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domenica 20 settembre 2020

PIO IX

 


1849-1861: TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE


IV. Entra in scena il Piemonte

 La Chiesa cattolica con cui sembra svanita, per il "tradimento" di Pio IX, ogni possibilità di collaborazione, diviene a partire dagli anni '50 il bersaglio diretto dell'offensiva delle società segrete 47. La guerra a Pio IX, ha il suo elemento propulsivo nel Regno di Sardegna, dove è asceso al trono Vittorio Emanuele II 48. Fin dal 1848 la lotta combattuta dai liberali nel Parlamento subalpino contro gli ordini religiosi, come ben documenta Angela Pellicciari, «costituisce il filo conduttore con cui spiegare le dinamiche della battaglia politica risorgimentale» 49.

L'ingresso del conte Giuseppe Siccardi al ministero della Giustizia e degli Affari ecclesiastici il 18 dicembre 1849, costituì una svolta politica decisiva nei rapporti tra il governo piemontese e la Chiesa. Fin dall'8 aprile del 1850, il nunzio pontificio Antonucci lasciò Torino, protestando contro la legge per la soppressione del foro ecclesiastico che segna l'inizio della violenta politica di persecuzione anticattolica da parte del governo piemontese. Approvata alla Camera e poi al Senato il 7 marzo 1850, la legge Siccardi venne controfirmata dal re il 9 aprile successivo. L'arcivescovo di Torino Luigi Fransoni, che vi si oppose, fu arrestato e costretto all'esilio nel maggio 1850 50. Il Papa si rifiutò di nominare un successore e la rottura divenne ufficiale.

Ministro dell'Agricoltura e del Commercio in quello stesso 1850, quindi passato alle Finanze, il conte Camillo Benso di Cavour 51 il4 novembre 1852, fu chiamato ad assumere la presidenza del consiglio dei ministri, che terrà quasi ininterrottamente, fino alla morte. Cavour aveva allora quarant'anni. Secondo l'ambasciatore austriaco, il nuovo ministro era un intrigante con la reputazione di non coltivare troppi scrupoli nelle sue faccende finanziarie personali 52 Di formazione cosmopolita, egli aveva fama di anglofilia, ma l'ambasciatore inglese ammetteva, riferendo a Londra, che possedeva un temperamento difficile ed arrogante ed inclinava politicamente verso la Francia 53. La politica di laicizzazione nel Regno di Sardegna, inaugurata dalle leggi Siccardi, venne da Cavour ripresa con energia 54. La formula Libera Chiesa in libero Stato, elaborata sotto l'influsso degli ambienti calvinisti ginevrini e del liberalismo anglo-francese, esprime una concezione dei rapporti tra Chiesa e stato antitetica a quella di Pio IX. Torino divenne grazie a lui la "capitale morale d'Italia" e il centro di aggregazione di un'unificazione italiana concepita in chiave radicalmente antiecclesiastica 55.

Nel 1849 Pio IX si è trovato di fronte Garibaldi, l'avventuriero esibizionista e senza scrupoli, e Mazzini, il "profeta" del terrorismo e della guerra civile. Il nemico che entra in scena nel 1850 è ben più temibile. Ha le maniere educate dell'aristocrazia piemontese e non si sporca le mani col sangue, ma è ineguagliabile nel tessere le fila di ogni manovra politica e diplomatica 56.

Il Pontefice ha stima dell'ingegno di Cavour e lo confiderà nel 1859 al fratello del ministro piemontese, Gustavo: «Se l'avessi avuto io per ministro non mi troverei in questi imbarazzi» 57. Cavour non rappresenta tuttavia le tradizioni del "Vecchio Piemonte", che sono incarnate dai suoi avversari nel Parlamento subalpino: il conte Clemente Solaro della Margarita, il conte Ignazio Costa della Torre e il marchese Vittorio Amedeo Sallier de la Tour alla Camera; il marchese Antonio Brignole Sale e il cavaliere Luigi Provana di Collegno al Senato, tutti eredi dello spirito delle "Amicizie", l'associazione cattolica fondata da Pio Brunone Lanteri per combattere la diffusione delle idee rivoluzionarie in Piemonte e in Italia 58. Lo spirito del "Vecchio Piemonte" è impersonato a Corte dalla regina madre Maria Teresa e dalla regina Maria Adelaide che mantennero sempre una viva amicizia col Papa ed esercitarono una benefica influenza sul sovrano sino alla loro morte nel 1855 59. Nel Regno Sardo, il Papa poteva contare infine su due sacerdoti molto diversi per ruolo e temperamento: don Giacomo Margotti 60 e don Giovanni Bosco 61.

Alla destra cattolica e conservatrice, si oppone nel Parlamento subalpino, un centro-destra liberale impersonato da Massimo D'Azeglio e una sinistra divisa nella corrente moderata di Urbano Rattazzi e in quella estrema di Lorenzo Valerio e Angelo Brofferio. Il principale nemico di Cavour resta però la destra contro-rivoluzionaria che ha il suo campione in Solaro della Margarita: per batterla egli trova un modus vivendi con la sinistra di Rattazzi, creando un "connubio" di maggioranza apertamente "progressista", che prefigura il ruolo del "centro" nella storia d'Italia: un centro che facendo appello ai valori moderati, avrebbe in realtà trasbordato il Paese sempre più verso sinistra 62.

Il 28 novembre 1854, Cavour, con il ministro Guardasigilli Rattazzi, presenta alla Camera dei Deputati un progetto di legge per la soppressione degli ordini religiosi sostenendo che essi esercitano un'influenza nociva non solo alle condizioni economiche e sociali degli stati, ma agli interessi della stessa religione 63, Pio IX il 22 gennaio 1855, in un'allocuzione concistoriale, critica duramente tutta la politica ecclesiastica piemontese, suscitando le preoccupazioni di Vittorio Emanuele, che in una lettera confidenziale del 9 febbraio gli promette di fare il possibile per far cadere il ministero Cavour e giungere ad un accordo con Roma 64. Nonostante le promesse del sovrano, la legge viene però approvata il 29 maggio 1855. Il 26 luglio Pio IX fulmina la scomunica maggiore su quanti l'avevano proposta, approvata e sanzionata 65. Da parte sua, don Bosco ricorda i castighi che nel corso dei secoli caddero su tutti coloro che, regnanti o sudditi, avessero tolti, venduti o comprati i beni consacrati a Dio, «avverandosi il terribile proverbio: la famiglia di chi ruba a Dio non giunge alla quarta generazione» 66.

 Roberto De Mattei


giovedì 20 agosto 2020

PIO IX



1849-1861: TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE


La restaurazione pontificia.

Il 12 aprile 1850, accolto dal tripudio popolare, Pio IX fece il suo rientro nella Città Santa dove, nel ventennio successivo, oltre al ruolo di Capo della Chiesa universale, avrebbe esercitato quello di sovrano dello Stato Pontificio. «Non si udiva più - ricorda il visconte di Arlincourt - il grido funesto delle sedizioni: "Evviva Pio IX!". Il popolo, con l'ammirabile istinto che è di lui proprio quando non si lascia traviare esclamava: "Evviva il Papa! Evviva il Santo Padre!"» 28.

Le condizioni in cui il Papa riprende in mano il governo pontificio sono gravi, a cominciare dalla situazione delle finanze, lasciate dal governo repubblicano in stato fallimentare. Coadiuvato dal cardinale Giacomo Antonelli 29, nuovo segretario di Stato, il Pontefice intraprende nei suoi Stati una politica di miglioramento economico e di importanti riforme amministrative 30. Il censimento del 1853 presenta su una superficie di 41.295 chilometri quadrati una popolazione di 3.124.668 anime, 76 per chilometro quadrato. Lo Stato Pontificio assume così, sotto il profilo demografico, il terzo posto dopo i regni di Napoli e di Sardegna.

