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martedì 28 settembre 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


Cristo che ha patito


«L’Eucaristia invece è il sacramento della passione di Cristo in quanto l’uomo viene reso 

perfetto in unione a Cristo che ha patito»[262].

San Tommaso


1. Qualche citazione

Tra i padri greci non si usa l’esatto corrispondente del latino passus, cioè il participio  perfetto, bensì due forme analoghe, l’aggettivo verbale [paqhto,j] (tradotto come «paziente», o,  meglio, «passibile») e il participio aoristo [pa,qwn(ontoj]. Tuttavia si nota nell’uso di tali  espressioni, soprattutto di quest’ultima forma, la loro tendenza ad attribuire la passione a Cristo  come caratteristica sua propria, quasi fosse un epiteto. Così, per esempio, nell’antico sermone 

In sanctum Pascha: «perché in tutte queste cose preannunciate sul Cristo che ha patito [tou/  Cristou/ paqo,ntoj], era necessario, ecc...»[263]; oppure S. Giovanni Damasceno: «abbiamo  imparato dal Cristo che ha patito nella carne [Cristo.n de. paqo,nta sarki.  Vedida,cqhmen]»[264].

Vi sono testi dei padri latini e di altri autori ecclesiastici tendenti a rafforzare questa idea. Citiamone solo alcuni:

– «In quel Noè che, ubriacatosi con l’uva piantata da lui stesso, restò nudo in casa sua, chi non vede Cristo che ha patito tra la sua gente?»[265].

– «E Mosè fu pure simbolo del popolo giudeo, che poi doveva credere nel Cristo che ha patito»[266].

– «I bambini sarebbero estranei a tale salvezza e luce […] se non fossero associati  in adozione al popolo di Dio, possedendo il Cristo giusto che ha patito per l’ingiusto per  condurli a Dio»[267].

– «La materia (argomento) del salmo (68) è Cristo che ha patito [Christus passus], per la fragilità della natura umana»[268]  .

– «Che altro potrebbe significare il pesce utilizzato, se non Cristo che ha  patito?»[269]  ; «Ma che significa il pesce arrostito, mangiato da Cristo dopo la  resurrezione e datogli dai discepoli, se non Cristo stesso che ha patito? [Christum  passum]»[270]  ; «…cioè lo onorarono credendo rettamente, e mangiando santamente i  sacramenti del Cristo che ha patito [Christi passi]»[271]  

– Anche il Sinodo di Arras (1025), allude alla presenza fisica del Christus passus: 

«Cristo infatti, pur avendo sofferto una sola volta e pur essendo morto una sola volta, ogni  giorno soffre per noi nella Chiesa, ogni giorno la sua memoria si realizza in nostro  favore»[272].

L’espressione in San Tommaso, specialmente nel trattato sull’Eucaristia, ha un senso  preciso, quasi tecnico: «L’Eucaristia invece è il sacramento della passione di Cristo in  quanto l’uomo viene reso perfetto in unione a Cristo che ha patito [Christum  passum]»[273].

«L’Eucaristia è il sacramento perfetto della passione del Signore, in quanto contiene il Cristo stesso che ha patito [Christum passum]»[274].

«Per quanto invece riguarda il Cristo stesso immolato [Christum passum], che è  contenuto inquesto sacramento, la figura principale va riscontrata in tutti i sacrifici del  Vecchio Testamento»[275].

«Era giusto dunque che il sacrificio della Nuova Legge, istituito da Cristo, avesse  qualche cosa di più e cioè che contenesse lui medesimo che ha patito [ipsum passum], non solo  sotto forma di simbolo o di figura, ma nella realtà»[276].

«Ma quanto a ciò che è realtà e sacramento [res et sacramentum] fu più espressiva  la figura della legge di Mosè [che l’oblazione di Melchisedec], con la quale veniva  significato più espressamente il Cristo che ha patito [Christus passus]»[277].

«…giachè [l’Eucaristia] è il sacramento della passione del Signore, contiene in sé il Cristo che ha patito [Christum passum]…»[278].


2. Alcune considerazioni a partire della grammatica[279]  

Prima di analizzare direttamente l’espressione Christus passus, vediamo due  espressioni davvero interessanti in rapporto con il nostro tema. Sono Corpo offerto (consegnato) – Sangue versato. Nelle parole dell’istituzione eucaristica Nostro Signore dice  che la realtà contenuta nell’Eucaristia è il suo Corpo consegnato (cfr. Lc 22,19) e il suo  Sangue versato (cfr. Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20). Nel testo greco del Nuovo Testamento  queste due qualità sono espresse con due participi presenti (dido,menon = consegnato;  evkcunno,menon = versato). In realtà nelle lingue classiche i sistemi verbali non sempre si  corrispondono tra di loro. Il greco presenta i cosiddetti «aspetti» dei tempi verbali, che il  latino conosce di meno. Questo vuol dire che in greco il «tempo» del verbo non sempre ha  un valore temporale (presente, passato o futuro), pur avendolo spesso, specie nel modo  indicativo. È tipico invece dei «tempi» dei verbi greci denotare una caratteristica (aspetto)  dell’azione.

Nel caso del tempo presente ciò che si indica è l’aspetto della continuità, della durata  di un’azione. Il modo in cui tale aspetto del presente considera la continuità è molto  discusso tra i grammatici della lingua greca e non interessa al nostro discorso[280]. Basti  sapere che i due participi presenti usati dal Signore non significano primariamente il tempo  presente, ma l’aspetto della continuità o durata. 

Nel greco del Nuovo Testamento il participio presente è usato con valore inoltre di futuro, specialmente se si tratta di un futuro imminente [281].

Possiamo concludere che i participi presenti offerto [= consegnato] – versato usati da  Gesù nell’istituzione dell’Eucaristia indicano che si tratta del suo Corpo che sarà offerto e  del suo Sangue che sarà versato il giorno dopo, durante la passione. Ma necessariamente  comprendono anche il momento stesso dell’istituzione (l’ultima Cena) e la continuazione o  perpetuazione di quell’atto nei secoli, cioè il sacrificio della Messa. Nell’ultima Cena vi fu Sangue versato e Corpo offerto, benché in modo incruento; lo stesso avviene in ogni santa  Messa. Infatti l’ordine di Gesù agli Apostoli «fate questo in memoria di me» (Lc 22,19; 1Co  11,23-24) è dato anche con un imperativo presente (poiei/te = fate), per cui si deve  continuamente ripetere la stessa cosa che Egli istituì nell’ultima Cena. Per questo molti  validi esegeti sottolineano la forza particolare di questi due participi presenti [282].

Addentrandoci nell’espressione latina usata da S. Tommaso, vediamo che  grammaticalmente passus è il participio perfetto del verbo patior, che vuol dire patire, soffrire. È un verbo deponente, un verbo cioè di forma passiva ma di senso attivo. 

Tale caratteristica formale dei verbi deponenti è, se si vuole, la più evidente, ma non  l’unica né la più importante, dato che spesso tale uso implica certe sfumature che sono  espresse più adeguatamente nella forma passiva che in quella attiva. È, crediamo, il caso di  questo participio. In effetti, la forma passus, essendo il participio perfetto di un verbo  deponente, ha vari aspetti nel suo significato: 

Indica un’azione compiuta e terminata nel passato, un’azione completa; 

·      Il participio passato è spesso impiegato in latino con senso presente, specie se si  tratta di verbi indicanti una condizione, mentale o fisica, del soggetto[283], come  è il caso di «patire» (patito). In questo senso il participio passato di un verbo  deponente può impiegarsi per indicare uno stato esistente o esprimere una simultaneità, cioè qualcosa di presente[284];

·      Inoltre il participio passato, in quanto aggettivo verbale, indica un attributo del  soggetto, cioè attribuisce al soggetto la qualità espressa dal verbo come qualcosa  di suo proprio[285].  


3. Interpretazioni del Christus passus

Non sono corrette:

–   Alcuni affermano che Cristo soffre ora: «Alcuni infatti hanno detto che “Christus  passus” significa niente altro che Cristo paziente, in modo che le parole di S. Tommaso  “nell’Eucaristia è contenuto Christus passus” significhino: nell’Eucaristia è contenuto  Cristo che ora soffre benché in forma nascosta e sacramentale, ma veramente sofferente in  atto»[286];

–  «Altri hanno insegnato che con queste parole si indica ciò che Cristo ha sofferto  in passato, in modo che il senso delle parole di S. Tommaso sarebbe che nel sacramento  dell’Eucaristia è contenuto Cristo che ha sofferto in passato, ma che ora non è presente  nello stato della passione»[287].

È corretto:

–   Che il Christus passus è contenuto nell’Eucaristia: «L’Eucaristia è il sacramento  perfetto della passione del Signore, in quanto contiene il Cristo stesso che ha patito [Christum passum]. Non poté perciò essere istituita prima dell’incarnazione: quello invece  era il tempo dei sacramenti che dovevano prefigurare la passione del Signore»[288];

–   Che nell’Antico Testamento era prefigurato dall’agnello pasquale, specialmente in  quanto questo veniva immolato: «Per quanto invece riguarda il Cristo stesso immolato [Christum passum], che è contenuto in questo sacramento, la figura principale va  riscontrata in tutti i sacrifici del Vecchio Testamento, specialmente nel sacrificio  dell’espiazione che era solennissimo […]. Ma l’agnello pasquale prefigurava questo  sacramento […] perché veniva immolato da tutti i figli d’Israele nella quattordicesima  luna, il che prefigurava la passione di Cristo, che per l’innocenza viene denominato  agnello»[289].

