martedì 29 ottobre 2019

INTERVISTE COL MALIGNO



PRIMO INCONTRO: UNA VISITA INASPETTATA 

Quella sera stessa, dopo una cena piuttosto frettolosa e svogliata, mi ritirai in camera a sbrigare un po' di corrispondenza.
Di lì a una mezz'ora presi a recitare l'ultima parte della “Liturgia delle Ore”. Mi segnai devotamente e cominciai: “Gesù, luce da luce, - sole senza tramonto, - tu rischiari le tenebre - nella notte del mondo. - In te, santo Signore - noi cerchiamo riposo - dall'umana fatica, - al termine del giorno...”
Notai, questa volta, che più andavo avanti, più cresceva in me il desiderio di indugiare in quella preghiera abituale. Sensi e gusti nuovi affioravano da quelle parole antiche e semplici.
Alla fine, baciai il breviario e lo misi da parte. E adesso che cosa faccio? Qualche volta appuntavo delle note rapidissime sul diario; tentai di farlo, ma presto me ne passò la voglia.
Voltandomi, lo sguardo si incontrò con una immagine della Madonna dinanzi alla quale quella sera ero andato a pregare. Ebbi voglia di trattenermi con Lei e preso di tasca il rosario mi segnai. Le "Ave Maria" mi venivano su dolcissime, come una più intima presa di contatto con Lei. Non era terminata una decina che mi trovai seduto e con la penna in mano.
Cosa strana! Per fare che? Un blocco di carta era lì sul tavolo. Cominciare a scrivere qualcosa di quella diavoleria? Non ci pensavo affatto. Non avevo nulla di preparato per la testa e la fantasia non pareva favorirmi.
Accostato, così, per fare qualcosa, il blocco di carta, scrissi in alto: "Intervista con Satana". No! Corressi. Meglio dire "col Maligno". Questo secondo appellativo è meno logoro. E restai con la penna in aria.
In quello stesso istante avvertii lungo la schiena un improvviso brivido di freddo, che subito mi avvolse tutta la persona.
A fianco della scrivania, a sinistra, la finestra era completamente aperta. Quando istintivamente mi alzai per chiuderla, avvertii che da fuori veniva invece un'aria calda; era infatti una sera di settembre.
Mentre mi toccavo le guance e la fronte, chiedendomi se non fosse per caso un sintomo di febbre, una lama addirittura gelida mi attraversò la persona e ne ebbi uno strano scossone di paura. Mi sedetti, rimasi immobile per un pò, poi tentai di buttarmi sul letto, così come stavo. Non riuscii a muovermi. Mi sentivo inchiodato alla scrivania, non per una forza che mi facesse violenza dal di fuori, ma da un senso di inerzia totale: una specie di legamento che veniva dal di dentro.
Invocai mentalmente la Vergine che mi guardava dalla parete a qualche metro di distanza e ne ebbi un'improvvisa carezza di pace. Mentre ringraziavo la Madre celeste... la sedia, la scrivania, quasi tutta la camera ebbero un sussulto misterioso.
- "Hai chiesto d'intervistarmi, eccomi!"
Era una voce cupa, aspra, metallica; una voce che non seppi precisare da quale punto venisse, ma che mi scatenò addosso un lungo brivido di paura. Restai per un pò senza fiato, poi presi coraggio.
- "Ma tu chi sei?"
- "Non fare lo stupido; sono io!"
Non avevo mai pensato di dover passare con la mia intervista dal piano della fantasia a quello di un... a tu per tu col Maligno.
Su un angolo della scrivania c'era il rosario; istintivamente lo afferrai come arma di difesa.
- "Butta via quella robaccia, se vuoi parlare con me!" 
- "Robaccia?..."
- "Escrementi di capra legati insieme!"
- "Se per te è robaccia io la bacio e a tuo dispetto me l'avvolgo qui attorno al polso, per sicurezza. Vedo che deve farti paura, vigliacco!" 
- "Quella per me è una ghigliottina!..."
- "Tanto meglio e grazie di avermelo detto!"
Cercavo di spiegarmi come percepissi quella voce così vicina che non proveniva da un punto preciso della camera, né mi saliva dal di dentro. L'avvertivo, però, in modo chiaro, sempre in tono minaccioso e sprezzante e carico di una rabbia belluina.
- "Intanto, come sei venuto? Chi ti manda?" 
- "Sono stato costretto!"
- "Costretto da chi?". Seguì un silenzio agghiacciante. 
- "Su, costretto da chi?"
- "Da quella là!". Urlò questa risposta con un disprezzo e un odio indescrivibili.
- "Chi è quella là?", gli chiesi pur avendo capito. 
-"Non farò mai quel nome!"
- "Ti scotta tanto?"
- "La odio infinitamente!"
- “Perché è la creatura più alta e più santa...”
Masticando le parole con rabbia rispose: "Lui l'ha voluta così a mio dispetto, perché fosse la mia più schiacciante umiliazione!" Restai sbalordito. "Come mai? Sei il padre della menzogna e dici una verità così grande? Non ti accorgi che questa è una lode immensa?..." La mia domanda restò senza rispota. Per quella volta fu tutto. 


