NATALE 1814
Un demonio di nome Gunone
Proseguo quello che ho tralasciato della notte del santo Natale, non solo entrai in quel beato tugurio ad adorare il divino infante, ma quel caro bambinello a sé mi chiamò, e, distese le piccole sue mani, mi degnò di un tenero abbraccio, e nell’abbracciarmi, mi donò una piccola croce: «Prendi», mi disse, «prendi, o mia diletta, questa piccola croce ti renderà certa la grazia da me ricevuta!».
Tre giorni dopo il santo Natale, mi ha preso a perseguitare un certo demonio tanto maligno, chiamato per nome Gunone. Questo non mi fa trovare pace né notte né giorno. Per particolare ispirazione di Dio, con la licenza del mio direttore, ho aggiunto ai voti di castità, povertà, obbedienza, il voto del più perfetto e il proposito di umiltà, come a suo luogo si dirà, ho aggiunto altri cinque propositi. E sono: di esercitarmi quotidianamente nelle sante virtù di mansuetudine, pazienza, mortificazione, silenzio, raccoglimento. Questo maligno demonio, chiamato Gunone, non vuole che mi eserciti in queste sante virtù. Si affatica tuttora di farmi credere che questi miei propositi formeranno il processo della mia condannazione. Mi va dicendo che è somma pazzia farmi rea di quello che a nessun conto lo sarei, e così, in vigore dei propositi fatti, mi faccio rea di gravi colpe, e così invece di fare del bene, faccio del male.
Le parole di costui mi danno a credere che realmente sia così; il mio spirito si affligge, perché nel tempo che si affatica per piacere a Dio, il demonio Gunone mi fa rea davanti al cospetto di Dio, mi parla con tanta eleganza che mi confonde. In questi casi, la povera anima mia ricorre con lacrime e con sospiri al suo Signore, perché si degni illuminare la mia mente, e senza proferire parola a quanto il maligno insidiatore mi va dicendo, con la grazia di Dio, mi armo di pazienza, e soffro tutti quegli insulti che mi va facendo il maligno tentatore di notte e di giorno. A tutte le ore mi si aggira intorno per inquietarmi e frastornarmi, ormai non posso più né mangiare né dormire, né orare, tanto è gravosa la sua persecuzione. Mi fa credere con prove evidentissime che tutte le mie operazioni dispiacciono a Dio; quando pranzo mi si mette in contro in qualche distanza e mi va dicendo: «Tu sei quella che hai promesso di essere mortificata? Oh, bella mortificazione di stare a tavola apparecchiata!».
Beffandomi e deridendomi mi dice: «Ci vuole altro che minestra, pane muffo e radiche di erbe!». Nel sentirmi rimproverare la mia troppa delicatezza, mi pare che dica bene, e non ho più coraggio di mangiare, così passo il pranzo. Tutto il giorno poi mi sta presente per criticare tutte le mie azioni, mi dice: «E lascia andare tanta sottigliezza! vivi alla buona! lascia andare i propositi, che questi ti sono di troppo aggravio!».
Se faccio orazione, mi fa tanti versi con la testa e con le mani, che mi fa girare la testa. Alle volte, quando mi trattengo ad orare, dalla bocca tramanda tanto fumo, che pare una folta nebbia, questo denso fumo mi toglie il lume all’intelletto, la mente resta oscurata dal gran fumo, confusa resta la volontà dalle tante diverse ciarle di questo astuto demonio, che pretende di confondere la povera anima mia, in guisa tale che non sappia distinguere il male dal bene.
Quando vado a riposare mi dice: «Oh, bella mortificazione! ti pare piccolo delitto il tuo, riposare in morbido letto? La nuda terra, lo stagno gelato, questa si chiama mortificazione! Perché non prendi riposo sopra la nuda terra?».
A queste sue parole il mio spirito resta sospeso, e dubita se possa, senza offesa di Dio, andare a riposare. Senza dilungarmi di più, in tutte le mie azioni dubito di offendere Dio, cosicché sono in uno stato di somma afflizione.
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