–   Che è la res et sacramentum: «giacché è il sacramento della passione del Signore, contiene in sé il Cristo che ha patito [Christum passum]»[290].

–   Che giustamente bisogna dire che «il Cristo sacramentale si dice “Cristo che ha  patito”, perché secondo l’ordine presente dell’istituzione divina, la presenza reale di Cristo  sotto l’una o l’altra specie non avviene senza che per ciò stesso si renda presente lo stesso  Cristo nello stato della passione in quanto, come abbiamo detto, in virtù delle parole sotto  la specie del pane non si rende presente se non il Corpo di Cristo e sotto la specie del vino  non si rende presente se non il Sangue di Cristo»[291].

–  «Come il sacramento dell’Eucaristia contiene veramente e realmente Cristo Gesù,  allo stesso modo contiene il Cristo che ha sofferto, il Corpo e il Sangue, violentamente  separati sulla croce per la nostra salvezza. Si trova lì la res et sacramentum eucaristica. È  una realtà significata a sua volta dal segno sensibile (signum tantum). È tramite il segno  sensibile che simbolizza e provoca una realtà ulteriore: la grazia sacramentale della  comunione e l’applicazione sacrificale della virtù meritoria e soddisfattoria acquistata sulla  Croce. Torniamo sempre così al sacrificio cristallizzato, cosa necessaria se si vuole trovare  sull’Altare un vero sacrificio identico al sacrificio della Croce, lo stesso offerente e la stessa  vittima offerta»[292].

Riassumendo:

Applicando le nozioni grammaticali che abbiamo visto all’espressione Christus passus,  espressione quasi idiomatica usata da S. Tommaso per riferirsi alla realtà contenuta  nell’Eucaristia, possiamo dedurre che essa indica da una parte che vi si trova la totalità della  passione redentrice di Cristo, compressi i frutti e i meriti ottenuti dal Signore per mezzo di essa,  cioè l’opera completa della redenzione (ciò che è proprio del «perfetto»). Dall’altra parte il  tempo passato del participio indica che Cristo ha ormai patito in carne propria una volta sola,  sul Calvario, e che quindi la Messa è sacrificio relativo, segno commemorativo del sacrificio del  Calvario. Il valore presente del participio perfetto indica tuttavia che quel sacrificio avvenuto  nel passato si perpetua, si fa presente, benché in altra forma (in forma sacramentale). Si indica  infine che quel modo di farsi presente, quell’essere contenuto come «patito» nell’Eucaristia, è  un fatto proprio ed esclusivo di Cristo, come lo è il suo unico sacrificio.

Possiamo chiederci perché S. Tommaso, se vuole indicare la realtà della presenza  attuale del sacrificio di Cristo nell’Eucaristia, non impiega mai, almeno nelle questioni che  nella Somma Teologica dedica all’Eucaristia, la forma presente del participio (patiens,  soffrendo). Una prima risposta, semplicemente grammaticale, è che il participio presente  indica un’azione che si sta svolgendo attualmente, e quindi non implica la conclusione o la  perfezione (nel senso di completato, finito) dell’opera. 

Ma poi il participio presente potrebbe indurre a interpretazioni sbagliate, come se  Cristo soffrisse in carne propria, cioè in forma cruenta, in ogni Messa. Perciò è un’espressione  meno adatta ad indicare il fatto che Cristo, nella Messa, si offre in forma diversa che nel  Calvario, benché si tratti dell’unico e identico sacrificio. In altre parole: nel participio presente patiens potrebbe intendersi che Cristo sta soffrendo ora sull’altare, mentre in realtà Cristo si  rende presente con l’unico suo sacrificio, il quale offrì una sola volta in passato, ma che  perpetua in ogni Messa. In questo senso la forma passiva e al passato è più idonea a  significare che Cristo si offre nella Messa in un altro modo (sacramentalmente, in specie  aliena) e non in modo cruento (come nel Calvario, in specie propria), pur trattandosi dello  stesso Cristo e dello stesso e unico sacrificio. 

Mi pare che in questo senso, cioè indicando la presenza sacramentale del sacrificio di  Cristo, debba intendersi il passo della Summa in III, 66, 9, ad 5: «Nel sacramento  dell’Eucaristia si commemora la morte di Cristo, in quanto lo stesso Cristo che ha patito [Christus passus] viene imbandito a noi come banchetto pasquale, secondo l’espressione di  S. Paolo: “Come nostra Pasqua si è immolato il Cristo: Banchettiamo dunque...”»[293].  Notiamo l’espressione di S. Tommaso «exhibetur nobis»: ci viene imbandito, ci viene  offerto o ci è dato, ci viene presentato, ci è mostrato come banchetto pasquale, sotto  l’aspetto di cibo e bevanda, di pane e vino, cioè sotto i veli sacramentali, sotto le specie  distinte del pane e del vino.

Queste considerazioni ci indicano che l’espressione «Christus passus» si dimostra  una vera e propria sintesi teologica, non solo perché significa che nell’Eucaristia è  contenuto «Cristo che ha patito», ma anche perché si vuol dire che attualmente si ritrova la  totalità della passione di Cristo, e al contempo si esclude la forma cruenta, perché  attualmente è impossibile che Cristo resuscitato patisca.  

Il Christus passus indica che il motivo formale del sacrificio della Messa sta nella mactatio mystica secundum se, nell’immolazione incruenta, nella separazione sacramentale  del Sangue dal Corpo dove si mostra Cristo immolato, dove Cristo è posto «sotto le specie  sacramentali in un certo qual atteggiamento esterno di morte e distruzione»[294], «con  segni esteriori che sono simboli di morte… [dove] per mezzo di segni distinti si significa e  dimostra che Gesù Cristo è in stato di vittima»[295], «nello stato della passione» – per cui  si potrebbe molto bene tradurre Christus passus con Cristo «passionato»[296] – dal  momento che «la Messa non solo ci offre la presenza sostanziale di Cristo in stato glorioso,  ma anche la presenza operativa del suo atto sacrificale redentore»[297] con il cumulo di  tutte le grazie e meriti acquisiti sulla Croce che si applicano in questo sacramento, in modo  che «l’effetto che la passione di Cristo produsse nel mondo, questo sacramento lo produce  nel singolo uomo»[298]  

Padre Carlos Miguel Buela,

giovedì 26 agosto 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


Al modo della sostanza – al modo della quantità

 

«È evidente che le dimensioni del pane e del vino 

non si convertono nelle dimensioni del Corpo di Cristo, 

ma la sostanza nella sostanza»[233].

San Tommaso


Ci occuperemo ora di altri due concetti usati spesso da S. Tommaso nel trattato  sull’Eucaristia: per modum substantiae – per modum quantitatis, i quali hanno pure – come  accade di solito in S. Tommaso – altri sinonimi: dimensionibus alienis, e dimensionis  propriae[234]. Si nota anche qui, come già abbiamo avuto modo di constatare, la fedeltà di  S. Tommaso nel rispettare ciò che riguarda la fede e ciò che riguarda la ragione. Infatti ogni  volta che compie un avanzamento teologico lo fa fondandosi su un articolo di fede o  basandosi su un fatto dell’esperienza. Abbiamo per esempio in questo caso tre momenti nei  quali egli fa riferimento, e si fonda, su fatti dell’esperienza. Noi a volte non facciamo tanto  casi di questo o lo comprendiamo superficialmente e quindi non riusciamo a percepire tutta  la profondità del pensiero teologico di S. Tommaso, e quindi restiamo incapaci di capire  perché egli dice una cosa o un’altra, e tutto rimane così in una nebulosa. 

Così, nella questione 75, che parla degli accidenti, S. Tommaso dice: quod sensu  apparet, «come si constata con i sensi»[235] gli accidenti del pane e del vino persistono.  Dobbiamo constatare tutti i giorni che, come dice S. Agostino, «sotto le specie del pane e  del vino che vediamo, veneriamo la Carne e il Sangue che non vediamo»[236]. Gli accidenti  persistono sempre, anche dopo la consacrazione. Poi sviluppa il suo argomentare nel 

corpus: «Con i sensi si constata [quod sensu apparet] che, fatta la consacrazione,  rimangono tutti gli accidenti del pane e del vino» e quindi afferma che questo accade perché  Dio lo ha voluto così: «E ciò fu disposto sapientemente dalla provvidenza divina». E anche  se non è direttamente legato al tema che dobbiamo sviluppare, conviene ricordare – perché  espresso molto bene da S. Tommaso – che gli accidenti persistono per i tre motivi seguenti:  «...perché, non é per gli uomini cosa abituale... mangiare carne umana e bere sangue  umano...; perché questo sacramento non sia oggetto d’irrisione da parte dei non credenti...;  perché il ricevere in modo invisibile il Corpo e il Sangue del Signore giovi ad accrescere il  merito della fede»[237]. Così, per prima cosa, è una questione che i sensi stessi ci dicono:  dopo la consacrazione persistono le specie o accidenti, cioè tutto quanto è percettibile con i  sensi, come l’estensione, la grandezza, il peso, il colore, la figura, la liscezza, l’odore, il  sapore, il suono (sia prima che dopo la consacrazione la frazione del pane produce lo stesso  suono)[238].