P. Domenico Mondrone S. J.

Salva i miei fratelli e sorelle





Oh mio caro Salvatore Gesù Cristo,
accetta il mio dono della preghiera e del sacrificio 
per contribuire a salvare i miei fratelli e sorelle 
dalla prigione delle tenebre in cui si trovano.
Permettimi di aiutare a salvare le loro anime.
Ti prego di perdonare i loro peccati 
e Ti chiedo di inondare le loro anime con lo Spirito Santo,
in modo che corrano  tra le tue braccia, quale rifugio di cui hanno bisogno
prima che siano perduti per sempre.
Ti offro il mio dono dell’abbandono per tali anime 
in umile servitù e ringraziamento.
Amen

L'ARALDO DEL DIVINO AMORE



Il IV libro ci rivela ch'ella fu assente dal coro per un intero anno: però ci fa anche sapere che Nostro Signore ripagava la sua diletta Sposa di queste privazioni, dandole preziose lezioni su feste successive, lezioni di cui il pio lettore può approfittare, anche al giorno d'oggi, meditando l'opera di S. Geltrude.
Benchè la sua esistenza trascorresse abitualmente nella pace, Geltrude non potè sfuggire alla contraddizione la comunità di Helfta era santa ed esemplare, ma, come del resto capita ovunque, vi s'incontrava l'umana fragilità. Vi furono perfino monache che osarono lamentarsi con Nostro Signore d'alcuni difetti di Geltrude. Le si rimproverava d'impetuosità nel carattere, l'impazienza dello zelo e persino le astrazione volontarie, a cui era soggetta per i continui favori soprannaturali, astrazioni che talora le impedivano di essere esatta è cerimonie del coro. Spesso Nostro Signore prende le della Santa e la difende con dolcezza, anche quando è realmente in difetto: Geltrude poi s'umilia profondamente per quelle colpe, di cui si accusa con maggiore convinzione de' suoi stessi accusatori; prega Nostro Signore di supplire alle sue deficienze e di non permettere che abbia a scandalizzare il prossimo: giunge fino al punto di supplicarlo di impedire ogni favore durante l'Ufficio, piuttosto che permettere la minima trascuratezza nelle cerimonie della salmodia.
Nel 1291 Geltrude e la Comunità furono provate dal più grande dolore che possa colpire un Monastero fervente: la morte di una santa Abbadessa.
Geltrude di Hackeborn, che aveva governato Helfta per ben quarant'anni, fu colpita da un attacco che, a quei tempi, si chiamava piccola apoplessia. La malattia durò cinque mesi e la nostra Santa era sempre al suo capezzale, curandola con filiale tenerezza.
La santa Abbadessa, che ben conosceva le grazie di cui Geltrude era l'oggetto, assai spesso aveva fatto a lei ricorso, sia per comunicare con Nostro Signore, sia per ottenere qualche risposta. Fu Geltrude che, all'ultima momento, mentre la Madre spirava, intonò il responsorio « Surge virgo », invece di S. Matilde, la quale essendo malata, non poté assistere la diletta sorella.
RIVELAZIONI DI S. GELTRUDE

Ogni giorno la provvidenza di Dio sorge prima del Sole.



