martedì 28 settembre 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


Cristo che ha patito


«L’Eucaristia invece è il sacramento della passione di Cristo in quanto l’uomo viene reso 

perfetto in unione a Cristo che ha patito»[262].

San Tommaso


1. Qualche citazione

Tra i padri greci non si usa l’esatto corrispondente del latino passus, cioè il participio  perfetto, bensì due forme analoghe, l’aggettivo verbale [paqhto,j] (tradotto come «paziente», o,  meglio, «passibile») e il participio aoristo [pa,qwn(ontoj]. Tuttavia si nota nell’uso di tali  espressioni, soprattutto di quest’ultima forma, la loro tendenza ad attribuire la passione a Cristo  come caratteristica sua propria, quasi fosse un epiteto. Così, per esempio, nell’antico sermone 

In sanctum Pascha: «perché in tutte queste cose preannunciate sul Cristo che ha patito [tou/  Cristou/ paqo,ntoj], era necessario, ecc...»[263]; oppure S. Giovanni Damasceno: «abbiamo  imparato dal Cristo che ha patito nella carne [Cristo.n de. paqo,nta sarki.  Vedida,cqhmen]»[264].

Vi sono testi dei padri latini e di altri autori ecclesiastici tendenti a rafforzare questa idea. Citiamone solo alcuni:

– «In quel Noè che, ubriacatosi con l’uva piantata da lui stesso, restò nudo in casa sua, chi non vede Cristo che ha patito tra la sua gente?»[265].

– «E Mosè fu pure simbolo del popolo giudeo, che poi doveva credere nel Cristo che ha patito»[266].

– «I bambini sarebbero estranei a tale salvezza e luce […] se non fossero associati  in adozione al popolo di Dio, possedendo il Cristo giusto che ha patito per l’ingiusto per  condurli a Dio»[267].

– «La materia (argomento) del salmo (68) è Cristo che ha patito [Christus passus], per la fragilità della natura umana»[268]  .

– «Che altro potrebbe significare il pesce utilizzato, se non Cristo che ha  patito?»[269]  ; «Ma che significa il pesce arrostito, mangiato da Cristo dopo la  resurrezione e datogli dai discepoli, se non Cristo stesso che ha patito? [Christum  passum]»[270]  ; «…cioè lo onorarono credendo rettamente, e mangiando santamente i  sacramenti del Cristo che ha patito [Christi passi]»[271]  

– Anche il Sinodo di Arras (1025), allude alla presenza fisica del Christus passus: 

«Cristo infatti, pur avendo sofferto una sola volta e pur essendo morto una sola volta, ogni  giorno soffre per noi nella Chiesa, ogni giorno la sua memoria si realizza in nostro  favore»[272].

L’espressione in San Tommaso, specialmente nel trattato sull’Eucaristia, ha un senso  preciso, quasi tecnico: «L’Eucaristia invece è il sacramento della passione di Cristo in  quanto l’uomo viene reso perfetto in unione a Cristo che ha patito [Christum  passum]»[273].

«L’Eucaristia è il sacramento perfetto della passione del Signore, in quanto contiene il Cristo stesso che ha patito [Christum passum]»[274].

«Per quanto invece riguarda il Cristo stesso immolato [Christum passum], che è  contenuto inquesto sacramento, la figura principale va riscontrata in tutti i sacrifici del  Vecchio Testamento»[275].

«Era giusto dunque che il sacrificio della Nuova Legge, istituito da Cristo, avesse  qualche cosa di più e cioè che contenesse lui medesimo che ha patito [ipsum passum], non solo  sotto forma di simbolo o di figura, ma nella realtà»[276].

«Ma quanto a ciò che è realtà e sacramento [res et sacramentum] fu più espressiva  la figura della legge di Mosè [che l’oblazione di Melchisedec], con la quale veniva  significato più espressamente il Cristo che ha patito [Christus passus]»[277].

«…giachè [l’Eucaristia] è il sacramento della passione del Signore, contiene in sé il Cristo che ha patito [Christum passum]…»[278].


