giovedì 25 febbraio 2021

TEMPO ED ETERNITÀ - Più che la morte.

 


Più che la morte. 

E' tuttavia fuori di dubbio che v'è più filosofia nell'eternità e che è più spaventevole la durata eterna dei tormenti dell'inferno che non la prossima fine dei più grandi imperi. Più orribile cosa è l’esistenza dei mali eterni, che la fine dei beni temporali. Più meravigliosa è l’immortalità dell’anima nostra che non la mortalità del nostro corpo. Cosicché i cristiani, specialmente quelli che tendono alla perfezione, devono formarsi piuttosto un concetto grande dell'eternità, che temere la morte, il cui ricordo non è per sé necessario per disprezzare tutte le cose temporali. Infatti, secondo il consiglio di Gesù Cristo, il primo passo nella via della perfezione deve consistere nella rinuncia a tutto ciò  che posseggono perché, tolti gli impedimenti alla perfezione cristiana, essi si impieghino in sante opere e nell'esercizio delle virtù, considerando e ricordando l'eternità che li aspetta in premio di quelli. 

Deve risuonare nel nostro cuore molte volte questo orrendo grido; Eternità, eternità; non soltanto: hai da morire; ma che dopo la morte t'aspetta un'eternità. Ricordati che esiste un inferno senza fine e rammenta che vi è pure una gloria per sempre. È più efficace, per osservare la legge di Dio, ricordarsi che, se la trasgredisci, l'hai da pagare con dolori senza fine, che non il sapere che con te hanno da finire tutti i beni e mali di questa vita. 

Ricordati dunque dell'eternità e r isuoni nel più intimo dell’anima tua: Eternità, eternità. 

Per questo la Chiesa, quando consacra i Vescovi ricorda loro questa efficace e forte verità dell'eternità: Siano nel tuo pensiero gli anni eterni, come fece Davide. E nell'assunzione e coronazione del Sommo Pontefice bruciano dinanzi ai suoi occhi un poco di stoppa, pronunciando queste parole; Padre santo, così passa la gloria del mondo (Pater sancte, sic transit gloria mundi); e ciò, affinché alla vista di questo splendore breve e passeggero si ricordi del fuoco eterno. Martino V prese per stemma un falò acceso che in breve arrivava a bruciare una tiara di Pontefice, un diadema imperiale, una corona di re ed un cappello cardinalizio, per ricordarsi sempre, per mezzo di quel simbolo utilissimo, che anche i grandi se non compiono fedelmente gli obblighi del proprio ufficio, dovranno dopo la morte per tutta l'eternità bruciare nell'inferno. 

P. Gian Eusebio NIEREMBERG S. J. 

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