La vita della beata Anna Caterina Emmerick (1774-1824) è un miracolo continuo della provvidenza di Dio, che la faceva vivere in ogni momento secondo la sua volontà. Aveva le stimmate della Passione di Cristo e soffrì come anima vittima per la salvezza del mondo. Gesù faceva miracoli tramite lei. Come ci racconta nelle sue Visioni e rivelazioni, spesso il suo angelo custode la portava, in bilocazione, in luoghi lontani per il mondo ad aiutare persone che erano in pericolo di morte o in gravi necessità.
I suoi racconti sulla vita di Gesù e sulla sua Passione e morte, continuano a fare del bene e a trasformare la vita di migliaia di persone. Si preoccupava molto dei poveri e, pur essendo inferma, cercava, quando poteva, di fare dei lavori di tessitura per dare il ricavato ai poveri. Racconta: “Una volta il visconte di Galen mi obbligò a ricevere due monete d’oro, che avrei dovuto dividere tra i poveri a suo nome. Le cambiai in piccole monete e con il ricavato feci fare abiti e scarpe che poi diedi ai poveri. Ebbi una meravigliosa benedizione di Dio su queste monete, poiché tutte le volte che le cambiavo in spiccioli, ritrovavo le due monete d’oro nel mio borsellino e così le facevo cambiare di nuovo. Questo durò più di un anno e con questo denaro ho potuto soccorrere molti poveri”(33).

"Signore, insegnaci a pregare!"



Raccolta di preghiere della Serva di Dio
LUISA  PICCARRETA


A che serve pregare “immedesimandoci” con Gesù

Mentre pregavo stavo unendo la mia mente a quella di Gesù, gli occhi miei a quelli di Gesù, e così tutto il resto, intendendo fare ciò che faceva Gesù con la sua mente, coi suoi occhi, con la sua bocca, col suo Cuore, e così di tutto. E siccome pareva che la mente di Gesù, gli occhi, ecc. si diffondevano a bene di tutti, così pareva che anch’io mi diffondevo a bene di tutti, unendomi e immedesimandomi con Gesù.  
Ora,  pensavo tra me: 
“Che meditazione è questa?  Che preghiera?  Ah, non sono più buona a nulla!  Non so pure riflettere nulla!”.
Ma mentre ciò pensavo, il mio sempre amabile Gesù mi ha detto: “Figlia mia, come, ti affliggi di questo? Invece di affliggerti dovresti rallegrarti, perché quando tu altre volte meditavi e tante belle riflessioni sorgevano nella tua mente, tu non facevi altro che prendere parte di Me, delle mie qualità e delle mie virtù. Ora, essendoti rimasto solo di poterti unire ed immedesimarti (con) Me, mi prendi tutto e, non essendo (tu) da sola buona a nulla, con Me sei buona a tutto, perché il desiderare, il volere il bene, produce nell’anima una fortezza che la fa crescere e la stabilisce nella Vita Divina. Poi, con l’unirsi con Me ed immedesimarsi con Me, si unisce con la mia mente (e) così tante vite di pensieri santi produce nelle menti delle creature; come si unisce coi miei occhi, così produce nelle creature tante vite di sguardi santi; così, se si unisce con la mia bocca, darà vita alle parole; se si unisce al mio Cuore, ai miei desideri, alle mie mani, ai (miei) passi, cosi ad ogni palpito darà una vita, vita ai desideri, alle azioni, ai passi... Ma vite sante, perché contenendo in Me la Potenza Creatrice, insieme con Me l’anima crea e fa ciò che faccio Io.
Ora, questa unione con Me, parte per parte, mente (con) mente, cuore (con) cuore, ecc. produce in te, in grado più alto, la Vita della mia Volontà e del mio Amore. Ed in questa Volontà viene formato il Padre, nell’Amore lo Spirito Santo, e dall'operato, dalle parole, dalle opere, dai pensieri e da tutto il resto che può uscire da questa Volontà e da questo Amore viene formato il Figlio, ed ecco la Trinità nelle anime... Sicché, se dobbiamo operare, è indifferente operare nella Trinità in Cielo o nella Trinità delle anime in terra.
Ecco perché vado togliendoti tutto il resto, sebbene siano cose buone, sante, per poterti dare il più buono e il più santo, quale sono Io stesso, e poter fare di te un altro Me stesso, (per) quanto a creatura è possibile. Credo che non ti lamenterai più, non è vero?”  (Vol. 11°, 12.06.1913).