2. Alcune considerazioni a partire della grammatica[279]  

Prima di analizzare direttamente l’espressione Christus passus, vediamo due  espressioni davvero interessanti in rapporto con il nostro tema. Sono Corpo offerto (consegnato) – Sangue versato. Nelle parole dell’istituzione eucaristica Nostro Signore dice  che la realtà contenuta nell’Eucaristia è il suo Corpo consegnato (cfr. Lc 22,19) e il suo  Sangue versato (cfr. Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20). Nel testo greco del Nuovo Testamento  queste due qualità sono espresse con due participi presenti (dido,menon = consegnato;  evkcunno,menon = versato). In realtà nelle lingue classiche i sistemi verbali non sempre si  corrispondono tra di loro. Il greco presenta i cosiddetti «aspetti» dei tempi verbali, che il  latino conosce di meno. Questo vuol dire che in greco il «tempo» del verbo non sempre ha  un valore temporale (presente, passato o futuro), pur avendolo spesso, specie nel modo  indicativo. È tipico invece dei «tempi» dei verbi greci denotare una caratteristica (aspetto)  dell’azione.

Nel caso del tempo presente ciò che si indica è l’aspetto della continuità, della durata  di un’azione. Il modo in cui tale aspetto del presente considera la continuità è molto  discusso tra i grammatici della lingua greca e non interessa al nostro discorso[280]. Basti  sapere che i due participi presenti usati dal Signore non significano primariamente il tempo  presente, ma l’aspetto della continuità o durata. 

Nel greco del Nuovo Testamento il participio presente è usato con valore inoltre di futuro, specialmente se si tratta di un futuro imminente [281].

Possiamo concludere che i participi presenti offerto [= consegnato] – versato usati da  Gesù nell’istituzione dell’Eucaristia indicano che si tratta del suo Corpo che sarà offerto e  del suo Sangue che sarà versato il giorno dopo, durante la passione. Ma necessariamente  comprendono anche il momento stesso dell’istituzione (l’ultima Cena) e la continuazione o  perpetuazione di quell’atto nei secoli, cioè il sacrificio della Messa. Nell’ultima Cena vi fu Sangue versato e Corpo offerto, benché in modo incruento; lo stesso avviene in ogni santa  Messa. Infatti l’ordine di Gesù agli Apostoli «fate questo in memoria di me» (Lc 22,19; 1Co  11,23-24) è dato anche con un imperativo presente (poiei/te = fate), per cui si deve  continuamente ripetere la stessa cosa che Egli istituì nell’ultima Cena. Per questo molti  validi esegeti sottolineano la forza particolare di questi due participi presenti [282].

Addentrandoci nell’espressione latina usata da S. Tommaso, vediamo che  grammaticalmente passus è il participio perfetto del verbo patior, che vuol dire patire, soffrire. È un verbo deponente, un verbo cioè di forma passiva ma di senso attivo. 

Tale caratteristica formale dei verbi deponenti è, se si vuole, la più evidente, ma non  l’unica né la più importante, dato che spesso tale uso implica certe sfumature che sono  espresse più adeguatamente nella forma passiva che in quella attiva. È, crediamo, il caso di  questo participio. In effetti, la forma passus, essendo il participio perfetto di un verbo  deponente, ha vari aspetti nel suo significato: 

Indica un’azione compiuta e terminata nel passato, un’azione completa; 

·      Il participio passato è spesso impiegato in latino con senso presente, specie se si  tratta di verbi indicanti una condizione, mentale o fisica, del soggetto[283], come  è il caso di «patire» (patito). In questo senso il participio passato di un verbo  deponente può impiegarsi per indicare uno stato esistente o esprimere una simultaneità, cioè qualcosa di presente[284];

·      Inoltre il participio passato, in quanto aggettivo verbale, indica un attributo del  soggetto, cioè attribuisce al soggetto la qualità espressa dal verbo come qualcosa  di suo proprio[285].  


