SVILUPPO SINCRONO
Offrendoci a Dio o unendoci a Gesù comincia, per mezzo della grazia, la nostra vita soprannaturale.
Tale vita, in terra, è ordinata al nostro sviluppo soprannaturale, in cielo alla nostra felicità.
Il nostro sviluppo soprannaturale per essere perfetto deve essere sincrono in tutte le virtù, come lo è quello del corpo in tutte le sue parti.
Ma come nel corpo alle volte un organo, una facoltà o un sistema si sviluppa più celermente degli altri o più celermente invecchia, costituendo nel primo caso
un'anormalità, nel secondo una malattia, così nella vita soprannaturale spesso capita che una persona si sviluppi maggiormente in una virtù (per es. nella penitenza, nello zelo, nella beneficenza,
nella preghiera) trascurando le altre; o che cada in una restando ferma nelle altre.
Nel primo caso abbiamo una perfezione monca; nulla di quanto è buono e virtuoso va perduto; tutto il bene sarà minutamente ricompensato.
Tuttavia se ci fosse stato l'accompagnamento delle altre virtù (divenute più facili in chi avanza in una) quella persona si sarebbe santificata.
Nel secondo caso abbiamo le malattie spirituali, cioè i difetti: impazienza, vanità, attacchi disordinati, ecc.
Se quei difetti fossero stati eliminati avremmo avuto un santo; invece abbiamo un povero rachitico o ammalato spirituale, che intristisce nell'abbondanza della sua vita cristiana
con tante possibilità di santificazione.
Lo sviluppo soprannaturale passa per tre età principali.
PRIMA ETA
Caratteristiche
L'amore di Dio c'è realmente nell'anima. Tuttavia si ama Dio più per noi che per sé stesso. In questo stato si bada più alla felicità
che alla gloria di Dio. Si prega, si osservano i comandamenti di Dio, si fa il bene per venire ricompensati col paradiso.
È senza dubbio molto meglio ed anche più meritorio amare e servire Dio per puro amore, ed allora si ha il più nobile dei fini; tuttavia non c'è
nessun peccato ad intendere nell'amore e nel servizio di Dio principalmente la propria felicità. Tale intento è indice di essere ancora sul primo stadio della vita spirituale.
1. Preghiera
La preghiera è piuttosto ristretta ed egoista. Si prega sì e no la mattina e la sera; si dice spesso il rosario, si va a Messa la domenica e, alle volte, anche durante
la settimana. Qualche volta si diventa fervorosi, si comincia a pregare moltissimo e ad accostarsi anche giornalmente per qualche periodo alla comunione; ma non è l'amore che spinge sebbene il bisogno, cioè
qualche grazia da ottenere.
Si cercano molto volentieri i divertimenti ed i piaceri, ma si bada ad evitare quelli gravemente disonesti, anzi li si condanna.
Si bada ad evitare il peccato mortale, perché si può morire e precipitare all'inferno. Non si mette troppa cura ad impiegare bene tutto il tempo; molto se ne
perde con facilità, quasi tutto lo si impiega per fini umani: il guadagno, la carriera, le convenienze, ecc.
Nella preghiera si compie il dovere di adorare Dio, di ringraziarlo per i suoi benefici e di amarlo, ma prevalentemente si pensa a chiedere grazie e quasi sempre si domandano
grazie temporali.
2. Obbedienza
In questa prima età si osservano i dieci comandamenti, i cinque precetti della Chiesa, i doveri del proprio stato e si diviene così buoni cristiani, figli di Dio
ed eredi del Paradiso.
Il buon cristiano ha timore del peccato mortale, perché non vuol offendere Dio e perché teme i castighi eterni. Il timore è l'inizio della sapienza, è
quello che fa dirigere i nostri passi nella retta via, anche quando infuriano le passioni, che rendono più fumigante il piccolo lucignolo dell'amore verso Dio.
La legge di Dio impone. dei doveri verso Dio stesso, verso noi e verso il prossimo.
I doveri verso Dio costituiscono la religione, cioè il legame con Dio. Essi sono espressi dal 1° comandamento, che impone la fede in Dio e nella sua rivelazione e
la preghiera, dal 2° comandamento, che impone il rispetto del nome di Dio e dei suoi santi; dal 3° comandamento, che impone l'obbligo del riposo e della Messa nelle domeniche e nelle feste, della confessione
e del precetto pasquale, come più dettagliatamente determinano i 5 precetti generali della Chiesa.
I doveri verso il prossimo costituiscono la carità e lo zelo e sono espressi dal 5° comandamento, che vieta l'omicidio, le risse, l'odio, lo scandalo, dal 7°, che vieta di
danneggiare il prossimo nella roba e nell'onore, dal 9° e dal 10° che vietano di desiderare la persona o la roba di altri.