Pur senza ricorrere a inasprimenti fiscali, il bilancio, che nel 1850 registrava più di due milioni di deficit, è riportato al pareggio. Un rapido sguardo al complesso dei lavori pubblici intrapresi a partire dal 1850 smentisce la leggenda dell'arretratezza dello Stato della Chiesa: in questo periodo vengono risanate le paludi di Ostia e dell'Agro Pontino; arginati i corsi d'acqua in tutto lo Stato Pontificio; intrapresi lavori portuali e costruiti fari moderni ad Ancona, Civitavecchia, Anzio, Terracina; migliorate e aumentate le linee ferroviarie e le strade nazionali con la costruzione o il rifacimento di una ventina di importanti viadotti, come quello monumentale fra Albano ed Ariccia; ampliate le linee del servizio telegrafico, tanto che nel 1860 tutti i principali centri del territorio pontificio saranno collegati tra di loro. Mentre le ferrovie, con varie linee, raggiungono ormai Roma, si cominciano a studiare in questo periodo nuovi sistemi di trasporto urbano: accanto alle vetture private e alle carrozze a nolo, appaiono i primi servizi con i cavalli 31. Rilevanti progressi vengono fatti anche nel settore industriale, che vede sorgere e svilupparsi fonderie e officine meccaniche; opifici per filatura, tintura e tessitura di cotone, seta e lana; cartiere, raffinerie di zucchero, brillato di riso; industrie del legno, chimiche, cementifere, che forniscono le materie prime lavorate o semilavorate ad un fiorente artigianato, tecnicamente e moralmente sostenuto dalle tradizionali congregazioni 32. Il governo pontificio è inoltre il primo in Italia, con Firenze, Parma e Modena, a introdurre i francobolli postali nel gennaio 1852.

Fitta è a Roma l'assistenza caritativa e ospedaliera: il più grande ospedale della città, con 1.600 posti letto è il Santo Spirito che ospita un insegnamento di clinica medica e attraverso un apposito banco esercita anche operazioni finanziarie 33. Le cifre relative al complessivo numero di letti e degli ammalati variano nelle fonti, ma arrivano a circa cinquemila, con una proporzione quindi di circa tre per cento per abitante 34. Descrivendo la situazione del popolo romano in questo periodo, Fiorella Bartoccini scrive: «il nutrimento sicuro creava gente fisicamente bella e soprattutto alimentava una mentalità particolare: essa viveva con fatalismo, giorno per giorno, con una naturale semplicità di costumi e una naturale tendenza alla speranza, e viveva con realismo ogni momento dell'esistenza, ripudiando prospettive e programmi astratti e, soprattutto, di lontana e teorica soluzione» 35.

Questi successi si devono in larga parte all'Antonelli, «sagace amministratore», come riconosce Martina 36, apprezzato dal Pontefice, se non per la sua santità, per la sua fedeltà e per la sua concretezza. Una frase spesso citata rivela il fondo dell'anima del segretario di Stato, in cui scetticismo e idealismo si intrecciano senza la luce soprannaturale che caratterizza l'anima di Pio IX 37: «Noi siamo finiti! Siamo finiti! Se per la speranza di salvarci incominciamo a cedere questo e poi quello, ci sarà chiesto sempre di più: oggi consegneremo il pastorale, domani ci spoglieremo del piviale, finalmente ci toglieremo e doneremo il Triregno, e con tutto questo non ci salveremo. Dacché dobbiamo finire, anziché cadere in camicia nella fossa, meglio è scomparire quali siamo, con i grandi ideali e con tutte le forme della nostra passata grandezza» 38.

Al risanamento economico e sociale si accompagna in questo ventennio una fervida opera di rinascita culturale. Il 6 aprile 1850, mentre Pio IX è ancora in viaggio verso Roma, appare a Napoli il primo numero della «Civiltà Cattolica» 39. La rivista, alla quale collaborano i migliori scrittori della Compagnia di Gesù, è sorta per desiderio del pontefice e costituirà il suo principale sostegno teologico, recando un contributo decisivo alla redazione del Sillabo, alla realizzazione del Concilio Vaticano I e all'opera di restaurazione della filosofia tomista che avrà poi il suo coronamento sotto il pontificato di Leone XIII 40. La redazione è assicurata da un manipolo di scrittori di forte personalità intellettuale quali i padri Luigi Taparelli d'Azeglio, Carlo Maria Curci, Matteo Liberatore, Antonio Bresciani, ufficialmente istituiti, nel febbraio 1866, come «collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica». Il suo successo è immediato: la tiratura della rivista passa rapidamente da quattromila a seimila copie, fino a raggiungere dopo quattro anni quasi tredicimila esemplari. «Il Signore - riconosce il padre Roothan, generale della Compagnia - ha veramente benedetto l'opera con un successo superiore a quanto si sarebbe potuto aspettare» 41.

Vanno ricordati infine gli importanti progressi fatti dalle scienze storiche e archeologiche, soprattutto grazie alla protezione e agli aiuti accordati a Pietro Ercole Visconti e a Giovanni Battista de Rossi: il primo preposto agli scavi delle antichità classiche, il secondo a quella cristiana.

L'opera più importante, a cui Pio IX dedica tutte le sue forze, è però la lotta contro il processo di secolarizzazione della società del suo tempo. Per un trentennio egli si batte per difendere i diritti della Chiesa in Europa, in America e in Asia 42. La premessa di questa azione missionaria può essere considerata uno dei primi gesti compiuti al ritorno da Gaeta: il ristabilimento della gerarchia episcopale in Inghilterra con la bolla Universalis Ecclesiae del 29 settembre 1850 43, con cui egli costituisce tredici diocesi riunite sotto il nuovo arcivescovo di Westminster, Nicola Wiseman 44 creato nel tempo stesso cardinale.

Nell'antitesi tra "Roma" e "Londra" il teologo Giacomo Margotti vede rinnovarsi l'antagonismo agostiniano tra le "due città": «Il preteso risorgimento d'Italia evocato ai giorni nostri è tutto qui: liberare Roma dal Cattolicesimo per ritornarla all'antica grandezza pagana, raffigurata in Londra» 45. A questo primo atto di sfida di Pio IX all'Inghilterra protestante e massonica che sotto la guida del "trio" Palmerston, Russell, Gladstone 46, avrebbe rappresentato uno dei suoi principali nemici, si possono ricollegare i tre grandi gesti pubblici del suo pontificato: la definizione dell'Immacolata (1854), la proclamazione del Sillabo (1864) e la celebrazione del Concilio Vaticano I (1870).

Roberto De Mattei

giovedì 25 giugno 2020

PIO IX



1849-1861: TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE


La "Repubblica Romana" del 1849

La prima delle numerose scomuniche 7 che nello spazio di un trentennio colpiranno gli artefici del "Risorgimento" apre il 1849. Pio IX la commina il 1 gennaio contro tutti coloro che avrebbero partecipato alle elezioni annunciate dal Governo provvisorio per eleggere a Roma un'Assemblea costituente 8.

Quando la notizia della scomunica giunge nell'urbe, una folla arringata da Ciceruacchio si riunisce in piazza del Popolo e forma lungo via del Corso una processione tumultuante. In testa una croce coperta di un drappo nero, con le insegne dei cardinali e del Papa, seguita dai capi dei circoli romani disposti su due file, che alternano il canto del De Profundis e del Miserere con improperi e bestemmie. Giunti all'altezza di via Frattina i dimostranti si inginocchiano davanti a una cloaca pubblica e, intonando il Libera me Domine, gettano nel canale un esemplare del motu proprio del 1° gennaio, apponendovi la scritta Deposito della Scomunica 9.

Circa duecentomila votanti su una popolazione di tre milioni di cittadini, partecipano, in un clima di euforia, alle elezioni del 21 e 22 gennaio 10 eleggendo duecento deputati. L'articolo 1 del decreto della nuova Assemblea costituente votato nella notte tra l'8 e il 9 febbraio 1849, dichiara il Papato «decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato romano» e, nell'articolo 3, stabilisce che «la forma del governo dello Stato romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana» 11. Portato a spalle dal suo aiutante di campo Ignacio Bueno, per un attacco reumatico che lo immobilizza, fa il suo ingresso nella sala dell'Assemblea il deputato Giuseppe Garibaldi. «Lì, liberamente, nell'aula stessa ove si adunavano i vecchi tribuni della Roma dei grandi - egli ricorderà ­ eravamo adunati noi (...). E la fatidica voce di Repubblica risuonava nell'augusto recinto, come nel dì che ne furono cacciati i re per sempre!» 12.

