Lo stesso rigore si manifesta in una apparizione più recente, nella quale una religiosa, morta dopo  una vita esemplare, manifestò i suoi patimenti in modo da gettar lo spavento in tutte le anime. Il  fatto avvenne il 16 novembre 1869 a Foligno, vicino ad Assisi, in Italia, producendo un gran rumore  nel paese; e, oltre la prova sensibile lasciata, un'inchiesta fatta nelle dovute forme dalla competente  autorità incontestabilmente ne stabilì la verità. 

     Vi era nel convento delle Terziarie francescane di Foligno una suora chiamata Teresa Gesta, che  da molti anni era maestra delle novizie, ed incaricata al tempo stesso del povero vestiario della  comunità. Era nata a Bastia, in Corsica, nell'anno 1727, ed era entrata nel monastero nel 1826. 

    Suor Teresa era un modello di fervore e di carità e «non bisogna far le meraviglie, diceva il  direttore, se con qualche prodigio Dio la glorificava dopo morte». Morì improvvisamente d'un colpo  d'apoplessia fulminante il 4 novembre 1859. 

    Dodici giorni dopo, il 16 novembre, una suora, per nome Anna Felicita, che la surrogava nel suo  ufficio, saliva alla guardaroba e stava per entrarvi, quando udì dei gemiti che sembravano venire  dall'interno della camera. Un poco spaventata, s'affrettò ad aprire la porta: vi era nessuno. Ma nuovi  gemiti si fecero udire, e così bene distinti che, ad onta dell'ordinario suo coraggio, si sentì invasa  dalla paura. - Gesù! Maria! esclamò, che è ciò? - Non aveva finito, che udì una voce lamentevole,  accompagnata da questo doloroso sospiro: - Ah! mio Dio, quanto soffro! - Stupefatta, la suora  riconobbe tosto la voce della povera suor Teresa. Allora tutta la stanza si riempì d'un denso fumo,  ed apparve l'ombra di suor Teresa, che si dirigeva verso la porta, pian piano scivolando lungo il  muro. Giunta vicina alla porta, con forza gridò: Ecco una prova della misericordia di Dio! Dicendo  queste parole batté l'assicello più alto della porta, e vi lasciò l'impronta della mano destra nel legno  bruciato, come da un ferro rovente: poscia scomparve. 

     La suora Anna Felicita era rimasta mezza morta per lo spavento. Tutta conturbata, si mise a  gridare ed a chiamar aiuto. Accorse una delle sue compagne, poi una seconda, indi tutta la  comunità: si stringono attorno a lei, e tutte meravigliano di sentire un odore di legno bruciato. Suor  Anna Felicita dice loro quanto successe e loro mostra sulla porta la terribile impronta. Subito esse  riconoscono la mano di suor Teresa, che era in modo notevole piccola. Spaventate, si danno alla  fuga, corrono al coro, si mettono a pregare, passano la notte in preghiere ed a far penitenza per la  defunta, e l'indomani tutte fanno per lei la comunione. 

     La notizia si sparge al di fuori, e le varie comunità della città uniscono le loro preghiere a quelle  delle Francescane. - Al dopodomani, 18 novembre, essendo suor Anna Felicita entrata nella sua  cella per coricarsi, intese chiamarsi per nome, e perfettamente riconobbe la voce di suor Teresa.  All'istante stesso, un globo di luce tutto risplendente comparve dinanzi e lei, rischiarando la cella  come in pieno giorno, e udì Suor Teresa che, con voce allegra e trionfante, disse queste parole: Io  sono morta in venerdì, giorno della passione, ed anche in venerdì vado alla gloria! Siate forti nel  portare la croce, siate coraggiose per soffrire; amate la povertà. Poscia aggiungendo con affetto: 

Addio, addio, addio! si trasfigurò in nuvola leggera, bianca, abbagliante, volò al cielo e scomparve. 

   Nell'inchiesta che subito fu aperta, il 23 novembre, alla presenza d'un gran numero di testimoni, si  aprì la tomba di suor Teresa e l'impronta bruciata della porta con tutta esattezza si trovò conforme  alla mano della defunta. «La porta coll'impronta bruciata, aggiunge monsignor De Ségur, è con  venerazione conservata nel convento. La stessa madre badessa, testimone del fatto, si degnò  mostrarmela». 

   Volendo assicurarmi dell'esattezza perfetta di queste particolarità riferite da Mons. De Ségur, ne  scrissi al vescovo di Foligno. Mi fu risposto coll'invio di una Relazione perfettamente circostanziata  e conforme al racconto precedente, ed accompagnata da un fac-simile della miracolosa impronta.  Quella Relazione spiegava la causa della terribile espiazione cui fu assoggettata Suor Teresa. Dopo  aver detto: Ah! mio Dio, quanto soffro! aggiunse che ciò era per avere, nell'esercizio del suo uffizio  di guardarobiera, mancato in alcuni punti alla stretta povertà prescritta dalla regola. 

     Dunque la divina giustizia punisce ben severamente i più piccoli falli. 

Qui si potrebbe domandare perché suora comparsa, facendo la misteriosa impronta sulla porta, la  chiamò una testimonianza della misericordia di Dio. Si è perché, dandoci un somigliante  avvertimento, Dio ci fa una grande misericordia; ci stimola nel modo più efficace ad aiutare le  anime e provvedere a noi stessi. 

     Dacché parlammo d'una impronta bruciata, riferiamo un fatto analogo, avvenuto in Ispagna e che  colà ebbe una grande celebrità. Ecco come lo racconta Ferdinando di Castiglia nella Sua Storia di S.  Domenica (20). Santamente viveva un religioso domenicano nel suo convento di Zamorra, città del  regno di Leone. Era stretto in amicizia con un fratello francescano, esso pure uomo di grande virtù.  Un giorno, trattenendosi assieme delle Cose eterne, vicendevolmente si promisero che il primo che  morisse, se Dio lo permetteva, sarebbe apparso all'altro per dargli salutari avvisi. Per primo morì il  frate Minore; ed un giorno che il suo amico, il figlio di S. Domenico, preparava il refettorio, gli  apparve. Dopo d'averlo con rispetto ed affetto salutato, gli disse essere del numero degli eletti; ma  che prima di godere della celeste beatitudine, molto gli restava a soffrire per un'infinità di piccoli  falli di cui durante la vita non aveva avuto sufficiente pentimento. «Nulla, aggiunse, può sulla terra  dare un'idea dei tormenti che soffro, e Dio mi permette di mostrarvene un sensibile effetto». -  Dicendo queste parole, stese la mano destra sulla tavola del refettorio, ed un segno restò improntato  sul legno carbonizzato, come se vi fosse stato applicato un ferro rovente. 

    Tale fu la lezione di fervore che il defunto francescano diede al suo amico vivo, e giovò non solo  a lui, ma a tutti quelli che videro quel segno del fuoco, tanto profondamente significativo, giacché  quella tavola divenne un oggetto di divozione, venendosi da tutte le parti a contemplarla. «Si vede  ancora a Zamorra, dice il P. Rossignoli (21), al momento in cui scrivo (22); per conservarla si  ricoprì con una lastra di rame». E solo dopo la rivoluzione non si poté più trovare, al pari di tanti  altri ricordi religiosi. 