3. Interpretazioni del Christus passus

Non sono corrette:

–   Alcuni affermano che Cristo soffre ora: «Alcuni infatti hanno detto che “Christus  passus” significa niente altro che Cristo paziente, in modo che le parole di S. Tommaso  “nell’Eucaristia è contenuto Christus passus” significhino: nell’Eucaristia è contenuto  Cristo che ora soffre benché in forma nascosta e sacramentale, ma veramente sofferente in  atto»[286];

–  «Altri hanno insegnato che con queste parole si indica ciò che Cristo ha sofferto  in passato, in modo che il senso delle parole di S. Tommaso sarebbe che nel sacramento  dell’Eucaristia è contenuto Cristo che ha sofferto in passato, ma che ora non è presente  nello stato della passione»[287].

È corretto:

–   Che il Christus passus è contenuto nell’Eucaristia: «L’Eucaristia è il sacramento  perfetto della passione del Signore, in quanto contiene il Cristo stesso che ha patito [Christum passum]. Non poté perciò essere istituita prima dell’incarnazione: quello invece  era il tempo dei sacramenti che dovevano prefigurare la passione del Signore»[288];

–   Che nell’Antico Testamento era prefigurato dall’agnello pasquale, specialmente in  quanto questo veniva immolato: «Per quanto invece riguarda il Cristo stesso immolato [Christum passum], che è contenuto in questo sacramento, la figura principale va  riscontrata in tutti i sacrifici del Vecchio Testamento, specialmente nel sacrificio  dell’espiazione che era solennissimo […]. Ma l’agnello pasquale prefigurava questo  sacramento […] perché veniva immolato da tutti i figli d’Israele nella quattordicesima  luna, il che prefigurava la passione di Cristo, che per l’innocenza viene denominato  agnello»[289].

–   Che è la res et sacramentum: «giacché è il sacramento della passione del Signore, contiene in sé il Cristo che ha patito [Christum passum]»[290].

–   Che giustamente bisogna dire che «il Cristo sacramentale si dice “Cristo che ha  patito”, perché secondo l’ordine presente dell’istituzione divina, la presenza reale di Cristo  sotto l’una o l’altra specie non avviene senza che per ciò stesso si renda presente lo stesso  Cristo nello stato della passione in quanto, come abbiamo detto, in virtù delle parole sotto  la specie del pane non si rende presente se non il Corpo di Cristo e sotto la specie del vino  non si rende presente se non il Sangue di Cristo»[291].

–  «Come il sacramento dell’Eucaristia contiene veramente e realmente Cristo Gesù,  allo stesso modo contiene il Cristo che ha sofferto, il Corpo e il Sangue, violentamente  separati sulla croce per la nostra salvezza. Si trova lì la res et sacramentum eucaristica. È  una realtà significata a sua volta dal segno sensibile (signum tantum). È tramite il segno  sensibile che simbolizza e provoca una realtà ulteriore: la grazia sacramentale della  comunione e l’applicazione sacrificale della virtù meritoria e soddisfattoria acquistata sulla  Croce. Torniamo sempre così al sacrificio cristallizzato, cosa necessaria se si vuole trovare  sull’Altare un vero sacrificio identico al sacrificio della Croce, lo stesso offerente e la stessa  vittima offerta»[292].

Riassumendo:

Applicando le nozioni grammaticali che abbiamo visto all’espressione Christus passus,  espressione quasi idiomatica usata da S. Tommaso per riferirsi alla realtà contenuta  nell’Eucaristia, possiamo dedurre che essa indica da una parte che vi si trova la totalità della  passione redentrice di Cristo, compressi i frutti e i meriti ottenuti dal Signore per mezzo di essa,  cioè l’opera completa della redenzione (ciò che è proprio del «perfetto»). Dall’altra parte il  tempo passato del participio indica che Cristo ha ormai patito in carne propria una volta sola,  sul Calvario, e che quindi la Messa è sacrificio relativo, segno commemorativo del sacrificio del  Calvario. Il valore presente del participio perfetto indica tuttavia che quel sacrificio avvenuto  nel passato si perpetua, si fa presente, benché in altra forma (in forma sacramentale). Si indica  infine che quel modo di farsi presente, quell’essere contenuto come «patito» nell’Eucaristia, è  un fatto proprio ed esclusivo di Cristo, come lo è il suo unico sacrificio.

