venerdì 19 febbraio 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


«Questo sacramento è il segno della più grande carità ed è il sostegno della nostra 

speranza per l’unione tanto familiare di Cristo con noi»[131].

San Tommaso


I diversi stati del Corpo di Cristo nell’Eucaristia

Dobbiamo prendere ora in considerazione i diversi stati che ebbe o poté avere Cristo  nell’Eucaristia. Dobbiamo dichiarare senza esitazioni che la consacrazione, l’immolazione  eucaristica, il memoriale, ciò che realizza il sacramento per la sua propria natura, è prendere  il Corpo e il Sangue di Cristo così come li trova, in qualsiasi stato essi siano, in maniera  che il sacrificio sacramentale non produce in Cristo nessun nuovo stato.

Il sacramento stesso non pone in un nuovo stato né la Persona divina, né il suo Corpo e  Sangue[132]. Il nuovo stato che può avere il Corpo e il Sangue non derivano ad essi a motivo  del sacramento (ex vi sacramenti = in forza del sacramento; ex vi verborum = in forza delle  parole della consacrazione; ex vi convertionis = in forza della transustanziazione). «“In virtù  delle parole della consacrazione”, noi abbiamo nell’Eucaristia tutte quelle realtà e solo quelle  che sono contenute nella formula della consacrazione [...]; diamo a ciascun termine il proprio  senso letterale e avremo enunciato con chiarezza tutto ciò che è sull’altare»[133]. «Poiché la  conversione del pane e del vino non termina alla divinità o all’anima del Cristo, ne consegue  che la divinità e l’anima di Cristo sono presenti non in forza del sacramento, ma per  concomitanza naturale. Infatti, non avendo mai la divinità lasciato il corpo che assunse,  dovunque si trova il Corpo di Cristo deve esserci anche la sua divinità. Quindi in questo  sacramento è necessariamente presente la divinità di Cristo in concomitanza con il suo  Corpo»[134], (è evidente che il pane e il vino non possono convertirsi né nella divinità di  Cristo, né nella sua anima[135]). Il nuovo stato deriva al Corpo e al Sangue… per  concomitanza naturale! (ex vi realis concomitantiae). Questa realtà teologica ha categoria  dogmatica secondo il Concilio di Trento[136]. Non sono giochi di parole dei teologi, ma  spiegazione della verità presente nella realtà stessa eucaristica, e che conferisce tutta la sua forza  al fatto che la Messa è sacrificio.

La concomitanza, come s’intende in questo contesto, per le sue radici latine, significa  tramite una ridondanza di verbo e avverbio l’azione di camminare con un altro, come  compagno. Le sue radici sono: cum (con) e comes (compagno). Cioè il Corpo e il Sangue  eucaristici di Cristo non sono soli, ma accompagnati; sono scortati d’amici, da un corteo di  splendori[137], senza i quali di fatto non si presentano mai, e che sono: divinità, quantità  dimensionale al modo della sostanza, e gli altri accidenti del Corpo[138], l’anima (che  potrebbe in via ipotetica mancare), lo stato mortale e passibile o immortale e glorioso, ecc.

Per comprendere meglio questa verità vedremo la Messa in diverse fasi della vita di  Gesù: nell’ultima Cena, nell’ipotesi che si fosse celebrata nel momento della sua morte e  dopo la Resurrezione.


1. Nell’ultima Cena

Immaginiamo l’ultima Cena. Nel momento più importante Gesù istituisce  l’Eucaristia. La distribuisce agli Apostoli: «Infatti era certamente il vero e identico Corpo  di Cristo quello che vedevano allora i discepoli nella sua specie [in propria specie] e quello  che veniva ricevuto sotto le specie del sacramento [in specie sacramenti]»[139]. La stessa  persona seduta a capotavola. Avviene che quello che era passibile stava sotto la specie in  forma impassibile, come pure era invisibile quello che, di per sé, era visibile. Per questo S.  Tommaso ha messo come argomento d’autorità dello stesso articolo l’insegnamento del  nostro amico Innocenzo III: «Ai discepoli ha dato il Corpo tale come lo aveva allora»[140].

Nella terza obiezione S. Tommaso presenta la seguente difficoltà: «Le parole  sacramentali non sono più efficaci quando sono proferite dal sacerdote nella persona di  Cristo [in persona Christi] di quando furono pronunziate da Cristo stesso. Ma ora in virtù  delle parole sacramentali il Corpo di Cristo sull’altare viene consacrato impassibile e  immortale. Dunque tanto più allora»[141]. E risponde così: «Gli accidenti del Corpo di  Cristo, come si disse sopra, sono presenti in questo sacramento per naturale concomitanza,  non già in forza [= virtù, potere, ragione…] del sacramento, il quale rende presente la  sostanza del Corpo di Cristo [e del Sangue]. Perciò la virtù delle parole sacramentali ha il  compito di produrre e rendere presente nel sacramento il Corpo di Cristo [e il Sangue], con  tutti gli accidenti che (in quel momento) realmente possiede»[142]. Dice Dom Vonier che  quest’ultima frase è un vero lampo di genio![143] (letteralmente «una genialità»). «Dal resto  è grazie a questa distinzione fra le virtù del sacramento e la concomitanza che può essere  mantenuto l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia»[144].

