LE MERAVIGLIE DELLA GRAZIA DIVINA
1. E una gran cosa che l’uomo per mezzo della grazia venga innalzato al disopra dell’intera
natura creata. Ma cosa ancora più grande si è che egli sia reso partecipe dell’increata natura divina2
.
O per dir meglio: appunto perché l’uomo, per la grazia, è così sollevato in alto sopra ciò che v’ha di
creato, perché egli è collocato così vicino a Dio, che egli viene, per questa vicinanza, a partecipare
alle prerogative di Dio, come un corpo riceve più luce e più calore dal fuoco a misura che si trova
ad esso più vicino. A questa relazione con Dio accenna S. Pietro (2Pt 1, 4) quando scrive che Egli
«ha donato a noi grandissime e preziose promesse in Gesù Cristo affinché diventiamo partecipi
della natura divina». Secondo la spiegazione unanime dei Santi Padri egli vuol dire con ciò che le
prerogative caratteristiche della natura divina vengono – per quanto è possibile – partecipate, per la
grazia, anche alla nostra natura.
2. I santi ed i teologi più insigni non trovano parole atte ad esprimere l’elevatezza di questo
dono. S. Dionisio scrive: «La santità, o la grazia santificante, è un bene divino, un’immagine
inesprimibile della Divinità infinita, e dell’infinita Bontà (2) in forza della quale noi ci eleviamo ad
una dignità divina per mezzo di una nascita tutta celeste» (3). Il santo martire Massimo (4) scrive:
«A noi è data la divinità, mentre che la grazia penetra potentemente la nostra natura con un lume
celeste, e per la grandezza della sua magnificenza la solleva al disopra del suo stato naturale». In
perfetto accordo con molti altri Padri e Dottori della Chiesa (5), S. Tommaso (6) ci dichiara che per
la grazia noi siamo quasi divinizzati, ed a questo riguardo riferisce le parole stesse del Salvatore
(Gv 10, 34): «Vi dico, voi siete dèi e figli dell’Altissimo».
È facile vedere come ogni espressione sia debole ed inadeguata per spiegare, anche
menomamente, un mistero così grande. I commenti più profondi a noi lasciati dai più grandi geni
della scienza divina non ci appariscono che come la parola balbuziente di un piccolino che vuole
esprimere la sua meraviglia al vedere per la prima volta lo spettacolo del sole che sorge. Però non
dobbiamo stupircene. Basterà una breve considerazione a mostrarci che non può essere altrimenti.
3. Se osserviamo attentamente le varie specie di esseri a noi noti vedremo come ognuna di
esse differisce dall’altra per la sua natura, e come una è più perfetta dell’altra, di maniera che tutte
insieme vengono a formare una scala di molti gradini alla cui cima trovasi Dio solo.
Alcune cose hanno semplicemente l’essere, senza la vita, come le pietre ed i metalli; altre
hanno un certo tal grado di vita, come le piante che di per sé stesse germogliano dalla loro radice e
portano fiori e frutti. Gli animali hanno, in più, sensibilità, intelligenza e moto; l’uomo finalmente
ha anche una vita dello spirito per la quale egli può conoscere ed amare anche le cose immateriali.
Però anche al disopra di lui si eleva il gradino smisurato che porta ai puri spiriti che noi non
possiamo vedere, spiriti di cui ognuno ha la perfezione sua propria. Sopra tutte queste nature si erge
il divino, l’infinito. In paragone del sole divino tutte le creature non sono che tenebre, e se anche
esse rappresentano, in un modo o in altro, le prerogative divine, sono però ben lontane, anche le più
elevate tra esse, dal rappresentarci, in un’immagine anche approssimativa, le perfezioni tutte proprie
di Dio.
4. Questa eccelsa divina natura, per l’infinita potenza del suo insondabile amore, attira a sé –
con la grazia – la nostra natura, l’immerge in sé stesso, come si tuffa il ferro nella fornace ardente.
In modo analogo veniamo noi ad appartenere alla generazione di Dio, come l’aria, illuminata dal
tramonto del sole, diviene essa stessa luminosa; come l’atmosfera, riscaldata dal sole in pieno
meriggio, diviene essa stessa una sorgente di calore.