    Per fare maggiormente impressione sui nostri sensi, piacque a Dio di far provare ad alcuni santi  personaggi un leggero saggio delle pene espiatrici, come una goccia del calice amaro che devono  bere le anime, come scintille del fuoco che le divora. 

     Lo storico Bzovio nella sua Storia della Polonia sotto l'anno 1590, riferisce un fatto miracoloso,  successo al venerabile Stanislao Chocosca uno dei luminari dell'Ordine di S. Domenico in Polonia  (23). Un giorno in cui questo religioso, pieno di carità per i defunti, recitava il santo rosario, vide  comparirgli vicino un'anima tutta divorata dalle fiamme. Siccome lo supplicava di aver pietà di lei e  di addolcire gli intollerabili dolori che le faceva soffrire il fuoco della divina giustizia, il santo le  chiese se quel fuoco era più doloroso di quello della terra: «Ah! esclamò quell'anima, tutti i fuochi  della terra paragonati a quelli del Purgatorio, sono come un zefiro rinfrescante: Ignes alii levis auree  locum tenent, si cum ardore meo comparentur». - Stanislao penava a crederlo: «Vorrei, disse, farne  la prova. Se Dio lo permette, pel vostro sollievo e pel bene dell'anima mia, consento a sostenere una  parte delle vostre pene. - Ohimè! voi non lo potreste. Sappiate che un uomo mortale senza morire  all'istante non potrebbe sopportare un tal tormento. Tuttavia Dio vi permette d'averne un leggero  saggio: stendete la mano». Chocosca stese la mano, ed il defunto vi lasciò cadere una goccia del suo  sudore, o almeno di un liquido che ne aveva l'apparenza. All'istante il religioso, mandando un acuto  grido, cadde a terra privo di sensi, tanto fu terribile il dolore. 

    Accorsero i suoi confratelli e si diedero a procurargli quelle cure che erano richieste dal suo stato.  Quando ritornò in sé, ancora tutto pieno di spavento, raccontò l'orribile fatto avvenutogli e di cui  tutti vedevano la prova. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G.


venerdì 4 agosto 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Pene del Purgatorio: pena del senso: tormento del fuoco e tormento del freddo. - Il ven. Beda e  Dritelmo. 

  

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    Se poco comprendiamo la pena del danno, la cosa corre diversamente riguardo alla pena del  senso: il tormento del fuoco, il supplizio di un crudo è intenso freddo, spaventa la nostra sensibilità.  Ed è per questo che la divina misericordia, volendo nelle nostre anime eccitare un santo timore, non  parla troppo della pena del danno, ma del continuo ci mostra il fuoco, il freddo ed altri tormenti che  costituiscono la pena del senso. Ecco quanto vediamo nel Vangelo e nelle particolari rivelazioni,  colle quali a lui piace di manifestare di tempo in tempo ai suoi servi i misteri dell'altra vita. 

    Citiamo alcune di queste rivelazioni. Ecco dapprima ciò che, dopo il venerabile. Beda, riferisce il  pio e dotto cardinale Bellarmino (18). 

    L'Inghilterra è stata testimone ai nostri giorni, scrive Beda, d'un insigne prodigio, paragonabile ai  miracoli dei primi secoli della Chiesa. Per eccitare i vivi a temer la morte dell'anima, Dio ha  permesso che un uomo, dopo d'essersi addormentato del sonno della morte, ritornasse alla vita  corporale e rivelasse ciò che aveva veduto nell'altro mondo. Le spaventevoli, inaudite particolarità  che raccontò, e la sua vita di straordinaria penitenza che corrispondeva alle sue parole, produssero  in tutto il paese la più viva impressione. Riassumerò le circostanze principali di questa storia. 

    Nel Northumberland vi era un uomo chiamato Dritelmo, che con tutta la sua famiglia viveva  assai cristianamente. Cadde infermo, e di giorno in giorno il suo male si aggravò al punto che  finalmente fu ridotto agli estremi e morì con grande desolazione della sua moglie e dei suoi figli.  Questi in pianto passarono la notte vicino al suo corpo; ma l'indomani, prima di seppellirlo lo videro  tutto ad un tratto riprendere la vita, sollevarsi e porsi a sedere. A quella vista furono compresi di tale  spavento, che tutti presero la fuga, ad eccezione della moglie, che sola, tutta tremante, rimase col  suo marito risuscitato. Tosto egli la rassicurò; «Non temete, le disse: è Dio che mi ridona la vita;  egli vuole nella mia persona mostrare un uomo risuscitato dalla morte. Io devo vivere ancora  qualche tempo sulla terra; ma la nuova mia vita sarà ben differente da quella condotta sin qui». 

    Allora s'alzò, pieno di salute, diritto se ne andò alla chiesa del luogo, e vi rimase lungo tempo in  orazione. Non rientrò in casa che per congedarsi da quelli che sulla terra gli erano stati cari; loro  dichiarò che non voleva più vivere che per prepararsi alla morte e li consigliò a far altrettanto da  parte loro. Poscia avendo diviso i suoi beni in tre parti, ne diede una ai suoi figli, un'altra alla sua  moglie, riservando per sé la terza per farne limosine. Quando tutto ebbe distribuito ai poveri ed egli  stesso fu ridotto alla estrema indigenza, andò a picchiare alla porta di un monastero e supplicò  l'abate a riceverlo come religioso penitente, che sarebbe il servo di tutti gli altri. 

    L'abate gli diede una cella in luogo appartato, che abitò pel rimanente dei suoi giorni. Tutto il suo  tempo divideva in tre esercizi: la preghiera, i lavori più duri e le straordinarie penitenze. I più  rigorosi digiuni erano per lui poca cosa; lo si vedeva d'inverno tuffarsi nell'acqua agghiacciata e  rimanervi ore ed ore in preghiera, fino a recitare tutti i salmi del Salterio di Davide. 

    La vita sì mortificata di Dritelmo, i suoi occhi sempre abbassati, i lineamenti del suo volto,  dinotavano un'anima colpita dal timore dei giudizi di Dio. Conservava un perfetto silenzio, ma per  l'edificazione degli altri lo si sforzò a dire quanto Dio avevagli mostrato dopo la sua morte. Allora  in tal modo raccontava la sua visione: 

   «All'uscire dal mio corpo, fui accolto da un benevolo personaggio, che tosto si fece mia guida;  aveva il volto raggiante e sembrava circondato da luce. Arrivammo in una valle larga, profonda ed  immensamente estesa, tutta di fuoco da una parte, tutta di neve e ghiaccio dall'altra; qui bracieri e  turbini di fiamme, là il più intenso freddo ed il soffio di un vento glaciale. 

   «Quella misteriosa valle era piena d'innumerevoli anime che, agitate come da una furiosa  tempesta, continuamente si portavano dall'una all'altra parte. Quando non potevano sopportare la violenza del fuoco, cercavano di rinfrescarsi fra il ghiaccio e la neve; ma non trovandovi che un  nuovo supplizio, si rigettavano in mezzo alle fiamme. 

