Visualizzazione post con etichetta Padre Pio di Pietrelcina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Padre Pio di Pietrelcina. Mostra tutti i post

lunedì 4 ottobre 2021

Padre Pio di Pietrelcina, il primo Sacerdote stigmatizzato

 


L'avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex grado 33 della massoneria, scrisse questo libro dopo essersi convertito al confessionale di Padre Pio. 


Che cosa dice anzitutto la Chiesa intorno alle stimate?  

Esse le sono note già dai primi tempi del cristianesimo e precisamente dall'apostolo Paolo, il quale si dice non solo crocifisso egli stesso col Cristo e non solo attesta di aver ricevuto il suo messaggio per l'umanità dalla rivelazione di Gesù Cristo, ma come conclusione della sua lettera ai Galati, nella quale dice tutto questo, aggiunge: «... poiché io porto le stimate del Signore Gesù nel mio corpo». Dopo di lui per quanto ne abbiamo notizia, sembra che questa grazia non sia stata più concessa fino a quel grande santo di cui si dice che nessuno fino ad oggi sia stato più simile al Salvatore crocifisso, cioè a S. Francesco d'Assisi. Fu un avvenimento per la Chiesa, per cui nell'anno liturgico essa vi dedica una festa speciale. In questo giorno, il 17 settembre, pone sulle labbra del sacerdote come prima preghiera al S. Sacrificio della Messa le parole seguenti: Domine Jesu Christe, qui frigescente mundo, ad infiammatudum corda nostra tui amoris in carne beatissimi Patris Nostri Francisci passionis tuae sacra Stigmata renovacti, concede propitius ... o Signore Gesù Cristo, Tu che, raffreddandosi il mondo, hai rinnovato col fuoco del tuo amore le stimate della tua s. passione nella carne del nostro s. padre Francesco, per infiammare i nostri cuori, concedici, ti preghiamo ....  

Tuttavia il mondo che era stato riscaldato dal santo di Assisi diventò di nuovo tepido e freddo nella fede nel Crocifisso e nella sua opera, la Chiesa. False dottrine sedussero molti, prima a distaccarsi dalla Chiesa cattolica, poi ad abbandonare la fede in Cristo figlio di Dio e finalmente i posteri ricaddero di nuovo in una specie di paganesimo, come se il Redentore non fosse mai venuto al mondo. E così Iddio operò nuovi miracoli per ricordare ai posteri di quegli infelici che Egli è il Dio vivente della vita eterna e che s'è fatto uomo, ha sofferto ed è morto per tutte le generazioni che si susseguono. In maniera sua e servendosi di singoli uomini Egli attirò sempre a volta a volta lo sguardo su sé stesso, il Crocifisso, onde attrarli a Sé e condurli nella casa della salvezza da lui fondata, la Chiesa cattolica, e dimostrare loro in maniera irrefutabile che in mezzo a tutte le «chiese» aberranti d'origine umana, questa è proprio la chiesa Sua. Qui sta anche la ragione perché questo crisma, le stimate del Salvatore, si riscontra unicamente nella chiesa cattolica.  

Andiamo oggi meglio? Il calore della fede e l'amore per il Salvatore sono nei nostri tempi aumentati o diminuiti? Sono diminuiti, e perciò Cristo nella Sua misericordia ha impresso anche fino ai giorni nostri col fuoco del Suo amore le stimate della Sua Santa passione nella carne di alcuni Suoi servi e serve privilegiati, onde infiammare i cuori freddi degli uomini, per i quali Egli ha patito, e che altrimenti non vorrebbero più saperne di lui. Per cagione degli increduli, assicura S. Paolo, sono state concesse queste grazie «gratis data» ed infatti colla corrente dei fedeli che in Teresa Neumann vedevano riflesso come in uno specchio il Salvatore che opera a mezzo di lei e si sentivano attratti a Lui, si riversò verso il villaggio di Konnersreut anche una fiumana d'increduli, di eretici e di scettici. Se molti di coloro che vengono a vedere trovino anche la grazia di credere non lo sappiamo, giacché non possiamo penetrare nel cuore degli uomini; probabilmente accadrà di nuovo quello che avveniva ai tempi del Salvatore quando muovendosi Egli tra noi in carne ed ossa operava i miracoli: molti trovano la fede, molti altri se ne tornano increduli come sono venuti. A tutti però viene ricordato in maniera impressionante il fatto del figlio di Dio, qui propter nos homine «et propter nostram salutem..., il quale per noi uomini e per la nostra salute, patì, fu crocifisso e morì. Ed io, come cattolico credente, considero una grazia specialissima il fatto d'essermi potuto riavvicinare a quell'opera di salute compiutasi duemila anni fa, si d'averne quasi personalmente esperienza. Che io in ciò non sia solo, dimostrano le numerose manifestazioni che arrivano in pubblico attraverso la stampa.  

Questo dunque è lo scopo del carisma e delle stimate e non quello di dare occasione di esperimenti ad un certo numero di professori increduli affinché essi, su di un accertamento puramente naturale, costruiscano delle nuove teorie per negare l'esistenza dell'anima. Che essi, giunti alla linea di confine fra il naturale e il soprannaturale, dichiarino onestamente: qui sta il limite del nostro campo di lavoro che è l'indagine delle cose sensibili e qui perciò viene segnato anche il limite della nostra scienza; al di là ignoramus, non sappiamo niente. Così colpisce nel segno per esempio anche un non cattolico quando scrive: «La competenza della medicina in tale materia deve venir contestata, il giudizio dell'autorità medica è qui senza valore, giacché esso non tocca affatto l'essenza del caso. Qui si tratta infatti, non di fenomeno clinico, ma di un fenomeno religioso. Come tale esso è un frutto del cattolicismo e sottostà alla competenza della Chiesa cattolica la quale fa bene a guardarlo e a proteggerlo».  

venerdì 10 settembre 2021

Padre Pio di Pietrelcina, il primo Sacerdote stigmatizzato

 


L'avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex grado 33 della massoneria, scrisse questo libro dopo essersi convertito al confessionale di Padre Pio. 


STIGMATE 

Chi sta fuori della Chiesa non sa capacitarsi nemmeno intorno allo scopo che possano avere tali stimate. A che cosa tende Iddio con esse?  

Noi formuliamo la risposta domandando a nostra volta: quale scopo aveva il Salvatore quando compi Egli stesso dei miracoli? Ebbene, Egli conosceva gli uomini per la cui salvezza s'è fatto uomo; Egli sapeva che tra loro vi sono di quelli che avrebbero creduto senz'altro alla Sua parola. Nataniele apparteneva a costoro, ma era una rara eccezione. Perfino fra gli apostoli da Lui prescelti si trovò un Tommaso; ce ne furono però molti altri che non credettero in Lui.  

Ma Egli voleva guadagnare e salvare anche costoro, tutti coloro a cui Egli ha detto: «se non vedete miracoli, voi non credete». E qui Egli non volta loro sdegnosamente la schiena, non dice «se non volete credere, fate a modo vostro, e precipitate per sempre nella vostra rovina!», no, tutti Egli vuol addurre alla fede e perciò, per amore degli increduli. Egli compie miracoli (1Cor., 14, 22). Egli li compie affinché essi credano in Lui, si uniscano a Lui e lo seguano nel Suo regno, nella Sua comunità, nella Chiesa ch'Egli volle costituire. Non è per ridonare la salute ad un singolo infermo ch'Egli opera miracoli, ma per condurre alla fede i dubbiosi; ciò Egli attesta ripetutamente colla Sua parola. Essi devono venire guadagnati alla verità, alla Chiesa, alla fede in Lui mediante le percezioni dei loro propri sensi, affinché per mezzo loro sia aumentata e diffusa fra gli uomini la gloria di Dio. Dalle Sue opere essi devono riconoscerlo e attraverso le Sue opere devono giungere a riconoscerlo ed adorarlo. E sono i carismi qualche cosa di diverso dei miracoli? Non parla di essi già S. Paolo? Si consulti la sua prima lettera ai Corinti e si troverà che egli dice chiaro e netto che i carismi sono dallo Spirito Santo «ad utilitatem», a giovamento non solo di colui che riceve la grazia, ma anche di altri. Essi sono prove dell'esistenza di Dio e della verità della Sua rivelazione, essi costringono lo spirito che riflette a riconoscere l'esistenza d'un ordine soprannaturale e di tutto quello che logicamente ne consegue.  

Se Dio compie visibili portenti e miracoli, li compie perché vengano visti ed affinché per loro cagione venga riconosciuta la verità. In ognuno di tali miracoli si contiene la tanto disprezzata «sensazione», ma essa è appunto l'attrattiva naturale per coloro che ancora non credono. Iddio si serve di quest'attrattiva per avvicinarli a sé ed opera colla sensazione, coll’«impossibile» affinché essi, sopraffatti, confessino: «in verità costui era figlio di Dio!». Il Salvatore avrebbe potuto compiere i Suoi miracoli anche in segreto, ma è appunto quello che non volle. Egli si presentò sul teatro della vita e sottopose intenzionalmente i Suoi miracoli divini alla curiosità pubblica e profana.  