Il 14 dello stesso mese Pio IX, di fronte ai membri del Sacro Collegio e ai rappresentanti diplomatici, eleva la più ferma protesta contro l'atto che «si presenta al cospetto del mondo col molteplice carattere della ingiustizia, della ingratitudine, della stoltezza e della empietà» 13 e ne dichiara la nullità, come per ogni provvedimento della «sedicente Assemblea Costituente Romana».

Il 12 febbraio l'Assemblea ha conferito la cittadinanza romana a Giuseppe Mazzini, assumendo negli atti pubblici il suo motto «Dio e popolo». Il 5 marzo il profeta della Rivoluzione giunge a Roma, accolto da una turba osannante, annunciando che «dopo la Roma degl'imperatori, dopo la Roma dei Papi, verrà la Roma del popolo» 14 e «una nuova epoca sorge, la quale non ammette il cristianesimo, né riconosce l'antica autorità» 15. Il 29 marzo Mazzini viene eletto Triumviro della Repubblica Romana, associando alla sua dittatura sull'urbe Carlo Armellini e Aurelio Samo

I primi atti del governo repubblicano consistono nel dichiarare "beni nazionali" tutte le proprietà ecclesiastiche e i beni della Chiesa 16. Mentre la Costituente decreta la libertà religiosa e invita il popolo alla preghiera per la vittoria repubblicana, iniziano le occupazioni di conventi, le profanazioni delle chiese, i massacri di sacerdoti 17, secondo il modello tipico di ogni Rivoluzione. Contro il clero e i fedeli al Papato sorgono in questo periodo nello Stato Pontificio sètte dai lugubri titoli: la Compagnia della morte in Ancona, la Società degli Ammazzatori a Livorno, la Compagnia de' sicarii di Faenza, la Compagnia infernale di Senigallia 18.

A questo piano Pio IX contrappone un programma che, prima di tradursi nei grandi atti del suo pontificato, ha un documento fondamentale nella allocuzione Quibus quantisque 19, pubblicata a Gaeta il 20 aprile 1849.

«Quest'atto - osserva lo Spada - è il compendio di tutti gli avvenimenti più importanti del pontificato (nei primi due anni), l'enunciazione delle intenzioni primitive che lo dominarono e degli inganni subiti per opera di un partito ch'egli credette col perdono di correggere e di ammansire» 20.

Nella prima parte del documento il Papa difende il suo operato, elencando tutte le riforme, fallite per colpa dei faziosi, e ripercorre gli eventi dall'inizio del pontificato fino alla Repubblica Romana che presenta con queste parole accorate: «Chi non sa che la città di Roma, sede principale della Chiesa cattolica, è ora divenuta ahi! una selva di bestie frementi, ridondante di uomini d'ogni nazione, i quali o apostati, o eretici, o maestri, come si dicono, del Comunismo, o del Socialismo, ed animati dal più terribile odio contro la verità cattolica, sia con la voce, sia con gli scritti, sia in qualsivoglia altro modo, si studiano con ogni sforzo d'insegnare e disseminare pestiferi errori di ogni genere e di corrompere il cuore e l'animo di tutti, affinché in Roma stessa, se fosse possibile, si guasti la santità della Religione cattolica, e la irreformabile regola della fede?» 21.
L'allocuzione prosegue ricordando gli aiuti richiesti dal Papa a tutte le nazioni di fronte alle macchinazioni della Massoneria e delle società segrete, smentendo esplicitamente le calunnie di una sua affiliazione alle «sette di perdizione», le quali «con la nostra suprema apostolica autorità torniamo a condannare, a proibire, a proscrivere» 22.
La Quibus quantisque, che sarà richiamata per tre volte nel Sillabo, contiene un'esplicita condanna dei principi del liberalismo e prelude all'abolizione dello Statuto. Dopo poco più di un mese, la sera del 9 giugno, Rosmini incontra il Pontefice a Gaeta. Pio IX, che un anno prima a Roma gli aveva ventilato le prospettive del cardinalato e della segreteria di Stato, gli concede ora un'udienza breve e fredda. «Ella mi trova anti­costituzionale» dichiara apertamente e, di fronte alle insistenze di Rosmini, replica categoricamente che la costituzione è inconciliabile col governo della Chiesa e che, «quando una cosa è intrinsecamente cattiva, non si può fare con essa nessun patto, seguisse quel che ne segua» 23. Il 30 marzo 1849 la congregazione dell'Indice, riunita dietro richiesta di Pio IX, condannava Il Gesuita moderno di Gioberti e contemporaneamente due opuscoli nei quali il Rosmini aveva esposto i suoi progetti di riforma e un opuscolo del padre Ventura. «Ecco - gemeva quest'ultimo - in Italia c'erano tre preti riformatori, ed eccoci tutti e tre condannati!» 24.

L'opinione pubblica cattolica nel mondo apprese con sgomento quanto accadeva nella Città Santa e iniziò a premere sui diversi governi per un intervento militare che restaurasse l'autorità pontificia. Per discutere questa possibilità, si aprì il 30 marzo a Gaeta una conferenza internazionale con la partecipazione dei plenipotenziari di Austria, Regno di Napoli, Spagna e Francia 25. Il 23 marzo, intanto, sconfitto dagli austriaci a Novara, Carlo Alberto aveva visto svanire le sue speranze di unificare l'Italia e, deposta la corona, si era ritirato ad Oporto in Portogallo, dove morì il 28 luglio di quello stesso anno. La sua disfatta accelerò le conclusioni della conferenza di Gaeta che si chiuse il 22 settembre.

Le parole di Donoso Cortés al Parlamento spagnolo sembravano interpretare la voce dell'opinione pubblica europea: «Io mi proposi di parlar francamente, e così parlerò. Io affermo necessario, o che il Sovrano di Roma ritorni a Roma, o che più non vi rimanga pietra sopra pietra. Il mondo cattolico non può consentire, e non consentirà giammai, alla distruzione virtuale del cristianesimo, per una sola città in balìa di pazzi frenetici. L'Europa civile non può consentire e non consentirà mai che crolli il culmine della Civiltà europea. Il mondo non può consentire, e non consentirà mai, che nella insensata città di Roma si compia l'avvenimento al trono di una nuova e strana dinastia, la dinastia del delitto. (...) Le Assemblee costituenti, che possono esistere ovunque, non lo possono in Roma; a Roma non può esservi potere costituente, al di fuori del potere costituito. Roma e gli Stati Pontifici non appartengono a Roma, non appartengono al Papa; appartengono al mondo cattolico» 26.

Spinto dall'opinione pubblica cattolica francese e dal desiderio di precedere l'intervento austriaco, Luigi Napoleone Bonaparte, l'antico congiurato che il 10 dicembre 1848 era assurto alla presidenza della Repubblica francese, decise di inviare un contingente di truppe al comando del generale Oudinot. Questi, sbarcato a Civitavecchia il 24 aprile, avanzò su Roma, mentre gli austriaci invadevano Bologna, le Legazioni, Ancona e le Marche e mentre le truppe spagnole sbarcavano a Fiumicino. Il primo attacco dell'Oudinot, il 30 aprile, venne respinto, suscitando l'euforia dei repubblicani romani. Ma dopo il fallimento delle trattative di pace avviate dai "Triumviri" con l'inviato francese de Lesseps, la città fu investita all'inizio di giugno da una nuova offensiva. Malgrado la resistenza accanita dei repubblicani, Roma venne riconquistata dal generale francese. Mazzini si spogliò della sua carica di triumviro e con un passaporto offerto gli dagli Stati Uniti, abbandonò frettolosamente la città. Anche Garibaldi, senza aspettare l'ingresso dei francesi, il 2 luglio fuggì da Roma con i suoi seguaci. La Costituente si sciolse la mattina del 3 luglio, ma prima proclamò solennemente sul Campidoglio l'avvenuta Costituzione della Repubblica Romana, affermando che «la sovranità è per diritto eterna nel popolo» e che «il regime democratico ha per regola l'eguaglianza, la libertà, la fraternità» 27.