   «Con istupore io considerava queste continue vicissitudini d'orribili tormenti, e per quanto poteva  estendersi la mia vista, non vedeva che moltitudini d'anime, che sempre soffrivano e mai avevano  riposo. Il solo loro aspetto ispirava spavento. In sulle prime credetti di veder l'inferno; ma la mia  guida, che camminava dinanzi, si volse a me e mi disse: «No, qui non è l'inferno dei reprobi, come  voi pensate. Volete sapere che luogo è questo? Ebbene questa vane in cui vedete tanto fuoco e tanto  ghiaccio, è il luogo ove sono punite le anime di quelli che trascurarono per tutta la loro vita di  confessarsi e che sino alla fine differirono la loro conversione. Grazie ad una speciale misericordia  di Dio, prima di morire ebbero la fortuna di pentirsi sinceramente, di confessare e detestare i loro  peccati. Perciò non sono riprovate, e nel giorno del giudizio entreranno nel regno dei cieli. Anzi  parecchie di loro ottengono la loro liberazione prima di questo tempo pel merito delle preghiere,  delle limosine e dei digiuni fatti dai vivi in loro favore, sopratutto in virtù del sacrifizio della messa  che si offre a loro sollievo». 

    Tale era il racconto di Dritelmo. Quando gli si domandava perché tanto duramente trattava il suo  corpo, perché si tuffasse nell'acqua agghiacciata, rispondeva che aveva veduto altri tormenti ed un  freddo assai più rigorosi. Se si facevano le meraviglie come egli potesse sostenere quelle strane  austerità: «Io vidi, diceva, penitenze ben più sorprendenti». - Per tal modo, fino al giorno in cui Dio  lo richiamò a lui, non cessò di affliggere il suo corpo, ed abbenchè indebolito dalla vecchiaia, non  volle avere addolcimento qualsiasi. 

    Questo avvenimento produsse una profonda sensazione in Inghilterra; gran numero di peccatori,  commossi dai discorsi di Dritelmo e colpiti dalla austerità della sua vita, sinceramente si  convertirono. 

    Questo fatto, aggiunge il Bellarmino, mi pare d'una incontestabile verità; oltre all'essere  conforme a quelle parole della scrittura: Passeranno dal freddo della neve ai brucianti ardori del  fuoco (Giobbe, XXIV, 19), il venerabile Beda (19) lo riferisce come un fatto recente e ben  conosciuto. Di più, fu seguito dalla conversione d'un gran numero di peccatori, il che è un segno  delle opere di Dio, che suole fare i prodigi per ottenere frutto nelle anime. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 


sabato 22 ottobre 2022

Pene del Purgatorio: pena del danno. - S. Caterina da Genova. - S. Teresa. - Il Padre Nieremberg.

 


IL DOGMA DEL PURGATORIO 


Pene del Purgatorio: pena del danno. - S. Caterina da Genova. - S. Teresa. - Il Padre Nieremberg. 

  

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    Dopo d'aver udito i Teologi e i Dottori della Chiesa, ascolteremo i Santi che parlano delle pene  dell'altra vita, e che narrano ciò che Dio fece loro vedere con comunicazioni soprannaturali. 

    S. Caterina da Genova, nel suo Trattato del Purgatorio (114), dice che «le anime provano un  tormento tanto forte, che nessuna lingua potrebbe narrarlo, né alcun intelletto concepirne la  menoma idea, se Dio non lo facesse conoscere con una grazia speciale. 

    «Nessuna lingua, aggiunge, saprebbe esprimere, né mente alcuna saprebbe farsi un'idea di ciò che  è il Purgatorio. Quanto alla gravezza della pena, uguaglia l'inferno». 

    S. Teresa, nel Castello dell'anima (115), parlando della pena del danno, in tal modo si esprime:  «La pena del danno, o la privazione della vista di Dio, sorpassa tutto quanto si può immaginare di  più doloroso; perché le anime, spinte verso Dio, come verso il centro di tutte le loro aspirazioni, ne  sono dalla sua giustizia continuamente respinte. Figuriamoci un naufrago, il quale, dopo d'essersi  per lungo tempo dimenato contro le onde, sta per toccare la riva, ma sempre se ne vede allontanato  da una mano irresistibile: quale dolorosa angoscia! Mille volte di più è quella delle anime del  Purgatorio» 

   Il Padre Nieremberg della Compagnia di Gesù, che morì in odore di santità a Madrid nel 1638,  racconta (16) un fatto avvenuto a Treveri e che, dice li P. Rossignoli (17), fu riconosciuto dal  vicario generale di quella diocesi, come quello che presentava tutti i caratteri della verità. Il giorno  di Ognissanti, una giovane di rara pietà vide comparirsi dinanzi una dama di sua conoscenza, morta  poco prima, che, vestita di bianco, con un velo dello stesso colore in testa, teneva in mano un lungo  rosario, segno della tenera divozione che sempre aveva professato per la Regina del Cielo. Essa  implorava la carità della pia sua amica, dicendo che altra volta aveva fatto voto di far celebrare tre  messe all'altare della S. Vergine, e che non avendo potuto compierlo, questo debito accresceva i  suoi dolori. La pregò quindi di compierlo in sua vece. 

    Volentieri la giovane concesse la carità domandatale; e quando le tre messe furono celebrate, di  nuovo le apparve la defunta, testificandole la sua gioia e la sua riconoscenza. Anzi continuò ad  apparirle tutto il mese di novembre, quasi sempre nella chiesa. La sua amica la vedeva in  adorazione dinanzi al SS. Sacramento, compresa di un rispetto di cui niuno potrebbe dare un'idea:  non potendo ancora vedere il suo Dio faccia a faccia, sembrava che volesse compensarsene  contemplandolo almeno sotto le specie eucaristiche. Durante il santo sacrifizio della Messa, al  momento dell'elevazione, il suo aspetto talmente si faceva raggiante, che la si sarebbe detta un  serafino disceso dal Cielo; la giovane ne andava tutta in ammirazione, e confessava di nulla aver  veduto di così bello. 

    Intanto scorrevano i giorni, e, ad onta delle messe e preghiere offerte per lei, quest'anima santa  rimaneva nel suo esilio, lungi dagli eterni tabernacoli. Il 3 dicembre, festa di S. Francesco Saverio la  sua protettrice dovendo comunicarsi nella chiesa dei Padri Gesuiti, quell'anima l'accompagnò alla  sacra mensa e stette poi ai suoi fianchi in tutto il tempo del ringraziamento, come per partecipare  alla felicità della santa comunione e così godere della presenza di Gesù Cristo. 

    L'8 dicembre, festa dell'Immacolata Concezione, ritornò ancora, ma tanto brillante che la sua  amica non poteva rimirarla. Visibilmente si avvicinava al termine della sua espiazione. Finalmente  il 10 dicembre, nel tempo della santa messa apparve in uno splendore ancor più meraviglioso, dopo  d'essersi profondamente inchinata dinanzi l'altare; ringraziò la pia amica per le sue preghiere ed in  compagnia del suo angelo custode salì al Cielo. 

    Alcun tempo prima, quest'anima santa aveva fatto conoscere che non pativa più che la pena del  danno, ossia della privazione di Dio; ma aggiunse che questa privazione le cagionava un supplizio  intollerabile. - Questa rivelazione giustifica la parola di S. Giovanni Grisostomo nella sua 47.a omelia: Supponete, dice egli, tutti i tormenti del mondo: non ne troverete che uguagli quello  d'essere privo della vista benefica di Dio. 