Nella questione successiva, nella quale affronta direttamente il tema che dobbiamo  vedere, nel primo articolo ritorna al nostro argomento: «È evidente che le dimensioni del  pane e del vino non si convertono nelle dimensioni del Corpo di Cristo, ma la sostanza nella sostanza»[239]. Perché se gli accidenti persistono, il che patet (è evidente), è anche evidente il persistere di quel accidente che è la dimensione quantitativa, accidente non del  Corpo, bensì del pane e del vino. La conversione avviene da sostanza a sostanza, quella del  pane nella sostanza del Corpo, quella del vino nella sostanza del Sangue, non nelle  dimensioni. In modo tale che la sostanza del Corpo e del Sangue si hanno ex vi sacramenti,  mentre le dimensioni, la quantità dimensiva del Corpo e del Sangue non. Si hanno solo ex vi  realis concomitantiae e al modo della sostanza.

E venendo al nostro tema: unde patet (ancora il ricorso alla realtà sensibile) che se  persistono gli accidenti, tra di essi c’è la dimensione quantitativa, sempre la stessa sia prima  che dopo la consacrazione: «È evidente che le dimensioni del pane e del vino non si  convertono nelle dimensioni del Corpo di Cristo, ma la sostanza nella sostanza. Cosicché la  sostanza del Corpo o del Sangue di Cristo è presente in questo sacramento in forza del  sacramento, non così le dimensioni del suo Corpo e del suo Sangue. È perciò evidente che  il Corpo di Cristo è presente in questo sacramento secondo il modo della sostanza e non  secondo il modo della quantità»[240]. Il ragionamento è chiarissimo. Ed è ciò che  chiaramente è insegnato dal Concilio di Trento. È quello che ricorda Paolo VI, in occasione  delle negazioni di Schillebeeckx, nella Mysterium Fidei[241]. Ed è quello che spiega  bellamente S. Tommaso: Cristo è presente al modo della sostanza: «È perciò evidente che il  Corpo di Cristo è presente in questo sacramento secondo il modo della sostanza [per  modum substantiae] e non secondo il modo della quantità [per modum quantitatis]. Ora, la  totalità propria della sostanza è contenuta indifferentemente in una quantità piccola o in  una quantità grande... [una goccia d’acqua è acqua, come lo è pure l’immenso oceano].  Perciò in questo sacramento dopo la consacrazione è contenuta tutta la sostanza del Corpo  e del Sangue di Cristo, come prima della consacrazione era contenuta la sostanza del pane  e del vino»[242].

Riassumendo, abbiamo tre cose evidenti che si concatenano:

1º. È evidente il persistere degli accidenti di pane e vino;

2º. È dunque evidente che si trasforma solo la sostanza del pane e del vino, mentre gli 

accidenti non si trasformano; 

3º. È per conseguenza evidente che non si hanno le dimensioni del Corpo e Sangue di  Cristo al modo della quantità (solo il Sangue sarebbero circa 6 litri), bensì al modo della  sostanza e in forza della concomitanza.

Il Corpo di Cristo per tanto non è presente al modo della quantità dimensiva, non  può essere commensurato (misurato); dunque il Corpo di Cristo nel Sacramento non è  localizzato[243]  . È conseguenza dell’esservi al modo della sostanza. «La sostanza del  Corpo di Cristo si riferisce a quel luogo per mezzo di dimensioni aliene [non mediante le  proprie]. Le dimensioni proprie del Corpo di Cristo invece si riferiscono a quel luogo per  mezzo della sostanza. E questo è contro la ragione di un corpo  localizzato. Dunque in  nessun modo il Corpo di Cristo è in questo sacramento come in un luogo»[244]  .

Pone S. Tommaso una difficoltà: «Essere in un luogo in maniera delimitata [definitive] e circoscrittiva fa parte della localizzazione. Ma il Corpo di Cristo sembra che  sia in questo sacramento per delimitazione: perché è presente là dove sono le specie del  pane e del vino senza essere in altre parti dell’altare. Sembra inoltre che vi sia presente in  maniera circoscrittiva, perché è contenuto talmente entro la superficie dell’ostia consacrata, da non oltrepassarla e da non esserne oltrepassato. Dunque il Corpo di Cristo  è come localizzato in questo sacramento»[245]. E risponde: «Il Corpo di Cristo non è in  questo sacramento in maniera delimitata [definitive], perché allora non sarebbe se non  sull’altare dove si compie questo sacramento, mentre invece è in cielo secondo la propria  specie e in molti altri altari sotto le specie sacramentali. Parimente è chiaro che non è in  questo sacramento in maniera circoscrittiva, perché non sta secondo la misura della  propria quantità, come si è detto. Che poi non oltrepassi la superficie del sacramento e non  sia presente in altre parti dell’altare è cosa che non appartiene alla presenza delimitata o  circoscrittiva; ma dipende dal fatto che comincia ad essere lì per la consacrazione e la  conversione del pane e del vino, come si è detto»[246]. Cioè non si ha la presenza di Cristo  nel sacramento nel luogo in modo definitivo e limitato, né si ha la presenza circoscrittiva  che commisura le dimensioni del luogo.

Facciamo maggiore chiarezza. La presenza circoscrittiva è quella «per la quale la  cosa è in un luogo perché la propria quantità si adatta e commisura con le dimensioni del  luogo, in modo che vi sia tutta in tutto il luogo e, mediante le sue parti, nelle parti del  luogo»[247], cosa che non avviene nell’Eucaristia. 

Non avviene nemmeno la presenza nell’ubi in modo definitive, o locale e limitato,  per cui «la cosa è di tal modo in un luogo che, allo stesso tempo, non è presente in un  altro»[248]  .

Cristo è presente in modo del tutto particolare e ineffabile: è presente sacramentalmente. Che vuol dire? Che il Corpo di Cristo in specie propria sta in cielo e  contemporaneamente in molti altari sotto le specie sacramentali[249]. Perciò S. Tommaso  dice che «...il Corpo di Cristo è qui presente [nel sacramento] secondo il modo proprio di  questo sacramento»[250]. 

Spesso insegna che il Corpo di Cristo nell’Eucaristia, perché presente in specie  sacramenti, è presente per modum substantiae, e non al modo della quantità: 

–   «…la sua quantità dimensiva (le sue dimensioni) è presente concomitantemente e  quasi per accidens. Tali dimensioni sono presenti in questo sacramento non nel modo loro  proprio, e cioè integralmente in tutto il corpo e parzialmente nelle singole parti; ma  secondo il modo della sostanza, la cui natura è di essere tutta nel tutto e tutta in ciascuna  parte»[251].

–   «È perciò evidente che il Corpo di Cristo è presente in questo sacramento  secondo il modo della sostanza e non secondo il modo della quantità»[252].

–   «…il Corpo di Cristo è presente in questo sacramento alla maniera della  sostanza, ossia alla stessa maniera in cui la sostanza è presente sotto le proprie dimensioni,  non già come le dimensioni: ossia non alla maniera in cui la quantità dimensiva di un  corpo è nella quantità dimensiva del luogo»[253].

–   «…è presente lì secondo il modo della sostanza, come si è spiegato sopra»[254].

–   «Il Corpo di Cristo, come si è già detto, non è in questo sacramento alla maniera  della quantità dimensiva, ma piuttosto alla maniera della sostanza»[255].

–   «…il Corpo di Cristo, come si è detto sopra, è in questo sacramento alla maniera della sostanza»[256].

Tutto questo ha delle implicanze. S. Tommaso si chiede: «Il Corpo di Cristo, essendo  organico, ha le sue parti determinatamente distanziate […], come tra un occhio e l’altro, tra  un occhio e un orecchio. Ma questo sarebbe impossibile, se in tutte le parti delle specie ci  fosse tutto il Cristo, perché allora in ogni singola parte sarebbero presenti tutte le parti, e  così dove fosse una parte ci sarebbe anche l’altra»[257]; e risponde: «Quella determinata  distanza tra le parti di un corpo organico si fonda sulla sua quantità dimensiva; ma la natura  della sostanza precede anche la quantità dimensiva. Ora, poiché la conversione della  sostanza del pane termina direttamente alla sostanza del Corpo di Cristo, e quest’ultimo si  trova propriamente e direttamente in questo sacramento secondo il modo della sostanza, le  distanze suddette tra le parti organiche [o proporzione] sono senza dubbio nel vero Corpo di  Cristo; tale Corpo però non si rapporta a questo sacramento secondo quelle determinazioni  spaziali, bensì secondo il modo di essere della propria sostanza, come sopra abbiamo  detto»[258].

E in fine: «Il Corpo di Cristo conserva sempre la sua vera natura di corpo e non si  cambia in spirito. Ma è proprio della natura del corpo di essere “una quantità avente  posizione” […]. Ebbene, la natura della quantità [dimensiva] vuole che parti diverse  occupino diverse parti dello spazio. È dunque impossibile che tutto il Cristo sia in tutte le  parti delle specie»[259]. E risponde: «L’argomento parte dalla natura del corpo secondo la  sua quantità dimensiva. Ma, come noi abbiamo già notato sopra, il Corpo di Cristo riguarda  questo sacramento non in ragione della quantità dimensiva, bensì in ragione della  sostanza»[260].