Possiamo chiederci perché S. Tommaso, se vuole indicare la realtà della presenza  attuale del sacrificio di Cristo nell’Eucaristia, non impiega mai, almeno nelle questioni che  nella Somma Teologica dedica all’Eucaristia, la forma presente del participio (patiens,  soffrendo). Una prima risposta, semplicemente grammaticale, è che il participio presente  indica un’azione che si sta svolgendo attualmente, e quindi non implica la conclusione o la  perfezione (nel senso di completato, finito) dell’opera. 

Ma poi il participio presente potrebbe indurre a interpretazioni sbagliate, come se  Cristo soffrisse in carne propria, cioè in forma cruenta, in ogni Messa. Perciò è un’espressione  meno adatta ad indicare il fatto che Cristo, nella Messa, si offre in forma diversa che nel  Calvario, benché si tratti dell’unico e identico sacrificio. In altre parole: nel participio presente patiens potrebbe intendersi che Cristo sta soffrendo ora sull’altare, mentre in realtà Cristo si  rende presente con l’unico suo sacrificio, il quale offrì una sola volta in passato, ma che  perpetua in ogni Messa. In questo senso la forma passiva e al passato è più idonea a  significare che Cristo si offre nella Messa in un altro modo (sacramentalmente, in specie  aliena) e non in modo cruento (come nel Calvario, in specie propria), pur trattandosi dello  stesso Cristo e dello stesso e unico sacrificio. 

Mi pare che in questo senso, cioè indicando la presenza sacramentale del sacrificio di  Cristo, debba intendersi il passo della Summa in III, 66, 9, ad 5: «Nel sacramento  dell’Eucaristia si commemora la morte di Cristo, in quanto lo stesso Cristo che ha patito [Christus passus] viene imbandito a noi come banchetto pasquale, secondo l’espressione di  S. Paolo: “Come nostra Pasqua si è immolato il Cristo: Banchettiamo dunque...”»[293].  Notiamo l’espressione di S. Tommaso «exhibetur nobis»: ci viene imbandito, ci viene  offerto o ci è dato, ci viene presentato, ci è mostrato come banchetto pasquale, sotto  l’aspetto di cibo e bevanda, di pane e vino, cioè sotto i veli sacramentali, sotto le specie  distinte del pane e del vino.

Queste considerazioni ci indicano che l’espressione «Christus passus» si dimostra  una vera e propria sintesi teologica, non solo perché significa che nell’Eucaristia è  contenuto «Cristo che ha patito», ma anche perché si vuol dire che attualmente si ritrova la  totalità della passione di Cristo, e al contempo si esclude la forma cruenta, perché  attualmente è impossibile che Cristo resuscitato patisca.  

Il Christus passus indica che il motivo formale del sacrificio della Messa sta nella mactatio mystica secundum se, nell’immolazione incruenta, nella separazione sacramentale  del Sangue dal Corpo dove si mostra Cristo immolato, dove Cristo è posto «sotto le specie  sacramentali in un certo qual atteggiamento esterno di morte e distruzione»[294], «con  segni esteriori che sono simboli di morte… [dove] per mezzo di segni distinti si significa e  dimostra che Gesù Cristo è in stato di vittima»[295], «nello stato della passione» – per cui  si potrebbe molto bene tradurre Christus passus con Cristo «passionato»[296] – dal  momento che «la Messa non solo ci offre la presenza sostanziale di Cristo in stato glorioso,  ma anche la presenza operativa del suo atto sacrificale redentore»[297] con il cumulo di  tutte le grazie e meriti acquisiti sulla Croce che si applicano in questo sacramento, in modo  che «l’effetto che la passione di Cristo produsse nel mondo, questo sacramento lo produce  nel singolo uomo»[298]  

Padre Carlos Miguel Buela,

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