    Infatti, il supplizio del danno, di cui qui si tratta, è, secondo tutti i Santi e tutti i Dottori, assai più  rigoroso della pena del senso. È vero che nella vita presente non sapremmo comprenderlo, perché  troppo poco conosciamo il sommo bene pel quale siamo creati. Ma nell'altra vita, questo bene  ineffabile si presenta alle anime come il pane ad un uomo affamato, come l'acqua viva a colui che  muore di sete, come la salute ad un infermo martoriato da lunghe sofferenze; in esse eccita desideri  infuocati che le tormentano senza potersi soddisfare. 

Padre F. S. SCHOUPPE 

domenica 2 ottobre 2022

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


ILLUSTRATO CON FATTI E RIVELAZIONI PARTICOLARI DAL  

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 


Pene del Purgatorio: loro natura e rigore. - Dottrina dei Teologi. - Bellarmino. - S. Francesco di Sales. ­ Timore e speranza. 

  

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    Nel Purgatorio come nell'inferno v'è una doppia pena: la pena del danno e la pena del senso. 

    La pena del danno (damnum) consiste nell'essere privato per un tempo della vista di Dio, che è il  bene supremo, l'oggetto beatifico, pel quale sono fatte le anime nostre, come per la luce gli occhi. È  una sete morale, dalla quale è tormentata l'anima. 

    La pena del senso, o il dolore sensibile, è somigliante a quello che proviamo nella nostra carne.  La fede non ne definì la natura, ma è comune sentimento dei Dottori, che consista nel fuoco ed in  altri generi di sofferenze. - Il fuoco del Purgatorio è della natura, dicono i Padri, di quello  dell'inferno di cui parla il ricco Epulone: Quia crucior in hac fiamma: soffro, dice egli, crudelmente  in questa fiamma. 

    Quanto al rigore di queste pene, siccome sono inflitte dalla più equa giustizia, sono proporzionate  alla natura, alla gravità ed al numero dei falli. Ognuno riceve secondo le sue opere, ognuno deve  pagare i debiti che ha con Dio. Ora questi debiti sono inegualissimi. Ve ne sono di quelli che,  accumulati durante una lunga vita, ascendono ai diecimila talenti del Vangelo, ossia a milioni ed a  miliardi; mentre altri si restringono a qualche obolo, leggero avanzo di ciò che non fu espiato sulla  terra. - Ne segue che le anime soffrono pene assai differenti, che nelle espiazioni del Purgatorio vi  sono innumerevoli gradi e che le une sono incomparabilmente più rigorose delle altre. 

    Tuttavia, parlando in generale, i Dottori convengono nel dire che rigorosissime sono queste pene.  È lo stesso fuoco, dice S. Gregorio, che tormenta i dannati e purifica gli eletti (7). Quasi tutti i  Teologi, dice Bellarmino, insegnano che i reprobi e le anime del Purgatorio soffrono l'azione dello  stesso fuoco (8). 

    Bisogna tener per certo, scrive lo stesso Bellarmino (9), che non vi è proporzione tra i patimenti  di questa vita e quelli del Purgatorio. Sant'Agostino nettamente lo dichiara nel suo commentario  sopra il salmo 31: «Signore, dice egli, non mi punite nel vostro furore, e non rigettatemi con quelli  ai quali direte: Andate al fuoco eterno; ma non punitemi nemmeno nella vostra collera: piuttosto  purificatemi talmente in questa vita, da non aver bisogno d'esser purificato dal fuoco nell'altra. Sì, io  temo questo fuoco, acceso per quelli che saranno salvati, è vero, ma che non lo saranno che passando prima pel fuoco» (10). Senza dubbio, saranno salvati dopo la prova del fuoco; ma terribile  sarà questa prova, questo tormento sarà più insopportabile di tutto quanto di più doloroso si può soffrire in questo mondo. ­ Ecco ciò che dice S. Agostino, e ciò che dopo di lui dicono San Gregorio, il venerabile Beda, S. Anselmo e S. Bernardo. S. Tommaso va ancora, più innanzi,  sostenendo che la menoma pena del Purgatorio sorpassa tutte le pene di questa vita, comunque  possano essere. Il dolore, diceva il B. Pietro Lefèvre, è più profondo e molto più intenso quando  direttamente investe l'anima e lo spirito, che non quando li assale per l'intermezzo del corpo. Il  corpo mortale ed i sensi stessi assorbono e stornano una parte delle pene fisiche ed anche morali  (11). 

    L'autore del libro della Imitazione esprime questa dottrina con una sentenza pratica e viva.  Parlando in generale delle pene dell'altra vita: Là, dice egli, un'ora di tormento sarà più terribile  che qui cento anni della più rigorosa penitenza (12). 

    Per provare questa dottrina, è certo, aggiunge Bellarmino, che tutte le anime soffrono nel  Purgatorio la pena del danno. Ora questa pena sorpassa ogni sensibile patimento. Ma per non  parlare che della sola pena del senso, noi sappiamo quanto è terribile il fuoco, per debole che sia,  che noi accendiamo nelle nostre case, e quanto dolore apporta la più leggera scottatura; ora ben  altrimenti terribile è quel fuoco che non si nutre con legna, né con olio, e che nulla è capace di spegnere. Acceso dal soffio di Dio per essere istrumento della sua giustizia si attacca alle anime e le  tormenta con un'incomparabile attività. 

     Quanto dicemmo e quanto ancora abbiamo a dire, inspira quel salutare timore che ci è  raccomandato da Gesù Cristo. Ma temendo che certi lettori, dimenticando la confidenza cristiana  che deve temperare i nostri timori, si diano in braccio ad un eccessivo spavento, alla dottrina  precedente avviciniamo quella di un altro dottore della Chiesa, S. Francesco di Sales, il quale  presenta le pene del Purgatorio temperate dalle consolazioni che le accompagnano. 

    «Dal pensiero del Purgatorio, diceva quel santo ed amabile direttore di anime, possiamo cavare  più consolazione che timore. La maggior parte di quelli che tanto temono il Purgatorio, pensano  piuttosto al loro proprio interesse che agli interessi della gloria di Dio: il che proviene dal riguardare  unicamente le pene di quel luogo, senza considerare nel tempo stesso la felicità e la pace che alle  anime Dio fa gustare. È vero che i tormenti sono tanto grandi che i dolori più atroci di questa vita  non vi si possono paragonare, ma le interiori soddisfazioni altresì vi sono tali, da non esservi sulla  terra prosperità o contentezza che le possa uguagliare. 

    «Le anime si trovano in una continua unione con Dio. Sono perfettamente sommesse alla sua  volontà; o, per dir meglio, la loro volontà è talmente trasformata in quella di Dio, che non possono  volere che ciò che Dio vuole: di maniera che, se loro fosse aperto il Paradiso, piuttosto si  precipiterebbero nell'inferno, anziché comparire dinanzi a Dio colle sozzure che in sé veggono  ancora. Volontariamente ed amorosamente vi si purificano, perché così piace a Dio. Esse vogliono  essere come piace a Dio, e per tutto il tempo che a lui piacerà. 