«Se io non avessi operato fra loro delle cose, dice Egli, che nessun altro ha operato, essi sarebbero senza peccato; ma ora essi le hanno viste ed odiano tuttavia». Egli tollerò che grandi masse di popolo lo seguissero e che per i suoi miracoli gli si stringessero attorno, tanto che per la preghiera non gli rimaneva che la notte e la fuga. E disse espressamente: «qualora io non faccia opere miracolose in nome di Mio Padre, potrete ricusarmi fede; ma se le faccio, credetemi in causa di queste opere!».  

Il Salvatore non si muove più fra noi, è ritornato al suo eterno Padre. Ma, secondo la Sua sacra promessa, Egli è ancora presso di noi, presso la sua chiesa cattolica fino alla fine dei tempi. Dunque anche oggi, nell'anno 1927. Ma ove Egli è, dobbiamo incontrarne le orme, le opere caratteristiche, i miracoli. Ed essi esistono di fatto molto più numerosi di quello che immagini il mondo e presto, in un altro libro, ci proponiamo di scriverne in merito. Qui ci limiteremo a dire delle stimate.  

Nell'epoca della radio, del cinematografo, dell'automobile e dell'aeroplano, il linguaggio in cui Konnersreuth parla a questo mondo delle novità suona davvero come un linguaggio esotico.  

«In lingue straniere e con labbra straniere io parlerò al mio popolo»; a questa parola di Dio ci richiama ancora una volta S. Paolo. Oggi è la lingua straniera del Salvatore sanguinante e crocifisso che parla a noi per mezzo di Teresa Neumann, la quale non lo fa per proprio impulso ma per disposizione di Dio che se ne serve come di suo strumento. Se così non fosse, la Chiesa avrebbe già pronunziata una aspra sentenza, il parroco Naber avrebbe abbandonata da tempo la direzione spirituale di Teresa e anche Roma avrebbe lanciato le sue folgori.  

lunedì 9 agosto 2021

Padre Pio di Pietrelcina, il primo Sacerdote stigmatizzato

 


L'avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex grado 33 della massoneria, scrisse questo libro dopo essersi convertito al confessionale di Padre Pio. 


STIGMATE 

________________ 

 

Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato. Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!». 

(Gv20,27-29) 


L'uomo, fu da Dio creato a sua immagine e somiglianza. L'amore unisce il dolce e divino legame del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.  

L'uomo, porta in sé, fin dall'origine, due nature diverse, l'umana e la divina, sta a lui dare maggiore o minore importanza all'una o all'altra. Egli, che è dotato del libero arbitrio, può scegliere e dare la preferenza al corpo o allo spirito. Il corpo, soggiace a tutte le influenze del mondo in cui vive, lo spirito, a quelle da cui viene e da cui dovrebbe e vorrebbe ritornare.  

Il corpo, soggiace al peccato mortale di origine, lo spirito, purificato col battesimo, tende invece attraverso i Sacramenti a riportarsi verso Dio.  

Solo attraverso le penitenze fisiche e spirituali può essere purificato anche il corpo e avvicinarsi alla purità, in tal modo egli può ottenere il libero dono della trasfigurazione, che Dio concede solo alle persone che hanno corpo e anima quasi allo unisono. Coll'estasi, che tutti non possono ricevere da Dio, la carne viene mortificata e lo spirito elevato e perfezionato. La creatura durante l'estasi fa risuscitare l'immagine di Cristo, fuga il peccato mortale, soffoca gli istinti terrestri e si avvicina al Salvatore, che porta per noi i divini segni della Crocifissione.  

In lei, che ha rinnovellato il dolore e l'angoscia, sorgono, come premio, i segni della gloria e della Santità, poiché essa fa suoi i dolori e le sofferenze che Cristo soffrì per noi sul Golgota.  

Ho voluto consultare vari libri di medicina e di religione, ma mentre i primi non hanno saputo darmi una spiegazione scientificamente esatta, gli altri invece mi hanno dimostrato e convinto, che le stigmate Bono di natura esclusivamente soprannaturale.  

É bene notare che tutti gli stigmatizzati, nessuno escluso, e se erro avrò piacere che altri mi riprendano, tutti ripeto, si trovano solo nella religione Cristiana e non in altre religioni, poiché solo la nostra religione deriva da Cristo, il Crocifisso.  

Ho consultato anche alcune enciclopedie che vanno per la maggiore, come il «Grand dictionnaire universel du XIX siècle, par Pierre Larousse», la «Grande Enciclopedie», la «Enciclopedia del Boccardo», e quella spagnola, la più importante di tutte come numero di volumi, ma tutte tacciono e il più oscuro silenzio regna in esse, quasi che tale parola non avesse valore, oppure poco esse dicono del grande fatto.  

Definizioni sì, ma definizioni che nulla dicono e che lasciano più ignoranti di prima. Una di queste dice:  

«Questa espressione è la riproduzione su certe persone per la concentrazione del pensiero, della scena della Passione, d'ecchimosi o di parti sanguinanti durante la crisi di estasi sulle parti del corpo, come ebbe Gesù Cristo, dipese dalla corona di spine, la lancia e i chiodi - Dott. A. Cat».  

I Dottori Tholuk e Steffen, non sapendo come spiegare le stigmate, azzardarono una ipotesi assurda, attribuendole nelle donne alla cessazione delle mestruazioni.  

E negli uomini, chiedo io?  

Il Dottor Debieyne giunse al paradosso, poiché disse che le stigmate dipendono dal continuo grattamento delle unghie sopra una determinata parte del corpo.  

I Dottori Moehier e Maury, le attribuirono a eccesso di misticismo. Però costoro, forse più scienziati dell'altro, dissero che trovavano strano, che ciò potesse avvenire solo per immaginazione.  

Nella Chiesa, S. Agostino fu il primo che si avvicinò ad una definizione quasi esatta.  

Egli disse che le stigmate «si chiamano i segni delle tribolazioni o le pene o le piaghe che ebbe per Cristo ricevute (una determinata persona).  

Mons. Alberto Forges, in un suo lavoro sui fenomeni mistici afferma che la stigmatizzazione consiste in piaghe apparse spontaneamente, cioè non provocate o procurate da traumatismi esteriori, e localizzate specialmente nelle mani, nei piedi e nel costato come in Gesù Nazareno. Da esse sgorga un sangue purissimo privo di siero purulento come avviene nelle piaghe comuni.  

Tali piaghe non cicatrizzano usando le comuni medicazioni, e non subiscono alcun processo di decomposizione, inoltre non esalano emanazioni nauseanti.  

Il Dottor Lefèvre, che studiò la stigmatizzata Luisa Lateau di Bois d'Haine, il Dottor Ferrand dell'Accademia medica di Parigi, il Prof. Dottor A. Poulain della Compagnia di Gesù, infine il Prof. Rohling affermano che non è possibile dare una spiegazione scientifica alla stigmatizzazione.  

Dello stesso avviso e alle stesse conclusioni giunsero pure molti altri illustri dottori, come il Michea, il Varlomont, il Charbonnier, i famosi Virchow e Charcot e il nostro Mantegazza. Il Tanquerey afferma che la stigmatizzazione avviene solo negli estatici, i quali provano tali e tante sofferenze fisiche e morali, da rendere il soggetto quasi simile all'Originale, di cui essi non sono che il riflesso o meglio una copia, mentre Cristo il Crocifisso, ne è il modello. Afferma infine, che fino ad oggi, 62 sono gli stigmatizzati riconosciuti veramente tali.  

Il Dott. Imbert afferma il fatto straordinario di 14 stigmatizzati portanti ferite al cuore, senza lesioni esteriori apparenti, ferite la cui conoscenza esatta si ebbe solo alla loro morte. S. Teresa, il cui cuore è conservato dopo 300 anni dalla sua morte, presenta cinque ferite di cui una profonda cinque centimetri, ferita che in un'altra creatura qualunque avrebbe procurato la morte e che invece la Santa portò con sé per ben 23 anni.  

Il Prof. Giorgio Festa di Roma in una lettera privata, diede la migliore definizione, rimando il lettore a quanto dirò più innanzi di lui.  

Qui citerò solo la definizione. Egli dice che: «Le stigmate sono un fenomeno completamente inesplicabile, se per stigmate si deve intendere la riproduzione nel corpo umano dei segni della Crocifissione, e come tale, né la storia, né la scienza, né la psicologia, mai potranno apporre un argomento dimostrativo contrario».  

