sabato 30 novembre 2019

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE



Della stima e del prezzo in che abbiamo da tenere le cose spirituali. 


Danno del contrario: esempio di S. Fulgenzio.  

Quindi si conoscerà quanto nocumento possono fare quelli che nei loro ragionamenti e conversazioni non trattano d'altro che d'ingegno, d'abilità e di talenti, e per riguardo a questi vengono a qualificare questo e quello: perché quando i più giovani sentono questo linguaggio nei più vecchi, pensano che questo è quello che occorre e quello che qui si stima, e che per questa via hanno ad avanzarsi e a distinguersi e a farsi stimare per qualche cosa: e così drizzano la mira a questo segno, e va crescendo in essi il prezzo e la stima di quel che concerne lettere, abilità ed ingegno; e va diminuendo il prezzo e la stima di quel che concerne virtù, umiltà e mortificazione. E mentre vanno stimando poco questo, in paragone di quello, si fanno animo di mancare più tosto in questo che in quello; onde vengono molti a rilassarsi nello spirito e a guastarsi affatto, e poi anche a mancare alla religione. Meglio sarebbe discorrer con loro, quanto importante e necessaria sia la virtù e l'umiltà, e quanto poco giovino, senza essa, le lettere e le abilità, o per dir meglio, quanto siano nocive; e non ingenerare in essi, con questi ragionamenti, desiderio d'onore, di campeggiare e d'esser tenuti per uomini di bell'ingegno e di gran talento; il che suol essere il principio della loro rovina. 
 Il Surio nella vita di S. Fulgenzio abate apporta un esempio molto buono a questo proposito; dicendo che questo santo prelato, quando vedeva che alcuni dei suoi religiosi erano da un canto assai operosi e faticanti, e non cessavano in tutto il giorno di servire e di aiutare la casa; ma dall'altro canto non erano nelle cose spirituali tanto diligenti, e che nella loro orazione, lezione e raccoglimento spirituale non mettevano tanta cura; non li amava né li stimava tanto, né gli pareva che di ciò fossero meritevoli. Ma quando vedeva alcuno molto affezionato alle cose spirituali e molto sollecito del suo profitto, benché, per altra parte, non potesse faticare, né servire in cosa alcuna la casa, per esser debole ed infermiccio; a questo tale dice che portava particolar amore, e lo stimava molto (SURIUS, in Vita S. Fulg. § 30). E con ragione; perché, a che serve che uno abbia parti e talenti grandi, se non è ubbidiente e rassegnato e se il Superiore non può far di lui quel che vuole? E specialmente, se per sorte piglia da ciò occasione di prendersi qualche libertà e di volere qualche esenzione? Meglio sarebbe stato che mai non avesse avute quelle abilità e quei talenti. Se il Superiore avesse da render conto a Dio, se ha tenuto in casa gente molto attiva e faticante e di grandi abilità, la cosa camminerebbe; ma egli non ha da render conto di questo; lo ha bensì da rendere della cura da lui tenutasi, che i suoi sudditi facessero profitto nello spirito e andassero giornalmente crescendo in virtù; che, secondo le forze e talenti dati dal Signore a ciascuno, s'impiegassero nei ministeri ed uffici loro, non perdendo per ciò punto del loro profitto: e di questo medesimo dimanderà anche Dio conto al suddito. «Certo è, dice il pio Tommaso da Kempis, che venendo il dì del giudizio, non ci sarà domandato che cosa avremo letto, ma che cosa avremo fatto; né quanto bene avremo parlato, ma quanto religiosamente saremo vissuti» (De imit. Christi, l., c. 2, n, 5). 

ALFONSO RODRIGUEZ 

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