    «Esse sono impeccabili, e non possono avere il menomo moto d'impazienza, né commettere la  menoma imperfezione. Amano Dio più di se stesse e più di ogni cosa: l'amano d'un amore pieno,  puro, disinteressato. Esse sono consolate dagli angeli, sono assicurate della loro salute e ripiene di  una speranza che nella sua aspettazione non può esser delusa. L'amarissima loro amarezza gode una  profondissima pace. Se quanto al patire è una specie d'inferno, è un paradiso quanto alla dolcezza  dalla carità sparsa nel loro cuore: carità più forte della morte e più potente dell'inferno; carità le cui  lampade sono tutte di fuoco e di fiamma (Cant. VIII). 

    «Stato felice! continua il santo vescovo, felice stato, ben più da desiderarsi che da temersi, poiché  quelle fiamme sono fiamme di amore e di carità» (13. 

    Ecco gli insegnamenti dei Dottori; ne deriva che se rigorose sono le pene del Purgatorio, non  sono senza consolazioni. Il buon Gesù, che senza alcun addolcimento bevette il suo calice tanto  amaro, volle addolcire il nostro. Addossandoci la sua croce in questa vita, vi spande la sua unzione,  e purificando le anime del Purgatorio come l'oro nella fornace, tempera i loro ardori con  consolazioni ineffabili. Noi non possiamo pèrdere di vista questo elemento consolatore, questo lato  luminoso, nei quadri talvolta ben tetri che avremo a contemplare. 


domenica 24 luglio 2022

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Luogo del Purgatorio. - Il diacono Pascasio ed il vescovo di Capua. - Il B. Stefano francescano ed il  religioso nel suo stallo. - Teofilo Raynaud e l'inferma di Dole. 


Secondo S. Tomaso ed altri dottori, la divina giustizia assegna un luogo speciale sulla terra per la  purificazione di certe anime. Questo sentimento si trova confermato da parecchi fatti; fra i quali in  primo luogo uno ne citeremo che riferisce san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (4). 

    «Quando io ero giovane ed ancora laico, scrive il santo Papa, udii narrare dai vecchi che erano  ben informati, come il diacono Pascasio apparve a Germano, vescovo di Capua. Pascasio diacono di  quella sede apostolica, e del quale ancora possediamo gli eccellenti libri sopra lo Spirito Santo, era  uomo d'eminente santità, dedito alle opere di carità, tutto zelo pel sollievo dei poveri e affatto  dimentico di se stesso. Essendo sorta una contestazione riguardo ad una elezione pontificale,  Pascasio si separò dai vescovi ed abbracciò il partito di colui che l'episcopato non aveva approvato.  Ora, ben presto egli morì, con una riputazione di santità da Dio confermata con un miracolo: una  luminosa guarigione avvenne il giorno dei suoi funerali al semplice contatto della sua dalmatica. 

    «Molto tempo dopo, Germano, vescovo di Capua, fu dai medici inviato ai bagni di Sant'Angelo  negli Abruzzi. Quale non fu il suo stupore nel trovare colà lo stesso diacono Pascasio, in uno stato  di espiazione! - e: Io qui, disse l'apparizione, espio il torto che ebbi di schierarmi nel cattivo partito.  Ve ne supplico, pregate per me il Signore; saprete che foste esaudito dal punto che più non mi  vedrete in questi luoghi». 

    Germano cominciò a pregare pel defunto, e al termine di alcuni giorni, essendo ritornato,  inutilmente cercò Pascasio, che era scomparso. 

    «Non ebbe, conclude S. Gregorio, che a sostenere un temporaneo castigo dopo questa vita,  avendo peccato per ignoranza e non per malizia». 

    Sembra che la divina giustizia condanni talvolta le anime a far la loro penitenza nel luogo stesso  in cui commisero i falli. Si legge nelle cronache dei Fratelli Minori (5) che il B. Stefano, religioso di  quell'istituto, aveva una singolare divozione pel santo Sacramento, passando una parte delle sue  notti in adorarlo. In una di queste circostanze, essendo solo nella cappella in mezzo alle tenebre,  rotte appena dal chiarore d'una piccola lampada, tutto ad un tratto scorge in uno stallo un religioso,  profondamente raccolto e colla testa sepolta nel suo cappuccio. Stefano gli si avvicina e domanda se  ha il permesso di lasciare a quell' ora la sua cella. - «Io sono un religioso defunto, risponde. Qui  devo fare il mio purgatorio dopo la sentenza della giustizia di Dio, perché qui ho peccato per  tiepidezza e negligenza nel divino uffizio. Il Signore mi permette di farvi conoscere il mio stato,  onde mi aiutiate colle vostre preghiere». 

     Commosso da queste parole, il B. Stefano subito si mise in ginocchio per recitare il De profundis  ed altre preghiere; ed osservò che mentre pregava il volto del defunto si apriva alla gioia. -  Parecchie volte ancora, nelle seguenti notti, la visione avvenne allo stesso modo, mostrandosi il  religioso ogni volta più contento, a misura che s'avvicinava alla sua liberazione. Finalmente dopo  un'ultima preghiera del B. Stefano, si alzò dal suo stallo e scomparve in mezzo a luminosa gloria. 

    «Il fatto seguente ha qualche cosa di sì meraviglioso, che esiteremmo, dice il canonico Postel, a  riprodurlo, se non fosse stato inserito in molte opere, secondo il Padre Teofilo Raynaud, distinto  teologo e controversista del secolo XVII che lo riferisce (6) come un fatto avvenuto ai suoi tempi e  quasi sotto i suoi occhi. L'abate Louvet aggiunge che il vicario generale dell'arcivescovo di  Besançon, dopo averne esaminato tutti i particolari, ne aveva riconosciuta la verità. - Nell'anno  1629, a Dòle, nella Franca Contea, Uga Roy, donna di mediocre condizione, era obbligata al letto  per una pneumonia che faceva temere per la sua vita. Il medico, avendo creduto doverla salassare,  ebbe l'inettezza di tagliarle l'arteria del braccio sinistro, il che la ridusse propriamente agli estremi. 

L'indomani sul far del giorno, vide entrare nella sua stanza una giovane tutta vestita di bianco,  con un contegno di bella modestia, che le chiede se è contenta di ricevere i suoi servizi e d'essere  curata da lei. L'inferma, felice per questa offerta, risponde che niente le tornerà più gradito, e tosto  la forestiera accende il fuoco, s'accosta ad Uga, dolcemente la ripone nel suo letto; poscia comincia  a vegliarla e servirla come farebbe la più affezionata infermiera. Cosa meravigliosa! Il contatto  delle mani di quella sconosciuta fu tanto benefico, che la moribonda se ne trovò grandemente  sollevata e ben tosto si sentì interamente guarita. Allora essa volle assolutamente sapere chi fosse  l'amabile sconosciuta, e la chiamò per interrogarla; ma questa si allontanò dicendo che ritornerebbe  alla sera. Intanto lo sbalordimento, la curiosità furono estremi, quando si seppe di quella subitanea  guarigione, e nella città di Dòle non si parlava che del misterioso avvenimento. 

