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martedì 5 maggio 2020

Chi è don Luigi Villa?



Ancora minacce di morte…  e un “processo”

Nel numero 248 di “Chiesa viva” del febbraio 1994, don Villa pubblicò un articolo dal titolo: “P.D.S. scopriamo le carte!” del quale io fui co-autore. Era un attacco al comunismo e una denuncia delle sue origini massoniche, o meglio, dimostrava che il Comunismo non è altro che una versione politica del programma segreto del satanico Ordine degli Illuminati di Baviera di annientare la Chiesa cattolica e la Civiltà cristiana.

Di questo articolo, don Villa volle farne un dossier col quale volantinare intere città d’Italia.
E così facemmo.
Il 26 febbraio 1994, volantinammo la cittadina piemontese di Ivrea. Il problema fu che, nel testo, erano riportati i dati della “Lista Pecorelli” di appartenenza alla Massoneria di alcuni Prelati, tra i quali figurava il Vescovo di Ivrea, mons. Luigi Bettazzi. Infuriatosi per il volantinaggio nella sua diocesi, mons. Bettazzi dichiarò subito alla stampa che avrebbe querelato i due autori del dossier. Poi, cambiò idea e querelò soltanto don Luigi Villa.
A Brescia fu fermento. Molti preti pensarono che, finalmente, era arrivata l’ora di mettere a tacere quel don Villa che, oltre a “insultare” Vescovi come Bettazzi, proprio nei recenti numeri di “Chiesa viva” n. 246 e 247, aveva pubblicato anche un articolo fortemente critico sull’intervista dell’Arcivescovo di Milano, card.

Carlo Maria Martini, apparsa su “The Sunday Times” del 26 aprile 1993.
Molti erano ansiosi e in attesa del momento in cui, finalmente, sarebbe stata fatta “giustizia”!
La data del processo fu fissata per il 31 gennaio 1995, presso il Tribunale di Brescia.
Come se ciò non bastasse, sui “Chiesa viva” 254 e 255, di settembre e ottobre 1994, don Villa pubblicò un altro articolo critico su una nuova inter-vista che il card. Carlo Maria Martini aveva fatto a “Le Monde” e pubblicata il 4 gennaio 1994.
A Brescia, l’atmosfera era rovente e in fermento. Lo stesso mons. Bettazzi soffiava sul fuoco e, in data 30 novembre 1994, scriveva a don Villa
una lettera dai toni duri, nella quale, tra l’altro, chiedeva una “doverosa e congrua riparazione per rifusione dei danni”, e in cui affermava di essere rammaricato di “continuare una vertenza spiacevole”…

Il fatidico giorno del 31 gennaio arrivò, ma nulla accadde! I preti di Brescia rimasero interdetti e non riuscirono a spiegarsi come un processo tanto sospirato e tanto dato per scontato dalla stampa avesse potuto avere un esito così imprevedibile e deludente. Io, però, mi ricordo che, verso la fine dell’anno 1994, don Villa mi chiese di battergli una lettera indirizzata al Segretario di Stato, card. Angelo Sodano, in cui diceva che non aveva nessuna intenzione di farsi “suicidare”, e che avrebbe fatto i nomi di tutti i Cardinali…
Subito dopo, l’avvocato di don Luigi fu contattato dall’avvocato di mons. Bettazzi perché il Vescovo di Ivrea desiderava ardentemente di essere ricevuto da don Villa.

L’incontro avvenne i primi di gennaio e, appena entrato nell’ufficio di don Luigi, Mons. Bettazzi gli chiese di consentirgli di ritirare la denuncia.
Il colloquio durò più di un’ora…
In seguito, con una lettera, datata 9 gennaio 1995, mons. Bettazzi ringraziava don Villa di averlo ricevuto e diceva di “essersi reso conto della sua buona fede” aggiungendo la frase: «... ritengo conveniente fare quello che avrei voluto fare subito, cioè ritirare la denuncia…» e terminava la lettera con le parole: «E… arrivederci in Paradiso, dove potrà finalmente accertare che, tra le mie colpe, non c’è assolutamente quella di aver aderito alla massoneria».
Ma don Villa non era ancora in Paradiso, e quindi, in data 28 marzo 1995, scrisse una lettera al Segretario di Stato, card. Angelo Sodano, con la quale chiedeva la rimozione di mons. Bettazzi dalla diocesi d’Ivrea, elencando 11 gravi motivazioni, aggiungendo le prove dell’appartenenza alla Massoneria del Vescovo di Ivrea e dimostrando che l’opera di mons. Bettazzi, quale Presidente di “Pax Christi International”, era tesa alla realizzazione di quel piano satanico, che oggi si chiama “New Age”, che prevede la distruzione della Chiesa cattolica e della Civiltà cristiana.
Mi sono sempre chiesto se questo “processo-farsa” di mons. Bettazzi avesse qualcosa a che fare con gli articoli pubblicati da don Villa sulle interviste del card. Martini, ma l’unico elemento, in merito, che mi ricordo, è che, un giorno, don Villa mi mostrò un libro in cui vi era scritto che, se il card Martini fosse diventato Papa, il suo Segretario di Stato, con tutta probabilità, sarebbe stato mons. Luigi Bettazzi.

In seguito, per mesi, volantinammo intere città col dossier “P.D.S. scopriamo le carte!”, ma l’effetto fu anche quello di ricevere minacce di morte.
A me arrivò una cartolina sulla quale appariva una “Stella a 5 punte” ed una minaccia di morte; la cartolina fu seguita da altre minacce che mi giunsero per telefono e per fax.

In quel periodo, agli articoli pubblicati da “Chiesa viva” sulle interviste del card. Martini al “The Sunday Times” e a “Le Monde” seguirono relativi dossier e un’ampia distribuzione.
Nel gennaio 1996, uscì un altro articolo critico, con relativo dossier, sul libro del card. Martini: “Israele radice santa”, in cui il Cardinale incoraggiava i cattolici a leggere il Talmud.