I doveri verso noi stessi costituiscono la pazienza e la purezza. Essi sono espressi dal 5° comandamento, che vieta il suicidio e la disperazione, dal 6°, che vieta
gli atti impuri, e dal 9° che vieta i cattivi pensieri.
a) Pazienza. Il buon cristiano non si dispera contro Dio; qualunque cosa Egli disponga (morte di persone care, cattive annate, malattie, ecc.); non si irrita contro Dio, ma china sempre
il capo, si rassegna a tutto e ripete: « Sia fatta, o mio Dio, la tua volontà! »; non si dispera contro se stesso per gli sbagli che commette, le magre figure che fa, i fallimenti e gli stessi peccati, ma
si umilia e subito si solleva; non si irrita contro il prossimo per le male parti, gli oltraggi e le ingiustizie da esso ricevuti, ma si rassegna e a tutti perdona come Gesù.
b) Purezza. La purezza è la virtù morale regolatrice dell'istinto sessuale.
È virtù, cioè forza. È la più bella e la più difficile virtù. È come una forza che tiene sospeso in aria un masso. Il nostro
corpo tende al piacere ed al peccato più fortemente di quanto una pietra in aria tenda alla terra. Per mantenere il nostro corpo puro, si richiede una forza grandissima, quale le nostre risorse umane non hanno. Tale
forza è di Dio, e Dio la dà a chi non lo tenta cercando i pericoli e a chi ricorre a lui con la preghiera e coi sacramenti.
È virtù morale in quanto non risiede nell'intelligenza, come anche le altre virtù, ma nella volontà illuminata dall'intelligenza.
La purezza è una virtù acquisita col continuo controllo e dominio di sé.
Il controllo si esercita colla vigilanza sulla fantasia, perché non si occupi di immagini sensuali, e sugli occhi perché non si posino su persone, immagini, spettacoli
o libri cattivi o provocanti.
Il dominio si esercita colla mortificazione, che ci priva anche dei piaceri leciti per tenere a bada i sensi quando chiedono quelli illeciti; colla preghiera che ci dà
la forza di Dio quando le nostre forze vanno cedendo.
La purezza è una virtù possibile, anzi è la virtù propriamente ed esclusivamente umana. Non ce l'hanno gli angeli perché non hanno corpo,
non ce l'hanno gli animali perché sono senza ragione.
Si dice dell'uomo puro che è puro come un angelo o come una colomba o come un giglio. L'uomo puro splende più degli angeli ai quali fa invidia ed incanta
più di tutti gli animali e di tutti i fiori dei quali è immensamente più bello. L’uomo puro attira Dio; diventa il misterioso e meraviglioso tempio di Dio. La purezza non esiste senza il corpo e
neppure senza l'intelligenza. La purezza non sta nell'ignoranza. Si dice che i bambini siano puri: i bambini non sono puri, sono ignoranti ed innocenti. Si è puri quando si conoscono i misteri della vita e si
regolano tutti gli appetiti della carne.
Regolatrice dell'istinto sessuale. Questo istinto è il più forte dopo quello della fame. Entrambi gli istinti sono stati messi sapientemente da Dio nell'uomo:
l'istinto della fame per la conservazione dell'individuo; quello sessuale per la conservazione della specie. La conservazione dell'individuo e quella della specie importano una somma tanto grande di sacrifici,
che senza questi due potentissimi istinti si sarebbero subito estinti gli uomini e l'intera specie umana.
La purezza è la virtù di tutti gli uomini, e a tutti, secondo la propria condizione, impone l'obbligo di rispettare il proprio corpo come tempio di Dio e luogo
dove egli abita colla sua presenza e colla sua grazia.
La purezza impone a quelli che non sono sposati di non procurarsi piaceri carnali e di non pensarli neppure; impone ai coniugati la reciproca fedeltà ed il rispetto delle
leggi sante del matrimonio.
3. Carità
Il buon cristiano ama il prossimo perché sa bene che « chi non ama resta nella morte » (I Jo. 3,14); non porta odio a nessuno perché sa che a colui il
quale non perdona non sarà perdonato; si commuove vedendo il prossimo soffrire, specialmente quando gli capita qualche caso pietoso, e viene incontro. Chi si trova nella prima età spirituale, e quindi ancora
nel primo stadio del suo sviluppo, fa della carità ma non troppa; non pensa a curare i poveri e non sempre li crede; spesso li rimanda, specialmente se gli vengono in orario inopportuno, e non pensa che mentre, per
es., egli mangia il povero che chiede non ha cosa mangiare.
La sua carità è incipiente; più che carità è elemosina. Non comprende il povero e non gli dà il suo cuore. Solo quando si dà il proprio cuore al povero
l'elemosina diventa carità. Ora Dio comanda la carità.
Il buon cristiano:
a) È generoso: colla parrocchia, colle missioni, coi poveri, con le opere di beneficenza, ecc. Egli dà secondo le sue possibilità, anche con sacrificio, perché Gesù impone di dare ai poveri il superfluo
(Lc. 11,14).
Per i mediocri superfluo è quello che si getta. Gesù non parlava di questo; ma di quanto avanza a ciò che conviene al proprio stato. Non al lusso. Superfluo
al lusso non resta nulla.