a cura di D. Pablo Martín

lunedì 28 ottobre 2019

EUCARISTIA E SANTISSIMA TRINITA



Fermati dinanzi al mio Tabernacolo 

Ma la vostra natura è piena di tante miserie, di tante distrazioni, e voi non riuscite a raccogliervi in me.... Dovete perdere la speranza? No! Dovete invece confidare in me, e quanto più miserabili vi vedete, tanto più dovete venire a me, perché io non sono solo la 'vita', ma sono ancora la ‘via’.
Se un'anima rimane davanti a me, ancorché sia sterile, distratta, povera di vita..., se vi rimane riconoscendo almeno il suo stato, il suo nulla, rivolgendosi a me, non dico con la preghiera, ma con lo sguardo, vi dico che io la vivifico e la conduco ai miei pascoli poco per volta. Io sono la via per quest'anima, sono il pastore pietoso che l'accoglie sulle spalle e la porta.
O pecorella mia, sei distratta da tanti pensieri estranei a me, ti viene la noia, ti pare di stare sulle spine innanzi a me? non sai pregare, manchi di unzione interna? Oh, non ti sfiduciare! Rimani innanzi a me in questo squallore, ed ogni giorno fa' la tua cura spirituale in un atto di presenza.
Rimani, riposati, guardami almeno. Questo lo puoi fare sicuramente, non costa fatica. Stabilisci un tempo determinato per rimanere davanti a me, e non te ne andare se non finisce quel tempo. Io sono contento anche di questo, e poco per volta ti conduco al pascolo del mio amore.
Che se vuoi abbreviare la tua via, prega vocalmente, leggi un libro buono che parli di me, non fa niente che non sia proprio un libro di preghiere; e, leggendo, fermati ogni tanto a guardami soltanto. Io ti assicuro che, poco per volta, il tuo cuore si disgelerà e tu comincerai a sentire un benessere nuovo in te. Unisciti poi alle preghiere degli altri, e, se puoi, va dove altri pregano, dove si canta a me, dove si parla di me. Unisci il tuo cuore alle preghiere altrui, e al più presto ti sentirai vivificata!
Quando ti ritiri a casa tua, sentirai una certa attrazione per il posticino che hai lasciato in chiesa,... vi ritornerai umiliata, rifarai tante volte il tuo pellegrinaggio fino a che potrai pascolarti di me!
O figlie mie, il mondo è infermo, è distratto, è materializzato. Esso non mi conoscerà facilmente come sua vita senza questo esercizio che gli ridona il movimento verso di me.
Cominciate da voi, perché anche voi siete così povere di amore, e persuadetevi che ci vuole un esercizio lungo e costante per ritornare a me completamente e per pascolarvi del mio amore!
Venite a me, non vi stancate sforzandovi soverchiamente; raccoglietevi nel mio Cuore, dite il vostro Rosario, pensate alla mia Passione, riposatevi con una lettura spirituale, guardatemi, confidate, io vi riempio di amore in questa maniera, e diverrete anime eucaristiche! Non guardate chi entra e chi esce dalla chiesa, non vi distraete materialmente, state al vostro posticino come in un piccolo romitaggio, non vi impazientite con voi stesse; aspettatemi con calma: io verrò a voi dal mio trono di amore!
Il pascolo del mio amore non è lo stesso per tutte le anime; io ho tanti segreti nel mio Cuore che voi non li supponete neppure, perché avete l'abitudine di fermarvi nelle vie del mio amore, quando vi sentite appagate voi. Appena sentite un poco di contento, voi credete di aver raggiunto la meta, credete di avermi esplorato. Eppure io ho tante ricchezze da darvi ancora, tante dolcezze da effondervi nell'anima.
Quando cominciate a sentire familiarità con me, non vi concentrate nel vostro egoismo, datevi a me, cedetemi la vostra libertà, la vostra volontà, il vostro cuore. Più mi date e più io vi do, poiché io non posso sforzarvi e voglio che il nostro amore sia reciproco.

