mercoledì 4 agosto 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


In forza del sacramento e in forza della concomitanza


«Il Sangue, l’anima e la divinità sono presenti nell’Eucaristia però non allo stesso modo che  il Corpo di Cristo. Ma i parroci avvertiranno che non tutte le realtà sopra accennate sono  contenute nell’Eucaristia allo stesso modo e per lo stesso motivo. Alcune vi si trovano in virtù  della consacrazione. Si sa che le parole della consacrazione producono quel che significano  e i teologi dicono che una cosa è contenuta nel sacramento in forza del sacramento, quanto è  espressa dalla forma; di guisa che se potesse avvenire (per ipotesi) che una cosa fosse del  tutto separata dalle altre, si ritroverebbe nel sacramento soltanto quella espressa dalla forma  e non il resto. Altre vi si trovano in quanto sono congiunte realmente con quanto è espresso  dalla forma. Così perché la forma adoperata per la consacrazione del pane significa il Corpo del Signore secondo le parole “questo è il mio Corpo”, in virtù del sacramento, sarà  nell’Eucaristia il Corpo stesso di Cristo. Ma poiché al Corpo sono congiunti il Sangue,  l’anima e la divinità, anche queste si ritroveranno nel sacramento, non in forza della  consacrazione, ma in quanto sono in realtà inseparabilmente congiunte al Corpo di Cristo; cioè in altre parole, per concomitanza. Da ciò segue che il Cristo è tutto intero nell’Eucaristia»195.

Catechismo Romano[195]  

Ho riflettuto spesso nel fatto che quando uno studia San Tommaso ogni volta può  trarre delle conclusioni. Una di esse è come il nostro studio della teologia, in modo  particolare del trattato sull’Eucaristia, ha grandi lacune. Ci se ne rende conto quando S.  Tommaso dice patet (= è chiaro), e ad uno non patet (= non è chiaro) affatto, perché  abbiamo in testa un miscuglio di cose. Oppure egli dice manifestum est (è evidente), e per  noi non è evidente, uno non lo aveva mai sentito, e pure celebriamo la Messa tutti i giorni.  Ma o non ce l’hanno insegnato, o non lo abbiamo imparato, o non lo studiamo, o non lo  approfondiamo, o non lo preghiamo, o non ci ricordiamo…

 Abbiamo visto prima come l’Eucaristia è sacramento e sacrificio. Inoltre come Gesù  la istituì in forma di cibo e bevanda, e come sta in specie propria e come in altra specie. Ora  vedremo, se Dio vuole, come il modo di essere di Gesù nell’Eucaristia è duplice: vi è in  forza del sacramento, ex vi sacramenti; ma vi è pure ex vi concomitantiae, in forza della  compagnia o della concomitanza.

 Prima di entrare nel argomento, bisogna chiarire quanto abbiamo già visto:  «in  specie propria» e «in altra specie» non sono due cose esattamente uguali, non hanno infatti  la stessa importanza, perché «in specie del pane e del vino» è sempre in rapporto con «in  specie propria», che ha dunque la priorità.

 Accade così per altri concetti spesso impiegati da S. Tommaso. Egli lo dice, io l’ho  appena scoperto: in alcuni casi usa la parola directe, direttamente, o per se, per riferirsi alla 

vi sacramenti, altre volte, parlando della vi concomitantiae, dice quasi per accidens[196],  cioè i due modi in cui il Signore si fa presente nell’Eucaristia non sono strettamente  paritetici.

Un’altra cosa curiosa in S. Tommaso, che ci è nota ma a volte non riusciamo a  vedere, è come si disimpegna con grande sicurezza. E questo perché ha sempre presente, in  primo luogo e come punto di partenza, il dogma di fede, e poi tiene come certezze i fatti 

dell’esperienza. Le espressioni ricordano i punti di partenza delle vie, che è sempre un fatto  di esperienza sensibile, una cosa davvero inconfutabile. Anche in questo trattato. 