È un fatto interessantissimo che noi appena consideriamo. Ed è un fatto davanti al  quale anche i grandi teologi sono rimasti estasiati, di fronte a come Dio ha fatto il mistero  dell’Eucaristia in un modo assolutamente impensabile per il pensiero umano. Anche dopo la  Rivelazione ci ritroviamo con tanti aspetti che evidentemente superano la capacità della  nostra comprensione, perché è evidente che Dio ci supera. Dice un teologo, Toledo: «Dio  può molto di più di quanto l’uomo possa capire o immaginare. E in realtà, se l’uomo  istruito può fare molte cose che l’incolto per ignoranza non può capire né immaginare,  come non potrà fare Dio molte più cose di quelle concepibili per l’intelligenza creata o  l’immaginazione? È stolto perciò pretendere di misurare con la nostra intelligenza la  sapienza di Dio, che è infinitamente più lontana dall’intelligenza creata di quanto questa  sia distante da un incolto o dall’immaginazione di un animale irrazionale… In questo  mistero occorre l’umiltà, con la quale coesiste la fede, ma non si raggiunge la sua  conoscenza perfetta e distinta»[261]. Così avviene con Dio, davanti al quale siamo tutti più  che rozzi. Nel sacramento eucaristico Egli ha voluto fare cose meravigliose, come il modo  particolare, ineffabile, unico, della presenza per modum substantiae.

Padre Carlos Miguel Buela

mercoledì 4 agosto 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


In forza del sacramento e in forza della concomitanza


«Il Sangue, l’anima e la divinità sono presenti nell’Eucaristia però non allo stesso modo che  il Corpo di Cristo. Ma i parroci avvertiranno che non tutte le realtà sopra accennate sono  contenute nell’Eucaristia allo stesso modo e per lo stesso motivo. Alcune vi si trovano in virtù  della consacrazione. Si sa che le parole della consacrazione producono quel che significano  e i teologi dicono che una cosa è contenuta nel sacramento in forza del sacramento, quanto è  espressa dalla forma; di guisa che se potesse avvenire (per ipotesi) che una cosa fosse del  tutto separata dalle altre, si ritroverebbe nel sacramento soltanto quella espressa dalla forma  e non il resto. Altre vi si trovano in quanto sono congiunte realmente con quanto è espresso  dalla forma. Così perché la forma adoperata per la consacrazione del pane significa il Corpo del Signore secondo le parole “questo è il mio Corpo”, in virtù del sacramento, sarà  nell’Eucaristia il Corpo stesso di Cristo. Ma poiché al Corpo sono congiunti il Sangue,  l’anima e la divinità, anche queste si ritroveranno nel sacramento, non in forza della  consacrazione, ma in quanto sono in realtà inseparabilmente congiunte al Corpo di Cristo; cioè in altre parole, per concomitanza. Da ciò segue che il Cristo è tutto intero nell’Eucaristia»195.

Catechismo Romano[195]  

Ho riflettuto spesso nel fatto che quando uno studia San Tommaso ogni volta può  trarre delle conclusioni. Una di esse è come il nostro studio della teologia, in modo  particolare del trattato sull’Eucaristia, ha grandi lacune. Ci se ne rende conto quando S.  Tommaso dice patet (= è chiaro), e ad uno non patet (= non è chiaro) affatto, perché  abbiamo in testa un miscuglio di cose. Oppure egli dice manifestum est (è evidente), e per  noi non è evidente, uno non lo aveva mai sentito, e pure celebriamo la Messa tutti i giorni.  Ma o non ce l’hanno insegnato, o non lo abbiamo imparato, o non lo studiamo, o non lo  approfondiamo, o non lo preghiamo, o non ci ricordiamo…

 Abbiamo visto prima come l’Eucaristia è sacramento e sacrificio. Inoltre come Gesù  la istituì in forma di cibo e bevanda, e come sta in specie propria e come in altra specie. Ora  vedremo, se Dio vuole, come il modo di essere di Gesù nell’Eucaristia è duplice: vi è in  forza del sacramento, ex vi sacramenti; ma vi è pure ex vi concomitantiae, in forza della  compagnia o della concomitanza.

 Prima di entrare nel argomento, bisogna chiarire quanto abbiamo già visto:  «in  specie propria» e «in altra specie» non sono due cose esattamente uguali, non hanno infatti  la stessa importanza, perché «in specie del pane e del vino» è sempre in rapporto con «in  specie propria», che ha dunque la priorità.

 Accade così per altri concetti spesso impiegati da S. Tommaso. Egli lo dice, io l’ho  appena scoperto: in alcuni casi usa la parola directe, direttamente, o per se, per riferirsi alla 

vi sacramenti, altre volte, parlando della vi concomitantiae, dice quasi per accidens[196],  cioè i due modi in cui il Signore si fa presente nell’Eucaristia non sono strettamente  paritetici.

Un’altra cosa curiosa in S. Tommaso, che ci è nota ma a volte non riusciamo a  vedere, è come si disimpegna con grande sicurezza. E questo perché ha sempre presente, in  primo luogo e come punto di partenza, il dogma di fede, e poi tiene come certezze i fatti 

dell’esperienza. Le espressioni ricordano i punti di partenza delle vie, che è sempre un fatto  di esperienza sensibile, una cosa davvero inconfutabile. Anche in questo trattato. 

Così inizia la q. 76: «È necessario riconoscere, secondo la fede cattolica, che tutto il  Cristo è presente in questo sacramento»[197]. Tale esservi Cristo tutto intero è di due modi: 

ex vi sacramenti ed ex naturali concomitantia. 

1. Perché? Per quale motivo porre questo secondo modo di presenza del Signore  nell’Eucaristia?

Manifestum est, risponde. E questo lo dice in una delle difficoltà, e dunque non siamo  soliti dargli molta importanza: ma lo dice  come affermazione nella difficoltà. E poi nella  risposta torna ad affermarlo: «è evidente [manifestum est] che il pane e il vino non possono  convertirsi né nella divinità di Cristo, né nella sua anima»[198]. Dice questo nella 1ª  difficoltà e anche nella risposta: «Poiché la conversione del pane e del vino non termina  alla divinità o all’anima del Cristo, di conseguenza la divinità e l’anima di Cristo non sono  in questo sacramento in forza del sacramento [ex vi sacramenti], ma per reale  concomitanza [ex reali concomitantia]»[199]. E nella stessa risposta prosegue spiegando:  «Infatti, non avendo mai la divinità lasciato il corpo che assunse, dovunque si trova il  Corpo di Cristo, deve esserci anche la sua divinità. Perciò in questo sacramento è  necessario che vi sia la divinità di Cristo in concomitanza del suo Corpo»[200]. Il testo  latino dice «è perciò necessario che la divinità vi sia… concomitantem eius Corpus»,  perché la divinità non ha mai abbandonato il Corpo del Signore, nemmeno quando era nel  sepolcro, nemmeno quando Egli discese nel limbo dei giusti. In un altro luogo dice: «Di un  altro modo qualcosa è in questo sacramento per reale concomitanza, come la divinità del  Verbo è in questo sacramento per la sua indissolubile unione al Corpo di Cristo, sebbene in  nessun modo la sostanza del pane si converta nella divinità»[201]. 

Per quanto riguarda all’anima, si da la diversità che essa fu separata dal Corpo di  Nostro Signore dopo la sua morte in croce e fino alla sua resurrezione il terzo giorno. Ma  Cristo risuscitato non muore più, per cui dov’è il Corpo è necessario che ci sia anche  l’anima, perché è presente Cristo tutto intero, e questo è verità di fede.  

Nel Commento alle Sentenze aveva spiegato un po’ di più: «Nel sacramento  dell’altare una cosa è contenuta in due modi: in un modo in forza del sacramento, in un  altro modo per naturale concomitanza. In forza del sacramento vi è contenuto ciò a cui  termina la conversione. 

A che cosa poi termina la conversione, lo si può sapere da tre cose:

Primo, da ciò che è stato convertito: infatti la materia del sacramento non si  converte se non in ciò verso cui ha somiglianza secondo la proprietà della sua natura,  come il vino nel Sangue.

Secondo, dalla significazione della forma, in virtù della quale avviene la  conversione: per cui la conversione termina a ciò che è significato dalla forma.

Terzo, dall’uso del sacramento: poiché ciò che appartiene al cibo è contenuto sotto  la specie del pane in forza del sacramento, e ciò che appartiene alla bevanda sotto la specie  del vino. 

Per naturale concomitanza invece, e quasi per accidens, è contenuto sotto il  sacramento ciò che di per sé non è il termine della conversione, ma senza il quale il termine  della conversione non può esistere»[202].

Secondo il Santo Dottore dunque sappiamo in che cosa si conclude la trasformazione ex vi sacramenti per tre motivi:  

1º. Per i termini a quo e ad quem, tra i quali deve esserci una qualche somiglianza. 

2º. Per quello che significano le parole del sacramento. 

3º. Per la finalità che ha il sacramento. 

Per questi motivi non sono termine della trasformazione né l’anima né la divinità:  «In base a ciò dunque è chiaro che dal momento che l’anima di Cristo non ha somiglianza  con la sostanza del pane, né si fa menzione dell’anima nella forma del sacramento, né  l’anima conviene all’uso del sacramento, che è il mangiare e il bere, [così] la conversione  del pane e del vino non termina all’anima, ma al Corpo e al Sangue di Cristo, che non sono  separati dall’anima: quindi l’anima non vi è contenuta in forza del sacramento, e tuttavia vi  è contenuta per la naturale concomitanza al Corpo che vivifica»[203].