Il Gorres, un dotto tedesco, nato a Coblenza il 25 gennaio 1776,- nel suo splendido volume «Mistica», a pagina 132 del primo volume, dice: La stigmatizzazione, questa profonda trasformazione della vita inferiore dell'uomo non si produce ordinariamente ad un tratto con tutti i suoi fenomeni, ma si estende a poco a poco e per gradi nelle diverse regioni della vita, e non compie l'opera sua che dopo averli sommessi tutti alla sua azione. Né suole manifestarsi in modo improvviso, o come dire in un baleno, ma invece ad ogni grado s'annunzia ordinariamente con segni di varie sorti».  

E veniamo a dire qualche cosa di concreto e di controllato, quindi di veramente positivo.  

Uso la parola positivo, poiché sono certo che non tutti coloro che mi leggeranno saranno degli spiritualisti, ma vi saranno pure dei materialisti, dei razionalisti, dei critici e degli ipercritici.  

Pico della Mirandola narrò la storia di S. Ludgarda, che ebbe da Cristo le stigmate. Il Razzi su appunti del Pico, scrisse la storia di lei.  

Veronica Giuliani, Caterina da Raconisio, Cristina da Stumbelen, Orsola d'Aguir, Giovanna della Croce, Cecilia de' Nobili, Angela della Pace, ebbero tutte, più o meno, delle rivelazioni di stigmatizzazione, non completa però.  

In tutta l'antichità cristiana, non si trova un esempio di stigmate complete. Il primo, che si crede l'abbia avute, fu S. Francesco d'Assisi, come risulta da autentici documenti di S. Bonaventura.  

Ho detto prima delle stigmate di S. Francesco.  

Credo, che nessuno, credente o no, metta in dubbio le stigmate dell'Assisiate.  

Si crede che le stigmate di S. Francesco fossero poco apparenti, dò non toglie che egli le abbia avute e che nessuno possa negarle.·  

Invisibili le ebbe invece Margherita Ebnerin, nata a Norimberga, e morta nel monastero di Maria Medingen nel 1351.  

S. Caterina da Siena, lo narra Raimondo da Capua, fu colpita da stigmate, ma queste apparivano e sparivano. Come siano a Lei venute lo narra Lei stessa. Durante la preghiera, mentre teneva stesa in alto la sua destra, sentì un dolore così forte che le fece emettere un grido acutissimo.  

«Stendi la tua mano - mi disse il Signore - ed io la stesi; ed Egli con la sua, trasse fuori un chiodo, la cui punta pose nel mezzo della palma della mia mano, e sì forte strinse la mano col chiodo, che parvemi che la mia mano fosse affatto forata, e tanto dolore sentii, quanto se fosse stata con un chiodo di ferro e col martello passata».  

In seguito ebbe tutte e cinque le stigmate. Dice il Razzi:  

«Vidi, diss'Ella, il Signore Crocifisso, che scendeva sopra di me con gran Lume. Per la qual cosa, dall'impeto della mente che voleva farsi incontro al suo Creatore, fu costretto il corpo mio ad alzarsi. Allora, dalle cicatrici delle sue santissime piaghe, vidi scendere in me cinque raggi sanguigni, i quali si indirizzavano alle mani ed ai piedi ed al cuore del mio corpo».  

Questi fatti avvennero in presenza di persone insospettabili, tanto è vero che divenne Santa.  

Per poco tempo invece l'ebbe Elena d'Ungheria, mentre a Geromina Garvaglio, scomparvero tutte le altre, rimanendo solo quella del costato, che più facilmente potevasi tenere nascosta.  

Ogni venerdì alla Cisterciense, Elisabetta di Spalbeck, sanguinavano le piaghe divine.  

Potrei inoltre citare Geltrude d'Oosten, Colomba Casarani, Anna di Vargas, Maria di Lisbona, Giovanna di Vercelll, Maddalena de' Pazzi, Stefania Quinzani, Filippa di S. Tomaso, Elisabetta di Reith, Maria di S. Domenico e Lucia di Narni ed altre infinite, ma troppo lungo sarebbe il nominarle tutte.  

Fra le più recenti dirò solo di Luisa Lateau, nata a Bois d'Haine nel Belgio, di Anna Caterina Emmerick, di questa, però, la Congregazione dei Riti, ha sospeso la beatificazione, perché non è possibile stabilire quanto vi è di vero, da quanto è stato riferito dal Brentano; di S. Caterina de' Ricci da Firenze e di S. Maria Francesca dalle cinque piaghe, che dovette ubbidire al suo confessore, che l'obbligò a mostrare pubblicamente, in una chiesa di Napoli, le sue stigmate, di Suor Maria di Gesù Crocifisso, che si sentì dire: «le rose sono per gli altri e le spine per te».  

E prima di venire a parlare di Teresa di Neumann, la stilizzata dei nostri giorni, accennerò di sfuggita a Gemma Galgani da poco morta e già beatificata (29 novembre 1931), a cui scomparivano dopo due o tre giorni i segni della flagellazione di Cristo.  

Teresa di Neumann di Konnersreuth, oltre avere le stigmate, ha attorno al capo anche i segni delle spine.  

Scrive il Van Lama (Teresa Neumann, una stigmatizzata dei nostri giorni. Libreria Editrice Fiorentina, a pagina 56):  

Si rimane dubitosi e ci si trova davanti a un enigma.  

Si tratta proprio di enigma? Sì, per coloro che stanno fuori della Chiesa cattolica, ma per noi cattolici la ragione illuminata dalla fede scioglie quest'enigma senza nessuna difficoltà ed anche lo scopo di questi interventi straordinari si spiega facilissimamente, quando ci si attenga allo spirito della Chiesa.  

Le stimate, qualora da certe premesse che vedremo più tardi sia dimostrate che vengono da Dio, appartengono ai carismi, alle grazie straordinarie che Dio concede secondo il suo libero giudizio, a chi vuole. Si può essere santi, cioè trovarsi in stato di grazia santificante, senza possederle e si può possederle senza essere dichiarati dalla Chiesa santi. Poiché il cielo non è popolato solamente da quella piccola schiera di santi che vengono ufficialmente proclamati tali. Se su trecento stimmatizzati e più finora non se ne sono elevati all'onore degli altari, cioè canonizzati, che 60, non è detto con ciò che tutti gli altri non fossero o siano degni di tale onore. Dipende semplicemente dal fatto che la loro canonizzazione non venne finora postulata da nessuna parte, né dagli ordinariati diocesani, né dalle congregazioni religiose; senza una tale proposta infatti (previa inchiesta preliminare) Roma non inizia affatto il processo di beatificazione o, rispettivamente, di canonizzazione.  

***

martedì 13 aprile 2021

Padre Pio di Pietrelcina, il primo Sacerdote stigmatizzato

 


L'avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex grado 33 della massoneria, scrisse questo libro dopo essersi convertito al confessionale di Padre Pio. 


Sull'Unità Cattolica di Firenze, del 26 ottobre 1922, si leggeva questo articolo:  

UNA VISITA A PADRE PIO DA PIETRELCINA_  

Un nostro amico carissimo EUGENIO LUPERINI ha fatto tre volte il pellegrinaggio al convento del Padre Pio: gli è amico, ed il buon servo di Dio lo accoglie con affetto. Ora il LUPERINI ci favorisce queste note, oggettive, serene, che venendo da un vero cattolico, hanno il valore di documento spirituale. Per questo le pubblichiamo.  
Chi aveva mai sentito parlare prima del 1918 del piccolo paese di S. Giovanni Rotondo, situato sulle brulle pendici del monte Gargano? Eppure oggi esso è divenuto celebre in Italia e all'estero per le virtù di un povero figlio di S. Francesco, ormai conosciutissimo anche in Firenze: il Padre Pio da Pietrelcina, di cui anche alcuni giornali liberali ebbero quattro anni fa ad occuparsi, cosa rara, con imparzialità e rispetto. 