Il 19 dicembre 1998, l’anziano vescovo mons. Bruno Foresti, fu sostituito da mons. Giulio Sanguineti, già Vescovo di La Spezia-Sarzana, e prima ancora di Savona.
Mons. Sanguineti, ancora molto giovane, era stato nominato Vicario Generale dal suo Vescovo di Chiavari, mons. Luigi Maverna il cui nome appare nella “Lista Pecorelli”, con data di iniziazione: 3/6/1968, Numero di matricola: 441/c, e Sigla: LUMA.
Il 6 febbraio 2000, don Villa pubblicò il libro: “Si spieghi Eminenza!” che metteva alle strette l’Arcivescovo di Milano, card. Martini, il quale, per parare il colpo, coinvolse il Vescovo di Brescia, mons. Sanguineti, in un maldestro tentativo di difesa. Il Vescovo scrisse una lettera personale datata 7 marzo 2000 al Cardinale, contro don Villa.
Senza provare l’esistenza di un benché minimo errore contenuto nel libro, la lettera denigrava don Villa per i suoi scritti su Paolo VI e usava frasi generiche ed offensive, quali: “campagne denigratorie”, “interpretazioni a senso unico e radicalizzate”, “procedura per nulla civile”, “lacerazione della carità”, “esasperate tendenze conservatrici e preconciliari”… Alla fine, mons. Sanguineti prometteva al Cardinale: «.. ci impegniamo ad arginare il più possibile e a combattere con i mezzi consentiti questo rigurgito di orgogliosa supponenza e nel sentirsi detentori della verità».
Non abbiamo mai saputo se la lettera doveva rimanere riservata. Il Cardinale la pubblicò sul Bollettino ecclesiale, rendendola così di pubblico dominio al clero milanese.
Allora, mons. Sanguineti chiese un incontro personale con don Villa. Durante questo colloquio, poiché l’argomento dell’infiltrazione massonica nella Chiesa ebbe un riferimento anche al Vescovo, mons. Sanguineti scattò: «Ma Lei crede che io sia massone?». «Sì, certamente», rispose don Villa, presentandogli, come elemento, il fatto che Lui era stato fatto Vicario Generale dal Vescovo massone mons. Maverna (che fu poi cacciato dalla sua diocesi proprio per un intervento di don Villa), e poi il fatto di averlo saputo direttamente da una fonte autorevole in campo massonico. Il Vescovo non reagì, ma andò in un’altra stanza per far sbollire la sua ira, tornando, poi, ricomposto. Comunque, don Villa ricevette una copia della lettera, scritta dal Vescovo, da un laureato di Milano che lo informò anche sulla vasta diffusione, in diocesi.
Questa lettera si meritò una doverosa “Risposta”, che giunse con quattro articoli di don Villa, di un noto gesuita, di un famoso avvocato di diritto internazionale e di un Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione. La Risposta, pubblicata su “Chiesa viva” fu anche stampata come dossier.

Ormai, il colpo di grazia non poteva più essere procrastinato. Nell’ottobre 2000, don Villa inviò ai vertici della Chiesa e dell’Ordine gesuita una busta, contenente documenti, riguardanti il card. Carlo Maria Martini, di tale gravità, per il loro contenuto, da porre fine alla carriera del Cardinale a Milano. I documenti erano accompagnati da una lettera, firmata da don Villa e dal sottoscritto, con la quale si avvisavano i destinatari che, se fosse successo qualcosa alla famiglia di chi ci aveva fornito testimonianze e documenti, oppure alla mia famiglia, il contenuto della busta che era già in mano a decine di persone fidate, sarebbe stato consegnato alla Magistratura ed ai Carabinieri, e il primo ad essere indagato sarebbe stato il card. Carlo Maria Martini.

In quel periodo, mons. Sanguineti non si mostrò solo accondiscendente nei confronti del card. Martini, ma anche nei confronti del suo “Responsabile capo”, card. Camillo Ruini.
Molti furono gli articoli scritti su “Chiesa viva” contro il Movimento ereticale dei Neo-catecumenali, il cui Protettore ufficiale era proprio lui, il card. Camillo Ruini, l’uomo più potente del Vaticano.
Trascorso da poco il suo primo anno di Vescovo di Brescia, mons. Sanguineti ebbe un incontro ufficiale, il 19 dicembre 1999, al Palazzo dello Sport di San Filippo, in città di Brescia, con le comunità Neo-catecumenali della diocesi della Lombardia, di Verona, Piacenza e Fidenza, in cui egli ebbe parole di incoraggiamento per questo Movimento ereticale.
Pochi mesi dopo, il 13 maggio 2000, don Villa pubblicò un libro dal titolo: “ERESIE nella dottrina neo-catecumenale”, contenente le 18 principali eresie del Catechismo segreto di di Brescia, il 23 settembre 2007, egli consacrò la prima chiesa del terzo Millennio della diocesi. La chiesa, che poi risultò essere un Tempio massonico-satanico, sorge in un posto incantevole, ai piedi della collina di Padergnone, una frazione di Rodengo Saiano, ed è nota per la strana forma a spirale del muro esterno di pietra che la circoscrive.

a cura dell’Ing. Franco Adessa

sabato 18 aprile 2020

Chi è don Luigi Villa?



Benelli, Casaroli, Ruini

Mons. Giovanni Benelli fu, prima, Pro-segretario di Stato, poi, dal 1977 Vescovo di Firenze e, subito dopo, fatto Cardinale. Dopo la morte di Paolo VI, aveva tentato di essere eletto Papa, ma fu invece eletto il card. Siri, il quale, per le terribili minacce fatte dallo stesso card. Benelli, dovette desistere. E così, come compromesso, fu eletto il card. Luciani, col nome di Giovanni Paolo I.
Ma dopo 33 giorni di regno, Giovanni Paolo I fu ucciso.
Fu lo stesso don Villa a chiedere al card. Palazzini di far fare un’auto psia al Papa, e per essere più convincente, radunata la stampa di Roma, ventilò il dubbio di un assassinio. Il card. Palazzini, allora, fece eseguire tre autopsie, che furono chiamate “visite mediche”. Il risultato di tutte e tre fu: “Assassinato”!
La pubblicazione della “Lista Pecorelli” troncò la candidatura del card. Casaroli; e dopo un altro scontro tra Benelli e Siri, dopo la morte di Luciani, fu eletto il card. Karol Woytjla. Con la morte del card. Giovanni Benelli, avvenuta nel 1982, l’uomo più potente in Vaticano era il card. Agostino Casaroli.