Se Dio avesse negato agli Angeli lo splendore di questa dignità e l’avesse concessa ad
un’anima sola per la partecipazione della sua grazia, quest’anima, agli occhi delle schiere celesti,
non solo oscurerebbe la bellezza dell’intera natura, compreso il sole, ma anche di tutti gli spiriti
celesti e cagionerebbe a questi un tale stupore da farli inclinare ad adorare quest’anima, come Dio
stesso. L’essere questo dono concesso, non a misura, ma profuso sopra di noi con una magnificenza
regale, quasi direi prodiga, non scema per niente la sua meravigliosa bellezza.
5. Ciò che rende questo dono ancor più prezioso sono gli effetti interni che esso produce. Gli
onori esterni stanno più nell’opinione e nella stima degli uomini che nei pregi personali di colui che
ne è l’oggetto. Così uno può occupare, per volere del sovrano, gli uffici i più altolocati senza per
questo divenire egli stesso più giusto e più degno d’onore. Ma quando la grazia ci partecipa una
dignità divina, essa, non solo ci dona un nome cospicuo, ma in realtà una perfezione di qualità
divina, poiché essa rende l’anima somigliante a Dio in maniera soprannaturale.
«Noi siamo partecipi della natura divina», dice S. Cirillo Alessandrino, «per l’unione col
Figlio e con lo Spirito Santo – non solamente a parole, ma in tutta realtà – noi tutti che crediamo e
siamo divenuti immagine di Dio; poiché noi siamo stati trasfigurati ed elevati a sublime bellezza
sopra tutto il creato. Poiché Cristo ci vien raffigurato in modo inesprimibile, non come una creatura
in rapporto di un’altra» – cioè in quanto che essa imprime nell’altra la sua immagine – «ma come
Dio della natura creata», vale a dire per la divina, immutabile, creatrice attività di Cristo,
infinitamente superiore alla creatura, oppure, come dice il Santo: «mentre Dio, per lo Spirito Santo,
ci trasforma nella sua immagine e ci eleva ad una dignità superiore ad ogni creatura» (1).
Con questo non s’intende naturalmente di voler dire che la grazia faccia l’anima nella sua
essenza simile a Dio, ma si vuole significare, come insegna S. Tommaso (2), che ciò che è in Dio
per essenza, deve considerarsi nell’anima, che per la grazia viene a partecipare dell’amore divino,
come una prerogativa accessoria alla sua natura.
6. I Santi Padri ci spiegano tale mistero con vari paragoni (3). S. Atanasio paragona la
divinità all’ambra e al balsamo i quali partecipano il loro profumo agli oggetti coi quali vengono a
contatto, o ad un sigillo che imprime nella cera molle la propria figura. S. Gregorio Nazianzeno dice
che la nostra natura viene ad essere così intimamente unita a Dio e così partecipe delle sue
prerogative, come una goccia d’acqua che, fatta cadere in un boccale pieno di vino, si cangia in
questo, prendendo il colore, l’odore ed il gusto del vino stesso. S. Tommaso, servendosi della stessa
similitudine di S. Basilio, ci ricorda come il ferro sia in sé stesso rozzo, freddo, nero, resistente. Ma
messo nel fuoco e ben penetrato dal suo ardore diventa esso stesso infuocato e, senza perdere la
propria essenza, appare luminoso, caldo, flessibile e fluido.
7. Noi ben sappiamo come Dio sia in se stesso Luce spirituale purissima e Fuoco di eterno
amore. Non ci sarà quindi difficile comprendere come Dio, quando si abbassa verso la creatura col
suo amore e con le sue perfezioni infinite, Egli, senza cambiar od annientare l’essenza della creatura
stessa, la deve però tutta penetrare del suo calore, della sua luce, della sua santità. E deve farlo in tal
modo che, malgrado la sua bassezza e deficienza, la creatura venga riempita di Dio ed elevata ad
una forma di esistenza assai più sublime, come il poeta ed il musico – questi certamente soltanto in
modo passeggero – nel momento del loro entusiasmo artistico si trovano così penetrati ed innalzati
dal loro ideale che, non sentendo quasi più il fragile vaso della loro carne inferma, sembrano
insensibili a tutto ciò che li circonda, ed isolandosi in mezzo ai loro simili, vedono e ritraggono (sia
col pennello che con la melodia) cose che ben poco hanno che fare con questa nostra vita terrena.