E spiega ciò che è minimamente necessario perché siano vere le parole della  consacrazione: «L’anima è forma del corpo e gli dona tutta la sua struttura di essere  completo: cioè l’essere, l’essere corporeo, l’essere animato e così via. Ora, la forma del  pane si converte nella forma del Corpo di Cristo in quanto questo da l’essere corporeo, non  in quanto da l’essere animato da una tale anima»[204].

Sviluppa anche, in un’altro luogo, il fatto che ex vi sacramenti sotto la specie del  pane non è contenuto il Sangue di Cristo, né sotto la specie del vino il Corpo del Signore:  «E poiché il sacramento fu istituito per l’uso dei fedeli, così in forza del sacramento [ex vi  sacramenti] è contenuto in questo sacramento ciò che viene in uso dei fedeli. E poiché nel  pane consacrato non si contiene il Sangue di Cristo secondo che è dato come bevanda ai  fedeli [ma vi è contenuto il Corpo allo scopo di essere mangiato], così non vi è contenuto in  forza del sacramento, ma per naturale concomitanza, per la quale conviene che il Corpo di  Cristo non sia senza il Sangue; e il contrario avviene nel vino consacrato. Per cui il pane  non si converte in forza delle prime parole [le parole della consacrazione del pane] nel  Corpo e nel Sangue, ma nel Corpo senza il Sangue, che sarà dato come bevanda ai fedeli» [205]. 

E dà un duplice motivo per cui si deve consacrare il Sangue separatamente dal Corpo: perché l’alimento consiste nel mangiare e bere, e perché l’Eucaristia è la perfetta  rappresentazione della Passione del Signore. Dice l’Angelico: «La causa per cui il Sangue  viene consacrato separatamente dal Corpo, mentre adesso non è diviso, può essere desunta  dall’uso a cui è destinato il sacramento, poiché il cibarsi consiste nel cibo e nella bevanda;  e da ciò che è rappresentato dal sacramento, poiché nella passione il Sangue di Cristo fu  diviso dal Corpo»[206]. 

Lo stesso San Tommaso si pone una difficoltà interessante: Ciò che è già stato fatto  non può farsi un’altra volta. Il Corpo di Cristo ha cominciato ad essere nel sacramento per la  consacrazione del pane. Dunque non può cominciare ad essere presente per la consacrazione  del vino… E risponde: «Il Corpo di Cristo, come si è detto, non è nella specie del vino in  forza del sacramento, ma solo per reale concomitanza. Quindi per la consacrazione del  vino non si renderà presente il Corpo di Cristo direttamente [per se], ma  concomitantemente»[207].

Di fatto, se uno consacrasse una sola specie farebbe il sacrificio imperfetto, dovrebbe correggere il difetto[208].

2. Che cosa opera un modo e che cosa l’altro?

Ex vi sacramenti: ciò che è sotto le specie del sacramento, quello in cui si trasforma directe, direttamente, la sostanza del pane e del vino, cioè il Corpo e Sangue del Signore. Le  sostanze del pane e del vino cessano di esistere trasformandosi nella sostanza del Corpo e  del Sangue del Signore, il che è significato pure dalle parole della formula, che sono  efficienti[209], e perciò anche in qualche passo usa l’espressione ex vi verborum. Dom  Vonier dice che ci sono tre parole che esprimono, equivalentemente, questa realtà con  sfumature proprie: con ex vi conversione, che è la transustanziazione, «si esprime meno che  con l’espressione ex vi verborum, perché le parole della consacrazione possono significare  qualcosa di più che corpo e sangue»[210]. Per esempio, le parole significano il banchetto:  «Prendete e mangiate... Prendete e bevete...», il sacrificio e lo stato sacramentale di vittima:  «…che sarà dato… che sarà versato…», il sacrificio di propiziazione: «…per il perdono  dei peccati…». Le due espressioni «sono comprese nell’espressione più larga vi  sacramenti»[211].  

Ex naturali concomitantia (= per la naturale concomitanza, connessione, compagnia):  vi è ciò che sta realmente unito a quello che qui si pone per trasformazione, vi è ciò che sta  realmente unito a quello che costituisce il termine ad quem della trasformazione[212]. San  Tommaso aggiunge una riflessione assai importante: «di due cose unite realmente tra loro,  dovunque si trova realmente l’una bisogna che si trovi anche l’altra: poiché le cose che sono  unite realmente vengono separate solo dall’attività dello spirito»[213]. 

3. I nomi

Abbiamo già avuto modo di riferirci a questi due modi di presenza di Gesù Cristo  nell’Eucaristia. San Tommaso usa diverse espressioni per indicare l’uno e l’altro. Pero  indicare il primo modo adopera la seguente terminologia: 

ex vi sacramenti, 

quasi ex vi sacramenti[214], 

ex vi verborum[215], 

ex vi conversionis, 

ex vi sacramenti[216], 

per se[217],

directe ex vi sacramenti[218]… 

E riguardo all’altro concetto: ex vi concomitantiae, aggiunge quasi sempre due  aggettivi per ben risaltare che non è una invenzione della sua mente, come molte volte  accade a noi, una cosa pia o propria di una meditazione, bensì qualcosa di reale: 

ex reali concomitantia[219], 

ex naturali concomitantia[220], 

in qualche luogo dice quasi ex quadam concomitantia[221] (facendo capire altrove che questo non è «di per se»[222]), 

altre espressioni sono quasi per accidens, per concomitanza [223], non fit… per se[224]. 

4. Quali cose di Cristo stanno nel sacramento secondo ciascun modo di presenza?

A. Secondo “ex vi sacramenti”:

C’è solo quello in cui si conclude direttamente la trasformazione: quindi la sostanza  del Corpo del Signore sotto la specie del pane e la sostanza del Sangue del Signore sotto  quella del vino; e, per la duplice consacrazione, si dà lo stato sacramentale della vittima; 

Non c’è il Sangue sotto la specie del pane, e nemmeno l’anima né la divinità;

Non c’è il Corpo sotto la specie del vino, e nemmeno l’anima né la divinità.

B. Secondo “ex vi concomitantiae” c’è quanto è unito alla sostanza del Corpo e del  Sangue: 

Sotto l’apparenza del pane, in forza della concomitanza c’è il Sangue, l’anima, la  divinità, la quantità dimensiva – che mai si separa realmente dalla sostanza – e gli altri  accidenti. Sotto l’apparenza del vino c’è il Corpo, l’anima, la divinità, la quantità dimensiva  e gli altri accidenti. 

Vediamo due passi di S. Tommaso: «…la quantità dimensiva è lì per concomitanza e  quasi per accidens. Tale quantità dimensiva è presente in questo sacramento non nel modo  proprio [della quantità], […] ma secondo il modo della sostanza»[225]. Inoltre, ex vi  concomitantiae, vi sono pure gli stati di Cristo (eccetto la condizione o stato di vittima). 

Durante sua vita terrena era nello stato passibile, o ipoteticamente quando si trovava nello  stato di separazione dell’anima al momento della morte – fino alla resurrezione –, o anche  nel suo stato glorioso e immortale, come nella resurrezione e fino ad ora. Diciamo eccetto lo  stato di vittima in quanto, per la duplice consacrazione, si presenta sempre nello stato  sacramentale di vittima. Gli altri stati sono accidenti del Corpo di Cristo, non formano parte  della sostanza del Corpo di Cristo. Perciò la dottrina dei due modi della presenza di Cristo  nell’Eucaristia è molto importante: abbiamo infatti difficoltà a capire che la Messa è  sacrificio perché diciamo: – «Come? Se Cristo è resuscitato…». Mentre l’insegnamento  della Chiesa, come dice il Concilio di Trento, è che a motivo del sacramento il Sangue  appare separato dal Corpo, e questo è il sacrificio eucaristico. Che vi sia Cristo nel suo stato  di risorto com’è ora in cielo è una conseguenza, perché il sacramento fa sempre presente il  Corpo e il Sangue qualunque sia lo stato in cui si trovi il Corpo di Cristo in quel momento,  senza che questo intacchi la realtà sacramentale. 

Nel secondo passo S. Tommaso risolve la difficoltà che si presenta da parte dello stato  del Corpo di Cristo sull’altare paragonandolo allo stato che possedeva sulla tavola dell’ultima  Cena, e considerando gli stati come accidenti del Corpo: «Gli accidenti del Corpo di Cristo  sono presenti in questo sacramento per reale concomitanza, non già in forza del sacramento,  il quale rende presente la sostanza del Corpo di Cristo. Perciò la virtù delle parole  sacramentali ha il compito di rendere presente nel sacramento il Corpo […], qualsiasi siano  gli accidenti che realmente possiede»[226].

Coerenti con le loro dottrine eretiche, non per nulla, i protestanti sacramentari – Carlostad,  Zwinglio, Ecolampadio… – si beffano della concomitanza; Martin Lutero la ridicolizza;  Melantone se ne disinteressa, quando dice che certi vanno tormentandosi con vuote  ragioni[227]. In questi tempi di falsi ecumenismi e di influssi delle posizioni protestanti sui  pensatori cattolici alcuni teologi sono complici e seguaci di quelle dottrine.

Dimenticano questi, e anche altri, il chiaro insegnamento del Concilio di Trento:  «Infatti gli apostoli non avevano ancora ricevuto l’Eucaristia dalla mano del Signore [cf. Mt  26,26; Mc 14,22] e già egli affermava che quello che dava era il suo Corpo. Sempre vi è stata  nella Chiesa di Dio questa fede, che […] in forza delle parole il Corpo è sotto la specie del  pane e il sangue sotto la specie del vino; ma lo stesso Corpo è sotto la specie del vino, e il  sangue sotto quella del pane, e l’anima sotto l’una e l’altra specie, in forza di quella naturale  unione o concomitanza»[228]. Dimenticare questo porta a delle funeste conseguenze.