del P. Dolindo Ruotolo

Maria Corredentrice negli scritti di Luisa Piccarreta



Gesù e Maria, abbracciando tutte le pene per redimerci, mai furono privi della massima felicità: “Figlia mia, c’è differenza grandissima tra chi deve formare un bene, un regno, e chi deve riceverlo per goderlo. Io venni sulla terra per espiare, per redimere, per salvare l’uomo. Per fare ciò, mi toccava prendere le pene delle creature su di Me, come se fossero mie. La mia Mamma Divina, che doveva essere Corredentrice, non doveva essere dissimile da Me; anzi, le cinque gocce di sangue che mi diede dal suo Cuore purissimo per formare la mia piccola Umanità, uscirono dal suo Cuore crocifisso. Per Noi le pene erano uffici che venimmo a compiere: perciò tutte erano pene volontarie, non imposizioni della fragile natura.  
Ma tu devi sapere che, ad onta di tante nostre pene che avevamo per disimpegnare il nostro ufficio, da Me e dalla mia Madre Regina erano inseparabili somma felicità, gioie che mai finivano e sempre nuove, Paradiso continuato. A Noi era più facile separarci dalle pene, perché non erano roba nostra intrinseca, roba di natura, ma roba di ufficio, che separarci dal pelago delle immense gioie e felicità che produceva in Noi, come roba nostra intrinseca, la natura della nostra Volontà Divina che possedevamo. Come la natura del sole è dare luce, quella dell’acqua dissetare o quella del fuoco riscaldare e convertire tutto in fuoco –e se ciò non facessero perderebbero la loro natura–, così è natura della mia Volontà che dove essa regna fa sorgere la felicità, la gioia, il Paradiso. Volontà di Dio ed infelicità non esiste né può esistere, oppure non esiste tutta la sua pienezza e perciò i rivoli della volontà umana formano le amarezze alle povere creature. Per Noi, in cui la volontà umana non aveva nessuna entrata, la felicità era sempre al suo colmo, i mari delle gioie erano inseparabili da Noi. Fin sulla croce e stando la mia Mamma crocifissa ai miei piedi divini, la perfetta felicità mai si scompagnò da Noi; e se ciò avesse potuto succedere, avrei dovuto uscire dalla Volontà Divina e scompagnarmi dalla Natura Divina e agire solo con la volontà e natura umana. Perciò le nostre pene furono tutte volontarie, elette da Noi stessi per l’ufficio che venimmo a compiere, non frutto di natura umana, di fragilità o d’imposizione di natura degradata”. (Vol. 20°,  30-1-1927) 