La carità deve arrivare a tanto da costare qualche sacrificio. Non è carità l'elemosina di poche lire che sogliono fare moltissimi ricchi: è il mezzo di togliersi davanti
il povero importuno o il sacrista in chiesa, ma non per salvarsi. La carità del povero poi consiste nel voler bene al ricco.
b) È benevolo. Possiamo giudicare come siamo noi da come pensiamo degli altri.
Ciascuno vede con i suoi occhi e misura col suo palmo.
Ogni vizio dà il suo particolare veleno al cuore, la sua particolare deviazione all'intelligenza, la sua particolare panna all'occhio.
Ogni vizio fa vedere il mondo con la sua lente speciale.
La lussuria fa vedere le creature sotto l'aspetto del sesso e del piacere;
l'avarizia sotto l'aspetto del lucro;
la gola sotto l'aspetto del ventre;
la bontà le fa vedere sotto la luce di Dio, cioè nella verità.
Conseguentemente il lussurioso pensa che tutti siano lussuriosi;
l'avaro pensa che tutti operino per tornaconto e per avarizia;
il goloso pensa che tutta la storia si riduca alle lotte per lo stomaco.
Chi è buono invece pensa che tutti siano buoni;
mentre chi è cattivo pensa che tutti siano cattivi.
Il buono interpreta sempre in bene le azioni del prossimo;
il cattivo le interpreta sempre in male.
Il buono scusa anche quello che è evidentemente male;
il cattivo maligna anche su quello che è evidentemente bene.
Il buon cristiano tratta tutti bene per amor di Dio o per amor loro.
Il cattivo cristiano tratta tutti male per mancanza assoluta di carità, o tratta bene solo per tornaconto.
I peggiori non sanno trovare niente di buono nel mondo;
i migliori sanno trovare qualcosa di buono anche nei cattivi.
4. Zelo
« A ciascuno Dio ha dato cura del suo prossimo » (Eccli. 17,18). Il buon cristiano deve considerare che ogni creatura dia gloria a Dio, lo ami, lo serva e si salvi; non deve desiderare
a nessuno l'inferno o il purgatorio, ma per tutti deve desiderare il Paradiso. Perché questo desiderio sia efficace il buon cristiano deve pregare, sacrificarsi, agire.
1) Preghiera. La preghiera va fatta per tutti, nessuno escluso.
Chi positivamente esclude qualche nemico dalle proprie preghiere non ha la carità, perché la carità è universale.
Il buon cristiano prega per i vicini e per i lontani, per i cattolici e per gl'infedeli;
prega anche per i nemici secondo l'ordine di Cristo (Mt. 5,44).
Dio allora farà sentire loro la sua voce; se essi l'ascolteranno si convertiranno e ripareranno i torti fatti; se si ostineranno nel male dovranno dar conto a Dio anche
di quelle ispirazioni rigettate, ed il loro inferno sarà più tormentoso.
Per questo S. Paolo dice: « Radunate carboni ardenti sul loro capo » (Rom. 12,20).
2) Sacrificio. Il buon cristiano pensa poco alle rinunzie e alle sofferenze volontarie; tuttavia sa bene che non conclude nulla ribellandosi alle sofferenze da Dio mandate, perde una
bella occasione di far del bene a sé e agli altri e si mette in pericolo di dannarsi.
Perciò si rassegna alla volontà di Dio ed offre le sue sofferenze per la conversione dei peccatori e per penitenza dei suoi peccati.
A tal fine fa pure i digiuni prescritti e, quando si ricorda, qualche mortificazione.
3) Azione. Il cristiano ha il dovere di agire per la difesa e la diffusione della fede:
a) Con l'esempio. - La sua vita deve essere lo specchio della sua fede; dal suo comportamento gli altri arguiscono se egli crede a quanto dice.
Le sue parole hanno efficacia fino al punto in cui egli le pratica per primo; quelle dette in soprappiù sono tempo perso o, peggio, svalutazione della sua fede.
« Se vuoi che io pianga, diceva Orazio, bisogna che per prima pianga tu ».
Il motivo per cui la maggior parte delle prediche e dei buoni consigli restano inutili è che chi le fa o li dà ne è poco convinto o le pratica poco.
« Perché, diceva un prete ad un attore, la gente corre ai vostri spettacoli, si commuove e vi applaude, mentre dite delle cose inventate, mentre fugge da noi, non
sente o non segue quello che noi loro predichiamo, pur dicendo loro delle verità eterne? »
« Perché, rispose l'attore, noi facciamo la nostra parte e diciamo le cose nostre come se fossero vere; mentre voi fate la vostra parte e dite le cose vostre come se fossero false
».
Quando si crede fermamente non si può più vivere mediocremente, né tranquillamente, né silenziosamente, ma si opera, si freme, si parla.
b) Coll'azione diretta. - Il buon cristiano aiuta le opere parrocchiali, le missioni; diffonde i buoni libri, la pratica dei nove venerdì, la devozione delle tre Ave Maria, si trascina amici, parenti, conoscenti alla messa festiva,
al precetto pasquale, alle prediche, ecc.