    Quando la sconosciuta ritornò alla sera, disse ad Uga Roy, senza più cercare di nascondersi:  «Sappiate, mia cara nipote, che io sono la vostra zia Leonarda Collin, morta da diciassette anni,  lasciandovi erede della poca mia sostanza. Grazie alla divina bontà, io sono salva, e di tanta felicità  sono debitrice alla Santa Vergine Maria, per la quale ebbi una grande divozione. Senza di lei io  sarei perduta. Quando subitamente mi colpì la morte, era in peccato mortale, ma la Vergine  misericordiosa in quel momento mi ottenne una perfetta contrizione, e così mi scampò dall'eterna  dannazione. D'allora in poi io sono nel Purgatorio, ed il Signore mi permette di venire a compiere la  mia espiazione servendovi per quaranta giorni. Terminato questo tempo, sarò liberata dalle mie  pene se da parte vostra avrete la Carità di fare per me tre pellegrinaggi a tre santuari della Santa  Vergine». 

    Uga, sbalordita, non sapendo che pensare di questo linguaggio, non potendo credere alla realtà di  quella apparizione e temendo qualche insidia dello spirito maligno, consultò il suo confessore, il P.  Antonio Rolland, gesuita, che la consigliò a minacciare alla sconosciuta gli esorcismi della Chiesa.  Questa minaccia non la inquietò: tranquillamente disse che non temeva gli esorcismi della Chiesa.  «Essi hanno forza, aggiunse, contro i demoni ed i dannati, ma nessuna contro le anime predestinate  ed in grazia di Dio, come sono io». - Uga non era convinta. «Come mai, chiese alla giovane, potete  essere la mia zia Leonarda? Questa era vecchia, debole, spiacevole e bisbetica, mentre voi siete  giovane, dolce ed amabile. - Ah! mia nipote, rispose l'apparsa, il vero mio corpo si trova nella  tomba, ove rimarrà fino alla risurrezione; quello che voi vedete è un altro corpo, miracolosamente  formato dall'aria, per darmi modo di parlarvi, di servirvi e d'avere i vostri suffragi. Quanto al mio  carattere difficile, collerico, diciassette anni di terribili sofferenze ben m'insegnarono la pazienza e  la dolcezza. D'altronde, sappiate che in Purgatorio si è confermati in grazia, segnati col sigillo degli  eletti, e perciò stesso esenti da ogni vizio». 

    Dopo tali spiegazioni, non era più possibile la incredulità. Uga, meravigliata al tempo stesso e  riconoscente, con tutta contentezza ricevette i servizi che le erano resi durante i segnati quaranta  giorni. Dessa sola poteva vedere ed udire la defunta, che veniva a certe ore e tosto scompariva.  Appena le sue forze lo permisero, con tutta la divozione compì i pellegrinaggi che erano stati  richiesti. 

    Al termine dei quaranta giorni, cessarono le apparizioni. Leonarda si mostrò un'ultima volta per  annunziare la sua liberazione; allora trovavasi in uno stato d'incomparabile gloria, scintillante come  un astro, e portava sul viso l’espressione della più perfetta beatitudine. Alla sua volta testificò alla  nipote la propria riconoscenza, le promise di pregare per lei, per tutta la sua famiglia, e la impegnò a  ricordarsi sempre, in mezzo alle pene della vita, del fine supremo di nostra esistenza, che è la salute  dell'anima. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 

sabato 4 dicembre 2021

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 

Luogo del Purgatorio (segue). - Rivelazioni dei Santi.

 

Santa Teresa aveva una grande carità per le anime del Purgatorio, e Iddio ne la ricompensava  anche in questa vita, facendole spesso vedere quelle anime che ella aveva colle sue preghiere  liberate da quel luogo d'espiazione. Essa ordinariamente le vedeva uscire dal seno della terra ed  innalzarsi gloriose negli spazi del firmamento. 

    «Mi si annunciò, ella scrive, la morte di un religioso, stato per l'innanzi molto tempo provinciale.  Io aveva avuto assai relazione con lui, ed egli mi aveva sempre reso buoni uffizi. Questa notizia mi  portò non poco turbamento: sebbene egli fosse stato assai commendevole per molte virtù, io era in  apprensione per la salute dell'anima sua, essendo egli stato per circa vent'anni superiore, ed io temo  sempre molto per quelli che ebbero in vita il carico delle anime. Tutta piena di tristezza, mi porto ad  un oratorio, e colà scongiurava Nostro Signore d'applicare a quel religioso il poco bene da me fatto  in vita e di supplire al rimanente coi meriti suoi infiniti perché venisse quell'anima liberata dal  fuoco del purgatorio. 

     «Mentre con tutto il fervore di cui era capace chiedeva questa grazia, vidi al mio lato destro  uscire quell'anima dal fondo della terra e salire al Cielo fra i trasporti dell'allegrezza più pura.  Questa visione, assai breve nella sua durata, mi lasciò piena di gioia, e senz'ombra di dubbio sulla  verità di quanto aveva veduto. 

     «Una religiosa della mia comunità, grande serva di Dio, era morta da due giorni. Per lei si  celebrava l'ufficio dei morti nel coro: una sorella diceva la lezione ed io stava in piedi per dire il  versetto; a mezzo la lezione vidi l'anima di quella religiosa uscire, come quella di cui dissi più  sopra, dal fondo della terra ed andarsene al Cielo. Questa visione fu puramente intellettuale, mentre  la precedente mi si era presentata sotto immagini: ma sì l'una che l'altra lasciano nell'anima  un'uguale certezza. 

    Un fatto consimile è riferito nella Vita di san Luigi Bertrando, dell'Ordine di S. Domenico. 

Questa Vita scritta dal P. Antisi, religioso dello stesso Ordine, che aveva vissuto col santo, è inserita  negli Acta Sanctorum, sotto il 13 ottobre. - Nel 1557, quando S. Luigi Bertrando abitava nel  convento di Valenza, scoppiò la peste in quella città. Il terribile flagello, moltiplicando i suoi colpi,  tutti minacciava gli abitanti, e ciascuno tremava per la propria vita. Un religioso della comunità, il  P. Clemente Benat, volendo con fervore prepararsi alla morte, fece al santo una confessione  generale di tutta la vita; e lasciandolo, «Mio Padre, gli disse, se ora piace a Dio di chiamarmi, verrò  a farvi conoscere il mio stato nell'altra vita». Poco tempo dopo difatti morì, e la notte seguente  apparve al santo. Gli disse che era ritenuto nel Purgatorio per alcuni leggeri falli che gli rimanevano  da espiare, e lo supplicò di farlo raccomandare alla comunità. Tosto il santo comunicò questa  domanda al Padre priore, il quale si affrettò di raccomandare l'anima del defunto alle preghiere ed ai  santi sacrifizi di tutti i fratelli riuniti in capitolo. 

    Sei giorni dopo, un uomo della città, che nulla sapeva di quanto era successo nel convento,  essendo venuto a confessarsi dal Padre Luigi, gli disse che l'anima del P. Clemente gli era  comparsa. «Ho veduto, affermò egli, aprirsi la terra e tutta gloriosa uscirne l'anima del Padre  defunto; essa rassomigliava, aggiunse, ad un astro risplendente e si sollevava nell'aria verso il  cielo». 