Ma “Chiesa viva” aveva ancora dei validi e coraggiosi collaboratori; infatti, a fianco di quelli che abbandonavano la battaglia, vi erano anche personaggi che, malgrado la loro elevata posizione in Vaticano, si dichiaravano apertamente collaboratori della Rivista e difensori di don Villa.
Uno di questi fu mons. Nicolino Sarale, che lavorò in Segreteria di Stato dal 1978 al 1995, anno della sua morte. 
Mons. Sarale, per “Chiesa viva”, scrisse libri e quattro cicli completi di Omelie per Sacerdoti e, negli ultimi anni della sua vita, tenne la rubrica: “Osservatorio Romano”, in cui denunciava la crescente crisi interna della Chiesa.
Mons. Sarale non era solo un collaboratore, ma anche la “sentinella” di don Villa in Segreteria di Stato, e gli scrisse lunghe lettere sulle questioni più delicate e scottanti della Chiesa. Egli era un uomo limpido e coraggioso: ogni mese riceveva 50 copie di “Chiesa viva” che diffondeva anche in Segreteria di Stato. Egli aveva il coraggio di difendere don Villa di fronte ad alti Prelati, e persino di fronte al Papa.
Alcuni anni dopo la morte di questo carissimo amico di don Luigi, mettendo insieme varie frasi udite dal Padre ed altri articoli letti sui giornali, riuscii a farmi un’idea sulla strana morte di Mons. Sarale, avvenuta il 27 settembre 1995.

Un giorno, don Villa mi raccontò di una sua visita a mons. Sarale, il quale, parlando della sua salute, gli accennò ad una sua malattia alle ginocchia e di certe iniezioni che il medico gli faceva in quelle parti del corpo.
Don Luigi aggiunse di aver ottenuto da lui l’involucro della confezione di queste iniezioni e di averle mostrate al suo medico, il quale, dopo aver associato la malattia del Monsignore alle iniezioni che gli venivano praticate, esclamò: «Ma queste iniezioni provocano il cancro!».

Difatti Mons. Sarale morì a seguito di una operazione che si era resa necessaria per poterlo salvare da un cancro, che si era sviluppato allo stomaco, con una rapidità impressionante. Dopo la morte di mons. Sarale, sui giornali, scoppiò lo scandalo del medico di Giovanni Paolo II, il quale - si diceva - era riuscito ad arrivare fino a quella posizione senza alcun concorso, e che, dopo lo scandalo, si defilò. Era quello lo stesso medico che aveva praticato le iniezioni alle ginocchia di mons. Nicolino Sarale?

Gli anni 1990, sulla scena del Vaticano, videro il ritiro del card. Agostino Casaroli da Segretario di Stato, il declino del card. Ugo Poletti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e Vicario di Sua Santità, e la contemporanea ascesa di mons. Camillo Ruini.
I cardinali Casaroli e Poletti, entrambi massoni, figurano nella “Lista Pecorelli” con tanto di data di iniziazione, di Numero di matricola e di Sigla.
Il card. Casaroli era l’alfiere della politica filo-comunista di Paolo VI,
chiamata “Ostpolitik”, e dalla sua carica di Segretario di Stato, a fianco di Giovanni Paolo II, era l’uomo più potente del Vaticano, che aveva, come secondo, solo il card. Ugo Poletti, il quale aveva fatto una carriera fulminea, con Paolo VI, per una ragione molto particolare.
Divenuto Arcivescovo di Milano, mons. Montini prese la decisione di chiudere e spostare altrove “Il Popolo d’Italia”, un giornale ben consolidato, e pubblicato dalla Diocesi di Novara. L’arcivescovo di Novara, mons. Gilla Vincenzo Gremigni, protestò perché questo atto non era di giurisdizione dell’Arcivescovo Montini. Ai primi di gennaio 1963, solo sei mesi prima della sua elezione al papato, Montini inviò all’Arcivescovo di Novara una lettera di tale contenuto che, al leggerla, Gremigni ebbe un attacco di cuore e morì. La lettera fu trovata dall’Ausiliare, mons. Ugo Poletti, il quale la custodì per sè.  Quando Montini divenne Papa, il fantasma dell’Arcivescovo Gremigni lo seguì nella persona di mons. Poletti.

Nel 1967, la stampa italiana ricevette l’informazione che la morte dell’Arcivescovo Gremigni aveva a che fare col nuovo Papa. 
Subito dopo, Poletti ebbe una serie di miracolose promozioni da parte di Paolo VI: Vescovo di Spoleto (1967), Vicereggente di Roma, e cioè il più stretto collaboratore del card. Angelo Dell’Acqua (Segretario di Stato e Vicario del Papa) (1969), Cardinale (1973), Vicario del Papa (1973), Presidente della CEI (1985). Già nel 1986, mons. Camillo Ruini era diventato il pupillo del card. Poletti come suo Segretario della CEI, ma pochi anni dopo, nel 1991, mons. Ruini fu proiettato al vertice del potere vaticano; in rapida successione, egli fu nominato: Cardinale, Vicario del Papa e Presidente della CEI, mantenendo questi ultimi due titoli per molti e, forse, troppi anni.
Nel 1991, il card. Camillo Ruini era diventato l’uomo più potente del Vaticano.
Lo stesso anno 1991, don Villa iniziò a pubblicare, su “Chiesa viva”, una lunga serie di articoli sul movimento Neo-catecumenale, fino a quando, il 13 maggio 2000, questi furono raccolti e pubblicati in un libro, dal titolo: “Eresie nella dottrina neo-catecumenale” che denunciava le 18 eresie di questo Movimento, diretto da Francesco Argüello, detto “Kiko” e della sua compagna, una ex suora, di nome Carmen Hernandez.
Di sicuro, questi attacchi non piacquero al card. Ruini, poiché era proprio lui il Protettore ufficiale di questo Movimento ereticale.

a cura dell’Ing. Franco Adessa

venerdì 27 marzo 2020

Chi è don Luigi Villa?