In questa prima età lo zelo è ancora imperfetto; ci si occupa un po' della gloria di Dio e della salvezza delle anime, ma non ce ne si preoccupa. Il tempo maggiore
si impiega nella ricerca degli affari, del denaro, dei divertimenti e dei piaceri leciti.
5. Scandalo
Ciascuno porta con sé la responsabilità di tutte le sue azioni. Tutto ciò che viene provocato dai nostri atti viene a noi imputato. Così Gesù
ha il merito e la gloria di tutti gli eletti, perché tutti gli eletti sono salvi per lui; ogni apostolo partecipa dei meriti dei suoi discepoli e di quanti per suo mezzo si salveranno.
Ugualmente ogni scandaloso porterà la pena di tutte le persone che avrà scandalizzato e di quanti quelli, a loro volta, avranno scandalizzato.
È inconcepibile il castigo di quanti fanno delle eresie o le propagano, di quanti producono o diffondono libri, films, e spettacoli immorali, di quanti scandalizzano un
innocente.
È terribile per lo scandaloso cadere nelle mani del Dio vivente. Il furore della leonessa contro chi le strappa i piccoli è un pallido simbolo del furore di Dio
contro chi gli strappa i suoi figli.
« È necessario che avvengano gli scandali, ha detto Gesù, ma guai a colui per cui questi avvengono; sarebbe stato meglio per lui se si fosse appeso al collo
una macina da mulino e si fosse gettato a mare » (Mt. 18,7; Mc. 9,41).
I peccati dello scandalizzato vengono imputati allo scandaloso ed i tormenti dello scandalizzato saranno dati in soprappiù allo scandaloso.
Non c'è peggior peccato dello scandalo. Lo scandaloso si oppone direttamente alla missione di Cristo. Gesù si sacrifica per salvare l'uomo, lo scandaloso si coopera per perderlo.
Lo scandaloso è un sabotatore dell'opera di Dio, un demolitore del piano universale salvifico di Dio; egli toglie all'uomo non semplicemente la vita, ma la vita eterna, cioè la più meravigliosa
fortuna: la bellezza, la sapienza, l'amore, la felicità eterna, e lo condanna per sempre alla fame, alla sete, alle tenebre, al fuoco, ai tormenti, all'odio, alla disperazione. Guai allo scandaloso! Meglio sarebbe
stato se non fosse mai nato.
TENTAZIONE
Cosa è la tentazione.
La tentazione è la proposizione fatta all'uomo di un bene creato quale suo fine.
a) È la proposizione fatta all'uomo. - Questa proposta può venirci fatta:
O dall'interno; quando sorge dalla nostra natura, cioè dalla fantasia o dall'intelligenza o dai sensi. Questo genere di tentazione è una grave minorazione
della nostra natura ed è conseguenza del peccato originale. Da queste tentazioni furono esenti Gesù e Maria.
O dall'esterno; quando proviene dal demonio o dalle persone e dalle cose che ci circondano. Tale fu la tentazione di Gesù nel deserto.
Poter cadere nella tentazione ed anche solo poter venire tentato dalla stessa propria natura è un grave difetto costituzionale, una grave minorazione della propria persona come per un matematico
o per un violinista lo è essere capace di sbagliare. Gesù e Maria non furono soggetti a questa minorazione, né ad alcun tentennamento nel perseguire e raggiungere il lor fine; né per questo i loro
passi e le loro azioni non furono meritori, perché il merito non sta nel poter o meno perdere il proprio fine, ma nel volerlo liberamente raggiungere.
b) Di un bene creato. - Tentazione è qualunque cosa illecita: un libro cattivo, un'amicizia, un piacere, uno spettacolo proibito, ecc. Tentazione può essere qualunque
cosa lecita: un bene di fortuna, una persona, un ufficio, la scienza, il lavoro, il denaro, ecc.
Tutto è tentazione nelle mani di Satana; di tutto egli si serve per farci perdere Dio o almeno per farci perdere la quantità di grazia e di gloria a noi riservata.
c) Quale nostro fine. - Tutte le altre cose o ci debbono servire da mezzi per raggiungerlo (e per questo furono create), o dobbiamo scartarle: in tanto dobbiamo usarle in quanto ci
aiutano a raggiungere il nostro fine; in tanto dobbiamo scartarle in quanto ce lo impediscono.
Tutto è tentazione quello che ci distoglie da Dio, quello che ci distrae dalla perfezione, quello che ci fa essere meno santi: i libri, gli amici, gli affari, le occupazioni, i viaggi, le feste,
i divertimenti, i denari, gli studi e perfino gl'ideali ed i buoni propositi.
Quante volte, per es., Satana si serve di begli ideali per farci distrarre nelle preghiere!