La differenza tra ciò che si trova nell’Eucaristia in forza delle parole e quello che c’è  per concomitanza, per quanto non sia insegnamento di fede, sarebbe tuttavia sbagliato e  azzardato negarla, non solo per l’autorità del Concilio di Trento, che per chiarire  ulteriormente il mistero impiega quelle espressioni, ma anche perché la differenza di cui  parliamo deriva chiaramente dai principi della fede[229]. Di fatto l’autorità del Concilio di  Trento, nel paragrafo in cui tra altre cose si indica tale differenza, inizia dicendo: «Sempre  c’è stata questa fede nella Chiesa di Dio…». Sembrerebbe che nel Catechismo della Chiesa  Cattolica si parli di tale dottrina perché almeno 11 volte si usa l’espressione «parole»[230] o «conversione»[231] riferite al Corpo e Sangue del Signore contenuti sotto il pane e il vino; sembrerebbe poi, in un caso, far riferimento alla concomitanza, quando usa la preposizione  «con» per riferirsi all’anima e alla divinità[232].

Padre Carlos Miguel Buela,

domenica 16 maggio 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


In specie propria e in specie sacramentale

 

«“Il vivificante Verbo di Dio unendosi alla propria Carne la rese vivificante. Era dunque  conveniente che egli si unisse in qualche modo ai nostri corpi per mezzo della sua santa  Carne e del suo prezioso Sangue, che noi riceviamo in una vivificante benedizione in pane e vino”»[168].

San Cirillo


Affronteremo ora altre due nozioni che S. Tommaso utilizza in modo frequente nel  trattato sull’Eucaristia: la differenza esistente tra ciò che lui chiama in specie propria e in  specie sacramenti, o con altri nomi. Di fatto la parola species, o il suo plurale, compare nel  trattato 50 volte, dunque è un’idea che lavora anche come una chiave nel pensiero  eucaristico del santo Dottore.

Vediamo prima i nomi, poi il significato e infine, una sorte di confronto tra l’una e 

l’altra, e le differenze.

1. I nomi

In specie propria: Con la libertà che lo caratterizza S. Tommaso usa termini 

equivalenti anche molto belli, per es.:

in sua specie visibili[169], 

visibili specie[170], 

sub specie propria[171], 

in sua specie[172]…

Per non ridondare, leggiamo semplicemente un passo dove l’Angelico dà i motivi per  cui Nostro Signore, nel momento in cui sta per lasciare questo mondo, cenando con loro per  l’ultima volta, istituisce il sacrificio eucaristico in altra specie, a motivo di ciò che racchiude  quello che istituisce, cioè Cristo sacramentato contenuto in esso: «Quando Cristo nella sua  propria specie stava per separarsi dai discepoli lasciò a loro se stesso sotto la specie  sacramentale, come in assenza dell’imperatore si espone alla venerazione la sua  immagine»[173]. 

Sub aliena specie: utilizza poche volte questa espressione[174]. Mentre invece 

impiega altri sinonimi:

in sacramentali specie (due volte)[175];  

sub specie sacramenti, quae est species panis et vini[176]; 

sed specie panis et vini (quattro volte)[177];

sub utraque specie sacramenti[178]…

Questi sono i nomi che usa. In altri punti, essendo un tema strettamente collegato,  parlerà di in propriis dimensionibus, nelle dimensioni proprie, e in dimensione diversa,  continuando la stessa linea di pensiero[179].

2. Il significato

Lo stesso San Tommaso ci spiega il significato: «Il Corpo del Cristo […] è in cielo  nella propria specie e in molti altri altari sotto le specie del sacramento»[180]. Significa  proprio questo.

Dirà pure: «Nell’Eucaristia è presente Cristo stesso, non già nella sua propria specie 

[in specie propria], ma sotto la specie del sacramento [in specie sacramenti]»[181]. Perciò  nello sviluppo dell’argomento, nella risposta alla prima difficoltà, spiega per quale ragione  si dice che gli uomini mangiano il Pane degli angeli: perché per primo e principalmente  godere di Gesù Cristo in specie propria è proprio degli angeli e dei santi che stanno in cielo  e godono di Lui vedendolo faccia a faccia: «l’occhio glorificato vede sempre Cristo com’è  nella sua propria specie…»[182]. Poi lo è degli uomini, che lo godono sub sacramento, che  lo ricevono nel sacramento. Per questo c’è differenza tra le due nozioni[183].

3. Differenze

In primo luogo bisogna dire con tutta chiarezza che la sostanza del Corpo e Sangue di  Nostro Signore sta tanto in specie propria come nella specie del sacramento. La differenza  si presenta nel modo, perché in specie propria c’è Cristo con i suoi accidenti, e in specie  aliena (diversa) c’è pure Cristo, ma sotto le specie sacramentali; e avrà inoltre i suoi  accidenti, ma dovrà tenerli in modo diverso. Qualche citazione: «Il Corpo di Cristo e lo  stesso nella sua sostanza tanto in questo sacramento come nella propria specie, ma non sta  nello stesso modo: infatti nella propria specie esso viene a contatto con i corpi circostanti  mediante le proprie dimensioni, il che non avviene, come si è visto sopra, in questo  sacramento»[184]. E questo ha un’applicazione interessante e molto importante per noi:  «Quindi tutto ciò che appartiene a Cristo in se stesso (nella sua sostanza) gli può essere  attribuito sia nella propria specie che nella presenza eucaristica: p. es. vivere, morire,  soffrire, essere animato [con l’anima] o inanimato [senza l’anima] e cose simili. Tutto ciò  che invece gli conviene per i suoi rapporti con i corpi esterni gli può essere attribuito se  viene considerato come esistente nella sua propria specie e non in quanto è presente nel  sacramento: come essere deriso, coperto di sputi, crocifisso, flagellato e cose simili»[185].

Quindi «per Cristo non è la stessa cosa essere in sé ed essere nel sacramento»[186].

Differenza che diventa visibile anche nel mangiare: «Ciò che viene mangiato nella  propria specie, viene anche franto e masticato nella propria specie. Ma il Corpo di Cristo  non viene mangiato nella propria specie, bensì sotto le specie sacramentali. Perciò S.  Agostino, spiegando le parole evangeliche, “La carne non giova a nulla” [Gv 6,64] scrive:  “Esse si riferiscono a coloro che le interpretavano carnalmente. Avevano capito cioè che si  trattasse di carne come quella fatta a pezzi in un animale ucciso, o venduta al macello”.  Quindi lo stesso Corpo di Cristo non si frange, se non sotto le specie sacramentali. - Ed è in  questo senso che va intesa la professione di Berengario: la frazione e la triturazione dei  denti si riferiscono alle specie sacramentali, sotto le quali è presente veramente il Corpo di  Cristo»[187].

Altra caratteristica che distingue questi due concetti è quella delle dimensioni: in  specie propria Cristo sta con le sue dimensioni proprie, in specie diversa con le dimensioni  delle specie del pane e del vino[188], al modo della sostanza.

Un’altra differenza: in specie propria Cristo è visibile, in specie aliena è invisibile, sta  sotto le specie del pane e del vino [189]. Questo riguarda anche la passibilità, come San  Tommaso dice molto bene: «Infatti [quando erano nell’ultima cena] era certamente il vero e  identico Corpo di Cristo quello che vedevano allora i discepoli nella sua specie e quello  che veniva ricevuto sotto le specie del sacramento. Esso non era impassibile nella specie  propria in cui lo vedevano, anzi era pronto alla passione [perché si preparava proprio alla  passione]. Quindi nemmeno il Corpo di Cristo sotto la specie del sacramento era  impassibile»[190]. Il Corpo che ricevevano nel sacramento non era impassibile, bensì  passibile. «Tuttavia quel Corpo, che in se stesso era passibile, si trovava in modo  impassibile sotto le specie sacramentali: come vi si trovava in modo invisibile, pur essendo  in se stesso visibile. Infatti come la visione richiede il contatto tra l’oggetto visibile e il  mezzo interposto, così la passione richiede il contatto tra il corpo passibile e le cose che agiscono su di esso. Ora, il Corpo di Cristo, secondo il modo in cui è presente nel  sacramento, e di cui abbiamo parlato sopra, non è in relazione con l’ambiente circostante  mediante le proprie dimensioni, con le quali i corpi si toccano tra loro, ma mediante le  dimensioni delle specie del pane e del vino. Di conseguenza a essere immutate e viste sono  le specie, non già il Corpo stesso di Cristo»[191].

È in rapporto con questo, come vedremo più avanti, ciò che riguarda la differenza tra 

in specie propria e in altra specie con riferimento a se Cristo è presente in maniera locale o  no, cioè qual è il movimento del Corpo di Cristo, com’è la presenza definitiva dovuta a  quella circoscrittiva, che certo non è quella che ha nel sacramento.

Questa realtà segna pure la differenza esistente tra il sacrificio della Croce e la sua  perpetuazione nel sacrificio della Messa: quest’ultimo è un sacrificio incruento,  sacramentale, mistico[192]. San Tommaso lo esprime così: «Poiché questo sacramento è  segno della passione di Cristo, e non la passione stessa, così bisogna che la passione  significata dalla “frazione” non sia nel Corpo di Cristo, ma nelle specie, che lo  significano»[193].