Il 15 luglio il generale Oudinot entrò con l'esercito francese e romano nella basilica di San Pietro dove il cardinal Castracane intonò con il popolo il Te Deum di ringraziamento. Nel medesimo giorno venne issata a Castel Sant'Angelo e sulla Torre del Campidoglio la bandiera pontificia e centouno colpi di cannone annunziarono il ristabilimento della legittima autorità del Papa. Mazzini e Garibaldi, i due principali protagonisti dell'esperimento repubblicano, non erano stati però catturati e uscivano dall'impresa con un'aureola di gloria che li avrebbe accompagnati negli anni successivi. 

Roberto De Mattei

lunedì 1 giugno 2020

PIO IX



1849-1861: TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE


Gaeta capitale del mondo

L'ipotesi di lasciare la città di Roma, ormai ingovernabile, si presentò all'animo di Pio IX fin dai primi mesi del 1848, ma maturò seriamente nei giorni convulsi che seguirono all'assassinio di Pellegrino Rossi. Incerto sul da farsi, il Papa attendeva un segno della Provvidenza. Egli vide questo segno nel dono ricevuto la sera del 22 novembre dal vescovo di Valenza: la pisside che in anni altrettanto tempestosi aveva accompagnato la prigionia e l'esilio di Pio VII, suo predecessore anche nella sede episcopale di Imola 1.

La fuga da Roma, avvenne il 24 novembre, di venerdì, con la complicità dei diplomatici presso il Quirinale. Indossato un abito semplice da prete con un largo cappello nero in testa e inforcati un paio di spessi occhiali per nascondere meglio i suoi lineamenti, Pio IX lasciò il Quirinale attraverso alcuni corridoi segreti. Passò dalla carrozza del fedele cameriere Benedetto Filippani a quella del conte Spaur, ambasciatore di Baviera, grazie a cui varcò la porta di San Giovanni in Laterano, sorvegliata dalle Guardie Civiche, e lasciò Roma alle sue spalle 2. A Galloro, presso Ariccia, lo attendeva con un'altra carrozza da viaggio la moglie dell'Ambasciatore: all'interno della berlina, il Papa prese posto accanto a lei, a suo figlio minore Massimo e al padre Sebastiano Liebl, precettore di questi. Si giunse a Terracina alle cinque e mezza del mattino e poco più tardi al confine tra lo Stato Pontificio e il regno borbonico. Alle dieci finalmente Pio IX fu a Gaeta accolto dal cardinale Antonelli che lo aveva preceduto. «Dal momento in cui Pio IX assunse la Tiara - aveva scritto Metternich nell'ottobre 1847 all'ambasciatore a Parigi Appony - fu preso in una rete dalla quale, da molto tempo, non sa come districarsi; e se le cose seguono il loro corso naturale, sarà costretto ad an darsene da Roma in carrozza» 3.
La fuga di Pio IX, non meno avventurosa di quella di Luigi XVI a Varennes nel 1792, ma felicemente conclusasi a differenza di quella, chiuse una drammatica esperienza che costituirà per il Pontefice un continuo spunto di riflessione negli anni successivi.
La mattina del 26 novembre, tra lo stupore degli abitanti di Gaeta e dello stesso comandante della piazza, ancora ignaro della presenza del Papa sul suo territorio, sbarcò nella cittadina Ferdinando II con il suo seguito. Il Re, avvisato nel cuore della notte, e immediatamente salpato da Napoli con la regina, ebbe con il Papa un incontro commovente. Offrì a Pio IX la propria reggia ma il Papa, per sfuggire alle accuse di dipendere dal sovrano borbonico, e per mostrare il carattere provvisorio della sua residenza, decise di non lasciare Gaeta. In tal modo, osserva Pelczar, «la piccola fortezza napoletana diventò Capitale del mondo, avverandosi nuovamente il detto d'un padre della Chiesa: Ubi Petrus ibi Ecclesia» 4. Vent'anni dopo, questa stessa piccola fortezza sarebbe stata l'ultimo baluardo borbonico contro l'invasione piemontese.
Il 27 novembre Pio IX apparve per la prima volta in pubblico e rese noto un suo manifesto ai romani, in cui protestava con veemenza contro l'«inaudita e sacrilega» violenza ricevuta, dichiarando «di nessun vigore e di nessuna legalità» tutti gli atti ad essa seguiti 5.
Il giorno successivo il Pontefice iniziò un pellegrinaggio ai vari santuari del napoletano. Giunto al santuario della Trinità, dopo la celebrazione della Messa, prima d'impartire la benedizione col Santissimo Sacramento, pronunciò queste parole: «Eterno Dio, mio augusto Padrone e Signore, ecco ai vostri piedi il vostro Vicario che benché indegno vi supplica con tutto il cuore a versare sopra di lui, dalle altezze del trono eterno nel quale sedete, la Vostra benedizione (...). Se a placare il vostro sdegno giustamente irritato da tante indegnità che si commettono colla voce, colla stampa e colle azioni può essere un olocausto gradito al vostro cuore, la stessa sua vita, Egli fino da questo momento ve la consacra. Voi concedeste a Lui questa vita, e Voi, Voi solo siete nel diritto di toglierla, quando vi piaccia. Ma deh! o Signore trionfi la vostra gloria, trionfi la vostra Chiesa. Confermate i buoni, sostenete i deboli e scuotete col braccio della vostra onnipotenza tutti coloro che giacciono fra le tenebre e fra le ombre di morte. Benedite, o Signore, il sovrano che ci sta qui innanzi prostrato, benedite la sua compagna e famiglia. Benedite tutti i sudditi suoi e la sua onorata e fedele milizia. Benedite con i cardinali tutto l'episcopato ed il clero, affinché tutti compiano nelle vie soavi della vostra legge, l'opera salutare della santificazione dei popoli» 6

Roberto De Mattei

venerdì 15 maggio 2020

PIO IX



L'ultimo atto della tragedia

La violenta reazione della piazza romana e il giudizio apertamente negativo dei collaboratori più stretti come Corboli-Bussi nei confronti dell'allocuzione del 29 aprile, colpì dolorosamente Pio IX. Per riappacificare gli animi, il 1° maggio, il Pontefice pubblicò un proclama che, come scrive Pelczar, «può dirsi un vero gemito d'un cuore profondamente ferito» 88. Dopo aver ricordato con quanto affanno si era prodigato per esaudire le richieste del popolo, il Papa diceva: «E sarà questo il compenso che si aspettava un pontefice romano ai moltiplicati tratti dell'amor suo verso il popolo? Popule meus, quid feci tibi89.

Le parole accorate del Papa non commossero i rivoluzionari, che insistettero nella loro pretesa di avere un loro ministero, capeggiato dal conte Terenzio Mamiani 90. Il 4 maggio il Papa cedette; ma, prevedendo l'aggravarsi della situazione, domandò fin da allora asilo al governo di Napoli se fosse stato costretto ad abbandonare Roma.

Il governo appena formato non nascose il suo proposito di spingere lo Stato Pontificio alla guerra, alla quale il Papa si opponeva. A dar man forte al governo giunse Gioberti, rientrato in Italia dall'esilio il 29 aprile e quindi eletto deputato piemontese 91. Il 24 maggio l'abate è a Roma: visita tre volte Pio IX e lo esorta addirittura ad andare a Milano per incoronare Carlo Alberto con la Corona di Ferro 92. In agosto il sacerdote torinese riesce ad assumere la presidenza del Consiglio e a governare il Piemonte fino ai primi mesi del 1849, spingendolo verso la guerra. Il 3 agosto, a Torino, l'abate Rosmini è invitato a partecipare a una seduta del Consiglio dei Ministri in cui Gioberti e gli altri ministri premono perché egli si rechi a Roma «per eccitare il Papa alla guerra» 93. Rosmini declina questo incarico, ma accetta la missione di concordare una Lega fra il Papa e gli Stati italiani. Giunto a Roma il 15 agosto, con l'accordo del Pontefice, elabora assieme a mons. Corboli­Bussi il progetto di una Lega Politica che avrebbe dovuto nascere dall'accordo doganale concluso tra lo Stato Pontificio, la Sardegna e la Toscana.