Alcuni tentativi di assassinio

Per mettere a tacere un Sacerdote come don Villa, però, esisteva un solo metodo sicuro: l’eliminazione fisica.
Infatti, la sua vita fu costellata da sette tentativi di assassinio.
Ne cito tre, brevemente.

1° Don Villa stava tornando da Roma a Brescia in macchina. Poco prima di Arezzo, la strada, sulla destra, rasentava uno strapiombo di almeno 100 metri. In quel tratto, egli si accorse di essere seguito da una macchina che poi lo affiancò, obbligandolo, a poco a poco, a portarsi sul ciglio della strada. Che fare? Don Villa vedeva ormai la morte davanti a sé. In quel momento, però, sopraggiunse una macchina della polizia. Don Villa suonò il clacson per richiamarla, ma la macchina che lo fiancheggiava accelerò e sparì.
Il Signore lo aveva salvato da morte certa!.. Quell’incidente don Villa lo raccontò, poi, al card. Palazzini, alla presenza del Professor Luigi Gedda, il quale esclamò: «Ma allora, siamo in guerra!».

2° Don Villa si stava recando, in macchina, da un suo sacerdote amico, don Berni, parroco a Corlanzone, presso Lonigo (Vicenza). Uscì dal casello dell’autostrada e si avviò sulla statale che lo avrebbe portato a destinazione. Improvvisamente, gli si bloccarono gli arti, mani e gambe, e si sentì paralizzato. Chi gli aveva dato narcotici?.. Ad una curva della strada, don Villa, sebbene ad occhi aperti, vide la macchina andare dritta in un prato che costeggiava un canale largo 6-7 metri e profondo due, con acqua e molta melma. Egli vedeva tutto come in un sogno, senza essere in grado di agire. I suoi arti restavano paralizzati. Ormai, continuando la corsa, la macchina, si trovava a pochi metri dal canale... ma a pochi centimetri dall’orlo, improvvisamente, il motore dell’auto si bloccò di colpo. Fu un grande miracolo! Pochi secondi ancora ed egli sarebbe caduto nel canale e sparito sul fondo, con la macchina che gli avrebbe fatto da bara.
Con l’improvviso blocco dell’automobile, don Villa ebbe come un risveglio e uscì dalla macchina. Egli si vide circondato da parecchia folla e un Vigile urbano gli propose di portarlo all’ospedale. Don Villa rifiutò, risalì in macchina e ripartì.

3° Dopo diversi mesi, don Villa fece visita ad un suo “amico” sacerdote e, dopo il pranzo, terminato con un caffè, tornò a casa. Durante il viaggio, però, cominciò a sentirsi male; arrivato a casa, era in tali condizioni di salute che fu chiamato subito il suo medico. La diagnosi fu: “avvelenamento”. Il medico gli disse: «Le hanno dato un caffè avvelenato?». Comunque, nell’arco di alcuni giorni, il me dico riuscì a far uscire don Villa dal pericolo di morte.
Dopo alcuni anni, accompagnando don Villa da un suo conoscente altolocato e molto ferrato sul problema dell’infiltrazione massonica nella Chiesa, assistetti ad un loro colloquio sulla questione della “Lista Pecorelli”, che era stata pubblicata da “Chiesa viva”
proprio alcuni mesi prima del tentato avvelenamento. Sentii uno dei due ricordare le parole pronunciate dal card. Silvio Oddi a proposito di questa “Lista”. Il Cardinale aveva detto:
«È una lista tutta da una parte».
L’altro, invece, disse: «La Lista Pecorelli è la Lista di tutti gli uomini del card. Agostino Casaroli» e ag giunse: «Casaroli è il Capo di quattro Logge massoniche in Vaticano».
Poi, seguì una frase che mi fece comprendere il vero significato della pubblicazione di quella “Lista” da parte dell’avvocato Mino Pecorelli, egli stesso membro della Loggia P2 e Direttore della Rivista “OP” (Osservatore Politico) che, il 12 settembre 1978, l’aveva pubblicata. 
Uno dei due interlocutori disse: «La “Lista Pecorelli” è stata fatta pubblicare dalla Massoneria stessa per fermare l’ascesa al Papato del card. Agostino Casaroli».
Infatti, il discorso proseguì con la considerazione che il card. Casaroli era talmente potente in Vaticano che solo la Massoneria avrebbe potuto fermarlo, se non fosse stato da lei prescelto come Papa.

a cura dell’Ing. Franco Adessa

sabato 7 marzo 2020

Chi è don Luigi Villa?



La Rivista “Chiesa viva”

Per combattere la battaglia che Padre Pio gli aveva affidato, a don Villa serviva una Rivista, che però fosse libera da pressioni o soppressioni ecclesiastiche. 
Mons. Bosio gli suggerì di iscriversi all’Ordine dei giornalisti e fondare una rivista sua personale, in modo che le Autorità ecclesiastiche non potessero, in qualche modo, farla fallire. Don Villa, allora, si iscrisse all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, prendendo la tessera numero 0055992. A quel tempo, al suo attivo, aveva già una trentina di pubblicazioni (teologiche, ascetiche, letterarie, politiche) e oltre un migliaio di “articoli” già pubblicati su riviste e quotidiani.