Pablo  Martín  Sanguiao


Due parole dello Spirito Santo



PRIMA PAROLA: Desolatione desolata est omnis terra, quia nullus est qui recogitet corde (Ier. 12, 11). La terra è immersa nella desolazione perchè non v'è più chi mediti nel suo cuore. I mali che inondano la terra sono dunque attribuiti dallo Spirito Santo a difetto di meditazione, avendo l'uomo abbandonato quel pio studio della verità, quel savio e divoto riflettere che tanto concorre ad allontanarlo dalle vie dell'iniquità e a tenerlo sulle vie della rettitudine e della virtù.
E se il non meditare è cagione di tanti mali al mondo in generale, quanto non sarà nocivo anche al piccolo mondo dell'anima tua, o Cristiano?... o Cristiano nato di Dio! rinato nel Sangue del Salvatore, e dal Salvatore stesso chiamato a rinascere nello Spirito Santo, e che però non hai da vivere se non nella verità e nella santità? Rientra ora in te, rifletti sullo stato dell'anima tua, e dovrai confessare che i più santi giorni della trascorsa tua vita, quelli più fecondi di atti virtuosi e di opere lodevoli e abbelliti di dolce pace, furono quelli stessi nei quali il cuor tuo si tenne raccolto in divota meditazione. Ma or come va che anche conoscendo quanto il meditare t'è utile, tu abbi poi trascurato sì santo esercizio? – Se dunque rientrando in te vi trovi la desolazione della tiepidezza, la desolazone del dissipamento, la desolazione delle passioni indomate, di' pure: La terra del cuor mio è così desolata perchè non ho fatto bene la meditazione.

SECONDA PAROLA - Connedite bonum et delectabitur in crassitudine anima vostra (Is. 55, 2). Questa misteriosa parola dello Spirito Santo, oh, quanto dice a chi ha da Lui tanto lume da intenderla! - Proviamoci a spiegarla. - Quel Divino Spirito che è Fonte d'ogni bene e che ha invitato tutti i sitibondi alle sue acque, ha poi soggiunto la suddetta parola, cioè: Mangiate il bene, e l'anima vostra esulterà nell'abbondanza. Oh, quanto sta a cuore al nostro Dio il nutrire le anime da Lui create! - Ma qual sarà quel santo cibo ch'Ei ci porge, e che chiama il bene? Quel cibo, se noi lo consideriamo come pascolo dell'intelletto è la verità; se lo consideriamo come pascolo del cuore è l'amor divino; se lo consideriamo come nutrimento e sostegno dell'anima è la grazia unitamente alla pace e consolazione celeste. - Verità, amore, grazia... oh, il, preziosisimo cibo! E chi ce lo dà? Lo Spirito Santo. - E quando ce lo dà? Quando ci raccogliamo in divota meditazione. - E saremo dunque sì stolti e trascurati del nostro bene da non far meditazione?... E siamo pur quelli che ci lamentiamo d'aver duro il cuore, cieca la mente, e lo spirito arido, debole, afflitto, scoraggiato! Eppure quella mensa dove ci è dato cibo di salute e di vita, cioè verità, amore, grazia e consolazione, è apparecchiata davanti a noi... insistente e amoroso è l'invito che a quella ci chiama... - Qual nome dare al nostro rifiuto, se chiamarlo follia e ingratitudine sarebbe poco?
Bastino queste brevi riflessioni per indurci ad apprezzare e praticare l'orazione mentale.
Qui non aggiungiamo ordinate meditazioni, chè i divoti possono trovarne in altri manuali di pietà, ma solo accenniamo alcuni brevi punti, i quali ben considerati, potranno fornire all'anima pia quel pascolo salutare, che lo Spirito Santo chiama il bene laddove ha detto: Mangiate il bene, cioè: nutrite la vostra mente delle celesti verità e il cuor vostro di santi affetti per mezzo della meditazione, e l'anima vostra esulterà nell'abbondanza della grazia e della pace, ripiena di Spirito Santo. Sì: e in altre parole lo raccomanda anche san Paolo dicendo: Implemiti Spiritu Sancto (Ad Eph. 5. 18).