Molti anni fa cominciai a studiare in profondità il tema dell’Eucaristia. Mi spinse fin  dall’inizio un’intuizione che appena adesso posso vedere concretizzata in parole.  L’intuizione era che il motivo per cui la Messa è sacrificio deve essere molto semplice,  come tutte le cose grandi di Dio, che è Semplicità infinita. Penso che la pista si trova  nell’ultima frase di S. Tommaso: «…la virtù delle parole sacramentali ha il compito di  produrre e rendere presente nel sacramento il Corpo di Cristo [e il Sangue], con tutti gli  accidenti che (in quel momento) realmente possiede», come per esempio i diversi stati  dell’esistenza di Cristo. In virtù delle parole (e dei segni sacramentali) sono significati  separatamente da una parte il Sangue di Cristo e dall’altra il Corpo di Cristo: non occorre  nient’altro. Con la duplice consacrazione per la quale resta, da una parte, la sostanza del  Sangue di Cristo sotto la specie del vino e, dall’altra, la sostanza del Corpo di Cristo sotto la  specie di pane, non occorre nient’altro per ottenere il sacrificio sacramentale. Ecco la  “mactatio mystica”, l’immolazione incruenta.

Nell’Ultima Cena, nel Sacramento eucaristico, a motivo delle parole c’era il Sangue  sotto la specie del vino e il Corpo di Cristo sotto la specie del pane, e a motivo della  concomitanza c’era il Sangue – sotto la specie di pane – e il Corpo – sotto la specie di vino –, la  divinità, l’anima, lo stato mortale e passibile e gli altri accidenti della natura umana di Cristo.

Perché è proprio di questo sacramento prendere il Corpo e Sangue di Cristo così come li trova in qualsiasi stato essi siano.


2. Nella morte

Vediamo ora un caso ipotetico. Immaginiamo che un Apostolo stia celebrando la  Messa o che il Corpo del Signore stava custodito in un tabernacolo: 1º. Nel momento in cui  Cristo resta senza sangue, esangue; 2º. Quando muore in croce, cioè quando la sua anima si  separa del corpo. Cosa sarebbe successo in questi casi?

1º. Quando resta senza sangue: «In forza della consacrazione, sotto la specie del pane,  come si è detto sopra, è presente il Corpo di Cristo, e sotto la specie del vino è presente il  Sangue. Adesso però, non essendo il Sangue di Cristo separato dal suo Corpo, sotto le specie  del pane è presente per reale concomitanza anche il Sangue di Cristo insieme al Corpo; e  sotto le specie del vino è presente anche il Corpo insieme al Sangue. Se invece al tempo della  passione di Cristo, quando il suo Sangue fu realmente separato dal suo Corpo, fosse stato  consacrato questo sacramento, sotto le specie del pane sarebbe stato presente soltanto il  Corpo e sotto le specie del vino soltanto il Sangue»[145].

2º. Quando muore in croce: «In questo sacramento e sotto la propria specie il Corpo  di Cristo è lo stesso nella sostanza, ma non si trova nello stesso modo: infatti nella propria  specie esso viene a contatto con i corpi circostanti mediante le proprie dimensioni, il che  non avviene nell’Eucaristia»[146], «[dove] non è in relazione con l’ambiente circostante  mediante le proprie dimensioni, con le quali i corpi si toccano tra loro, ma mediante le  dimensioni delle specie del pane e del vino. Di conseguenza a essere immutate e viste sono  le specie, non già il Corpo stesso di Cristo»[147]. «Quindi tutto ciò che appartiene a Cristo  in se stesso (nella sua sostanza) gli può essere attribuito sia nella propria specie che nella  presenza eucaristica: p. es. vivere, morire, soffrire, essere animato [con l’anima] o  inanimato [senza l’anima] e cose simili. Tutto ciò che invece gli conviene per i suoi rapporti  con i corpi esterni gli può essere attribuito se viene considerato come esistente nella sua  propria specie e non in quanto è presente nel sacramento: come essere deriso, coperto di  sputi, crocifisso, flagellato e cose simili»[148], «perciò Cristo, in quanto sta nel sacramento  non può subire [la passione]. Invece può morire»[149].

«Perciò se in quel triduo di morte fosse stato celebrato questo sacramento, l’anima  non vi sarebbe stata presente né in forza del sacramento né per concomitanza naturale. Ma  poiché “Cristo risorto dai morti non muore più”, come dice S. Paolo [Rom 6,9], la sua  anima è sempre realmente unita al Corpo [e al suo Sangue]»[150]. 

«Nel sacramento ci sarebbe stato lo stesso Cristo che era sulla croce. Ma sulla croce  egli allora moriva. Dunque sarebbe morto anche nel sacramento»[151], afferma  nell’argomento d’autorità. Come l’anima nel momento della morte esce dal suo Corpo fisico  così «in questo sacramento non sarebbe stata presente l’anima di Cristo: non per difetto di  virtù nelle parole sacramentali, ma per la diversa condizione della realtà»[152].

È infatti proprio di questo sacramento prendere il Corpo e Sangue di Cristo così quale li trova, in qualsiasi stato essi siano.


3. Dopo la Resurrezione

Se si fosse celebrata la Messa al momento della Resurrezione del Signore, è ovvio  che in quel momento anche l’anima tornerebbe al sacramento e il Corpo e Sangue, nel  sacramento, acquisirebbero un nuovo stato glorioso e immortale, come quello che aveva  Cristo nella sua specie propria in quel momento, e come lo ha adesso nei cieli. In modo che  per virtù del sacramento sotto la specie del vino c’è la sostanza del Sangue di Cristo insieme  (per virtù della concomitanza naturale) al Corpo, anima, divinità e agli accidenti della natura  umana; e sotto la specie del pane c’è la sostanza del Corpo di Cristo insieme al Sangue,  anima, divinità e agli accidenti della natura umana.

Perché è proprio di questo sacramento prendere il Corpo e il Sangue di Cristo così quale li trova, in qualsiasi stato essi siano.

Padre Carlos Miguel Buela,

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