Questo paesetto, è abitato in maggior parte da buoni montanari, dediti alla pastorizia e al lavoro dei campi. Nessuna comodità offre al visitatore. È privo di sorgenti d'acqua, di fognature e di luce. Un unico piccolo albergo è sorto poco dopo che incominciarono ad affluirvi i forestieri, che si recano a visitare Padre Pio, ma non è sufficiente per alloggiarli tutti; e allora i buoni montanari offrono le loro assai modeste casette, ove alla meglio si può riposare e anche alla meglio mangiare, poiché trattorie là non ve ne sono.  
Per accedere a S. Giovanni Rotondo è necessario usare dell'automobile, che parte nel pomeriggio da Foggia e giunge al paese, dopo circa due ore di viaggio, in maggior parte fatto percorrendo gran parte dell'immensa pianura pugliese, spoglia di alberi e di piante di qualsiasi specie. Dopo una ventina di chilometri la strada apparisce, ai due lati, fiancheggiata da una estesissima zona di stupendi uliveti. Poi si presenta una ripida salita: da ogni parte si ammirano folte e bellissime piante di fichi d'India; quindi ancora ulivi, e infine gran quantità di mandorli.  
Da s. Giovanni occorrono circa trenta minuti di strada a piedi per giungere al bianco e solitario convento francescano, tutto contornato da cipressi.  
In quest'angolo dì tranquillità e di pace, lontano dal tumulto del mondo, dimora il Padre Pio da Pietrelcina, del quale io desidero brevemente parlare, poiché da lungo tempo gli professo la massima filiale devozione, giacché io fermamente lo stimo e considero un uomo di Dio.  
Tralascio la narrazione di numerosi fatti straordinari, che si dicono avvenuti ovunque per merito delle sue preghiere, perché è bene intendersi chiari: su tale delicatissima materia solo l'autorità suprema della Chiesa, che nei riguardi del Padre Pio non ha creduto né poteva intervenire, ha essa sola il diritto e il potere di giudicare. Mi atterrò quindi alla semplice narrazione di una parte soltanto di ciò che è ormai di dominio pubblico.  
Qualcuno domanderà: come si presenta Padre Pio? Come il più umile e modesto frate cappuccino. Eppure dinanzi a lui le più alte personalità del mondo civile e religioso provano una impressione così profonda da rimanere interdetti anche nella parola nonostante il dolcissimo sorriso.  
Nessun apparato intorno a lui e nessuna cerimonia. Padre Pio si incontra in sacrestia o nel convento come uno qualunque degli altri padri e non c'è bisogno alcuno di presentazioni.  
Nei brevi giorni in cui ho avuto, per la terza volta, la fortuna di stare presso Padre Pio ho potuto avvicinare alcuni paesani dell'esile fraticello, anch'essi come me pellegrini, da poco preceduti dalla buona madre di lui; da loro ho appreso che Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, è nato a Pietrelcina in provincia di Benevento, nel 1887 da modesti contadini. L'Arciprete e tanti altri paesani lo ricordano quando era ancora giovinetto tutto dedicato alla pietà e all'esercizio del culto divino, da destare in ognuno la più viva ammirazione.  
A Foggia nel 1910 celebrò la sua prima messa nel convento dei cappuccini. Per due volte fu necessario farlo tornare al proprio paese nativo a causa della sua malferma salute.  
Nel 1915, fatto abile al servizio militare, venne assegnato ad un ospedale di Napoli e vi prestò servizio per circa due mesi.  
Riformato, in seguito a visita medica, i superiori lo rimandarono a S. Giovanni Rotondo. È in questo piccolo eremo che giornalmente convengono a gruppi oltre al popolo di R Giovanni Rotondo, ai pastori e ai contadini di altri lontani paesi delle Puglie, anche numerosi forestieri i quali non sono altro che la continuazione di una lunga e ininterrotta catena di persone di ogni condizione sociale che da un anno all'altro si sussegue al convento francescano, affrontando e anche ripetendo più volte un viaggio dei più scomodi e disastrosi. È la fede e il bisogno sentito da innumerevoli anime che le sospinge al modesto convento per elevare in alto, dalle miserie di questa povera e travagliata terra il proprio spirito al contatto diretto dell'uomo di Dio, dell'umile e nascosto fraticello che da ben circa quattro anni porta impresse nelle mani, al costato e ai piedi i segni visibili delle stimmate di Cristo che egli confuso studia tenere gelosamente nascoste agli occhi altrui  
A tale scopo alle mani egli porta i mezzi guanti che però si toglie, solo dopo che si è rivestito degli abiti sacri, al momento di recarsi all'altare a celebrarvi la S. Messa. In compenso però allunga fino a metà delle dita bianchissime le maniche del camice. Nonostante nei movimenti che necessariamente deve fare per le cerimonie si scorgono benissimo le piaghe sanguinanti delle mani.  
Dove e come le stimmate si siano manifestate, per quanto io abbia indagato non mi è stato possibile sapere perché eccettuato il suo direttore spirituale, che mantiene a tal riguardo, rigorosamente il segreto, Padre Pio a nessuno ha fatto rivelazioni in proposito.  
Il popolo che vorrebbe vedere e toccare, si rassegna docilmente, contento di baciargli le mani e di udire dalla sua viva voce una sola parola di consiglio, di conforto, di incitamento al bene. E ognuno dopo essersi da lui confessato, se ne parte pienamente cambiato e riconciliato con Dio, recando seco la pace nel cuore.  
Padre Pio ha i piedi calzati con stivaletti di pelle nera leggerissima. Cammina lievemente zoppicando, ma per chi non vi presta attenzione non se ne accorge facilmente  
.......... le movenze incerte  avanza pel dolor di cinque piaghe,  com'ebbe Cristo, nella carne aperte.  
Così ha cantato un poeta fiorentino, Carlo Naldi dei PP. Filippini, in una magnifica poesia scritta in onore del pio cappuccino, intitolata: «Come alla Verna» nel suo libro: Il mio canto (Libreria Mannelli, Firenze).  
Padre Pio è puntualissimo al coro e a tutte le altre pratiche religiose della comunità. Egli prega con grande raccoglimento senza nessuna esteriorità di gesti e di movenze.  
I buoni PP. Cappuccini elle per il loro confratello hanno una affettuosa referenza, si moltiplicano per regolare la fiumana di gente che vuole avvicinare anche per un solo istante l'umile figlio di San Francesco. Fra essi primeggia sovente la bonaria figura dell'ottimo Guardiano Padre Ignazio e quella di Padre Gaetano dalla bianchissima e fluente barba, già scolopio di Roma, da poco entrato a far parte della grande famiglia francescana attrattovi dalle virtù del novello Francesco.  
Rigidi nella severa consegna superiore di non poter parlare di Padre Pio e di ciò che realmente accade di straordinario qui e altrove per non dar luogo, evidentemente, ad interpretazioni, che del resto, a mio giudizio, non dovrebbero esserci e anche per rispettare l'umiltà di lui. La posizione loro perciò dinanzi ad un tal fatto, che ha del prodigioso, è delicata assai ed essi ne sono pienamente compresi.  
Nonostante però le misure di rigore, scupolosamente adottate, tutto riesce inutile! A che giova dunque continuare a nascondere? Dio pare abbia neutralizzato in tal senso l'opera degli uomini poiché la fama dell'umile frate di S. Giovanni Rotondo ha prodigiosamente ormai varcato anche i monti e i mari e sembra che nessuna forza umana possa più occultarla.  

Dalle Americhe, infatti, dalla Spagna, dalla Germania, dall'Inghilterra ecc. è un continuo pellegrinaggio anche di alti personaggi che domandano di parlare a Padre Pio, ed esso pazientemente, poveri e ricchi tutti accoglie col medesimo benevolo sorriso, conforta e benedice.  
Fra i numerosi forestieri convenuti presso il convento e coi quali ho avuto il piacere di conversare, ricordo: S. E. Mons. Antonio Valbonesi, Vescovo di Menfi e Canonico Vaticano, che ha per Padre Pio un affetto e una venerazione tutta speciale e ne è a sua volta meritatamente ricambiato, la vedova del poeta Morselli e figlia; la Marchesa Florencia Alli Maccarani, la gentile consorte del Console di Spagna in Firenze, il dotto medico Francesco Catalani con la madre sig.ra Teresa, di Ancona; sig. Bandini Cesare e famiglia di Prato (Firenze); sig. Sarandrea Giacomo e il figlio Latino di Alatri; ing. Annibale Mandato di Pietrelcina; il prot. Domenico Del Campana e signora, di Firenze; la marchesa De Valparaiso Y Del Merito, dama di S. M. la Regina di Spagna e tanti altri ancora.  
A centinaia sono le lettere che da ogni parte e in tutte le lingue, anche dalla Cina, (in caratteri cinesi) giungono a Padre Pio. Tutta questa corrispondenza viene accuratamente sbrigata dal guardiano con l'aiuto di un altro religioso.  
Padre Pio, naturalmente, mi dicono alcuni, è anche fatto segno a delle contrarietà come, del resto insegna la storia, le incontrarono i più grandi santi. Contrarietà, soggiungono che sono quindi una delle prove che confermano ciò che concordemente da tutti si asserisce di questo figlio del Serafico d'Assisi.  
In quest'uomo gracile si sono verificati dei fenomeni singolari da meravigliare gli stessi uomini di scienza. Infatti di frequente, specialmente per le festività della Madonna, gli accadde di infermarsi con febbri altissime; in tali occasioni i medici constatarono una temperatura addirittura fuori del normale raggiungendo essa circa cinquanta gradi senza per questo però perdere affatto la conoscenza, come ne fecero testimonianza molti sanitari fra i quali il Dott. Merla, Prof. Adelchi e Dott. Festa di Roma. Per più di una volta si sono perfino spezzati i termometri usuali, per l'eccessivo calore, per cui ora, all'occorrenza è necessario far uso di uno apposito.  
È da notare pure il suo regime di vita ordinario. Padre Pio sta in piedi dalle cinque del mattino alle dieci e undici della sera, trascorrendo la maggior parte del tempo a confessare e ad ascoltare pazientemente chi domandava di parlare con lui.  
Egli in tutta la giornata non si ciba che una sola volta, e cioè: a mezzo giorno, in refettorio, coi giovanetti studenti del noviziato dei quali è il direttore spirituale. L'unico suo pasto consiste in una minestra, sempre di magro, una minuscola porzione di erbacei e un bicchiere di birra.  
Non esce mai dal convento. Il suo svago si riduce alla giornaliera ricreazione trascorsa nell'orto assieme ai religiosi coi quali conversa affabilmente.  
Una cosa che ha del prodigioso, si verifica di continuo. Molti visitatori portano seco le macchine fotografiche per riprodurre le sembianze del cappuccino, non essendo possibile avere nessun ricordo di lui. Egli non vuole assolutamente essere fotografato, ma però non fugge dinanzi agli obbiettivi, poiché sa bene che le lastre non rimangono impressionate, con quanta meraviglia e stupore ognuno può immaginare. Difatti a coloro che si ostinano a fissare su di lui gli obbiettivi fotografici dice: lasciate andare, non vi confondete perché è inutile, sciupate le lastre. Persuadetevi che non ne ricavate nulla! soltanto quando gli è stato imposto per obbedienza, la lastra allora è rimasta impressionata. Però le fotografie che trovasi in vendita non lo riproducono affatto fedelmente.  