Così inizia la q. 76: «È necessario riconoscere, secondo la fede cattolica, che tutto il  Cristo è presente in questo sacramento»[197]. Tale esservi Cristo tutto intero è di due modi: 

ex vi sacramenti ed ex naturali concomitantia. 

1. Perché? Per quale motivo porre questo secondo modo di presenza del Signore  nell’Eucaristia?

Manifestum est, risponde. E questo lo dice in una delle difficoltà, e dunque non siamo  soliti dargli molta importanza: ma lo dice  come affermazione nella difficoltà. E poi nella  risposta torna ad affermarlo: «è evidente [manifestum est] che il pane e il vino non possono  convertirsi né nella divinità di Cristo, né nella sua anima»[198]. Dice questo nella 1ª  difficoltà e anche nella risposta: «Poiché la conversione del pane e del vino non termina  alla divinità o all’anima del Cristo, di conseguenza la divinità e l’anima di Cristo non sono  in questo sacramento in forza del sacramento [ex vi sacramenti], ma per reale  concomitanza [ex reali concomitantia]»[199]. E nella stessa risposta prosegue spiegando:  «Infatti, non avendo mai la divinità lasciato il corpo che assunse, dovunque si trova il  Corpo di Cristo, deve esserci anche la sua divinità. Perciò in questo sacramento è  necessario che vi sia la divinità di Cristo in concomitanza del suo Corpo»[200]. Il testo  latino dice «è perciò necessario che la divinità vi sia… concomitantem eius Corpus»,  perché la divinità non ha mai abbandonato il Corpo del Signore, nemmeno quando era nel  sepolcro, nemmeno quando Egli discese nel limbo dei giusti. In un altro luogo dice: «Di un  altro modo qualcosa è in questo sacramento per reale concomitanza, come la divinità del  Verbo è in questo sacramento per la sua indissolubile unione al Corpo di Cristo, sebbene in  nessun modo la sostanza del pane si converta nella divinità»[201]. 

Per quanto riguarda all’anima, si da la diversità che essa fu separata dal Corpo di  Nostro Signore dopo la sua morte in croce e fino alla sua resurrezione il terzo giorno. Ma  Cristo risuscitato non muore più, per cui dov’è il Corpo è necessario che ci sia anche  l’anima, perché è presente Cristo tutto intero, e questo è verità di fede.  

Nel Commento alle Sentenze aveva spiegato un po’ di più: «Nel sacramento  dell’altare una cosa è contenuta in due modi: in un modo in forza del sacramento, in un  altro modo per naturale concomitanza. In forza del sacramento vi è contenuto ciò a cui  termina la conversione. 

A che cosa poi termina la conversione, lo si può sapere da tre cose:

Primo, da ciò che è stato convertito: infatti la materia del sacramento non si  converte se non in ciò verso cui ha somiglianza secondo la proprietà della sua natura,  come il vino nel Sangue.

Secondo, dalla significazione della forma, in virtù della quale avviene la  conversione: per cui la conversione termina a ciò che è significato dalla forma.

Terzo, dall’uso del sacramento: poiché ciò che appartiene al cibo è contenuto sotto  la specie del pane in forza del sacramento, e ciò che appartiene alla bevanda sotto la specie  del vino. 

Per naturale concomitanza invece, e quasi per accidens, è contenuto sotto il  sacramento ciò che di per sé non è il termine della conversione, ma senza il quale il termine  della conversione non può esistere»[202].

Secondo il Santo Dottore dunque sappiamo in che cosa si conclude la trasformazione ex vi sacramenti per tre motivi:  

1º. Per i termini a quo e ad quem, tra i quali deve esserci una qualche somiglianza. 

2º. Per quello che significano le parole del sacramento. 

3º. Per la finalità che ha il sacramento. 