Nel 1971, don Villa fondò la sua Rivista “Chiesa viva”, con corrispondenti e collaboratori in tutti i continenti. Il primo Numero uscì con la data “Settembre 1971”.
Pochi mesi dopo, il 14 dicembre 1971, a Vienna, don Luigi ebbe un incontro personale col card. Joseph Mindszenty, il quale dopo essere sta to umiliato e degradato da Paolo VI,
per non avere voluto tendere la mano al comunismo, aveva lasciato Roma. Il Cardinale lesse interamente il primo numero di “Chiesa viva” e ne fu tanto entusiasta che pose la sua firma sulla copia che aveva letto e, al termine dell’incontro, dopo due ore e mezzo di un suo appassionato e illuminante colloquio, disse a don Villa: «Mi creda: Paolo VI ha consegnato interi Paesi cristiani in mano al comunismo!»…

Il 24 settembre 1971, “il Messaggero Abruzzo” riporta un articolo dal titolo: “L’Arcivescovo (Capovilla) va in pensione”. Dalle casse della diocesi erano spariti circa cento milioni di lire, e mons. Capovilla aveva pubblicamente insinuato che la colpa era da attribuire al Vescovo precedente, mons. Giambattista Bosio. Allora, il Prefetto e il Capo dei Carabinieri comunicarono a Paolo VI che, se entro tre giorni, mons. Capovilla non fosse stato rimosso dalla diocesi di Chieti, loro lo avrebbero incriminato e messo in galera. Così, mons. Capovilla fu trasferito a Loreto.

Ma la guerra a don Villa continuava. Fu il Pro-segretario di Stato di Paolo VI, il massone mons. Giovanni Benelli, che coniò ufficialmente la nuova strategia di guerra contro don Villa.
Nelle riunioni coi suoi collaboratori, parlando di don Luigi, Benelli era solito dire: «Bisogna far tacere quel don Villa»! Ma quando qualcuno obiettava: «Eminenza! bisogna però dimostrare che sbaglia!», il Cardinale, irritato, rispondeva: «E allora, ignoratelo e fatelo ignorare!».

Ma questo non bastava, la voce di don Villa era la sua Rivista “Chiesa viva”, e questa “voce” doveva essere messa a tacere.
Se la Rivista non fu attaccata subito frontalmente, lo si dovette al fatto che il Vice Direttore di “Chiesa viva” era il famoso filosofo tedesco ed ebreo convertito, prof. Dietrich von Hildebrand, che Paolo VI conosceva bene, ma altrettanto temeva.
Allora, si cominciò con i collaboratori-teologi, che don Villa aveva già in attivo per “Chiesa viva”. Mons. Benelli scrisse una lettera a ciascuno di essi, perché cessassero la collaborazione con don Luigi, il quale seppe di questo intervento della Santa Sede, solo perché uno dei suoi collaboratori lo informò subito di quest’ordine ricevuto dall’alto.
Così, si fece la terra bruciata intorno a “Chiesa viva”!
I nemici di don Villa, con la complicità di quel clero che preferisce il quieto vivere ai fastidi di non adeguarsi subito alla “linea di pensiero” che viene “suggerita” o “imposta” dall’alto, iniziarono un’altra strategia: la calunnia.
Così, don Villa divenne “lazzarone”, “matto”, “fascista”, “anti-semita”, “fuori della Chiesa”, “eretico”, “sacerdote di esasperate tendenze conservatrici e preconciliari”, “un laceratore della Carità che apre la strada alla diffamazione”, “un rigurgito di orgogliosa supponenza nel sentirsi detentore della verità”… e più recentemente, “autore di scritti infamanti”, e “degno di provvedimenti punitivi”; provvedimenti che però “non vengono presi solo per non umiliare un prete più che novantaduenne”.
“Chiesa viva”, però, continuava a vivere! Allora, per demoralizzarlo, furono inventate le “telefonate a notte inoltrata” fatte di insulti, calunnie, bestemmie, minacce! E questo per molto tempo!

a cura dell’Ing. Franco Adessa

domenica 23 febbraio 2020

Chi è don Luigi Villa?



Il legame quasi di predilezione con Pio XII, bruscamente, si trasformò in quello iniziale della letale politica:
«ignoratelo e fatelo ignorare»!
Ecco due fatti che illustrano questi due diversi atteggiamenti.

Un giorno, don Villa chiese e ottenne subito un’udienza col Santo Padre, l’Angelico Pio XII. Questa avvenne in una grandiosa sala, gremita di persone. Fatto chiamare don Villa, e trovatosi di fronte a lui, dopo un breve scambio di parole, Pio XII gli prese le mani nelle sue e lo abbracciò, davanti a tutti, come a significare la sua predilezione per questo Sacerdote al quale, in segreto, Egli aveva affidato un compito grave che mai fu affidato ad altro Sacerdote.

Come fu diverso, invece, anni dopo, l’incontro tra don Villa e Paolo VI.
Il 14 luglio 1971, una Religiosa del suo Istituto “Operaie di Maria Immacolata”, Suor Natalina Ghirardelli, fu ricevuta in “udienza privata” da Paolo VI, il quale voleva congratularsi con Lei, per il ritratto che la Suora-pittrice gli aveva fatto e che fu offerto al Papa, in occasione del 50° anniversario del Suo Sacerdozio (1970).
Don Villa accompagnò a Roma Suor Natalina come suo Padre Superiore.  All’entrata del salone dei ricevimenti, dove, in mezzo, sedeva il Papa, don Villa notò che Paolo VI guardò subito la sua Suora-pittrice con occhi quasi da innamorato, e continuò poi a rimirarla, stringendole e tenendole le mani per tutto il tempo dell’udienza.
Don Villa, a fianco della Suora, non fu mai degnato di uno sguardo da parte di Paolo VI, neppure per un istante. Al gesto di don Villa di voler offrire al Papa alcuni suoi libri, Paolo VI, sempre senza guardarlo, fece un gesto con la mano sinistra al suo segretario mons. Pasquale Macchi, che si avvicinò e prese i libri, senza che il sacerdote potesse dire una sola parola. Alla fine del colloquio, Paolo VI benedì la Suora e le consegnò una Corona del Rosario, mentre a don Villa diede il borsellino del Rosario, sempre senza guardarlo. E continuò ancora a non guardarlo neppure quando, insieme alla sua Suora, si avviò verso l’uscita.
In quell’occasione, don Luigi comprese che quel gesto inconcepibile di Paolo VI verso di lui, era come un segnale dell’inizio della sua “Via Crucis”. Come infatti avvenne!

a cura dell’Ing. Franco Adessa

sabato 1 febbraio 2020

Chi è don Luigi Villa?