Gli orfani del paese sono oggetto delle amorevoli sue cure: egli si interessa della loro sorte facendoli collocare in istituti di educazione. Anche a Firenze presso le suore stimmatine del Galluzzo due orfanelle di S. Giovanni Rotondo sono state ricoverate per le sue premure. Gli infermi pure soccorre nelle loro strettezze, come pure i poveri tutti ricevono largamente da lui.  
Con le offerte che gli pervengono personalmente sta erigendo l'ospedale a San Giovanni che ne era mancante,  
La vigilia di S. Francesco una persona offrì in mia presenza a Padre Pio cinquanta lire perché egli le destinasse ai bisogni del convento. Padre Pio esitava a riceverle, ma data l'insistenza del donatore finì per accettarle dicendo: “al convento ci pensa S. Francesco. Serviranno per i poveri».  
Mi piace terminare riportando alcuni brani di una estesissima relazione che l'inviato speciale di un giornale liberale fiorentino pubblicò or sono quattro anni.  
«Il giornalista ammesso, incontestabilmente, l'autenticità dei fenomeni, di cui egli medesimo ne è stato testimone, assieme ad egregi funzionari che in materia avevano, anteriormente, quello stesso scetticismo del quale si era ben corazzato nel partire per S. Giovanni Rotondo. Cessato, egli dice, quel certo turbamento che ogni fenomeno produce, è di logica conseguenza il chiedersi una spiegazione di quanto avviene.  
Anche coloro, prosegue, cui è concessa la felicità suprema di poter credere, amare e sperare, sentono inevitabile, potente il bisogno di compiere uno sforzo della razionalità per tentare la spiegazione del fatto nuovo che si compie intorno alla persona di Padre Pio.  
Una tale spiegazione forse non sarà mai possibile: oltre ai fenomeni ordinari di suggestione, di telepatia, esiste un altro ordine di fenomeni che la scienza non è riuscita ancora a chiudere nella cerchia dei suoi domini. Tutta la persona del cappuccino di S. Giovanni Rotondo anziché presentare un suggestionatore presenterebbe invece un comune oggetto passivo della suggestione».  
E ancora: «Coloro che tutto riducono a semplici manifestazioni della materia sappiano, prima di abbandonarsi ad una negazione «a priori», che divino o naturale che sia, quello che dai credenti son chiamati «miracoli» di Padre Pio non sono né semplici casi di suggestione o di telepatia né invenzione né trucco: sono fatti che ognuno può contare nella loro evidenza».  
E in altra parte il giornalista così definisce l'umile frate: «Padre Pio è una figura purissima, fatta di fede veramente e intensamente sentita».
  
EUGENIO LUPERINI  

venerdì 12 febbraio 2021

Padre Pio di Pietrelcina, il primo Sacerdote stigmatizzato

 


L'avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex grado 33 della massoneria, scrisse questo libro dopo essersi convertito al confessionale di Padre Pio. 


Sempre sul Resto del Carlino della Sera, del 30 gennaio 1930, il dottor Francesco Morcaldi, Podestà, allora, di S. Giovanni Rotondo, pubblicò il seguente articolo:  

 

LA MORTE DELLA MADRE DI PADRE PIO  


È morta la mamma di Padre Pio.  

Venuta nel dicembre a San Giovanni Rotondo per passare il Natale vicino a suo figlio, che non vedeva da quattro anni, aveva trovato quassù un gran freddo e bufere di neve e di ghiaccioli, più gelide su al convento, che sta in alto a ridosso della montagna, sovra la mia cittadina.  

La fragile vecchietta portava un abito troppo logoro e troppo leggero per la stagione, ma nessuno aveva potuto indurla a presentarsi a suo figlio con un buon vestito di lana, che alcune amiche le avevano regalato al suo arrivo per difenderla dai rigori del nostro freddo montanino.  

L'umile contadina temeva di sembrare una signora.  

A Natale ella aveva visto finalmente avverarsi il sogno di tanti: assistere alla messa di mezzanotte del suo «Padre Pio», da lui celebrata con pietà indimenticabile. Ma il giorno dopo di Natale, mentre ella tornava da una visita al convento, una ventata d'aria gelida le portava una polmonite, che in brevi giorni, la riduceva agli estremi.  

Padre Pio scese ad assistere la madre morente.  

 

Amor filiale.  

Io ho avuto l'onore di seguire ora per ora questo episodio dell'amore figliale del pio cappuccino. Niente di più dolce del suo sorriso e delle sue preghiere accanto al capezzale materno; nulla di più tenero delle sue premure nel porgerle qualche ristoro con le bianche mani, ricoperte dai mezzi guanti, dai quali, ogni tanto si vedono sfuggire alcune gocce di sangue vivo.  

Ma lo schianto del dolore in Padre Pio, fu atroce, quanto da noi imprevisto. Abituati alla ferma virilità di quest'uomo, che avevamo veduto, in dieci anni di continue sofferenze fisiche e morali mascherare il dolore con una fortezza senza esempio, non pensavamo di vederlo soffrire tanto.  

Invece parve che ad un tratto, si spezzasse la corda della sua fortezza, per lasciarlo abbattuto in un lettuccio, a piangere ed a lamentarsi come un bimbo, per intere giornate, chiamando con infinita dolcezza: «Mamma, mamma mia ...».  

La popolazione di San Giovanni Rotondo, che aveva trepidato intorno alla piccola casetta, ov'era ospitata l'inferma e che in processione ininterrotta aveva circondato il suo letto, accolse una mattina, quasi con stupore, la notizia della sua morte.  

Padre Pio non aveva dunque pregato, non aveva domandato il miracolo per sua madre?  

Pareva di no. Uno dei medici, che per primo aveva annunziato al cappuccino la imminenza del pericolo, lo aveva udito sospirare dicendo: «Sia fatta sempre la volontà del Signore».  

Ma il fedele popolo ricordava quello che egli aveva fatto per gli altri.  

 

Un medico salvato.  

Ricordava, per esempio, che, un mese prima, un medico di San Giovanni Rotondo, conosciuto per non essere mai stato troppo fiducioso in Padre Pio, un medico che, pur essendo fiore di galantuomo, faceva professione di ateo e che da trenta anni non conosceva né chiesa, né confessionale, era giunto «in extremis» per una malattia giudicata incurabile.  

Questo medico, che aveva respinto l'assistenza religiosa di qualsiasi prete del paese, nell'imminenza della catastrofe, aveva espresso il desiderio di vedere Padre Pio. Appena lo seppe l'umile cappuccino, che da dieci anni non varcava la soglia del suo convento, ove è tenuto quasi prigioniero, oltre che dalla dolorabilità delle ferite ai piedi ed alle mani, anche da una serqua di in esplicate restrizioni, subito domandò al suo superiore il permesso di scendere a San Giovanni Rotondo per visitare l'ammalato. E venne da lui, in una serata di vento e di neve, ed io fui testimone del sacro raccoglimento con cui il vecchio medico, dopo di essersi confessato, ricevette l'Eucaristia e l'Estrema unzione dalle mani del frate stigmatizzato, mentre giù, nella strada, la folla inginocchiata sulla neve pregava e ringraziava il Signore.  