Per questi motivi non sono termine della trasformazione né l’anima né la divinità:  «In base a ciò dunque è chiaro che dal momento che l’anima di Cristo non ha somiglianza  con la sostanza del pane, né si fa menzione dell’anima nella forma del sacramento, né  l’anima conviene all’uso del sacramento, che è il mangiare e il bere, [così] la conversione  del pane e del vino non termina all’anima, ma al Corpo e al Sangue di Cristo, che non sono  separati dall’anima: quindi l’anima non vi è contenuta in forza del sacramento, e tuttavia vi  è contenuta per la naturale concomitanza al Corpo che vivifica»[203].

E spiega ciò che è minimamente necessario perché siano vere le parole della  consacrazione: «L’anima è forma del corpo e gli dona tutta la sua struttura di essere  completo: cioè l’essere, l’essere corporeo, l’essere animato e così via. Ora, la forma del  pane si converte nella forma del Corpo di Cristo in quanto questo da l’essere corporeo, non  in quanto da l’essere animato da una tale anima»[204].

Sviluppa anche, in un’altro luogo, il fatto che ex vi sacramenti sotto la specie del  pane non è contenuto il Sangue di Cristo, né sotto la specie del vino il Corpo del Signore:  «E poiché il sacramento fu istituito per l’uso dei fedeli, così in forza del sacramento [ex vi  sacramenti] è contenuto in questo sacramento ciò che viene in uso dei fedeli. E poiché nel  pane consacrato non si contiene il Sangue di Cristo secondo che è dato come bevanda ai  fedeli [ma vi è contenuto il Corpo allo scopo di essere mangiato], così non vi è contenuto in  forza del sacramento, ma per naturale concomitanza, per la quale conviene che il Corpo di  Cristo non sia senza il Sangue; e il contrario avviene nel vino consacrato. Per cui il pane  non si converte in forza delle prime parole [le parole della consacrazione del pane] nel  Corpo e nel Sangue, ma nel Corpo senza il Sangue, che sarà dato come bevanda ai fedeli» [205]. 

E dà un duplice motivo per cui si deve consacrare il Sangue separatamente dal Corpo: perché l’alimento consiste nel mangiare e bere, e perché l’Eucaristia è la perfetta  rappresentazione della Passione del Signore. Dice l’Angelico: «La causa per cui il Sangue  viene consacrato separatamente dal Corpo, mentre adesso non è diviso, può essere desunta  dall’uso a cui è destinato il sacramento, poiché il cibarsi consiste nel cibo e nella bevanda;  e da ciò che è rappresentato dal sacramento, poiché nella passione il Sangue di Cristo fu  diviso dal Corpo»[206]. 

Lo stesso San Tommaso si pone una difficoltà interessante: Ciò che è già stato fatto  non può farsi un’altra volta. Il Corpo di Cristo ha cominciato ad essere nel sacramento per la  consacrazione del pane. Dunque non può cominciare ad essere presente per la consacrazione  del vino… E risponde: «Il Corpo di Cristo, come si è detto, non è nella specie del vino in  forza del sacramento, ma solo per reale concomitanza. Quindi per la consacrazione del  vino non si renderà presente il Corpo di Cristo direttamente [per se], ma  concomitantemente»[207].

Di fatto, se uno consacrasse una sola specie farebbe il sacrificio imperfetto, dovrebbe correggere il difetto[208].