I contrasti col Papa spingono Mamiani alle dimissioni. I governi si succedono rapidamente come i segretari di Stato 94. Mamiani è sostituito dal conte Edoardo Fabbri e quindi, su suggerimento di Rosmini, dal conte Pellegrino Rossi 95. Come Mamiani e Fabbri, anche Rossi è un antico cospiratore, elevato agli onori di ambasciatore e Pari di Francia 96. Nell'autunno di quel tempestoso 1848 egli compie l'ultimo disperato tentativo di salvare la "via cattolica" alla Rivoluzione. La sua morte viene però decretata dalle società segrete come quella di un traditore.

La mattina del 15 novembre i deputati arrivano alla spicciolata alla Cancelleria. Pellegrino Rossi che si reca a pronunciare alla Camera il suo discorso programmatico, appena sceso di carrozza è circondato dalla folla e scannato con un colpo di pugnale all'aorta 97. Fu detto che il colpo fosse stato insegnato al suo uccisore, Luigi Brunetti, figlio di Ciceruacchio, in una sala anatomica dell'ospedale di San Giacomo 98. «Quest'uomo che un tempo era stato coinvolto nelle cospirazioni - scrisse Veuillot - amava veramente l'Italia. Comprendendo finalmente che la causa della libertà italiana era la causa stessa del Papato, ebbe la fortuna di perdere la sua vita per la verità, che a lungo egli aveva misconosciuto. L'assassino lo colpì sulla soglia del senato rivoluzionario, sotto gli occhi di duecento miserabili pretesi rappresentanti del popolo romano, gli uni complici, gli altri atterriti. Nessuno di quei vigliacchi si levò a scuotersi di dosso il sangue che cadeva sopra di loro» 99.

Durante la notte i facinorosi portano in trionfo, allume delle torce, il pugnale omicida, inneggiando a "Bruto secondo" e gridando davanti al palazzo dove piangono la vedova e i figli dell'ucciso: «Benedetta quella mano che il Rossi pugnalò» 100. Pietro Sterbini, mandante dell'assassinio, riunisce la sera del 15 novembre il "Club popolare" per stabilire il piano ulteriore della Rivoluzione. Viene deciso di organizzare, per il giorno seguente, una grande manifestazione per costringere il Papa ad esaudire i "voti del popolo" oppure a proclamare la Repubblica. La città è in preda all'anarchia, ma nessuno ha il coraggio di reagire apertamente. «Purtroppo - osserva Pelczar - si vide allora che i conservatori mancano per lo più di ardimento e son più disposti a soffrire che ad agire» 101.

Il 16 novembre una folla di alcune migliaia di persone, a cui si sono mescolati carabinieri pontifici e soldati della Guardia Civica, muove da Piazza del Popolo verso il Quirinale, capeggiata dallo Sterbini e dal principe di Canino che, brandendo la spada, va gridando: «Tenete duro, giovanotti, oggi è l'ultimo giorno dei preti» 102. Al grido di «Abbasso Pio IX! Viva la Repubblica!» la folla tumultuante giunge davanti al Quirinale, aprendo il fuoco sul cortile e sulle finestre. Mons. Palma, uno dei segretari del Papa, mentre si accosta ad una finestra cade mortalmente ferito alla testa. I dimostranti trascinano due cannoni con l'intenzione di sfondare il portone ed irrompere nel palazzo. In difesa di Pio IX, mestamente calmo, sono solo una settantina di Guardie Svizzere, circa venti carabinieri e sei ufficiali della Guardia Nobile. Ad essi si aggiungono però quasi tutti gli ambasciatori stranieri presenti a Roma (ma non i rappresentanti degli Stati italiani), decisi a far scudo al Papa con il loro corpo. Quando la deputazione del popolo giunge davanti al Pontefice, minacciandolo di morte se egli non avesse ceduto alle loro richieste, l'ambasciatore spagnolo Martinez de la Rosa, esclama indignato: «Signori, dite ai capi della sommossa che se vogliono eseguire i loro infami progetti, non giungeranno al Papa senza passare sul mio cadavere; ma gliene incoglierà male, che la vendetta della Spagna sarà tremenda» 103.

Pio IX, per evitare lo spargimento di sangue, cede alla richiesta di costituire un governo provvisorio, ma aggiunge solennemente rivolto agli ambasciatori: «Sappiano lor signori e sappia l'Europa e il mondo che io non prendo nemmeno di nome parte alcuna agli atti del nuovo governo, al quale mi considero assolutamente estraneo» 104.

Il 16 novembre fu insediato dunque il nuovo ministero rivoluzionario, presieduto dall'avvocato Galletti. Esso pubblicò immediatamente il suo programma in cui, fingendo di agire di accordo con il Papa, annunciava la convocazione di una Costituente per deliberare la Federazione Italiana. Il 18 novembre sul cielo di Roma apparve un'aurora boreale dal colorito rosso sanguigno. La turba che percorreva la città gridava che «anche il cielo di Roma è vestito di sangue e sangue chiede dei traditori della patria» 105

Roberto De Mattei

sabato 2 maggio 2020

PIO IX



La nuova vampata rivoluzionaria.

In quell'estate afosa del 1847, incoraggiato da mons. Corboli Bussi e spinto dalla pressione della piazza, Pio IX sembrava inarrestabile sulla via delle riforme. Il cardinal De Angelis, arcivescovo di Fermo, il 25 agosto '47 osservava preoccupato: «Siamo né più né meno alla rivoluzione in nome di Pio IX», facendo eco alle osservazioni di Metternich, per il quale lo Stato della Chiesa era ormai «in balìa di una rivoluzione flagrante» 63. Queste considerazioni spinsero il cancelliere austriaco a una mossa che per quanto in sé legittima si rivelò poi controproducente: l'occupazione cautelativa da parte delle truppe austriache della città di Ferrara 64. Ciò avveniva mentre a Roma si era sparsa la voce di un complotto organizzato dai "gregoriani", i nostalgici di Gregorio XVI, per far strage dei liberali. Per varie settimane sui giornali e nelle cancellerie diplomatiche non si parlò che dell'atto di forza austriaco a Ferrara e della "congiura gregoriana" di cui si attribuiva all'Austria l'istigazione. L'eccitazione non fece che crescere, il prestigio austriaco ne uscì scosso e il mito di Pio IX rafforzato 65. La sera del 7 settembre nel Caffè delle Belle Arti, dopo un'arringa del principe di Canino, fu inaugurato un ritratto di Pio IX e Gioberti. Vi si vedeva una carta geografica d'Italia circondata da una ghirlanda bianco, rosso e verde, col motto: «Viva l'Italia, viva Gioberti!» 66.

Dopo la Guardia Civica, Pio IX con un Motu proprio del 1 ottobre, istituì il Consiglio Municipale ed il Senato di Roma e il 14 ottobre la Consulta di Stato 67, già negata da Gregorio XVI. Il Collegio dei cardinali costituiva il Senato del nuovo regime; venivano istituiti due corpi legislativi elettivi, l'Alto Consiglio e il Consiglio dei Deputati; le leggi per divenire esecutive dovevano avere la sanzione del Papa.

Ne «Il Contemporaneo», Pietro Sterbini presentava la Consulta come «una rivoluzione sociale, che non si arresta alla superficie, ma attacca le fondamenta, e si compie fra le feste e gli evviva, fra le lacrime di gioia e gli abbracciamenti fraterni» 68. L'obiettivo dei rivoluzionari era quello di trasformarla da organo consultivo in un vero e proprio parlamento legislativo. Ancora una volta Metternich ne previde il dinamismo incontrollabile: «La Consulta - egli osservava - racchiude il germe di un sistema rappresentativo che non si adatta né all'autorità sovrana del Capo della cattolicità, né alle Costituzioni della Chiesa» 69.