Tutto è male quello che tende a farci perdere Dio o anche solo a non farci completare la nostra missione e la nostra perfezione. Quando S. Pietro voleva distogliere Gesù
dal compiere il suo sacrificio Gesù gli disse: « Va' indietro, Satana, tu mi sei di scandalo! »
Ogni peccato che ci fa commettere, ogni opera buona che ci fa omettere, ogni merito, ogni virtù, ogni anima che non ci fa conquistare è per Satana una grande vittoria
su di noi. Egli tutte le arti e tutte le tentazioni usa in ogni tempo con noi; tuttavia nella 1a età tenta principalmente a farci cadere o ricadere nel peccato mortale; nella 2a età tenta principalmente a farci
commettere il peccato veniale e a farci perdere il fervore e l'entusiasmo della conversione; nella 3a età tenta principalmente a farci commettere dei difetti e a non farci raggiungere la santità.
La prima tentazione
Ciascun essere va naturalmente verso il suo bene e ciò che stima essere il suo bene. Gli animali per non sbagliarsi in tale ricerca hanno da Dio l'istinto, gli uomini
l'intelligenza.
Ma l'intelligenza umana è stata offuscata dal peccato originale ed è diventata miope: non distingue più la felicità eterna.
Ad aggravare la situazione interviene la tentazione.
La tentazione è la proposizione di un bene minore in sostituzione di uno maggiore. Solo l'ignorante abbocca alla tentazione, come ad es. i primitivi indù che
davano agli avventurieri lingotti d'oro in cambio di aghi e ninnoli, o come l'ingenuo passante col ciarlatano.
Nella tentazione religiosa non c'è alcuna proporzione tra il piacere proposto ed il suo prezzo, l'inferno: l'uno è fugace e misero, l'altro è
eterno e terribile. Non si accondiscende che per ignoranza.
Qualcuno ha interesse ad ingannarci: Satana. Egli vuole rovinare a Dio, per vendetta, il suo Disegno nascosto, e far perdere agli uomini, per invidia, la felicità da Dio
loro preparata.
A questo fine Satana dispone:
a) di un'intelligenza e di una potenza formidabile.
b) di alleati potenti nel nostro spirito, nella nostra carne e nel mondo che ci circonda.
Satana, come ogni buon generale, non ha un piano unico per tutte le battaglie: tenta ciascun uomo per il suo verso.
Sette sono le armi di Satana, ossia i vizi capitali:
1) Superbia. Per essa l'uomo cerca la propria eccellenza dinanzi agli altri; ovunque può la mette in evidenza: o nella bellezza, o nel lusso, o nel denaro, o nell'intelligenza, o nella potenza, ecc., fin'anche
dove non dovrebbe pensare, cioè nella pietà e nelle opere buone. La superbia è come un vento di fuoco che distrugge tutto quello che tocca.
La superbia porta l'uomo a sottovalutare le doti degli altri e a sopravvalutare le proprie, a vantare sé stesso e a disprezzare gli altri, ad attribuire a sé
quello che è opera di Dio, a voler infine comprendere il mistero o distruggerlo. L'ultimo frutto tosco della superbia è il razionalismo e l'incredulità.
2) Avarizia. Per essa l'uomo tende ai beni materiali per i propri capricci o per sé stessi. Vuol conquistarli a qualunque costo, si irrigidisce nel loro possesso, che non vuole mollare per nessuna cosa.
L’avarizia è fonte di perdizione: « Quelli che vogliono diventare ricchi cadono nelle tentazioni del diavolo » (1 Tim. 6,9).
3) Lussuria. È il vizio più attraente e più comune nell'umana natura. A causa del peccato originale l'uomo tende irresistibilmente ai piaceri carnali: cerca gli illeciti, abusa di quelli leciti
e li disordina.
La carne trascina lo spirito. « O infelice uomo che sono, esclama S. Paolo, chi mi libererà da questo corpo di morte? » (Rom. 7,24). La lussuria è il vizio che ha scosso
l'umanità nelle sue fondamenta: ha guastato i gusti; la rettitudine, la mentalità, la laboriosità; ha disgregata e profanata la famiglia, ha scatenate le masse, le ha rese incontentabili, pretenziose,
viziose, indolenti. È il vizio che ha rovinato la società e popolato l'inferno. La Madonna ha rivelato a Fatima: « La maggior parte di quanti si dannano, si dannano per i peccati di lussuria ».
Quasi nessuno si danna senza di essa.
4) Ira. Per essa l'uomo s'indispone contro gli altri uomini e spesso anche contro Dio. Il più
delle voltesi tratta di mancanze leggere; ma quando la tentazione si fa grave, per gravi offese ricevute o disgrazie, si esplode contro il prossimo o contro Dio. La maggior parte degli uomini s'è poi presa l'abitudine
di bestemmiare per cose da nulla.
La tentazione rivela la religione di un uomo; chi ama Dio lo rispetta quand'anche dovesse subire maggiori disastri di Giobbe; chi non lo ama, perduti i beni perde anche la
religione.
L'ira è il vizio che provoca i malumori, le discordie, le liti e le guerre.
5) Gola. È il vizio che rende l'uomo un animale il quale altro pensiero non ha all'infuori
di mangiare; lo rende anche peggiore dell'animale perché l'animale quando è sazio non vuole più nulla, mentre l'uomo ancora vuole: fa orgie, si ubriaca. Alla gola appartiene il vizio del fumo,
della cocaina, ecc. La gola è il vizio che accorcia la vita degli uomini e la riempie di malanni: la natura si vendica.