La mamma di Padre Pio è morta: il vecchio medico vive. Il popolo non dimentica. Da dieci anni esso assiste all'opera incessante di bene, di conforto, di bontà operosissima, che quest'Uomo sparge intorno a sé. Da dieci anni assiste a degli avvenimenti straordinari, nei quali l’autorità della Chiesa non ha ancora potuto pronunziare il suo giudizio, ma che il cuore di semplici ha di già giudicato a modo proprio. Da dieci anni ogni mattina durante il Sacrificio divino vede il Sacerdote cappuccino levare al cielo le mani trafitte ed insanguinate, il suo popolo sa che dalla ferita del cuore di Lui, sgorga ogni giorno quasi un bicchiere di sangue e di siero.  

Ma io credo che questi fenomeni siano appena una delle cause complementari della devozione che circonda Padre Pio, il suo fascino è dato piuttosto dalla semplicità, dall'amorosità e soprattutto dalla lucida chiarezza dei suoi giudizi e dei suoi consigli.  

 

Lacrime d'amore  

Perciò tutta la sua San Giovanni Rotondo ha circondato con un plebiscito d'amore la bara della mamma, perciò dalla lontana Pietrelcina, che l'ha visto nascere e crescere in virtù, è accorso il Podestà con numerosi concittadini e da ogni parte del mondo continua ad affluire alla piccola città garganica il cordoglio per la morte della madre.  

Però non ho preso la penna solo per tesservi l'elogio della pia donna, ma anche per dirvi la mia franca parola di primo cittadino di questa città, sulla magnifica battaglia che da parecchi anni vi si combatte in difesa della giustizia.  

Quando di ritorno dal cimitero, tornai alla casetta ov'era morta la madre, trovai Padre Pio steso a letto, in uno stato da far pietà.  

Qualcuno, per confortarlo, gli disse: «Ma, caro Padre, lei stesso ci ha insegnato che il dolore altro non deve essere che una espressione dell'amore e che noi dobbiamo offrirlo a Dio. Perché dunque Lei piange così?».  

Ed Egli - fattosi improvvisamente grave - rispose: «Ma queste sono appunto lacrime di amore e niente altro che di amore».  

Dolore sacro, dunque, quanto più vivo ed umano. Tale lo vedemmo noi nel povero Padre febbricitante e si abbattuto da non aver più la forza di sollevare un braccio dalle coltri.  

FRANCESCO MORCALDI  

martedì 15 dicembre 2020

Padre Pio di Pietrelcina, il primo Sacerdote stigmatizzato

 


L'avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex grado 33 della massoneria, scrisse questo libro dopo essersi convertito al confessionale di Padre Pio. 


Sul Resto del Carlino del 1° Maggio 1926, venne pubblicato un articolo di tre colonne, dedicato a Frate Pio da Pietrelcina. Dirò subito che tale articolo è la recensione del libro del signor Giuseppe De Rossi (è uno pseudonimo) che io più volte ho citato.  

Non riporto per intero l'articolo scritto da un brillante scrittore, che si nasconde sotto lo pseudonimo di «Ego», ma solo alcuni punti, essendo come ho detto, molto lungo.  


PADRE PIO DI PIETRELCINA  


S. Giovanni Rotondo, aprile 1926.  

... Gli fu proibito di scrivere, gli si vietò di dire messa in Chiesa: Padre Pio avrebbe dovuto celebrare chiuso a chiave nella cappellina interna del Convento, senza che nessuno vi potesse assistere. Quando i fedeli videro uscire dalla sacrestia un altro frate a celebrare Messa, alti singulti si levarono per le navate. Alcune ore dopo tutta la popolazione di S. Giovanni Rotondo con la musica in testa e l'autorità si riversò per la via dei Cappuccini. Una massa di popolo si precipitò in convento a cercare del «santo»: chi gli baciava le mani, e l'abito, chi gli prometteva devozione sino alla morte. Tanta pietà significava però esasperazione, vulgo: voglia di menar legnate. E allora l'ordine venne senza altro revocato e Padre Pio tornò a celebrare in chiesa, innanzi alla folla dei fedeli. Il «santo» dovette trascinarsi al balcone e benedire la marea umana che, prostrata nel magnifico tramonto della terra di Puglia, chinava il capo reverente alla dolce apparizione del fraticello di San Francesco.  

Tentativi di farlo emigrare nascostamente non mancarono, ma furono tutti sventati dalla popolazione che vigilava. Il timore di perderlo era tale, che un giorno un giovane trasse una grossa rivoltella e gridò:  

- Piuttosto che lo portino via, preferiamo averlo morto qui!  

Se un altro, pronto, non gli avesse afferrata l'arma, lo sciaguratissimo fedele avrebbe ucciso il povero frate. Questa volta, è vero, non si gridò al miracolo. Ma sì narra che Padre Pio, a quella scena, esclamasse:  

- Troppa grazia!  

Adesso, impossibilitata ad agire altrimenti, l'autorità ecclesiastica interviene con un terzo più reciso «monito»; la persecuzione - pensano i fedeli - continua, perché essa è necessaria alla santità, come il martirio.  

Però, a buon conto, si vigila.  

 

Le stigmate.  

Bisogna riconoscere, senz'altro, che né in convento, né in paese, si specula minimamente sulla fama di santità di Padre Pio: non «botteghe» ad latere del sacro recinto, non alberghi muniti di ogni comfort. Una corriera postale porta il visitatore da Foggia a S. Giovanni Rotondo, dove si può pernottare con poco, o non pernottare affatto: l'industria del «santo» insomma non c'è. Se la popolazione, dunque, difende la proprietà del «suo santo» non è mossa da interesse alcuno, e lo fa per pura fede. Nemmeno si sente lusingata dai nomi celebri di dame, prelati e regnanti (in incognito, si dice, c'è venuto appositamente della Spagna anche Re Alfonso ...) e appena li degna d'un'occhiata, perché il paese è sano, laborioso e ha quanto basta «a figliare in pace - mi diceva un galantuomo del luogo - e a morire in requie».  

Testimoni del miracolo? Tutto il paese. Andate in giro: è una collana di aneddoti, qualcuno anche di sapore prettamente umoristico. Chi si compiace di scorgere in tutto il soprannaturale, ci dirà che Padre Pio è nato Francesco Forgione, nel 5° anno del centenario della nascita di S. Francesco, nel 5° mese, il giorno 25 (5x5) alle 5 pomeridiane, a Pietrelcina, paese di 5 mila anime. Ebbe 5 fratelli, entrò nell'Ordine dei Cappuccini ove prese il nome di Pio, sotto la protezione di Pio 5°, la cui festa si celebra il giorno 5 del 5° mese dell'anno. Attualmente, al Convento di San Giovanni Rotondo convivono cinque frati. La camera di Padre Pio porta il numero 5, eccetera. Ma ci sono delle cose più serie. Ebbe una infanzia da santicello ed a 14 anni, sentendo ferma la vocazione, volle entrare nel convento dei Cappuccini di Morcone per l'anno di noviziato. Ma era di così cagionevole salute, che non seppe resistere alle dure penitenze cui si sottoponeva: una volta visse ventun giorni senza toccare alcun cibo che la Sacra Particola. Ammalò più volte di febbri altissime dalle quali improvvisamente risanava. In paese cominciò o diffondersi la voce che il fraticello era santo, e allora venne traslocato. Giunse così all'ordinazione sacerdotale, e tornò al suo paese.  

Una sera, tornando a casa, trovò nella sua stanza, aperta, un cappuccino seduto che lo aspettava. Il frate sconosciuto gli rimproverava le penitenze eccessive, le dure astinenze, le quali - conclude il cappuccino - mandano l'anima in perdizione e il corpo, e perciò non sono accette al Signore.  

Padre Pio, impressionato, gli intima di gridare: «Viva Gesù».  

E a quella parola lo strano frate scomparve, lasciando in una vampa un acutissimo odore di zolfo.  

Più avanti, mostruosi figuri lo attendono, fanno ala al suo passaggio, beffandolo:  

- Ecco il santo, ecco il santo! - e sghignazzano. Padre Pio risponde, secco secco:  

- A vostro dispetto! - e prosegue.  

È una battuta. Ma non è la sola. Una volta uno dei frati, che l'assisteva, con una di quelle frasi che gelano il cuore, gli disse:  

- Quando sarai morto, qui nella tua cella faremo una cappellina.  

- Hai voglia di aspettar la cappellina! - rispose Padre Pio. - La faremo nella tua.  

Le stimmate gli apparvero un giorno, improvvisamente, mentre pregava nei campi. Alla madre che gli veniva incontro, Padre Pio mostrò giubilante le mani, agitandole come chi si è scottato.  

- Che hai? - chiese la madre. - Stai suonando la chitarra?  

Si narra che Padre Pio sorridesse. Invero, la cosa è un po' comica, salvo ... le stimmate.  

Scoppiata la guerra, Padre Pio è riformato per tubercolosi polmonare. I suoi superiori decisero allora di mandarlo a S. Giovanni Rotondo, che è a seicento metri d'altezza, luogo che poteva prestarsi assai bene per la cura della sua tubercolosi. Ma Padre Pio sembra che anche ai medici risponda:  

- Hai voglia di aspettar la cappellina!  