Il 1847 si concluse con un atto che era l'inevitabile conseguenza della creazione della Consulta: la formazione di un Governo, costituito da nove ministeri, che affiancava la sua autorità a quella del Papa. Il governo era presieduto dal cardinale Gabriele Ferretti, appartenente all'ala più moderata della Curia, che il 16 luglio aveva sostituito il cardinal Gizzi come nuovo segretario di Stato. Ferretti tenne questo ufficio per sei mesi: resosi conto di non riuscire a controllare la situazione pregò di essere sostituito. Il suo successore, il 21 gennaio 1848, fu il cardinale Giuseppe Bofondi.

La tempesta, prevista da osservatori attenti come Metternich e Solaro, era imminente. La scintilla rivoluzionaria partì da Parigi il 23 febbraio 1848, con la caduta della "monarchia di luglio" di Luigi Filippo e di qui si propagò a Vienna, a Berlino, a Francoforte, a Milano, a Parma, a Venezia, mentre negli stessi giorni appariva a Londra il Manifesto del Partito Comunista, commissionato a Marx e ad Engels dalla "Lega dei Giusti" 70.

Le dimissioni del principe di Metternich il 13 marzo 1848 segnano, più che la conclusione di una carriera politica, la fine di un'epoca: l'era della "Restaurazione". «Traccio una riga - scrive Metternich - tra ciò che era e ciò che è: questa linea di demarcazione inizia all'undicesima ora della notte tra il 13 e il 14 marzo 1848. Io sono l'uomo di ciò che era» 71. Nei vari stati italiani si invoca la costituzione liberale. Ferdinando II re delle Due Sicilie la concede a Napoli il 10 febbraio, il granduca Leopoldo II di Toscana il 15 dello stesso mese, il re di Sardegna Carlo Alberto il 4 marzo. Pio IX, dapprima esitante, non è contrario al principio. Il 14 marzo concede lo «Statuto fondamentale pel governo temporale degli Stati della Chiesa», mentre il popolo manifesta nelle strade al gridò: «Viva Pio IX, vivano le costituzioni italiane dalle Alpi al mare!» 72.

Sono giorni di entusiasmo generale 73. Massimo d'Azeglio scrive: «Questa non è una rivoluzione, è un cataclisma politico sociale. Il Papa, il Papa solo può forse, non solo salvarsi, ma diventare il moderatore degli eventi» 74. La piazza reclama ora la guerra contro l'Austria e l'espulsione dei padri della Compagnia di Gesù. Quasi ogni sera turbe di dimostranti si radunano davanti alla chiesa del Gesù gridando «Morte ai Gesuiti» e frantumando a sassate i vetri delle finestre. Quando il Ministro di Polizia Galletti fa sapere al Papa di non potere assicurare l'incolumità dei gesuiti, è lo stesso Pio IX a consigliare ai padri di lasciare Roma finché non si calmi la tempesta 75.

Il 10 febbraio 1848, mentre sembra delinearsi il programma giobertiano di una unione dei principi italiani, il Papa ha pronunciato una allocuzione conclusasi con questa espressione: «Benedite, dunque, o grande Iddio, l'Italia, e conservatele questo dono, il più prezioso di tutti, la fede!» 76. Di queste parole, osserva l'Aubert, una sola cosa colpì gli uditori: Pio IX invocava le benedizioni del cielo sull'Italia, quella nazione della quale il Metternich aveva detto che era solo un'espressione geografica 77.

È questo forse il punto più alto del grande equivoco alimentato per convincere gli italiani che il Papa fosse pronto a prendere la testa della "crociata" contro l'Austria. I "Circoli" romani propagano la benedizione all'Italia di Pio IX come una benedizione alla guerra contro l'Austria e fanno stampare l'effigie del Papa incorniciata da bandiere, spade e cannoni. Molti collaboratori del Papa, come Corboli-Bussi e Rosmini, spingono Pio IX all'intervento militare. Il sacerdote roveretano cerca di dare un fondamento teologico alla guerra, affermando che essa è «obbligatoria» per un sovrano quando è giusta, come in questo caso, poiché ha una grande utilità nazionale 78.

Nelle vie di Milano e di Venezia intanto si alzano le bandiere della Rivoluzione, mentre Carlo Alberto, mosso dalla speranza di cingere la corona d'Italia, sostituita l'antica bandiera azzurra dei Savoia con il tricolore, attacca l'Austria. A Roma il 21 marzo viene assaltata l'ambasciata austriaca e sulla statua di Marco Aurelio in Campidoglio è issato il tricolore. Da un pulpito elevato nel Colosseo, il padre Gavazzi si rivolge alla popolazione romana invocando la "santa crociata" contro l'Austria. «L'austriaco - proclama - cento volte più feroce del musulmano, sta alle nostre porte: novelli crociati, armiamo i nostri petti col segno della croce, ed avanti sul nemico, perché Dio lo vuole! ...» 79. La scena si conclude col suono della Marsigliese e la formazione di un corteo che arriva fino al Quirinale per indurre il Papa a benedire le bandiere della guerra.
Gli avvenimenti travolgono ormai il Pontefice, costretto a permettere la costituzione di un esercito di volontari, sia pure con la sola missione di proteggere lo Stato Pontificio, senza oltrepassare i confini. Il proclama emanato il 5 aprile a Bologna dal generale Giovanni Durando che comanda le truppe pontificie, vuole mettere il Papa di fronte al fatto compiuto. «Soldati! - afferma - Il Sommo Pontefice ha benedetto le vostre spade, che unite a quelle di Carlo Alberto, debbono concordi muovere allo sterminio dei nemici di Dio e dell'Italia. (...) Una tale guerra della Civiltà contro la barbarie è guerra non solo nazionale, ma altamente cristiana!» 80.

Il 27 aprile i rappresentanti dei "Circoli romani" inviano una deputazione al Quirinale, esigendo che il Papa richiami il Nunzio di Vienna, e il giorno successivo formano un "comitato di guerra". Sono le ore più difficili per Pio IX. Il suo animo mosso da contrastanti sentimenti, s'interroga sulla possibilità di conciliare le aspirazioni alla libertà e alla indipendenza d'Italia, in cui ancora crede, con i diritti e la libertà della Chiesa. La drammatica contraddizione viene finalmente sciolta dall'allocuzione Non semel 81, pronunciata nel Concistoro del 29 aprile 1848, in cui egli dichiara solennemente che, in quanto Pastore supremo, non può dichiarare guerra ad una nazione i cui membri sono suoi figli spirituali. In questa celebre allocuzione Pio IX rifiuta il suo appoggio all'intervento piemontese, rigettando «al cospetto di tutte le genti (...) i subdoli consigli manifestati per mezzo di giornali e di vari scritti da coloro i quali vorrebbero fare il romano Pontefice presidente di una certa nuova Repubblica da costituirsi con tutti i popoli d'Italia» 82.
L'8 settembre 1847 Mazzini aveva scritto al Papa invitandolo apertamente all'apostasia: «Io non vi dirò le mie opinioni individuali sullo sviluppo religioso futuro, poco importano. Vi dirò che qualunque sia il destino delle attuali credenze, Voi potete porvene a capo (...). Vi chiamo, dopo tanti secoli di dubbio e di corruttela, ad essere apostolo dell'Eterno Vero (...). Siate credente. Aborrite dall'essere re, politico, uomo di Stato (...). Annunciate un'Era: dichiarate che l'Umanità è sacra e figlia di Dio, che quanti violano i suoi diritti al progresso, all'associazione sono sulla via dell'errore. (...) Unificate l'Italia, la patria Vostra (...). Noi Vi faremo sorgere intorno una Nazione al cui sviluppo libero, popolare, Voi, vivendo, presiederete (...)» 83.