8. Udendo parlare di codesti uomini di genio e delle loro opere, noi sospiriamo, dicendo
senza volere a noi stessi che anche prescindendo dai loro talenti speciali, noi non avremmo certo la
forza di seguirli nelle loro lotte e nelle loro fatiche Poiché sappiamo troppo bene come ciò che un
uomo – anche se dotato di forte ingegno – può compiere di cose grandi che lo rendano celebre,
richiede bene spesso fatiche immani ed un costante rinnegamento di se stesso.
Noi bramiamo la celebrità nella scienza e nell’arte e saremmo pronti a dare qualunque cosa
per conseguirla, se però potessimo farlo con quella facilità con cui possiamo accrescere in noi la
grazia divina!
Quale vergogna! Le prerogative e le bellezze della natura divina le quali, non solo
arricchiscono la nostra natura, ma tutta la penetrano e nobilitano e l’innalzano fino all’infinito, non
ci sembrano abbastanza grandi da meritare il più piccolo sforzo per acquistarle! Ma dov’è dunque il
nostro intelletto e dove la nostra fede cristiana?
Poniamo il caso che potessimo trovare un uomo in cui Dio avesse riunito quanto di più bello
si ritrova nelle creature: che fosse più forte del leone, più bello dell’aurora e dei fiori del campo,
sfolgorante come il sole, più illuminato dei Cherubini, e tutti questi beni se li giocasse per un
nonnulla: chi è che vorrebbe farsi reo di tale volontaria pazzia? Così la stoltezza di Sansone si
palesò in modo più vistoso in proporzione della grandezza della sua forza, la quale egli rivelò ad
una donna bugiarda, commosso dalle sue false lacrime! E noi vendiamo la nostra parentela con Dio,
lo splendore del sole divino, la forza delle virtù divine alla nostra miserabile carne, che è la figlia
della putredine, la sorella e la madre dei vermi!
E qui cerchiamo ora di misurare cosa c’infligge il peccato. Se alcuno viene espulso dal
consiglio del re, non può consolarsi dello smacco ricevuto. E dobbiamo noi non considerare come
grave perdita, come una dolorosa ferita al nostro onore quando noi, per il peccato mortale, non solo
siamo esclusi da ogni rapporto con Dio, ma anche dalla sua famiglia e dalla sua parentela? E ciò
con tutta ragione. Poiché col peccato Dio stesso è messo in dispregio, i rapporti con la sua bontà
infinita sono posti in non cale e questo stesso peccato è in pari tempo il nemico mortale dell’uomo,
del suo onore, della sua ragione, di sé stesso (Tob 12, 10; Pr 8, 36).
Imparino dunque i cristiani ad ammirare e stimare la loro dignità e Colui che ne è l’origine –
il Padre dei lumi – e cerchino con tutto l’amore del loro cuore di abbracciarsi a Lui e di
rassomigliargli!
Se i pianeti potessero avere il senso della loro radiosa bellezza, di quale amore riconoscente
arderebbero verso il sole, conoscendo che è per la luce del sole che essi appariscono così chiari e
luminosi! Il pittore ama il suo quadro, il poeta il suo poema perché per questi egli è divenuto
celebre o ricco. Il principe ama gli antenati della sua prosapia, e se un figlio vuole essere veramente
degno di tal nome amerà suo padre. Infine ognuno ama i suoi simili. E non dobbiamo provare un
simile senso di giusto orgoglio per quella nostra parentela con Dio che ci solleva a Lui dalle
bassezze della terra e c’infonde sentimenti divini?
Dio non permetta che noi cristiani siamo meno illuminati a riguardo di questa nostra eccelsa
dignità di quel che erano i filosofi pagani della dignità umana, al solo lume della ragione! Essi
chiamavano l’uomo un essere meraviglioso, il segnacolo ed il cuore del mondo, la più bella tra le
creature, il re di tutte le cose. Ma se l’uomo già appare così grande al lume della ragione, cosa sarà
egli mai al lume della fede?
Apriamo dunque gli occhi dell’anima nostra e seguiamo il caldo appello di S. Giovanni
Crisostomo: «Vi prego e vi scongiuro, non soffrite che questo magnifico dono di Dio (che abbiamo
ricevuto per la grazia di Cristo) per la sua infinita grandezza venga ad aumentare il debito ed il
castigo contratti per la nostra negligenza!».
M . J . S C H E E B E N