2. Che cosa opera un modo e che cosa l’altro?

Ex vi sacramenti: ciò che è sotto le specie del sacramento, quello in cui si trasforma directe, direttamente, la sostanza del pane e del vino, cioè il Corpo e Sangue del Signore. Le  sostanze del pane e del vino cessano di esistere trasformandosi nella sostanza del Corpo e  del Sangue del Signore, il che è significato pure dalle parole della formula, che sono  efficienti[209], e perciò anche in qualche passo usa l’espressione ex vi verborum. Dom  Vonier dice che ci sono tre parole che esprimono, equivalentemente, questa realtà con  sfumature proprie: con ex vi conversione, che è la transustanziazione, «si esprime meno che  con l’espressione ex vi verborum, perché le parole della consacrazione possono significare  qualcosa di più che corpo e sangue»[210]. Per esempio, le parole significano il banchetto:  «Prendete e mangiate... Prendete e bevete...», il sacrificio e lo stato sacramentale di vittima:  «…che sarà dato… che sarà versato…», il sacrificio di propiziazione: «…per il perdono  dei peccati…». Le due espressioni «sono comprese nell’espressione più larga vi  sacramenti»[211].  

Ex naturali concomitantia (= per la naturale concomitanza, connessione, compagnia):  vi è ciò che sta realmente unito a quello che qui si pone per trasformazione, vi è ciò che sta  realmente unito a quello che costituisce il termine ad quem della trasformazione[212]. San  Tommaso aggiunge una riflessione assai importante: «di due cose unite realmente tra loro,  dovunque si trova realmente l’una bisogna che si trovi anche l’altra: poiché le cose che sono  unite realmente vengono separate solo dall’attività dello spirito»[213]. 

3. I nomi

Abbiamo già avuto modo di riferirci a questi due modi di presenza di Gesù Cristo  nell’Eucaristia. San Tommaso usa diverse espressioni per indicare l’uno e l’altro. Pero  indicare il primo modo adopera la seguente terminologia: 

ex vi sacramenti, 

quasi ex vi sacramenti[214], 

ex vi verborum[215], 

ex vi conversionis, 

ex vi sacramenti[216], 

per se[217],

directe ex vi sacramenti[218]… 

E riguardo all’altro concetto: ex vi concomitantiae, aggiunge quasi sempre due  aggettivi per ben risaltare che non è una invenzione della sua mente, come molte volte  accade a noi, una cosa pia o propria di una meditazione, bensì qualcosa di reale: 

ex reali concomitantia[219], 

ex naturali concomitantia[220], 

in qualche luogo dice quasi ex quadam concomitantia[221] (facendo capire altrove che questo non è «di per se»[222]), 

altre espressioni sono quasi per accidens, per concomitanza [223], non fit… per se[224]. 

4. Quali cose di Cristo stanno nel sacramento secondo ciascun modo di presenza?

A. Secondo “ex vi sacramenti”:

C’è solo quello in cui si conclude direttamente la trasformazione: quindi la sostanza  del Corpo del Signore sotto la specie del pane e la sostanza del Sangue del Signore sotto  quella del vino; e, per la duplice consacrazione, si dà lo stato sacramentale della vittima; 

Non c’è il Sangue sotto la specie del pane, e nemmeno l’anima né la divinità;

Non c’è il Corpo sotto la specie del vino, e nemmeno l’anima né la divinità.

B. Secondo “ex vi concomitantiae” c’è quanto è unito alla sostanza del Corpo e del  Sangue: 

Sotto l’apparenza del pane, in forza della concomitanza c’è il Sangue, l’anima, la  divinità, la quantità dimensiva – che mai si separa realmente dalla sostanza – e gli altri  accidenti. Sotto l’apparenza del vino c’è il Corpo, l’anima, la divinità, la quantità dimensiva  e gli altri accidenti. 

Vediamo due passi di S. Tommaso: «…la quantità dimensiva è lì per concomitanza e  quasi per accidens. Tale quantità dimensiva è presente in questo sacramento non nel modo  proprio [della quantità], […] ma secondo il modo della sostanza»[225]. Inoltre, ex vi  concomitantiae, vi sono pure gli stati di Cristo (eccetto la condizione o stato di vittima). 