Don Villa a Brescia

Fu la situazione grave in cui si trovavano i Genitori, che spinse don Villa ad accettare dall’arcivescovo di Chieti, mons. Giambattista Bosio, l’incardinazione nella sua diocesi, come era stato suggerito dal Segretario di Stato, cardinale Tardini. Ma fu una incardinazione segretissima, fatta nello studio del Vescovo, e, come testimone, solo il suo Segretario, mons. Antonio Stoppani. Ma mons. Bosio, per consentire a don Villa di aiutare i Genitori, avuto il beneplacito da Roma, trasferì don Villa nella diocesi di Brescia, con l’aprovazione del Vescovo locale.
Il 15 settembre 1962, don Villa aprì una “Casa di formazione”, a Codolazza di Concesio – Brescia, intitolata “Villa Immacolata”, per erigere l’Istituto “Operaie di Maria Immacolata” nato con la paternità di Mons. Bosio.
Nel 1964, l’anziano Vescovo di Brescia, mons. Giacinto Tredici, morì e fu sostituito dal montiniano mons. Luigi Morstabilini.

Il 12 dicembre 1964, mons. Morstabilini promise a mons. Bosio di concedere, in breve tempo, il Decreto di approvazione dell’Istituto; la stessa promessa la fece a don Villa, tre giorni dopo; in gennaio 1965 vi fu il trasferimento dei documenti; il 2 febbraio furono accettate da don Villa alcune condizioni restrittive sulle vocazioni estere; il 4 febbraio, mons. Morstabilini assicurò mons. Bosio che il documento di approvazione era “sicuro”; il 7 febbraio mons. Morstabilini, in visita alla parrocchia in cui risiedeva l’Istituto di don Villa gli evitò l’onore di una sua visita; il 18 maggio, mons. Bosio, dopo un colloquio con mons. Morstabilini assicurò don Villa che il Decreto di approvazione era ormai prossimo al rilascio. 


Ma il 1° luglio 1965, don Villa ricevette dalla Curia di Brescia una lettera del delegato vescovile che lo informava del parere sfavorevole della Commissione a riguardo dell’approvazione dell’Istituto.

Di fronte a tanta ostilità e doppiezza, don Villa comunicò a mons. Bosio la sua intenzione di incardinarsi in un’altra diocesi. Il suo Vescovo dispiaciuto, gli rispose: «No, non farlo, per me!».
Ma questa doppiezza nel modo di agire, obbligò il così paziente e buono mons. Bosio ad AGIRE!
«Adesso basta – disse a don Villa – in fin dei conti il tuo Vescovo sono Io. Se non comprendono la mia delicatezza e carità, andrò a Roma, e ti scriverò».
Il 4 dicembre 1965, mons. Bosio scriveva a don Villa: «Carissimo Padre Villa, puoi dire alle tue figlie che l’Immacolata ha esaudito le nostre e le loro preghiere. Visto che a Brescia non si viene a capo di nulla, ho fatto visita al card. Pietro Palazzini…». La lettera terminava così: «.. non avendo qui, a Roma, i timbri della Curia, potrete ugualmente celebrare la “fondazione” il giorno dell’Immacolata. Il “Documento” ve lo manderò quanto prima».
L’8 dicembre 1965, Mons. Bosio inviò a don Villa il “Decreto” con cui si erigeva canonicamente il suo Istituto “Operaie di Maria Immacolata”.
Il 20 maggio 1967, la sede dell’Istituto fu trasferita in città, in via Galileo Galilei, 121, Brescia, dove risiede tuttora.
Mons. Giambattista Bosio, però, morì pochi giorni dopo, il 25 maggio 1967.
Don Villa non era a conoscenza di alcuna malattia o altro problema di salute che potesse far pensare ad una morte imminente del suo Vescovo. Solo poche settimane prima della morte, lo stesso mons. Bosio, gli aveva detto: «Quando andrò in pensione, vorrei venire a vivere con te, nel tuo Istituto». Le stesse Suore dell’Istituto erano elettrizzate al pensiero di avere con loro un personaggio così famoso e importante.
Quando Mons. Bosio morì, don Villa si trovava all’estero e, al suo ritorno, si recò immediatamente a Chieti per pregare sulla sua tomba.

Il nuovo Vescovo di Chieti, e quindi il diretto superiore di don Villa, fu mons. Loris Capovilla, ex uomo di fiducia del Vescovo di Padova, mons. Girolamo Bortignon, uno dei peggiori nemici di Padre Pio, ex segretario personale di Giovanni XXIII ed ex segretario personale di Paolo VI, dal 1963 al 1967.
Don Luigi si recò subito da Lui ed ebbe un colloquio in cui, il Vescovo, più che trattare la questione della sua incardinazione, per più di un’ora, cercò di convincerlo a non scrivere più articoli contro il comunismo, poiché – diceva – il comunismo sovietico vincerà e si dovrà venire a patti con Mosca!
Con la morte di mons. Bosio, don Villa si trovò stretto in una morsa: da una parte, l’ex segretario personale di Paolo VI, mons. Capovilla; dall’altra, il montiniano Vescovo di Brescia, mons. Morstabilini.
Mons. Capovilla chiedeva a don Villa di incardinarsi a Brescia, mentre mons. Morstabilini insisteva che don Villa rimanesse incardinato a Chieti e continuasse la sua opera a Brescia, riconfermandogli la sua fiducia, stima e benevolenza e consigliandogli di “far maturare i tempi”.
Il 4 febbraio 1968, don Villa, in una lettera al Vicario Generale di Brescia, mons. Pietro Gazzoli, lamentandosi della “poca intelligenza e onestà” e del modo doppio di agire di mons. Morstabilini, riportava due documenti che attestavano la sua mala fede: 

1. una lettera di mons. Morstabilini a mons. Bosio (scritta dopo il Decreto di approvazione di Roma dell’8 dicembre 1965) in cui si scusava per non averlo dato lui tale “Decreto”, perché questa era la sua intenzione, e dove incolpava la Commissione di Curia di averglielo impedito.
2. un’altra lettera di mons. Morstabilini, ad un parroco bergamasco, in cui, invece, il Vescovo affermava esattamente il contrario; pur riconoscendo che don Villa aveva ricevuto un Decreto di approvazione del suo Istituto, disse, però, che, se fosse dipeso da lui, tale Decreto non gli sarebbe mai stato concesso.