6) Invidia. È il vizio dei gretti, degli impotenti, degli inetti, degli inferiori che non si sanno
rassegnare alla loro condizione, da Dio d'altronde permessa per la loro salvezza.
L’invidia è il vizio che ha portato sempre discordie, colpi alla schiena, tradimenti, rivoluzioni con tutto il loro seguito di sangue, di sopraffazioni, di rancori,
di fame.
7) Accidia. Per essa l'uomo rifugge dalla fatica, dal lavoro, dal sacrificio; s'annoia d'ogni
tensione, d'ogni preoccupazione, d'ogni mortificazione. L'accidia nelle forme leggere è madre della tiepidezza, nelle forme gravi è madre dell'indifferenza. Per essa si rallenta e quindi si abbandona
l'esercizio delle virtù e la vita spirituale; per essa si dannano molti.
Satana fa leva ora su una nostra cattiva inclinazione, ora sull'altra, ora su molte. Il piano di Satana è graduale: prima tenta di farci cadere in peccati veniali,
quindi in peccati mortali, infine di farci vivere in stato di peccato mortale; allora ha tutte le probabilità di farci dannare.
Quando non può riuscire a far dannare un uomo, cerca almeno di sminuirgli la gloria eterna: sarà sempre per lui una vittoria.
Tenta gli uomini di qualsiasi condizione ed età, specie i religiosi ed i giovani; ho visto tentati un immenso numero di persone perfette ed anche di vecchi.
Se la tentazione fosse stata un male assoluto, Dio non l'avrebbe permessa.
La tentazione è necessaria; senza di essa non si vede né vizio, né virtù; non si vede chi è santo, chi è peccatore, chi è paziente,
chi impaziente, chi è ladro, chi è onesto, chi è puro, chi è impuro, ecc.
Senza nulla da poter preferire a Dio non si vede se vogliamo maggiormente bene a Dio, a noi o alle creature. Gesù si è incarnato precisamente per manifestare i consigli
e i sentimenti dei cuori degli uomini e poter dar loro il premio o il castigo (Lc. 2,35).
Le grandi tentazioni manifestano le grandi virtù.
Quanti sarebbero gli onesti se potessero impunemente frodare dei milioni?
Quanti i puri se fossero belli, giovani, ricchi, corteggiati e inosservati?
Quanti i fedeli in una persecuzione stile Decio, Diocleziano, l'annamita o la giapponese? Quanti resisterebbero alle prove di Giobbe? Dio nella sua infinita misericordia risparmia
tali tentazioni alla maggior parte degli uomini per non farli dannare; le permette ad altri per formare di essi i suoi santi o per far risaltare l'amore e la gloria dei suoi santi.
Negli ultimi tempi saranno accresciute le tentazioni e le persecuzioni per il sollecito completamento del numero dei santi, per la purificazione di tutti i fedeli, per supplire
al Purgatorio che verrà meno col giudizio universale.
Tra le molte tentazioni le più violente sono quelle d'impurità. Satana suscita nella fantasia mille immagini libidinose, fino a congestionare il sangue in testa.
Il piacere ha tale forza d'attrazione per l'uomo che tutto gli fa sacrificare e tutto dimenticare: denaro, salute, paradiso, inferno. La tentazione giunge a portare l'orgasmo nel corpo ed il martirio nel cuore.
Per questo, dice Tertulliano, è più grande vivere colla castità che morire per la castità.
E poiché il merito è in proporzione a ciò che si sacrifica, ben poche altre cose nella vita e ben poche altre circostanze ci fanno acquistare tanti meriti
quanti la tentazione vinta.
Se tutto noi facessimo o sacrificassimo per un piacere, vincendo una tentazione abbiamo il merito di quanto avremmo sacrificato o più ancora.
La vittoria di una tentazione è un vero atto d'eroismo. Il seguito di simili atti eroici forma le stelle più belle del Corpo Mistico.
Se vedessimo i meriti acquistati colla vittoria delle più violente tentazioni vorremmo essere sempre così tentati.
D'altro lato non è neppur prudente voler ciò, per il pericolo di cadere nelle tentazioni e di perderci. Nelle tentazioni è come nelle prime linee di combattimento:
o si diventa eroi o si cede; si oscilla tra l'ignominia e la gloria. La caduta è come un uragano che lascia nei campi distruzione e morte: rovina tutto quanto pazientemente si era piantato e costruito per anni.
« Nostra virtù che dì legger s'adombra, non spermentar con l'antico avversaro, ma libera da lui che sì la sprona » (Dante Alighieri).
a) Caduta. - Si cade nella tentazione quando c'è piena avvertenza e deliberato consenso. La piena avvertenza manca nel dormiveglia e nelle distrazioni; il consenso manca
quando la volontà non si compiace e non approva.
Ad es.: se assisto ad un delitto, non pecco vedendo l'atto dell'uccisione, ma solo se la mia volontà ne prova piacere o approva o vorrebbe pigliar parte.