L'allocuzione concistoriale del 29 aprile, con la quale Pio IX rifiuta solennemente di porsi alla testa della Rivoluzione in Italia, rappresenta la solenne ed esplicita risposta all'invito a rinnegare la propria missione avanzato da parte delle società segrete. Qualcuno ha voluto vedere in quest'allocuzione il "tradimento" della Rivoluzione; si tratta in realtà, secondo le parole di Crétineau-Joly, di una «pagina di storia scritta ai piedi del crocifisso» 84. «La Rivoluzione - scrive Louis Veuillot ­esigeva una sanzione alle sue dottrine, un'accettazione della sua bandiera. Egli invece condannò le sue opere, affermò altamente i diritti che lei gli voleva far abdicare, rifiutò di dichiarare guerra all'Austria. Il Non possumus, opposto dopo ad altri avversari, colpì per primo la sedizione che gli parlava faccia a faccia» 85.

Sugli ambienti rivoluzionari l'allocuzione cadde come un fulmine a ciel sereno. Carlo Alberto aveva già aperto le ostilità contro l'Austria nell'entusiasmo generale e il contingente pontificio era appena partito per il fronte. In questo senso, come osserva Pelczar, «l'allocuzione fu in ritardo di un mese» 86. A partire da questo documento tuttavia, tra la Chiesa e il cosiddetto risorgimento si aprì un fossato destinato a divenire presto incolmabile. Il sogno neoguelfo di porre il Papato alla testa della Rivoluzione italiana precipitò in frantumi. A Roma, gli stessi club rivoluzionari che avevano osannato Pio IX organizzarono manifestazioni contro il Pontefice al grido di «Pio IX ci ha traditi! Morte ai cardinali!» mentre sulle chiese comparivano scritte: «Morte a Cristo, viva Barabba» 87. La Guardia Civica intanto, senza ordini superiori, occupò Castel Sant'Angelo e le porte della città perché sin d'allora si era sparsa la voce che Pio IX volesse abbandonare la città. 

Roberto De Mattei

lunedì 13 aprile 2020

PIO IX



1846-1849: L'ORA DELLA SCELTA


Le riforme del 1847.

Tra le riforme del primo anno di governo dopo l'amnistia, ebbe capitale importanza il 15 marzo 1847 la concessione della libertà di stampa, che permetteva la trattazione, fino ad allora sottoposta a controllo, di temi politici e amministrativi. Nella decisione di Pio IX influirono diversi motivi, tra cui la speranza di evitare, grazie a questa, altre concessioni, e quella di riuscire in tal modo a risolvere il problema della stampa clandestina 43. Il provvedimento ebbe però l'effetto contrario: la moltiplicazione della stampa clandestina e l'aumento di rivendicazioni e di proteste contro il governo. Il quadro confuso che andò delineandosi nella primavera del 1847 è riassunto da Martina in questi termini: «Il governo titubante, la censura incapace di frenare gli eccessi, la stampa largamente in mano ai radicali» 44.

Da Londra, intanto, Giuseppe Mazzini esortava a «non far altri gridi che quelli di Viva l'Italia e Pio IX» 45. -«L'entusiasmo, il delirio del popolo è cosa buona (...) - scriveva qualche mese dopo a Federico Campanella -. Il popolo parigino gridava nel 1789: viva Luigi XVI rigeneratore della Francia!; due anni dopo, gridava: viva la Nazione! Luigi XVI al palco! Il popolo vuole il bene, non sa dove sia, spetta ai suoi educatori mostrarglielo» 46.

A Roma, come in tutta Italia, pullulavano società segrete, gruppuscoli rivoluzionari, società di pensiero dove si dibattevano idee di radicale riforma della società. I "patrioti" erano organizzati in "Circoli" ricalcati sul modello dei "clubs" parigini durante la Rivoluzione francese 47: un ruolo decisivo in particolare veniva svolto dai tre circoli "dei commercianti", "romano", "popolare" che presentavano una forte analogia con i clubs dei foglianti, dei girondini, dei giacobini. Tra gli "educatori del popolo" a cui faceva appello Mazzini, si distinguevano in particolare il medico Pietro Sterbini 48 detto il "Marat romano", amnistiato politico dal 1831, direttore del giornale radicale «Il contemporaneo» e capo del "Circolo Popolare"; Carlo Luciano Bonaparte principe di Canino 49; l'avvocato bolognese Giuseppe Galletti 50, amnistiato nel 1846, che diverrà ministro di Pio IX e poi presidente dell'Assemblea Costituente; i due barnabiti Alessandro Gavazzi, predicatore mazziniano, e Ugo Bassi, "cappellano" delle legioni di Garibaldi 51 poi fucilato dagli austriaci nel 1849. La maggior popolarità arrideva però al capopopolo Angelo Brunetti 52, negoziante di fieno e di vino, detto "Ciceruacchio", per la sua corporatura robusta 53. «Nuovo Golia per statura e dotato di forza erculea - così lo descrive Pelczar ­egli era agile al ballo ed ai festini come nel maneggio del pugnale, e sotto maschera di giovialità e bonarietà nascondeva un'astuzia singolare e uno smisurato orgoglio» 54.

Altrettanto popolare il padre Gioacchino Ventura 55, che seguì un itinerario analogo a quello di Lamennais: da un tradizionalismo fideista ad un altrettanto fideista democratismo. Nell'Elogio funebre di Daniele O'Connell, recitato il 28 e il 30 giugno a Sant'Andrea della Valle, l'oratore teatino esaltava in questi termini l'alleanza fra cristianesimo e libertà: «La Chiesa saprà fare ameno (dei sovrani assoluti), si rivolgerà forse alla democrazia, battezzerà questa matrona selvaggia, la farà cristiana, come già fece cristiana la barbarie; ... imprimerà in fronte il sigillo della consacrazione divina, ... dirà: Regna, e ... regnerà» 56. Con Gioberti e Rosmini, Ventura rappresentava il trio dei sacerdoti riformatori verso i quali Pio IX non nascondeva le sue simpatie 57

Questa atmosfera di sovreccitazione durò in Roma dal giugno 1846 fino all'aprile del '48. In questo periodo gli avvenimenti videro di fronte, secondo Martina, «da una parte la massa del popolo romano, succube dei caporioni, dall'altra, la personalità di Pio IX: fra i due, idillio, contrasti, lotta, incomprensione, riappacificazione, promesse, dialoghi, benedizioni ...» 58.

Il 17 giugno 1847, nell'anniversario dell'elezione del Pontefice, un corteo tumultuante si snodò dal Foro Romano al Quirinale e di lì per Quattro Fontane, piazza del Popolo e il Corso, fino al Campidoglio, tra lo sventolio delle bandiere e il risuonare di canti come «Scuoti o Roma, la polvere indegna ...» 59, la "Marsigliese romana", composta dallo Sterbini. I liberali romani reclamavano la costituzione di una Guardia Civica, con l'evidente intento di creare una propria milizia armata, secondo lo schema sperimentato con la Guardia Nazionale durante la Rivoluzione francese. Istituita il 5 luglio, la Guardia Civica ebbe il suo statuto il 30 luglio: essa era composta da cittadini italiani residenti a Roma dal ventunesimo al sessantesimo anno di età, divisi in quattordici battaglioni, corrispondenti ai quattordici rioni. Nello stemma, adottato su proposta del padre Ventura, si vedono la Religione e la Libertà darsi la mano e con l'altra reggere la Croce 60.

Il cardinal Gizzi, rendendosi conto della piega che stavano prendendo gli avvenimenti, si oppose al progetto della Guardia Civica e presentò le sue dimissioni da segretario di Stato. «Se Vostra Santità metterà le armi nelle mani del popolo - protestò in un drammatico colloquio con il Pontefice - diverrà certamente il trastullo della moltitudine e quando Vostra Santità, stanca del soverchio chiedere di questo popolo, vorrà opporgli resistenza, sarà cacciato da Roma con quei medesimi fucili che ora Lei gli concede per sua difesa. Quanto a me non voglio essere responsabile delle conseguenze di tale atto e preferisco quindi ritirarmi» 61.