Infatti il prof. Amico Bignami, ordinario dell'Università di Roma, che lo visitò, trovò che Padre Pio era sano, niente affatto tubercolotico, perfettamente normale nel sistema nervoso e nell'apparato circolatorio. Escluse di trovarsi di fronte ad un simulatore o ad un psicopatico.  

Intanto la fama del mite francescano correva per tutta la regione, per il paese, per il mondo intero. A migliaia i fedeli accorrevano da ogni parte, pur di avere la grazia di parlargli, di toccargli la veste, di udirne la voce. Le inchieste dei giornali si succedevano ai miracoli, o alle inchieste le visite dei medici e dei controlli.  

Guarisce di un epitelioma alla lingua certa Maria Gozzi Giuliano da Ghizzano in provincia di Pisa. Accese un gran fuoco al forno di un vasaro del paese, che bestemmiava come un turco non sapendolo accendere, e la fiamma fu visibile a tutti, altissima, uscire dalla bocca del forno per più giorni, senza - oh miracolo! - incendiar la paglia che sfiorava.  

Da quel giorno il vasaro non bestemmiò più.  

 

I miracoli.  

I miracoli operati da Padre Pio si succedono. Guarisce ammalati gravi, incurabili, sana storpi, converte atei e peccatori.  

- Ne avete visti, voi? - ho chiesto ad un popolano del luogo.  

- Visti? Sì che ne ho visti - mi rispose. Con questi occhi che vi guardano. Ha le stimmate alle mani; gli ho alzati i guanti corti e gliele ho baciate. Poi le ha anche ai piedi e una ne ha al costato che butta sangue di venerdì, come Nostro Signore.  

E il fedele proseguì dolendosi che i frati buttassero via, nel pattume, le bende insanguinate: perché un gobbo fu sgobbato, una figliola storpia camminò e uno, che aveva una gamba piegata che i medici volevano tagliare, guarì all'istante, innanzi al «santo».  

Nessuna meraviglia, quindi, che al dilagare di tanto fervore, si tentasse di porre argine: è la lotta del male contro il bene - commentano i fedeli.  

Primo a visitare il frate fu il dott. Luigi Romanelli di Barletta, il quale ha rilasciato un referto dal quale risulta che le stimmate sanguinolenti esistano da mesi, da anni. E cancrena non c'è ... Il predetto professor Bignami, che effettuò un bendaggio alle mani fermandolo con un sigillo di garanzia per ottenere la guarigione in pochi giorni, riscontrò, parecchio tempo dopo quello fissato, che dalle piaghe intatte sgorgava sangue vivo ...  

Lo visitano, da quel giorno, medici su medici. E prelati, eziandio. Padre Facchinetti non ne sembrò molto entusiasta. (Oh, divina disarmonia dei tre Ordini francescani, pensa qualcuno!) Padre Gemelli, come medico, vorrebbe senz'altro che Padre Pio fosse confinato in una clinica per sottoporlo a indagini psichiatriche; però, come credente afferma che «sopra tutto comprende che cosa sono le stimmate, chi s'inginocchia innanzi a lui con animo umile, per comprendere con un cuore amante». Un canonico gli muove guerra acerba, un altro prelato lo avversa. Un arcivescovo lo accusa, senz'altro di averlo sorpreso nella sua cella, intento ... a profumarsi. Perché bisogna sapere che un'altra delle manifestazioni di santità del frate è il profumo che emana da lui: dalla bocca, dalle robe che egli ha portato o solo toccato. Quando egli alza il Santissimo, durante la Messa, un acuto profumo si spande fra la folla. Due giornalisti francesi, venuti qui a scoprire il «Santo», solo a parlarne tra di loro, si sentirono investiti da un acutissimo profumo. Eccetera.  

Andate a San Giovanni Rotondo, fate inchieste, interrogate chi vi garba, ma non permettetevi l'incredulità: oramai, dopo le passate esperienze, qui non si scherza. E, a onor del vero, tutta la popolazione in questo è concorde, a qualunque tinta politica appartengano i buoni sangiovannesi. 

Lo stesso on. Caradonna non ha esitato a schierarsi nettamente per il mite frate da Pietrelcina. Padre Pio naturalmente, non ignora le ostilità sorde e palesi di cui è oggetto e ne soffre. Ma più spesso sorride. Cedi contadini abruzzesi avevano portato a Padre Pio in dono dei fazzoletti ricamati ingegnosamente dalle loro donne, e tra il ricamo spiccavano le parole ingenue di sapore dialettale: «a Patre Pio».  

Se i posteri vedranno questi disegni fra qualche secolo - osservò qualcuno - diranno che Padre Pio ha vissuto nel 1300 anziché nel 1900.  

- Se pure - intervenne Padre Pio - non metteranno anche in dubbio che io sia mai esistito ...  

L'arguzia, abbiamo visto, non gli manca. A una signora che, avendo ricevuto un telegramma del marito che le annunciava un ritardo perché ammalato, il «Santo» rispose:  

- Lasci andare, che sta benissimo.  

La signora, non molto persuasa, non volle lasciar andare, accorse dal marito e trovò che stava benissimo, in buona compagnia ...  

A una donna che voleva tornare dal medico per annunciargli la miracolosa guarigione ottenuta, il «Santo» disse amorevolmente:  

- Non ci andare. Potrebbe farti ammalare un'altra volta ...  

A un frate, che ritenendo di essere sulla via della santità gridava forte le preghiere, disse seriamente:  

Bada, ti prenderanno per un matto.  

Di una signora bolognese, da lui guarita, di cui i parenti gli annunciarono dopo molto tempo una nuova grave malattia, disse con un sorriso indefinibile:  

- Si capisce. Se non è una volta, è l'altra.  

Un frate gli raccontava con quale trepidazione filiale, nelle ore di una sua dolorosa malattia, i fedeli affollassero la chiesa pregando ad alta voce.  

- Già - rispose Padre Pio. - Quelli cantavano e io soffrivo.  

Facevano come il gallo che canta, mentre la gallina a far l'uovo ci patisce ...  

- Sa, anche essere severo:  

- Se volete conservarvi buoni, non bazzicate le sacrestie. O dentro, o fuori...  

E giudica uomini e cose.  

La coscienza religiosa voluta da Mussolini, sarà sensibile solo alla nuova generazione. Quindi egli lavora per i posteri. E chi lavora per i suoi successori ha, per lo meno, dei buoni sentimenti.  

 

Confessione ...  

A San Giovanni Rotondo, una cittadina di 10 mila abitanti (5+5) s'arriva da Foggia, dopo una quarantina di chilometri in autocorriera. Dapprima la strada si snoda nel tavoliere infinito, senza ombra di piante, poi, ad una svolta, si inerpica su per il monte segnato da ulivi e da fichi d'India. Il convento dista due chilometri dalle ultime case, e a chi vi giunge appare da lontano la massiccia costruzione, con il corto campanile tutto serrato dal verde folto.  

Avvicinare il «Santo», oggi, non è cosa facile, ma c'è sempre una chiave per ogni cuore. Padre Pio è di statura media, slanciato, col volto pallido di un bell'ovale incorniciato da una breve barba nera. Ha gli occhi grandi neri dolcissimi. Il collo si profila bianchissimo entro il saio della povertà.  



giovedì 29 ottobre 2020

Padre Pio di Pietrelcina, il primo Sacerdote stigmatizzato

 


L'avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex grado 33 della massoneria, scrisse questo libro dopo essersi convertito al confessionale di Padre Pio. 


Sempre sul Resto del Carlino di Bologna, dell'8 aprile 1926, si leggeva questo articolo:  


L'EREMO DI PADRE PIO 

Per una tortuosa e mal battuta strada vicinale - aperta attraverso campi, popolati di mandorli e di enormi massi distaccatisi, chi sa quando, dai fianchi della montagna - si giunge al convento dei Cappuccini, che supera di 150 metri il livello di S. Giovanni Rotondo, e che dal 1917 ricovera Padre Pio. Quaranta minuti di cammino affrettato lo dividono dal paese.  

Quando mi muovo dall'albergo di Calogero Vinci guerra insieme con lui e con due occasionali compagni pugliesi - che hanno trascorso la notte nella camera vicina alla mia - è sempre buio. Piove: la luce elettrica è spenta e si sta in equilibrio sulla pietra sdrucciolevole delle vie come sopra il ghiaccio. Giù dalle anfrattuosità del Gargano scende e c'investe una tramontana così gelida, che ingentilisce, alla rievocazione, quelle rivierasche liguri e labroniche.  

Bisogna andare e si va. Ci precede con la sua alta figura, chiusa nel ferraiolo, Calogero Vinciguerra, poco loquace.  

Finalmente ci troviamo dinanzi alla porta della chiesa, donde accediamo alla sagrestia dietro l'altare maggiore e, da essa, per un corridoio e due rampe di scale, imbocchiamo un altro corridoio, su cui dànno gli uscioli di numerose celle.  