Per peccare non basta neppure il piacere o risentimento che può provare il corpo, ma si richiede il compiacimento esplicito e l'approvazione della volontà. Nessuno può peccare
in stato di incoscienza o di distrazione o senza accorgersi. Per peccare bisogna farlo apposta. Quindi il dispiacere che si prova in fondo alla coscienza durante le tentazioni, il rifiuto di passare all'atto peccaminoso
quando facilmente lo si potrebbe fare, il ricorso sia pure momentaneo a Dio o alla Madonna durante la tentazione sono argomenti comprovanti la resistenza alla tentazione stessa.
b) Mezzi per vincere le tentazioni. - La grazia è un tesoro inestimabile che ci viene continuamente e tenacemente insidiato. Siamo come un viandante che va con un grosso diamante per una zona infestata da briganti; o come un vaso di vetro
è costretto a viaggiare tra vasi di ferro. Umanamente sembra impossibile giungere alla meta incolumi; ma ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. Gesù ci dà i mezzi per
non cadere mai nelle tentazioni: « Vigilate e pregate ».
l. Vigilanza
« Fratelli, siate sobrii e vigilate perché il vostro avversario, il diavolo come un leone ruggente gira intorno cercando chi divorare » (1 Petr. 5,8). Per non
farlo entrare dobbiamo vigilare sulle aperture della nostra anima:
Sugli occhi, evitando sguardi impuri o immodesti sugli altri e su noi stessi; evitando di fissare persone d'altro sesso, fotografie, spettacoli, stampe immorali. Molte cose
non fanno impressione subito, ma s'imprimono nel subcosciente e immancabilmente la faranno in seguito. Coloro che non badano a questo, perché si sentono superiori e sicuri di sé, infallibilmente, prima o
dopo, cadranno.
Sulle orecchie, evitando sempre di ascoltare cattivi discorsi. Sull'odorato evitando gli odori provocanti all'impurità.
Sulla gola, evitando quelle qualità o quantità di cibi o, di bevande che dispongono alla libidine.
Sul tatto, evitando di accarezzare il corpo nostro o degli altri, sia pure di bambini, particolarmente quando sorgono nel nostro corpo delle commozioni; evitando a letto delle
posizioni sensuali; curando la pulizia della persona. Il mezzo prossimo di tutte le impurità è il tatto e niente quanto il tatto deve essere vigilato. Bada che le tue mani siano sempre pure ed elevate a Dio nel
senso più stretto della parola, quando sei più tentato.
Sui pensieri. Appena ti accorgi di un cattivo pensiero, scaccialo; pensa un'altra cosa più onesta. Per distrarsi è bene cambiare di posizione: se hai gli occhi
chiusi, aprili; se aperti, chiudili o guarda altro; se sei a letto, alzati; se alla finestra, rientra; se seduto, passeggia; pensa a cose d'interesse o da ridere o da piangere; dici qualche preghiera; soprattutto canta
che ti passa. Niente quanto il canto serve a sbaragliare le fantasie importune.
Sugli affetti. Niente come l'amore salva; niente come l'amore perde. Quando un amore naturale sorge nel nostro cuore ed esso è ricambiato da persona d'altro
sesso comincia in noi una lotta cruenta, che infallibilmente si concluderà colla nostra caduta. Sarà un miracolo poterlo stroncare in tempo. L'amore è un fuoco che brucia qualunque tempra di uomo o
di donna. Quando uno sguardo ci ferisce bisogna fuggire lontano, pregare e dimenticare. Ripetendosi quegli sguardi si ripetono le ferite finché si cede all'amore e si cade. C'è un amore più forte
ancora dell'amore umano, un amore che non fa male, che anzi fa del bene a tutti: è l'amore soprannaturale. Ma esso, quando è con persone di sesso diverso, è un liquore troppo forte che ai piccoli
fa sempre male e molto spesso anche ai grandi. I giovani non debbono coltivare amicizie spirituali con persone d'altro sesso, perché non possono controllare o dirigere la formidabile potenza dell'amore.
2. Preghiera
Gli accorgimenti suddetti valgono molto, ma non sono sufficienti per vincere sempre. La stessa volontà e forza di usare tali accorgimenti non viene da noi, ma da Dio. Per
vincere sempre bisogna sempre pregare. Si prega:
a) Colla frequenza ai sacramenti. È impossibile vincere sempre le tentazioni senza la confessione e comunione frequente. La confessione è un freno, la comunione una forza. È necessaria la comunione almeno settimanale.
b) Col ricorso a Dio e alla Vergine SS. nelle preghiere giornaliere, particolarmente nella tentazione stessa. Basta allora un pensiero a Dio, una giaculatoria, un'Ave Maria.
Nessuno ricorrendo alla SS. Vergine nella tentazione è caduto. La Vergine SS. è la nemica naturale del diavolo.
c) Coltivare i più alti ideali per la gloria di Dio. La vita spirituale di molti cristiani si riduce ad una continua difesa dalle tentazioni.