    Leggiamo pure nella Vita di S. Maddalena de' Pazzi (27 maggio), scritta dal suo confessore, il P.  Cepari della Compagnia di Gesù, che quella serva di Dio fu testimone della liberazione pi un'anima  colle seguenti circostanze. Da qualche tempo era morta una delle sue sorelle in religione. Un giorno  la santa, pregando dinanzi al SS. Sacramento, vide dalla terra uscire l'anima di quella sorella, ancora  prigioniera nel Purgatorio. Era avvolta in un mantello di fiamme, difendendola al disotto del mantello dai più vivi ardori del fuoco una veste d'abbagliante bianchezza; un'ora intera rimase ai  piedi dell'altare, adorando, con un indicibile annientamento, il Dio nascosto sotto le specie  eucaristiche. 

   Quell'ora di adorazione, che faceva alla presenza di Maddalena, era l'ultima della sua penitenza.  Spirata quell'ora, si alzò e spiccò il volo verso il cielo. 

    Piacque a Dio di far vedere in ispirito la triste dimora del Purgatorio ad alcune anime privilegiate,  che in seguito dovevano, ad edificazione di tutti i fedeli, rivelare quei dolorosi misteri. Di questo  numero fu S. Francesca Romana (9 marzo), fondatrice delle Oblate, morta a Roma nel 1440, dove le  sue virtù ed i suoi miracoli sparsero la più viva luce. Dio la favorì di grandi lumi sullo stato delle  anime nell'altra vita. Dessa vide l'inferno e gli orribili supplizi; vide ancora l'interno del Purgatorio e  l'ordine misterioso, direi quasi, la gerarchia delle espiazioni, che regna in quella parte della Chiesa  di Gesù Cristo. Per obbedire ai suoi superiori, che credettero doverle imporre quest'obbligo, fece  conoscere tutto ciò che Dio le aveva manifestato; e le sue visioni, scritte sotto la sua dettatura dal  venerabile canonico Matteotti, direttore dell'anima sua, hanno tutta l'autenticità che si possa su tal  materia richiedere. 

    Ora la serva di Dio dichiarò che, dopo d'aver sofferto un inesprimibile spavento alla vista  dell'inferno, uscì da quell'abisso e fu condotta dalla celeste sua guida, l'arcangelo Raffaele, nelle  regioni del Purgatorio. Là più non regnava né l'orrore del disordine, né la disperazione, né le tenebre  eterne: la divina speranza vi spandeva la sua luce, e le si disse che quel luogo di purificazione si  chiamava anche soggiorno della speranza. Vi vide anime che soffrivano crudelmente, ma erano  visitate dagli angeli ed assistite nei loro patimenti. 

     Il purgatorio, disse, è diviso in tre distinte parti, che sono come le tre grandi province di quel  regno del dolore. Sono poste l'una sopra l'altra, ed occupate dalle anime di diverse categorie. Queste  anime tanto più sono profondamente seppellite quanto più sono macchiate e lontane dalla  liberazione. 

    La regione inferiore è ripiena d'un fuoco ardentissimo, ma che non è tenebroso come quello  dell'inferno: è un vasto mare acceso, che getta immense fiamme. Vi sono immerse innumerevoli  anime: sono quelle che si resero colpevoli di peccati mortali, che debitamente confessarono, ma non  sufficientemente espiarono durante la vita. Allora la serva di Dio conobbe che, per ogni peccato  mortale perdonato, bisogna scontare una pena di sette anni di Purgatorio. - Questo termine non si  può prendere evidentemente come una misura fissa, poiché i peccati mortali differiscono nella  enormità, ma come una tassa media. 

    Sebbene le anime siano avvolte nelle stesse fiamme, le loro sofferenze non sono le stesse: variano  secondo il numero e la qualità dei loro peccati, 

    In questo purgatorio inferiore la santa distinse laici e persone consacrate a Dio. I laici erano quelli  che, dopo una vita di peccato, avevano avuto il bene di sinceramente convertirsi; le persone  consacrate a Dio erano quelle che non erano vissute secondo, la santità del loro stato e tutte queste  si trovavano nella parte inferiore. In quello stesso momento vi vide scendere l'anima d'un prete che  conosceva, ma di cui non volle fare il nome. Osservò che aveva il capo avvolto in un velo che  copriva una macchia, la macchia della sensualità. Abbenchè avesse tenuto una vita edificante, quel  prete non aveva sempre osservato una stretta temperanza e aveva fatto troppa ricerca delle  soddisfazioni della mensa. 

   Quindi la santa fu condotta nel Purgatorio intermedio, destinato alle anime che meritarono pene  meno rigorose. Là vide tre spazi distinti: il primo rassomigliava ad una vasta ghiacciaia, ove vi era  un freddo inesprimibile; il secondo, al contrario, era come un immenso calderone ripieno d'olio e di  pece bollenti; il terzo, come una stagno di liquido metallo, rassomigliante ad oro o ad argento fuso. 

   Il Purgatorio superiore, che la santa non descrive, è il soggiorno delle anime che, essendo già state  purificate dalle pene dei sensi, altro quasi più non soffrono che la pena del danno, e s'avvicinano al  felice momento della loro liberazione. 

   Tale nella sostanza è la visione di S. Francesca relativamente al Purgatorio. 

Ora ecco quella di S. Maddalena de' Pazzi, carmelitana di Firenze, quale nella sua Vita la racconta  il P. Cepari. È un quadro particolareggiato del Purgatorio, mentre la precedente visione non lo  descrisse che a grandi linee. 

   Qualche tempo prima della santa sua morte, che fu nel 1607, la serva di Dio Maddalena de' Pazzi,  trovandosi verso sera con parecchie religiose nel giardino del convento, fu rapita in estasi e vide  dinanzi a lei aprirsi il Purgatorio. Nel tempo stesso, come più tardi fece conoscere, una voce la  invitò a visitare tutte le prigioni della divina giustizia, onde veder da vicino quanto siano degne di  pietà le povere anime che le abitano. 

    In quel momento la si udì dire: Sì, ne farò il giro. Accettava di fare quel doloroso viaggio. 

    Infatti cominciò ad andar attorno pel giardino, che è grandissimo, per due ore intere, fermandosi  di tempo in tempo. Ogni volta che interrompeva il suo cammino, attentamente considerava le pene  che a lei si mostravano. Allora si vedeva attorcigliarsi le mani per compassione, pallido si faceva il  suo viso, il suo corpo si curvava sotto il peso del dolore dinanzi allo spettacolo che aveva sotto gli  occhi. 

    Con voce lamentevole cominciò ad esclamare: «Misericordia, Dio mio, misericordia! Scendete, o  sangue prezioso, e dalla loro prigione liberate queste anime. Povere anime! voi soffrite tanto  crudelmente, e tuttavia siete contente ed allegre! Le segrete dei martiri, a confronto di queste, erano  deliziosi giardini. Tuttavia ve ne sono delle ancor più profonde. Quanto mi terrei fortunata, se mi  fosse dato di discendervi!» 

    Intanto vi discese, giacché fu veduta continuare il suo viaggio. Ma fatti che ebbe alcuni passi, si  arrestò spaventata e, mandando un grande sospiro, esclamò: «E che! anche dei religiosi in questi  tristi luoghi! Buon Dio, come sono tormentati! Oh! Signore!». Non ispiegava i loro patimenti. ma  l'orrore che provava contemplandoli la faceva sospirare quasi ad ogni passo. 