Le dimissioni del segretario di Stato, suscitarono una vasta eco in tutta Europa. Il principe di Metternich, in una lettera confidenziale del 18 luglio 1847, le commentò con queste parole: «La dimissione offerta e accettata dal cardinale Gizzi non può essere riguardata che come una fase del dramma che ogni giorno tende a svolgersi nello Stato della Chiesa, dramma eminentemente serio, e di cui solo la Provvidenza saprà decidere la conclusione. Ciò che si è prodotto in questo Stato è una Rivoluzione che si copre della maschera delle riforme ...» 62

Roberto De Mattei

mercoledì 18 marzo 2020

PIO IX



Il mito del "Papa liberale"

«Ci serviremo delle lagrime reali della famiglia e dei presunti dolori dell'esilio - aveva scritto Nubius il capo dell'Alta Vendita - per formarci dell'amnistia un'arma popolare. Noi la chiederemo sempre, felici di ottenerla il più tardi che sia possibile, ma la chiederemo ad alte grida» 29.

Il primo atto del pontificato di Pio IX, nel trigesimo della elevazione alla tiara, il 16 luglio 1846, fu la concessione dell'amnistia ad oltre 400 detenuti ed esuli politici, subordinando il perdono alla semplice firma di una dichiarazione di fedeltà 30. Il gesto di clemenza era privo, nelle intenzioni del pontefice, di reale significato politico. E tuttavia, come sottolinea padre Martina, «raramente la storia presenta un caso analogo di un provvedimento che, malgrado le sue modeste proporzioni, abbia provocato reazioni così vaste, profonde, durature. 

L'amnistia fu la scintilla che, caduta sulle polveri che si erano accumulate da tempo, fece divampare l'incendio in tutta Italia e in larga parte dell'Europa. O, se vogliamo, fu l'inizio di un delirio collettivo dell'opinione pubblica, parte spontaneo e parte artificiosamente montato, che ebbe la sua conclusione nelle rivoluzioni europee del '48. Si trattò quindi di un fenomeno non solo religioso ma essenzialmente politico, di un evento non solo italiano, ma europeo» 31.

In quell'«artificiosamente montato» non è difficile trovare le vere cause del «delirio collettivo dell'opinione pubblica» che, dal luglio del 1846 all'aprile del 1848, creerà, attorno al nome di Pio IX, il mito del Papa "liberale", frutto in realtà - come osservò Salvatorelli - di un «sistematico sfruttamento» 32 delle iniziative del pontefice, per realizzare lo storico "abbraccio" tra la Chiesa e i principi della Rivoluzione francese.

Nicola Roncalli, nella sua Cronaca di Roma, ricorda come il giorno stesso della pubblicazione dell'amnistia, un'enorme turba, con bandiere e torce a vento, percorse il Corso e le strade principali di Roma acclamando Pio IX 33. Le manifestazioni si ripeterono nei giorni successivi in maniera talmente vibrante da sorprendere e turbare il Papa, che invitò il popolo alla moderazione. A questo primo provvedimento, che fu presentato come una sconfessione dei metodi usati dal precedente pontefice, ne seguiranno altri che avevano tutta l'aria di annunciare un nuovo spirito, come la scelta a suo principale collaboratore di mons. Giovanni Corboli-Bussi 34 conosciuto per la sua "apertura" alle idee moderne, e la creazione fatta già alla fine di luglio di una commissione destinata a prendere in esame un programma di riforme amministrative. Malgrado il primo documento dottrinale del nuovo Papa, l'enciclica Qui pluribus del 9 novembre 1846 35, costituisca una chiara condanna dei principi del liberalismo e possa essere considerata, come osserva Martina, «la prima e migliore confutazione del mito di Pio IX» 36, il clima di eccitazione aumentò rapidamente in tutto lo Stato pontificio e poi negli Stati italiani 37 e Pio IX venne acclamato come un principe riformatore e "liberale" che simboleggiava il Risorgimento italiano 38.

Il conte Solaro della Margarita si fermò a Roma fino al 12 settembre, per poter essere presente alla festa della Natività della Santissima Vergine, celebrata dal Papa nella chiesa di Santa Maria del Popolo. Pio IX «vi andò in gran pompa, fra migliaia di bandiere bianche e gialle, fra una moltitudine di popolo che echeggiar faceva l'aria di evviva; balconi e finestre erano pomposamente addobbate, le fregiavano iscrizioni allusive all'epoca che si inaugurava. Non mi piacque l'insieme, e vidi che i tempi si facevano grossi» 39.

A metà novembre arrivò a Roma Marco Minghetti che incontrò a sua volta Pio IX e i suoi collaboratori e ci lascia un significativo ritratto del suo principale consigliere: «Monsignor Corboli Bussi, dopo il Cardinale (Gizzi), era primo nella Segreteria di Stato. Gracile della persona, pallido del malore che presto lo condusse alla tomba. La natura sua era candida e gentile, e sapendosi che il proclama dell' amnistia era stato da lui redatto, godeva il favore popolare. Egli era figlio di un antico liberale, e cospiratore per la patria; ma aveva seguito tutt'altro ordine di idee. Devoto sino al misticismo, coltissimo nelle scienze sacre, e digiuno delle civili, egli precorreva col pensiero alle riforme che dovevano farsi per migliorare le condizioni materiali e morali delle plebi. Aveva delle idee che oggi si direbbero socialiste, mentre poi affermava risolutamente che tutti erano già disingannati sulle riforme politiche e che a queste non doveva pensarci. Difendeva, o scusava gli atti di coloro che parevano più avversi al pensiero di Pio IX, e non si lasciava punto commuovere dalle voci che attribuivano ai gendarmi e alla polizia provocazioni e violenze. Ondeggiava quant'altri mai sul da farsi, e sperava più nell'azione personale, benefica degli uomini, che nelle istituzioni, o nelle riforme» 40.

L'8 novembre si tenne la solennità del Possesso cioè la presa di possesso della Basilica di San Giovanni in Laterano, «madre e capo di tutte le chiese di Roma e del mondo». Gli immediati predecessori di Pio IX avevano eseguito questa cerimonia senza pompa esterna. Pio IX volle rinnovare invece l'antica tradizione, allo scopo di risollevare lo splendore della Chiesa e delle sue istituzioni. Al segno dato con lo sparo del cannone, mosse dal Quirinale un magnifico corteo; in testa i dragoni, dagli alti berretti di pelle d'orso con le piume bianco-gialle, gli svizzeri con le corazze di acciaio, i ciambellani laici con le uniformi del Cinquecento, i prelati e i vescovi nei loro indumenti violacei, tutti su cavalli riccamente bardati. Seguiva la carrozza di gala del Papa, tirata da sei cavalli neri e circondata dagli svizzeri a cavallo e a piedi.

Il corteo passò accanto al Campidoglio, all'Arco di Tito e al Colosseo, dove migliaia di persone accolsero con acclamazioni il Papa, che continuamente benediceva. Tutto il tratto di via dall' Arco di Tito al Colosseo era stato addobbato dagli ebrei, riconoscenti al Papa per i benefici che egli aveva elargito loro.

Arrivato in piazza San Giovanni in Laterano, il Papa fu accolto dal senatore di Roma principe Orsini e dai canonici di San Giovanni che lo introdussero fino al trono, eretto davanti alla porta del Giubileo, dove Pio IX ricevette le chiavi della Basilica, una d'argento, l'altra d'oro. Il Pontefice fu portato quindi in trono sotto al baldacchino dove, per la prima volta dopo l'incoronazione, assunse nuovamente in capo la Tiara.

Dalla gran loggia della facciata impartì quindi la benedizione apostolica a una moltitudine di circa centomila persone prostrate sulla piazza. «Quando il Papa pronunziò l'amen, cominciò il suono di tutte le campane, e tuonarono i cannoni collocati accanto alla chiesa di Santa Croce, ma sopra questo frastuono echeggiavano le interminabili grida di Evviva» 41. «La divisa dello stendardo pontificio bianca e gialla che per lo innanzi era colore di vituperio - ricorda il padre Bresciani - divenne a un punto lo splendore del sole e della luna che sprazzano i cieli d'oro e d'argento» 42.


Roberto De Mattei