Alcuni sacerdoti, come abbiamo visto in 2 Maccabei, hanno dimenticato l’ufficio  dell’altare. Che non siamo noi di questi. Non dimentichiamo mai ciò che è più importante  nelle nostre vite: l’ufficio dell’altare, l’Eucaristia, il Signore nel sacramento. Specialmente  in questo anno dell’Eucaristia. E rinnoviamo sempre le nostre promesse di svolgere il nostro  ufficio nel modo migliore.

Perché alla fine, come diceva il santo Curato d’Ars: «la causa del rilassamento del  sacerdote sta nel fatto che non dedica sufficiente attenzione alla Messa»[194]. 

Padre Carlos Miguel Buela

lunedì 5 aprile 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


Il nuovo mistero del Nuovo Testamento 

«L’effetto che la passione di Cristo produsse nel mondo,  questo sacramento lo produce nel singolo uomo»[154].

San Tommaso

 

Il cuore della Messa è che abbiamo, da una parte, che a motivo del sacramento sono  misticamente separati il Sangue e il Corpo di Cristo: e ciò basta a ottenere «il nuovo mistero  del Nuovo Testamento» offerto da Cristo ai suoi discepoli! Dall’altra parte, che a motivo  della compagnia naturale si trovano il Corpo insieme al Sangue ed il Sangue insieme al  Corpo, oltre all’anima, alla divinità, e agli altri accidenti della natura umana di Cristo. In  modo tale da essere assolutamente inutile cercare in altre cose l’essenza del sacrificio, cioè  l’essenza dell’immolazione eucaristica.

Questo tema ha due aspetti: 1º – In quale parte della Messa si realizza il sacrificio? e,  2º – Che cosa costituisce il sacrificio? Occorre mettere in risalto lo sforzo mirabile operato  da tanti illustri teologi, alcuni Dottori della Chiesa e santi, che pur non avendo raggiunto il  successo con il loro lavoro, hanno preparato la strada agli studi successivi e hanno  contribuito alla maturazione del giudizio del Magistero della Chiesa su questi argomenti.

1º. In quale parte della Messa si realizza il sacrificio?

Come sappiamo: «Le due parti che costituiscono in certo modo la Messa, cioè la  liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra loro così strettamente da  formare un solo atto di culto»[155]. Nessuno cerca l’essenza del sacrificio nella liturgia della  parola, bensì nella liturgia eucaristica, che è costituita da sei azioni principali:

1. L’oblazione del pane e del vino alla presentazione dei doni (offertorio).

2. La consacrazione del Corpo e del Sangue del Signore. 

3. L’oblazione verbale del Corpo e Sangue del Signore subito dopo la consacrazione. 

4. La frazione del pane e la successiva commistione. 

5. La comunione da parte del sacerdote con entrambe le specie sacramentali. 

6. La distribuzione della comunione ai fedeli. 

È evidente che l’essenza del sacrificio della Messa non sta:

– Né nell’offertorio, che è una semplice preparazione al sacrificio, perché pane e vino 

non sono la vittima del sacrificio;

– Né nella distribuzione della comunione ai fedeli cristiani laici, giacché la 

comunione non è sacrificio bensì partecipazione al sacrificio. 

L’argomento si incentra sulle altre quattro azioni oppure, se si vuole, se l’essenza del  sacrificio della Messa consista semplicemente nella sola duplice consacrazione o in qualche  altra azione: 

– Non consiste nell’oblazione verbale dopo la consacrazione, che non si svolge in 

persona Christi;  

– E nemmeno consiste nella frazione del pane, che non coinvolge la specie del vino;  e la commistione sarebbe solo «distruzione» che si ripercuote sugli accidenti. Alcuni hanno  pensato che la reale distruzione della vittima sia essenzialmente necessaria per il sacrificio,  ma anche se ciò poteva essere necessario «nei sacrifici dell’Antico Testamento e nel  sacrificio della croce, non per questo ne consegue che si debba accettare un’identica distruzione nel sacrificio della Messa, che è un sacrificio del tutto singolare e sui generis,  che si accorda solo analogicamente con gli altri sacrifici»[156]. La «distruzione» nella  Messa è meramente simbolica o rappresentativa; 

– Così pure non consiste nella comunione del sacerdote, che non è azione sacrificale ma 

partecipazione al sacrificio. 

Perciò è dottrina comune che l’essenza del sacrificio consiste nella sola  consacrazione di entrambe le specie, in ordine alla comunione, come parte integrante.

2º. Che cosa costituisce il sacrificio?

Così dobbiamo dire che perché vi sia il sacrificio:

–   Non è necessario che ci sia un cambiamento nella Persona di Cristo (cosa 

impensabile); 

–   Non c’è bisogno di un cambiamento nel Corpo e Sangue del Signore; 

–   Non è necessaria un’immolazione fisica o virtuale della vittima consistente nella 

distruzione della sostanza del pane e del vino[157];  

–   Né che Cristo sia ridotto a uno stato di umiliazione e di annientamento (in statum 

dicliviorem)[158]; 

–   Né che sia isolato dal mondo materiale che lo circonda, perché sono le specie a 

rapportarsi con esso[159]; 

–   Né che le parole della consacrazione tendano di per sé all’uccisione di Cristo, 

perché non hanno la funzione di «cultellus», coltello[160];

–   Nemmeno occorre respingere l’immolazione ponendo l’essenza del sacrificio 

nell’oblazione[161].

Basta dunque la duplice consacrazione delle due specie, con riferimento alla  comunione come parte integrante del sacrificio, perché sia rappresentata l’immolazione  cruenta della croce, cossichè nell’Eucaristia Cristo è immolato incruentamente,  misticamente o sacramentalmente e offerto sacerdotalmente. Per questo S. Tommaso  afferma che l’Eucaristia «…si compie nella consacrazione, in cui si offre il sacrificio a  Dio...»[162]. E insiste ripetutamente: «Il Sangue di Cristo nel sacramento rappresenta  direttamente la passione, nella quale fu effusa»[163]; «Il Sangue, consacrato  separatamente rappresenta in modo speciale la passione di Cristo, mediante la quale il suo  Sangue fu separato dal Corpo»[164].

Come abbiamo visto, i diversi stati di Cristo, mortale e passibile, esangue, inanimato,  glorioso e immortale, «non entrano direttamente nella natura del sacramento come tale 

[...], esse devono essere escluse dall’Eucaristia considerata come un sacrificio»[165]. 

San Tommaso anche dice: «Sebbene tutto il Cristo sia presente in ciascuna delle  due specie, non vi è presente inutilmente. Primo, perché ciò serve a rappresentare la  passione di Cristo, nella quale il Sangue fu separato dal Corpo. Cosicché nella forma  stessa della consacrazione del Sangue si fa menzione della sua effusione»[166]  . E in un  altro luogo insegna: «Se consideriamo ciò che è solo segno [sacramentum tantum], li  compete molto bene che il Corpo sia significato sotto la specie di pane, il Sangue invece  sotto la specie di vino, perché si significa la refezione spirituale; la refezione consiste  propriamente in cibo e bevanda... Se si considera in quanto realtà e sacramento [res et  sacramentum], compete al sacramento essere rammemorativo della passione del Signore.  E non poteva essere meglio significato di così [con la consacrazione separata delle due  specie], in quanto il Sangue è significato come effuso e separato dal Corpo»[167].

Che la ‘donna eucaristica’, la Vergine Maria, ci ottenga la grazia d’imitarla sempre, 

perché possiamo eucaristizzare tutta la nostra vita!

Padre Carlos Miguel Buela

venerdì 19 febbraio 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


«Questo sacramento è il segno della più grande carità ed è il sostegno della nostra 

speranza per l’unione tanto familiare di Cristo con noi»[131].

San Tommaso


I diversi stati del Corpo di Cristo nell’Eucaristia

Dobbiamo prendere ora in considerazione i diversi stati che ebbe o poté avere Cristo  nell’Eucaristia. Dobbiamo dichiarare senza esitazioni che la consacrazione, l’immolazione  eucaristica, il memoriale, ciò che realizza il sacramento per la sua propria natura, è prendere  il Corpo e il Sangue di Cristo così come li trova, in qualsiasi stato essi siano, in maniera  che il sacrificio sacramentale non produce in Cristo nessun nuovo stato.

Il sacramento stesso non pone in un nuovo stato né la Persona divina, né il suo Corpo e  Sangue[132]. Il nuovo stato che può avere il Corpo e il Sangue non derivano ad essi a motivo  del sacramento (ex vi sacramenti = in forza del sacramento; ex vi verborum = in forza delle  parole della consacrazione; ex vi convertionis = in forza della transustanziazione). «“In virtù  delle parole della consacrazione”, noi abbiamo nell’Eucaristia tutte quelle realtà e solo quelle  che sono contenute nella formula della consacrazione [...]; diamo a ciascun termine il proprio  senso letterale e avremo enunciato con chiarezza tutto ciò che è sull’altare»[133]. «Poiché la  conversione del pane e del vino non termina alla divinità o all’anima del Cristo, ne consegue  che la divinità e l’anima di Cristo sono presenti non in forza del sacramento, ma per  concomitanza naturale. Infatti, non avendo mai la divinità lasciato il corpo che assunse,  dovunque si trova il Corpo di Cristo deve esserci anche la sua divinità. Quindi in questo  sacramento è necessariamente presente la divinità di Cristo in concomitanza con il suo  Corpo»[134], (è evidente che il pane e il vino non possono convertirsi né nella divinità di  Cristo, né nella sua anima[135]). Il nuovo stato deriva al Corpo e al Sangue… per  concomitanza naturale! (ex vi realis concomitantiae). Questa realtà teologica ha categoria  dogmatica secondo il Concilio di Trento[136]. Non sono giochi di parole dei teologi, ma  spiegazione della verità presente nella realtà stessa eucaristica, e che conferisce tutta la sua forza  al fatto che la Messa è sacrificio.