Il 3 settembre 1968, don Villa ricevette un “ultimatum” dal Vicario Generale di Chieti, mons. F. Marinis, il quale gli intimava di farsi incardinare a Brescia, entro fine anno.
Il 15 dicembre 1968, don Villa scrisse una lettera al card. Pietro Palazzini per metterlo al corrente di tutte queste manovre che miravano a “scardinare” l’Istituto che aveva da poco fondato.

Questi sono solo i primi esempi del modo di agire dei “nemici” di don Villa: nemici che non l’hanno mai affrontato lealmente e in campo aperto, ma che hanno sempre agito alle spalle, con doppiezza, colpendolo con ogni mezzo, incluso, come vedremo, il tentativo di assassinio.

a cura dell’Ing. Franco Adessa

domenica 12 gennaio 2020

Chi è don Luigi Villa?



I fallimenti premeditati

Molte furono le iniziative e le opere che don Villa cercò di far nascere, ma che, anche sotto il pontificato di Pio XII, gli furono fatte fallire. 
Già nel 1953, appena incardinato nella diocesi di Ferrara, don Luigi pianificò la fondazione di un grande Movimento missionario formato prevalentemente da tecnici, col titolo I.M.I. (Istituto Missionario Internazionale); ma lo fermarono subito.
Il 21 aprile 1957, don Villa fondò il Movimento “Euro-Afro-Asiatico”, legato ad una sua Rivista che portava lo stesso titolo, e di cui aveva già avuto regolare autorizzazione dal suo Vescovo, Sua Ecc.za mons. Giambattista Bosio. Ma il Movimento ebbe anch’esso vita breve, perché glielo chiusero.
Gli fecero chiudere, subito dopo la prima edizione, anche un’altra sua Rivista: “Colloquio Oriente-Occidente”, che sarebbe stata alimentata da un altro suo Istituto per le “religioni non cristiane”.
Ancora: gli impedirono di fondare un “Centro di teologi” per combattere il rinascente Modernismo e il progressismo nella Chiesa. L’ordine venne direttamente da Sua Ecc.za mons. Giovanni Benelli, Pro-segretario di Stato di Paolo VI.
In quello stesso periodo, sempre il solito massone Pro-segretario di Stato, mons. Giovanni Benelli, gli impedì di continuare una serie di “Congressi di studio” permanenti. 
Don Villa riuscì a dar corpo solo ai primi tre:

1. Il Primo Congresso di Roma, dal titolo: “Ortodossia e ortoprassi” (1-4 ott. 1974);
2. Il Congresso di Firenze, dal titolo: “La donna alla luce della teologia cattolica” (16-18 sett. 1975);
3. Il Secondo Congresso di Roma, dal titolo: “Cristianesimo e comunismo ateo” (20-22 sett. 1977). 

Mentre nei due Congressi di Roma, la presenza di Cardinali impedì a mons. Benelli un suo intervento diretto, per il Congresso di Firenze, l’Arcivescovo di Firenze, card. Florit, ebbe l’ordine da Roma di proibire la partecipazione al Congresso a tutto il clero fiorentino. Il Cardinale, spiacente di quel comando, lo comunicò subito a don Villa e gli promise di mandargli un Vescovo a presiedere per tutta la durata del Convegno. E così avvenne! 

Altre iniziative che gli furono fatte fallire, furono: la fondazione di un “terzo ramo” di Religiose-laiche, da affiancare ai vari Istituti missionari, e l’iniziativa di “reclutamento” di “vocazioni” per il Sacerdozio; iniziativa che fu poi imitata da tutti i Seminari e dagli Istituti missionari, ma il suo progetto iniziale di formazione spirituale fu sviato e finì col secolarizzarsi.
Personalmente, don Villa fece entrare nei Seminari missionari circa una cinquantina di ragazzi che, oggi, sono preti.
Ormai, era evidente che non gli era più permesso muovere alcun passo, realizzare alcuna idea, né iniziare alcun progetto che fosse per la difesa della Fede cattolica.

Per questo, don Villa dovette rifiutarsi di accettare anche le offerte di amici e... nemici. 
Egli rifiutò, infatti, parecchie “donazioni” di ville e di enormi somme di denaro. Persino un Cardinale gli volle regalare tutta la sua proprietà: due ampie scuole elementari e medie, già in funzione, e due ville con 60 ettari di oliveto e una chiesa.
Anche il cardinale Giuseppe Siri gli offrì il Convento dei Benedettini a Genova. Ma don Villa rinunciò a tutto, sempre, perché aveva già previsto la bufera che si stava abbattendo sulla Chiesa, e perciò preferiva restare povero, per non trovarsi legato e coinvolto in questioni economico-finanziarie, ma soprattutto, per rimanere libero di occuparsi del mandato che aveva ricevuto da Padre Pio e da Pio XII di aiutare la Chiesa a guarire dalla nebulosa situazione in cui si sarebbe trovata sotto gli attacchi della massoneria ecclesiastica!
Per questa ragione, disse “no” anche a due ricchissimi americani che gli offrirono miliardi se avesse ceduto loro la sua Rivista “Chiesa viva”.
Egli ebbe anche la strana “offerta” miliardaria di un avvocato americano che gli disse di essere disposto a pagargli ogni Movimento che egli avrebbe potuto fondare per annientare la Chiesa Tradizionale e per fondarne una “nuova” da far trionfare.