    Di là passò ai luoghi meno lugubri: erano le prigioni delle anime semplici e dei fanciulli, la cui  ignoranza e la poca ragione ne attenuano assai i falli. Anche i loro tormenti le parvero molto più  tollerabili di quelli degli altri. Là non vi era che ghiaccio e fuoco. Osservò che quelle anime presso  di sé avevano i propri angeli custodi, che assai li fortificavano colla loro presenza. 

    Avendo fatto alcuni passi, vide anime molto più infelici, e fu udita esclamare: «Oh! quanto  orribile è questo luogo!», e vide ancora distintamente le pene diverse che soffrivano le anime nel  Purgatorio secondo la qualità delle loro colpe. 

    Finalmente, la santa uscì dal giardino, pregando Dio di non renderla più testimone d'uno  spettacolo così straziante: non sentiva la forza di sopportarlo. Tuttavia la sua estasi durava ancora, e  conversando col suo Gesù, gli disse: «Signore, fatemi conoscere qual è il vostro disegno nello  scoprirmi quelle terribili prigioni, che tanto poco conosceva e che ancora meno comprendeva... Ah!  ora lo veggo: voi voleste farmi conoscere l'infinita vostra santità e farmi sempre più odiare i  menomi peccati, tanto abominevoli ai vostri occhi». 

     Citiamo una terza visione riguardante l'interno del Purgatorio, quella di S. Liduina di Schiedam,  morta il 14 aprile 1433, e la cui storia, scritta da un prete suo contemporaneo, ha la più perfetta  autenticità. Questa vergine ammirabile, vero prodigio di pazienza cristiana, fu in preda ai dolori di  tutte le più crudeli malattie per ben trentotto anni. I suoi dolori le rendevano impossibile il sonno;  nella preghiera passava le lunghe notti, ed allora spesso rapita in ispirito, dal suo angelo custode era  condotta nelle misteriose regioni del Purgatorio. In esse vedeva dimore, prigioni, segrete diverse, le  une più tristi delle altre; vi incontrava anime che conosceva, e le erano mostrati i vari loro  patimenti. 

     Si potrebbe dimandare: Qual era la natura di questi viaggi estatici? È difficile lo spiegarlo; ma si  può con chiudere da certe altre circostanze che avevano più realtà di quel che si sarebbe indotti a  credere. La santa inferma faceva simili viaggi e pellegrinaggi sulla terra, ai santi luoghi della  Palestina, alle chiese di Roma ed ai monasteri del vicinato. Dai luoghi per tal modo percorsi  riportava le più esatte cognizioni. 

    Un religioso del monastero di S. Elisabetta, trattenendosi un giorno con lei e parlando delle celle,  del capitolo, del refettorio della sua comunità, ella di tutta la sua casa gli fece una esatta e particolareggiata descrizione, come se tutta vi avesse passato la sua vita.. Avendole il religioso fatto  conoscere la sua sorpresa: «Sappiate, Padre mio, disse, che io ho percorso il vostro monastero,  visitai tutte le celle, vidi gli angeli custodi di tutti quelli che le abitano». 

    Ora ecco uno dei viaggi della nostra santa nel Purgatorio. 

    Un disgraziato peccatore, di scandalosissima vita, si era finalmente convertito, in grazia delle  preghiere di Liduina; per le pressanti sue esortazioni fece una sincera confessione di tutti i suoi  disordini, ne ricevette l'assoluzione, ma non ebbe il tempo di far molta penitenza, essendo poco  dopo morto di peste. 

    La santa offrì per la sua anima molte preghiere e patimenti; e qualche tempo dopo, essendo stata  condotta dal suo angelo al Purgatorio, desiderò sapere se ancor vi era quel convertito e qual fosse il  suo stato. «Vi è, rispose la celeste sua guida, e soffre molto. Sareste disposta a sostenere qualche  pena per diminuire le sue? - Senza dubbio, ella rispose: per aiutarla sono pronta a tutto». 

    Tosto l'angelo la condusse in un luogo di spaventevoli torture: «Qui dunque si trova l'inferno,  fratello mio? chiese la santa, tutta compresa d'orrore. - No, sorella mia, rispose l'angelo: ma questa  parte del Purgatorio è vicina all'inferno». 

    E guardando da ogni parte, vide come un'immensa prigione, circondata da muraglia di prodigiosa  altezza, la cui nerezza e le mostruose pietre facevano orrore. Avvicinandosi a questo sinistro  recinto, udì un confuso rumore di voci lamentevoli, di grida di furore, di catene, dì strumenti di  tortura, di colpi violenti che i carnefici scaricavano sulle loro vittime. Questo rumore era tale che  tutti i fracassi del mondo nelle tempeste e nelle battaglie non vi si potrebbero paragonare. 

    «Qual luogo orribile è mai questo? chiese Liduina al suo buon angelo. - È l'inferno, rispose.  Volete che ve lo faccia vedere? - No, di grazia, rispose ella, tutta agghiacciata per lo spavento: è  tanto orrendo il fracasso che odo da non poterne più: come mai potrei sopportare la vista di quegli  orrori?» . 

     Continuando il misterioso suo viaggio, vide un angelo tristamente seduto sull'orlo d'un pozzo.  «Chi é quest'angelo? domandò alla sua guida. - È, rispose, l'angelo custode del peccatore la cui sorte  vi sta a cuore. La sua anima è in quel pozzo, ove fa un purgatorio speciale». Liduina a queste parole  gettò al suo angelo uno sguardo espressivo: desiderava vedere quell'anima a lei tanto cara, e  sforzarsi di trarla da quella spaventevole prigione. Il suo angelo, che la comprese, avendo sollevato  il coperchio di quel pozzo con un atto della Sua potenza, ne sfuggì un turbine di fiamme insieme a grida lamentevoli. ­ «Riconoscete questa voce, le chiese l'angelo. ­ Ohimè! sì, rispose la serva di Dio. - Desiderate veder quest'anima?» Alla sua risposta affermativa l'angelo la chiamò per nome; e  subito la nostra vergine vide comparire, all'apertura del pozzo, uno spirito tutto in fuoco, simile ad  un metallo incandescente, che con una voce malamente articolata le disse: «O Liduina, serva di Dio,  chi mi concederà di contemplare la faccia dell'Altissimo?». 

    La vista di quell'anima, in preda al più terribile tormento del fuoco, produsse nella nostra santa  tale ambascia, che la cintura che portava attorno al corpo, sebbene nuova e fortissima, si ruppe in  due; e non potendo più a lungo sostenere quella vista, tostamente rinvenne dalla sua estasi. Le  persone presenti, accorgendosi del suo spavento, le domandarono che cosa avesse. «Ohimè! rispose,  quanto sono terribili le prigioni del Purgatorio! È per soccorrere le anime che acconsento a  discendervi: senza questo motivo non vorrei provare i terrori che mi cagiona uno spettacolo tanto  terribile». 

    Alcuni giorni dopo, lo stesso angelo, che aveva veduto tanto triste, le apparve con una faccia  giuliva; le fe' sapere che l'anima del suo protetto era uscita dal pozzo ed era passata al purgatorio  ordinario. Non poteva bastare alla carità di Liduina questo sollievo parziale: continuò a pregare pel  povero sofferente e ad applicargli i meriti dei suoi patimenti, finché lo seppe entrato nella gloria del  Paradiso. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G.