La concomitanza, come s’intende in questo contesto, per le sue radici latine, significa  tramite una ridondanza di verbo e avverbio l’azione di camminare con un altro, come  compagno. Le sue radici sono: cum (con) e comes (compagno). Cioè il Corpo e il Sangue  eucaristici di Cristo non sono soli, ma accompagnati; sono scortati d’amici, da un corteo di  splendori[137], senza i quali di fatto non si presentano mai, e che sono: divinità, quantità  dimensionale al modo della sostanza, e gli altri accidenti del Corpo[138], l’anima (che  potrebbe in via ipotetica mancare), lo stato mortale e passibile o immortale e glorioso, ecc.

Per comprendere meglio questa verità vedremo la Messa in diverse fasi della vita di  Gesù: nell’ultima Cena, nell’ipotesi che si fosse celebrata nel momento della sua morte e  dopo la Resurrezione.


1. Nell’ultima Cena

Immaginiamo l’ultima Cena. Nel momento più importante Gesù istituisce  l’Eucaristia. La distribuisce agli Apostoli: «Infatti era certamente il vero e identico Corpo  di Cristo quello che vedevano allora i discepoli nella sua specie [in propria specie] e quello  che veniva ricevuto sotto le specie del sacramento [in specie sacramenti]»[139]. La stessa  persona seduta a capotavola. Avviene che quello che era passibile stava sotto la specie in  forma impassibile, come pure era invisibile quello che, di per sé, era visibile. Per questo S.  Tommaso ha messo come argomento d’autorità dello stesso articolo l’insegnamento del  nostro amico Innocenzo III: «Ai discepoli ha dato il Corpo tale come lo aveva allora»[140].

Nella terza obiezione S. Tommaso presenta la seguente difficoltà: «Le parole  sacramentali non sono più efficaci quando sono proferite dal sacerdote nella persona di  Cristo [in persona Christi] di quando furono pronunziate da Cristo stesso. Ma ora in virtù  delle parole sacramentali il Corpo di Cristo sull’altare viene consacrato impassibile e  immortale. Dunque tanto più allora»[141]. E risponde così: «Gli accidenti del Corpo di  Cristo, come si disse sopra, sono presenti in questo sacramento per naturale concomitanza,  non già in forza [= virtù, potere, ragione…] del sacramento, il quale rende presente la  sostanza del Corpo di Cristo [e del Sangue]. Perciò la virtù delle parole sacramentali ha il  compito di produrre e rendere presente nel sacramento il Corpo di Cristo [e il Sangue], con  tutti gli accidenti che (in quel momento) realmente possiede»[142]. Dice Dom Vonier che  quest’ultima frase è un vero lampo di genio![143] (letteralmente «una genialità»). «Dal resto  è grazie a questa distinzione fra le virtù del sacramento e la concomitanza che può essere  mantenuto l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia»[144].

Molti anni fa cominciai a studiare in profondità il tema dell’Eucaristia. Mi spinse fin  dall’inizio un’intuizione che appena adesso posso vedere concretizzata in parole.  L’intuizione era che il motivo per cui la Messa è sacrificio deve essere molto semplice,  come tutte le cose grandi di Dio, che è Semplicità infinita. Penso che la pista si trova  nell’ultima frase di S. Tommaso: «…la virtù delle parole sacramentali ha il compito di  produrre e rendere presente nel sacramento il Corpo di Cristo [e il Sangue], con tutti gli  accidenti che (in quel momento) realmente possiede», come per esempio i diversi stati  dell’esistenza di Cristo. In virtù delle parole (e dei segni sacramentali) sono significati  separatamente da una parte il Sangue di Cristo e dall’altra il Corpo di Cristo: non occorre  nient’altro. Con la duplice consacrazione per la quale resta, da una parte, la sostanza del  Sangue di Cristo sotto la specie del vino e, dall’altra, la sostanza del Corpo di Cristo sotto la  specie di pane, non occorre nient’altro per ottenere il sacrificio sacramentale. Ecco la  “mactatio mystica”, l’immolazione incruenta.

Nell’Ultima Cena, nel Sacramento eucaristico, a motivo delle parole c’era il Sangue  sotto la specie del vino e il Corpo di Cristo sotto la specie del pane, e a motivo della  concomitanza c’era il Sangue – sotto la specie di pane – e il Corpo – sotto la specie di vino –, la  divinità, l’anima, lo stato mortale e passibile e gli altri accidenti della natura umana di Cristo.

Perché è proprio di questo sacramento prendere il Corpo e Sangue di Cristo così come li trova in qualsiasi stato essi siano.


2. Nella morte

Vediamo ora un caso ipotetico. Immaginiamo che un Apostolo stia celebrando la  Messa o che il Corpo del Signore stava custodito in un tabernacolo: 1º. Nel momento in cui  Cristo resta senza sangue, esangue; 2º. Quando muore in croce, cioè quando la sua anima si  separa del corpo. Cosa sarebbe successo in questi casi?

1º. Quando resta senza sangue: «In forza della consacrazione, sotto la specie del pane,  come si è detto sopra, è presente il Corpo di Cristo, e sotto la specie del vino è presente il  Sangue. Adesso però, non essendo il Sangue di Cristo separato dal suo Corpo, sotto le specie  del pane è presente per reale concomitanza anche il Sangue di Cristo insieme al Corpo; e  sotto le specie del vino è presente anche il Corpo insieme al Sangue. Se invece al tempo della  passione di Cristo, quando il suo Sangue fu realmente separato dal suo Corpo, fosse stato  consacrato questo sacramento, sotto le specie del pane sarebbe stato presente soltanto il  Corpo e sotto le specie del vino soltanto il Sangue»[145].

2º. Quando muore in croce: «In questo sacramento e sotto la propria specie il Corpo  di Cristo è lo stesso nella sostanza, ma non si trova nello stesso modo: infatti nella propria  specie esso viene a contatto con i corpi circostanti mediante le proprie dimensioni, il che  non avviene nell’Eucaristia»[146], «[dove] non è in relazione con l’ambiente circostante  mediante le proprie dimensioni, con le quali i corpi si toccano tra loro, ma mediante le  dimensioni delle specie del pane e del vino. Di conseguenza a essere immutate e viste sono  le specie, non già il Corpo stesso di Cristo»[147]. «Quindi tutto ciò che appartiene a Cristo  in se stesso (nella sua sostanza) gli può essere attribuito sia nella propria specie che nella  presenza eucaristica: p. es. vivere, morire, soffrire, essere animato [con l’anima] o  inanimato [senza l’anima] e cose simili. Tutto ciò che invece gli conviene per i suoi rapporti  con i corpi esterni gli può essere attribuito se viene considerato come esistente nella sua  propria specie e non in quanto è presente nel sacramento: come essere deriso, coperto di  sputi, crocifisso, flagellato e cose simili»[148], «perciò Cristo, in quanto sta nel sacramento  non può subire [la passione]. Invece può morire»[149].

«Perciò se in quel triduo di morte fosse stato celebrato questo sacramento, l’anima  non vi sarebbe stata presente né in forza del sacramento né per concomitanza naturale. Ma  poiché “Cristo risorto dai morti non muore più”, come dice S. Paolo [Rom 6,9], la sua  anima è sempre realmente unita al Corpo [e al suo Sangue]»[150]. 

«Nel sacramento ci sarebbe stato lo stesso Cristo che era sulla croce. Ma sulla croce  egli allora moriva. Dunque sarebbe morto anche nel sacramento»[151], afferma  nell’argomento d’autorità. Come l’anima nel momento della morte esce dal suo Corpo fisico  così «in questo sacramento non sarebbe stata presente l’anima di Cristo: non per difetto di  virtù nelle parole sacramentali, ma per la diversa condizione della realtà»[152].

È infatti proprio di questo sacramento prendere il Corpo e Sangue di Cristo così quale li trova, in qualsiasi stato essi siano.


3. Dopo la Resurrezione

Se si fosse celebrata la Messa al momento della Resurrezione del Signore, è ovvio  che in quel momento anche l’anima tornerebbe al sacramento e il Corpo e Sangue, nel  sacramento, acquisirebbero un nuovo stato glorioso e immortale, come quello che aveva  Cristo nella sua specie propria in quel momento, e come lo ha adesso nei cieli. In modo che  per virtù del sacramento sotto la specie del vino c’è la sostanza del Sangue di Cristo insieme  (per virtù della concomitanza naturale) al Corpo, anima, divinità e agli accidenti della natura  umana; e sotto la specie del pane c’è la sostanza del Corpo di Cristo insieme al Sangue,  anima, divinità e agli accidenti della natura umana.

Perché è proprio di questo sacramento prendere il Corpo e il Sangue di Cristo così quale li trova, in qualsiasi stato essi siano.

Padre Carlos Miguel Buela,