- Vedi! - mi dice Calogero Vinciguerra, indicandomene una.  

- Questa è di Padre Pio.  

E bussa. Nessuna risposta dall'interno. Passa, come un'ombra, un fraticello. Interpellato dalla nostra guida, risponde:  

- È in fondo a sinistra. Lo aspettino presso la finestra, laggiù.  

Quando esce potranno vederlo.  

D'un tratto il rumore di una porta, che si dischiude, e l'approssimarsi di passi, fanno acuire la sguardo a Calogero Vinci guerra.  

- È lui! - sussurra e con un rapido cenno ci chiama. Appena Padre Pio ci incontra, si ferma e tende, prima che gli altri, la destra o, meglio, le dita della destra a me. Sa ... donde vengo, poiché mi chiede di Roma, ride, e con gli occhi neri mobilissimi, di una dolcezza raramente còlta in altri occhi, mi scruta.  

Poi con la voce - che ha tutte le armonie della più squisita e raffinata seduzione - dice ai miei due compagni pugliesi:  

- Loro, che vogliono confessarsi e comunicarsi, possono precedermi in sagrestia. Li seguo ...  

Mentre si congeda, ripromettendosi di salutarmi a messa celebrata, constato la regolarità e la pienezza del nobile e bellissimo volto, su cui i capelli, la barba ed i baffi dai forti riflessi, cari al pennello di Tiziano, aggravano il perlaceo pallore; la statura media; le dita - pure bianchissime, femminee e ben curate - strette, alle radici, da mezzi guanti di maglia di lana nera. E, quando si discosta, noto il taglio elegante dell'abito monastico, l'incidere un po’ difficoltoso, sebbene abilmente dissimulato, dei piedi, chiusi in scarpe allacciate di panno nero, con le punte di cromo lucido - scarpe che, lo appresi accidentalmente più tardi - ebbe in regalo dalla Svizzera.  

Ricordo, per contrasto, le sue umili origini ed i suoi quasi trentasette anni di età. Eppure non sembra superi i cinque lustri e, quel che più sorprende, respiri da un polmone, avendo - mi si assicura - l'altro atrofizzato.  

Scendo in sacrestia. Dopo la confessione dei due pugliesi, Padre Pio veste i paramenti sacerdotali, aiutato da un giovane che vidi già e non rammento dove. Mi informo da Calogero Vinciguerra chi sia. 


Le Stigmate .  

- Ah! non sai? È il prof. Emanuele Pederzani. Ora ti racconto. L'anno scorso salì a S. Giovanni Rotondo come vi salgono tanti. Veniva dalla Romagna: da Rimini. Era un miscredente ed un viveur. Li chiamate così, è vero, quelli che pensano solo a soddisfare il corpo?  

- Aveva partecipato alla guerra col grado di capitano degli alpini, coprendosi di gloria. Lo accompagnava una sorella, che ha aperto una scuola frequentatissima di tagli per abiti femminili e la dirige da maestra provetta. - Che è, che non è, spinto dalla curiosità di visitare Padre Pio, un bel giorno si converte. Si spoglia dei vestiti eleganti, brucia i romanzi, si mortifica con i digiuni e da nove mesi ogni mattina, con qualunque tempo, s'arrampica quassù per servir la messa e comunicarsi. - Ed ora entra in chiesa con Padre Pio e mettiti di fianco all'altare, se vuoi vedere le stigmate. Io ritorno a San Giovanni.  

La funzione comincia. Oltre la balaustrata, molti fedeli - uomini e donne - pregano genuflessi. Padre Pio si volge con le palme alzate ad invocare che Iddio sia con quanti lo ascoltano. E le stigmate si rivelano, sotto i mezzi guanti, nella tinta particolare del sangue pesto.  

Mentre le osservo, il pensiero mi riconduce a ritroso verso le origini di quelle del «Serafico in ardore» come le narra nella sua Leggenda prima Tommaso da Celano, quasi contemporaneo del prodigioso avvenimento.  

«... Dimorando Francesco - scrive il biografo abruzzese - nell'eremo, che, dal luogo ove è situato, si chiama la Verna, due anni prima di morire, vide in una visione divina, stare sopra di lui un uomo con sei ali a guisa di serafino, con le mani distese e i piedi uniti, confitto alla croce: due ali si alzavano sul capo, due si stendevano per volare, le due ultime coprivano tutto il corpo.  

«A tale vista il beato servo dell'Altissimo rimaneva pieno d'ammirazione, ma non sapeva comprendere il significato della visione. Si sentiva acceso di gioia per la dolcezza amorosa dello sguardo del serafino bellissimo, ma era atterrito dalla considerazione di quella croce, cui era confitto e dell'amarezza della sua passione.  

«Si alzò, se può dirsi, così triste e lieto ad un tempo, e il gaudio ed il dolore si alternavano in lui. Intanto si sforzava di comprendere il significato della visione, e da questo sforzo era tutto agitato il suo spirito. Non riusciva a intendere nulla di preciso, e rimaneva preoccupato per le singolarità dell'apparizione, quando cominciarono a mostrarsi nelle sue mani e nei suoi piedi i segni dei chiodi, come nell'uomo che poc'anzi aveva visto crocifisso. Le mani ed i piedi erano trafitti nel mezzo da chiodi, le cui teste si vedevano nel palmo della mano e nella parte superiore del piede, mentre le punte uscivano dalla parte opposta. Erano rotondi nel palmo della mano e sul dorso lunghi, dove appariva un po' di carne, a guisa di punta di chiodi, ritorta e ribadita, sporgente sull'altra carne. Il lato destro, poi, era come trafitto dalla lancia, con una lunga cicatrice, e spesso mandava sangue, di cui molte volte si bagnavano la tonaca e le mutande.  

«Vedemmo questo, noi che questo diciamo, toccammo con le nostre mani ciò che con le nostre mani descriviamo; bagnammo con gli occhi lacrimosi ciò che confessiamo con le labbra; e quello che una volta giurammo sui santi Evangeli, ogni momento protestiamo per vero. Con noi molti frati questo videro, allorché era sempre vivo il Santo: e questo venerarono, nella sua morte, più di altri cinquanta insieme con innumerevoli secolari. Non resti, dunque, luogo ad incertezza, a nessuno resti dubbio questo gran dono dell'eterna Bontà».  

 

La Messa.  

La scorribanda anacronistica s'interrompe. Padre Pio - in un silenzio supremamente mistico - officia e concentra sul suo volto - ove affiorano, si intricano e si distendono le più strane vibrazioni nervo, e - il mio vigile sguardo. Avvicinandosi alla comunione, egli m'appare il sacerdote tipico - mai incontrato prima - che, secondo l'Ecclesiaste e deve essere come un vaso consacrato e santo e come un altare, degno di ricevere il sangue del Salvatore, poiché l'altare dell'olocausto indica la vita dei giusti, i quali ogni giorno crocifiggono la propria carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze, e la offrono, ostia palpitante, al Signore; poiché la devozione al preziosissimo sangue pasce l'anima intera con l'intelletto, la memoria, il volere, con le rose della carità, i gigli della castità, le viole dell'umiltà, e la dà in premio, nel terreno pellegrinaggio, il conforto e la quiete della grazia, preludio alla piena letizia del Cielo”.  

 

Le distrazioni conventuali.  

Intanto numerosi fedeli si comunicano e non meno numerosi sono quelli che, in sacrestia, aspettano di essere confessati.  

Padre Pio, liberato si dai paramenti, mi si approssima, mi offre, con atto amichevole, un'immagine sacra, l'accompagna con auguri gentili per me e per la mia famiglia e mi stringe con le dita, lisce e morbide, la mano. Ed entra nel confessionale, ove rimarrà - eccetto un breve intervallo dalle 13 alle 14, fino a sera.  

Tale è, del resto, la sua esistenza dal gennaio al 31 dicembre, in quanto dacché vi giunse sei anni or sono, non una volta è uscito dalla porta del convento,  

Unico svago - come la stagione lo permetta - qualche partita a bocce, che egli gioca, e bene, nell'orto, con gli altri sette monaci della comunità. Ama il conversare, specie nel natio vernacolo pietrelcinese, attraverso il quale - dichiara - assai meglio si possono esprimere i propri pensieri. Sempre di ottimo umore, a chi va a trovarlo, risponde a tono su qualunque argomento. Né si perita ad affrontare dibattiti intorno alla fede e ad esporre con franchezza un giudizio, che, spesso, contrasta gli asserti della Chiesa.  

Altro tema favorito nei colloqui con i fratelli e gli estranei, è la vita francescana, tramandataci dai Fioretti, che egli, però, riveste senza accorgersi della lontananza del tempo e dello spazio - d'un simpatico colore e sapore di modernità.  

G. CAVACIOCCHI