Don Villa fu sempre attivo anche nella sua opera sacerdotale di salvare le anime. Un caso singolare avvenne nel 1957, quando ebbe un incontro con il grande scrittore italiano Curzio Malaparte. Prima associato al fascismo e poi, verso la fine della sua vita, al comunismo, Malaparte giaceva in una clinica di Roma con il cancro. La sua stanza era sorvegliata dal famoso picchiatore comunista Secchia, per impedire il passaggio a chiunque non fosse di sinistra. Egli cercò d’impedire anche l’ingresso di don Villa, ma non vi riuscì. Malaparte gli sorrise e gli disse: «Lei è un carattere. Dovrà lottare!». Un’altra volta che andò a trovarlo, don Villa gli parlò del suo progetto di fondare una nuova Opera, e tanto fu l’entusiasmo di Malaparte che gli promise che, se fosse guarito, egli avrebbe messo la sua penna al suo servizio. L’ultima volta che lo vide, Malaparte disse a don Villa che, dopo aver riflettuto molto, aveva deciso di regalargli la sua villa di Capri, come prima sede dell’Opera che voleva fondare. Ma non se ne fece nulla perché, pochi giorni dopo, la stanza di Malaparte fu blindata dal comunista Secchia e da vari comunisti della direzione del periodico “Vie Nuove”, che riuscirono, poi, a farsi donare la villa. (Il come avvenne, don Villa non lo seppe mai!).

a cura dell’Ing. Franco Adessa

martedì 17 dicembre 2019

Chi è don Luigi Villa?



Agente segreto

In tutti quegli anni, don Villa, lavorò come agente segreto del card. Ottaviani, con la specialità di documentare l’appartenenza alla Massoneria di alti Prelati della Chiesa cattolica e di occuparsi di certe questioni delicate della Chiesa. 

Questo ruolo fece di don Villa una persona di casa e molto conosciuta in Uffici di Polizia, di Questura e di altre Agenzie di Investigazioni Generali e Operazioni Speciali.
Quando, nel settembre 1978, durante il breve pontificato di Papa Luciani, la “Lista Pecorelli” apparve su “OP”

(Osservatore Politico), la Rivista dell’avvocato Mino Pecorelli, non fu certo una grande meraviglia per don Villa leggervi molti nomi di quegli alti Prelati che lui stesso aveva già fatto allontanare dalle loro sedi, tanto tempo prima, per aver fornito al Sant’Uffizio i documenti della loro appartenenza alla Massoneria. 

Uno dei casi più illustri fu quello del card. Joseph Suenens, cacciato dalla sua sede di Bruxelles perché massone, convivente e con un figlio di nome Paolo!
Un altro caso “doloroso”, fu quello del card. Achille Lienart. A Parigi, mentre attendeva, nei pressi di una Loggia massonica, l’uomo che gli doveva confermare l’esistenza di documenti che attestavano l’appartenenza alla Massoneria del card. Lienart, don Villa, d’improvviso, vide corrergli incontro un giovane che, aggreditolo, gli sferrò un pugno “ferrato” in pieno volto, gridando: «Esiste un Diavolo su questa terra!».
Don Villa rinvenne in una farmacia, con la bocca piena di sangue, la mandibola spezzata, e senza più un dente in bocca.

Anche ad Haiti, un giorno, egli rischiò la vita. Recatosi in quel paese per una missione, fu preso dai militari, e portato in un luogo, per la fucilazione. Ma don Villa ebbe un’ispirazione: chiese all’ufficiale che lo custodiva di poter parlare con un suo carissimo amico, il Superiore del Seminario locale. L’ufficiale, turbato da quella richiesta, si recò dai suoi superiori e tornò subito, dicendogli: «Ci siamo sbagliati», e lo liberò.

Tra le questioni delicate affidategli dal cardinale Ottaviani, vi fu quella dell’incontro con Lucia di Fatima.
Un giorno il cardinale Ottaviani disse a don Villa: «Ho pensato di mandarti a Fatima per parlare direttamente con Suor Lucia».
Egli accettò con gioia. Lo accompagnò un industriale padovano, il Sig. Pagnossin, un convertito da Padre Pio, che gli offrì il viaggio e la permanenza in Portogallo. Il Cardinale Ottaviani lo aveva munito di una sua lettera personale e firmata da lui, come Prefetto del Sant’Uffizio, da consegnare al Vescovo di Coimbra, perché gli concedesse l’incontro con Suor Lucia. Ma il Vescovo di Coimbra, prima di concedere l’incontro con la Veggente, prese il telefono e chiamò in Vaticano. Gli rispose Mons. Giovanni Benelli, il quale, prima di dare una risposta, volle sentire Paolo VI, perché Roma aveva dato ordini precisi: il “colloquio” con Lucia era consentito solo ai Reali e ai Cardinali.

Mons. Benelli trasmise al Vescovo di Coimbra il divieto di Paolo VI alla richiesta di colloquio con Suor Lucia. Inutile, quindi, fu l’insistenza di don Villa, nell’evidenziare il suo ruolo di inviato del Prefetto del Sant’Uffizio. Comunque, egli rimase
in Portogallo, cercando di vincere la resistenza del Vescovo. Dopo una decina di giorni, però, si dovette rassegnare alla sconfitta. Ottenne dal Vescovo solo di poter celebrare nella Cappella del Convento di clausura. 
Al rientro in Italia, don Luigi andò subito a riferire l’accaduto al cardinale Ottaviani. Il Cardinale si sentì offeso dal comportamento di Paolo VI, al quale scrisse subito una lettera di protesta. Tornato in seguito a Roma, il card. Ottaviani gli disse che Paolo VI gli aveva fatto le scuse, dicendo, però, che la decisione era stata presa da mons. Benelli. Ma il Cardinale sottolineò che quello era il solito metodo del doppio gioco di Paolo VI.

Fintanto che visse Pio XII, il Vaticano, per don Villa era un ambiente più che accogliente: oltre agli incontri inerenti alla sua attività di agente segreto, don Villa pranzò e cenò almeno una cinquantina di volte con Cardinali e Vescovi. Ma quando giunse al potere Paolo VI, egli si vide preclusa ogni ospitalità ed ogni possibilità di avviare iniziative per la difesa della Fede Cattolica.

a cura dell’Ing. Franco Adessa