Niente è più gravoso od antipatico. Il cristianesimo non è una semplice grigia lotta contro il nostro diavolo, ma contro tutti i diavoli dell'inferno
scatenati per abbattere la Chiesa e dannare le anime; è soprattutto l'edificazione del Corpo Mistico di Cristo, cioè della suprema bellezza creata e creabile; è la formazione, mediante l'amore
e le virtù cristiane, della nostra più grande fortuna.
3. Le lagrime di Dio
« Aveva una vigna in un poggio pingue; la cinse e la rimondò dalle pietre; e la piantò di scelte viti. Fabbricò, in mezzo, la torre e costruì
il torchio. E aspettò che facesse uva e fece spine » (Is. 5,2). Così il profeta Isaia grida piangendo con Dio e per Dio.
Aveva preparata una sorte tanto bella per gli uomini Dio nel Paradiso terrestre: luci di primavera, fiori e frutti meravigliosi, gioventù eterna.
Ha preparato il Disegno di un meraviglioso edificio vivente le cui pietre fortunate debbono essere gli uomini: il Corpo Mistico.
Ha preparato per ciascun uomo una sorte nel Paradiso infinitamente più bella di quella del Paradiso terrestre.
Con infinite cure ha circondato l'umanità intera e ciascun uomo in particolare perché nascesse, si sviluppasse e fruttificasse per raggiungere il suo fine; la
innaffiò finanche col suo sangue, e aspettò che questa vigna facesse uva, ma essa fece spine.
Una voce va ripetendo all'uomo come Satana nel Paradiso terrestre:
« Mangiate di questo frutto; vi si apriranno gli occhi. Sarete come Dio; conoscerete il bene od il male » (Gen. 3,4).
E l'uomo ascoltando questa voce si fabbrica i suoi dommi sull'irrazionale e sull'assurdo: crede che gl'interessi di Dio siano diversi da quelli suoi; pensa che
Dio sia contro di lui e cerca il suo bene fuori di Dio e contro Dio.
Tutta la storia umana si riduce alla tenacia di Dio nel rincorrere l'umanità per salvarla e alla pertinacia dell'umanità nel correre verso la perdizione;
alla cura diuturna di Dio per rimettere sempre l'umanità in sesto offrendole sempre nuove possibilità di salvezza; e all'assiduità dell'umanità nel mandarle tutte a monte; alla tenacia
di Dio nel voler guidare l'uomo con infinite cure alla salvezza e al suo massimo bene; e alla pertinacia dell'uomo nel rifiutare tutte le ancore di salvezza e tutte le possibilità di bene; alla tenacia di Dio
nel voler riuscire al suo Disegno nascosto e alla pertinacia dell'umanità nel volerlo distruggere.
Infine Dio è più forte e vince dopo aver mille volte ripigliato il suo piano: il suo edificio di volta in volta riesce più meraviglioso, ma innumerevoli uomini
ne restano schiacciati e innumerevoli altri per sempre minorati: sono i dannati e i santi falliti. Su di loro piange Gesù.
Piange su quest'umanità ebbra di errori e di piaceri; come un giorno pianse su Gerusalemme prevedendone la prossima e orribile rovina.
« Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati. Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina i suoi pulcini
sotto le ali e tu non hai voluto » (Lc. 13,34).
L’uomo può vantarsi di esser riuscito a far piangere Dio, l'Infinito. Tanto è stato amato da lui.
Le lagrime di Dio sono per quanti ridono beffardamente del suo amore, dei suoi sforzi e del suo sacrificio per loro; per quanti, disprezzando il suo sangue e la sua grazia, vanno
a precipitare all'estrema rovina; e sono ogni anno milioni e milioni; per quanti, trascurando i suoi richiami e i suoi doni, realizzano solo un decimo, un centesimo, un millesimo o meno della gloria che egli aveva preparato
per loro: o predicano, celebrano, si comunicano senza frutto; o lavorano, si affaticano, si distruggono senza amore; o soffrono, piangono, muoiono senza grazia.
Noi siamo la delusione di Dio.
Egli ci voleva grandi, noi vogliamo restare mediocri; egli ci voleva vicini al suo cuore, noi vogliamo restare lontano, dietro la porta del Paradiso, preoccupati solo di arrivare
a varcarla; egli, come un buon padre di famiglia, ci voleva riusciti, fortunati, principi del cielo; noi, come i figli scioperati, vogliamo restare in mezzo alla strada, nella miseria e forse anche nel vizio.
Gesù ripete a noi il monito dato alla Samaritana: « Se conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti parla! » (10. 4,10).
Se conoscessi il dono che ti sta facendo chiamandoti alla santità. Quanti ideali, ispirazioni, dolori, occasioni di mortificazioni, di carità, di apostolato, ecc.
Noi tutto frustriamo ostinatamente, per non scomodarci. Quando morendo ci presenteremo dinanzi a Dio, vedremo la gloria e la felicità che ora è stata preparata per noi; vedremo quanto era facile raggiungerla
e come Dio aveva predisposto accuratamente tutto per darcene amplissima possibilità e piangeremo di rammarico. Ma sarà troppo tardi.
Oggi però ancora non è troppo tardi.
ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO