martedì 30 marzo 2021

“Il corpo è l’indumento dell’anima e questa ha una voce che è vita, per questo è opportuno, è bene, che il corpo insieme all’anima per mezzo della voce canti le lodi di Dio”.

 


ILDEGARDA  DI  BINGEN


La preghiera

La preghiera non consta in molte parole, abbiamo già detto. Seguendo la Regola, dice: “…non in multiloquio sed in puritate cordis ed in compunctione lacrimarum”, non in molte parole, ma nella purezza del cuore e nella compunzione delle lacrime. In questa attitudine veniamo esauditi, troviamo ascolto presso Dio e comunichiamo con lui. Trovo molto importante il verbo audire, che significa qui esaudire, vale a dire, Dio, che ci sembra lontano, non lo è in realtà e ci sente e ci risponde con precisione. Anche la parola ”obbedienza” non significa altro che stare attenti ad ascoltare quello che un altro ci dice. L’obbedienza significa appunto, come dicevo prima, quell’attitudine di apertura all’altro che ci sta di fronte. L’obbedienza non è una virtù militare, è molto umana, dove manca l’obbedienza, l’attenzione per ascoltare l’altro,  manca ogni possibilità di comunicazione veramente umana. Il corpo e l’anima, l’intelletto e gli affetti devono prendere parte nella preghiera liturgica, che è un atto di tutta la persona e non soltanto dello spirito. Qui, l’importanza dell’atteggiamento nella preghiera. La preghiera liturgica porta ad una pietà, ad un essere pio, che non manca di austerità e, aggiungerei, di stile. È la preghiera che si esprime con dignità, compostezza, bellezza. Così sono le preghiere formulate da Ildegarda.

Quando, nelle orazioni della liturgia, si parla di “pia devozione”, l’espressione deve essere intesa per quello che vale. Non ha in sé nulla di sentimentale, che non significa che si escluda il sentimento. Devotio, la devozione, significa dedizione completa, non è un “atteggiamento pio”. La

pietas, la pietà, significa il rapporto di amore verso i genitori, verso la terra natia, che ci ha dato quello che siamo. Devotio, devozione, significa l’offerta di se stessi e la pietà è l’amore devoto in un rapporto naturale e religioso. La pietà liturgica è per Ildegarda, come per la Regola di San Benedetto, il personale rapporto dell’uomo con Dio, che trova la sua espressione nel culto, per cui l’intima convinzione e l’atto esterno, il gesto, la parola, l’atteggiamento, sono ugualmente importanti. La liturgia è la pietà della Chiesa e per questo riveste una grande importanza per Ildegarda, come, del resto, per noi ed in ogni tempo. È qualcosa di grande e solenne. L’ufficio divino è al centro della vita benedettina e Ildegarda è una figlia di San Benedetto. Nella sua spiegazione della Regola commenta i capitoli che lo trattano. La celebrazione del divino Ufficio è un servizio di lode al Creatore e va fatta in “voce di giubilo”, umilmente e devotamente. È un servizio angelico, perché l’uomo, per la lode che dà a Dio, è pare agli angeli, mentre con le opere sante, che cerca di fare, risponde alla sua vocazione, in quanto uomo. Con la lode di Dio e con le opere, l’uomo rivela le meraviglie di Dio, per questo ne è l’opera perfetta, plenum opus Dei.

Ildegarda scrive più di settanta canti per la preghiera in coro, versi e musica. Due manoscritti tramandano queste composizioni, la raccolta completa, la Riesenkodex, il “Codice gigante” di Wiesbaden, e una gran parte dei canti, ma non tutto il Codice nono di Dendermonde, nelle Fiandre. Questi canti non sono ordinati secondo i tempi dell’anno liturgico, come di solito nelle raccolte gregoriane, ma secondo il contenuto. Si tratta di antifone, responsori, inni, sequenze in lode della Trinità, dello Spirito Santo, di Maria, degli angeli, di alcuni santi, particolarmente venerati nella regione, per esempio, Sant’Ursola, San Martino, San Disibodo e alcuni santi di Treviri, Sant’Eucario, San Mattia. Anche in queste composizioni Ildegarda è originale. I richiami scritturali sono frequenti, senza mai essere delle vere e proprie citazioni. Il pensiero si esprime in sempre nuove immagini e simboli. La parte melodica, pur non essendo del tutto estranea ai modelli del tempo, supera, nell’ampiezza degli intervalli, quella caratteristica del canto gregoriano. Ildegarda definisce l’uomo con varie espressioni. La più bella, la più onorevole al parere mio è la seguente:

“L’uomo è il collaboratore di Dio, in quanto porta a compimento l’opera, è operarius Dei”. In molti diversi campi lavora l’uomo. In quale più che in ogni altro egli diventa collaboratore? L’uomo collabora con Dio quando realizza armonia. Armonia è un accordarsi, un concordarsi, un convenire, un venire insieme di realtà diverse in giuste proporzioni. L’armonia è il contrario di monotonia, un tono solo, dove tutti pensano nella stessa maniera, dove non si può dire una cosa diversa senza essere considerati come nemici.

Sentiamo quello che Ildegarda ci dice a proposito, ne fa una specie di storia: “Adamo aveva in principio una voce che suonava come quella degli angeli, ma la perdette quando fu cacciato dal bel paradiso, tutto luce. Perché il ricordo della beatitudine e la gioia primitiva del paradiso perduto non venisse pur essa dileguarsi, Davide e i profeti composero canti. Non solo, ma inventarono pure strumenti, che con il loro suono li accompagnassero. Il senso delle parole, il suono degli strumenti, la forma e le particolarità degli strumenti stessi commuovono l’uomo nell’intimo, fanno emergere in superficie quanto è nascosto nel suo interno e di cui in parte egli non ne è conscio, suscita quasi la nostalgia della primitiva situazione in paradiso. La musica suscita il ricordo dell’armonia dell’origine, degli inizi”. La musica è anche per questo importante, per Ildegarda, perché quando parliamo di arte in generale, diremmo che la musica è la più spirituale di tutte, invece la più spirituale è l’architettura. La musica invece è quella che più parla al corpo. La musica muove il corpo e il corpo muove l’anima. La musica ha origine in paradiso e unisce a Dio. Dove Dio è presente, c’è armonia. Chi conosce e vive nel mondo della musica è portato all’armonia. Lucifero e i suoi seguaci non possono più cantare. Dove appaiono loro, l’armonia scompare.

Ogni forza che distrugge ha la sua origine dal negatore di Dio. Dagli effetti della distruzione si può conoscere chi è l’autore dell’opera. L’armonia regnava al principio del mondo e l’armonia regnerà alla fine.  Alla fine tutto quello che è terreno scomparirà. Le diversità che distinguono e dividono gli uomini non serviranno più a separare, ma ad unire. Ogni uomo, ogni voce, conserverà il suo suono e la diversità si comporrà in un’unità che è armonia. Il libro dello Scivias chiude la storia del mondo, la storia della salvezza che dalla caduta di Adamo trova il suo nuovo inizio con la venuta di Cristo, per giungere al pieno compimento con la seconda venuta. Dopo le drammatiche descrizioni degli ultimi tempi, chiude dunque lo Scivias con la visione dell’armonia finale, tra tutti gli uomini in unanimità e concordia. Armonia non è solo da sperarsi nel futuro, ma può realizzarsi già nel presente, se l’uomo è disposto a farlo. L’uomo risulta da corpo e anima, e la voce dell’anima è voce di vita. Cito Ildegarda: “Il corpo è l’indumento dell’anima e questa ha una voce che è vita, per questo è opportuno, è bene, che il corpo insieme all’anima per mezzo della voce canti le lodi di Dio”.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

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