Durante sua vita terrena era nello stato passibile, o ipoteticamente quando si trovava nello  stato di separazione dell’anima al momento della morte – fino alla resurrezione –, o anche  nel suo stato glorioso e immortale, come nella resurrezione e fino ad ora. Diciamo eccetto lo  stato di vittima in quanto, per la duplice consacrazione, si presenta sempre nello stato  sacramentale di vittima. Gli altri stati sono accidenti del Corpo di Cristo, non formano parte  della sostanza del Corpo di Cristo. Perciò la dottrina dei due modi della presenza di Cristo  nell’Eucaristia è molto importante: abbiamo infatti difficoltà a capire che la Messa è  sacrificio perché diciamo: – «Come? Se Cristo è resuscitato…». Mentre l’insegnamento  della Chiesa, come dice il Concilio di Trento, è che a motivo del sacramento il Sangue  appare separato dal Corpo, e questo è il sacrificio eucaristico. Che vi sia Cristo nel suo stato  di risorto com’è ora in cielo è una conseguenza, perché il sacramento fa sempre presente il  Corpo e il Sangue qualunque sia lo stato in cui si trovi il Corpo di Cristo in quel momento,  senza che questo intacchi la realtà sacramentale. 

Nel secondo passo S. Tommaso risolve la difficoltà che si presenta da parte dello stato  del Corpo di Cristo sull’altare paragonandolo allo stato che possedeva sulla tavola dell’ultima  Cena, e considerando gli stati come accidenti del Corpo: «Gli accidenti del Corpo di Cristo  sono presenti in questo sacramento per reale concomitanza, non già in forza del sacramento,  il quale rende presente la sostanza del Corpo di Cristo. Perciò la virtù delle parole  sacramentali ha il compito di rendere presente nel sacramento il Corpo […], qualsiasi siano  gli accidenti che realmente possiede»[226].

Coerenti con le loro dottrine eretiche, non per nulla, i protestanti sacramentari – Carlostad,  Zwinglio, Ecolampadio… – si beffano della concomitanza; Martin Lutero la ridicolizza;  Melantone se ne disinteressa, quando dice che certi vanno tormentandosi con vuote  ragioni[227]. In questi tempi di falsi ecumenismi e di influssi delle posizioni protestanti sui  pensatori cattolici alcuni teologi sono complici e seguaci di quelle dottrine.

Dimenticano questi, e anche altri, il chiaro insegnamento del Concilio di Trento:  «Infatti gli apostoli non avevano ancora ricevuto l’Eucaristia dalla mano del Signore [cf. Mt  26,26; Mc 14,22] e già egli affermava che quello che dava era il suo Corpo. Sempre vi è stata  nella Chiesa di Dio questa fede, che […] in forza delle parole il Corpo è sotto la specie del  pane e il sangue sotto la specie del vino; ma lo stesso Corpo è sotto la specie del vino, e il  sangue sotto quella del pane, e l’anima sotto l’una e l’altra specie, in forza di quella naturale  unione o concomitanza»[228]. Dimenticare questo porta a delle funeste conseguenze.

La differenza tra ciò che si trova nell’Eucaristia in forza delle parole e quello che c’è  per concomitanza, per quanto non sia insegnamento di fede, sarebbe tuttavia sbagliato e  azzardato negarla, non solo per l’autorità del Concilio di Trento, che per chiarire  ulteriormente il mistero impiega quelle espressioni, ma anche perché la differenza di cui  parliamo deriva chiaramente dai principi della fede[229]. Di fatto l’autorità del Concilio di  Trento, nel paragrafo in cui tra altre cose si indica tale differenza, inizia dicendo: «Sempre  c’è stata questa fede nella Chiesa di Dio…». Sembrerebbe che nel Catechismo della Chiesa  Cattolica si parli di tale dottrina perché almeno 11 volte si usa l’espressione «parole»[230] o «conversione»[231] riferite al Corpo e Sangue del Signore contenuti sotto il pane e il vino; sembrerebbe poi, in un caso, far riferimento alla concomitanza, quando usa la preposizione  «con» per riferirsi all’anima e alla divinità[232].

Padre Carlos Miguel Buela,

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