Preghiera di liberazione da Asmodeo



Signore Gesù Cristo,
nostro Signore e nostro Dio (Gv 20,28),
venuto nella carne per rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare ai prigionieri la liberazione (cfr. Lc 4,18),
tu che hai detto: “Se uno osserva la mia parola,
non vedrà mai la morte” (Gv 8,31),
fa’ che possiamo comprendere e dare ascolto alle tue parole
e perseverare nella verità;
tu che hai parlato al mondo apertamente (Gv 18,20)
e non hai mai nascosto nulla del tesoro della tua rivelazione,
e hai condannato al silenzio il demonio impuro
che ti scongiurava di non tormentarlo con la tua parola di conoscenza (Mc 5,6-8),
noi ti supplichiamo: “Abbi pietà di noi”.
Con la forza di un montone dalle due corna (Dn 8,6),
Asmodeo, spirito dell’impurità e dell’incontinenza,
spirito di distruzione e di furore,
affligge ed ingiuria il nostro cuore,
rinfacciandoci ogni giorno tutti i nostri peccati occulti (cfr. Sal 89,8)
e approfittando della nostra carnale debolezza (cfr. Mt 26,41);
poiché siamo ancora bisognosi di latte e non di cibo solido (Eb 5,12),
attenta alla nostra vita relazionale, sentimentale, affettiva e familiare.
Rabbiosamente geloso di noi (cfr. Tb 6,15),
umiliato dal perdono di tutte le nostre iniquità (cfr. Eb 8,12)
che tu, Signore Gesù, hai meritato per noi sottoponendoti alla croce,
disprezzando l’ignominia (Eb 12,2),
lui attenta alla nostra vita, in particolare alla nostra vita sessuale:
nemico dell’unione coniugale e della relazione con il corpo,
produce in noi sentimenti di fornicazione,
isterie correlate all’attività sessuale,
distorsioni immaginative, fissazioni, angosce,
scrupoli, ansie di sventura e divisione e da ultima la morte (Tb 3,8a).
Noi ci rivolgiamo a te Gesù,
che sei il Signore del nostro corpo.
Ci appelliamo alla immacolata purezza del tuo corpo umano,
perché in nome di essa tu esegua i tuoi giudizi su Asmodeo
e su tutti coloro che ti disprezzano (cfr. Ez 28,26).
Tu sei benedetto, Signore,
e benedetto è il tuo Nome nei secoli (Tb 3,11).
Tu sei “il Signore che agisce con misericordia,
con diritto e giustizia sulla terra” (Ger 9,23):
ti supplichiamo di avere pietà di noi.
Signore Gesù Cristo,
come concedesti alla donna Cananèa
di liberare la figlia tormentata da un demonio (cfr. Mt 15,21),
ti scongiuriamo di volerci liberare dal tormento di Asmodeo,
dalla sua astuzia demoniaca, dalla sua ostinata provocazione,
perché udendo la tua voce
possa urlare il suo tormento (cfr. Mc 1,23-24)
e così fuggire e non comparire mai più intorno a noi (cfr. Tb 6,17).
Liberaci in questo stesso momento, Signore Gesù,
da ogni inclinazione o sentimento di doppiezza, incontinenza,
lussuria, impurità, ossessione, vizio, fornicazione, adulterio, scandalo.
Liberaci da ogni ambizione o vanità sessuale,
da qualunque scurrilità di linguaggio, dai comportamenti libertini,
dalla compiacenza nella volgarità,
dalle parole oscene e dalla perversione del costume.
Ti preghiamo di spegnere il fuoco della continua ossessione,
il rumore delle voci interiori, le proiezioni immaginative
e tutto il ciclo spirituale di attività impure che Asmodeo
esercita su di noi e con le quali umilia la nostra immagine di te.
Noi siamo tuoi, Signore,
e amiamo te.
Per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria
ti supplichiamo di ascoltarci.
Per il Santo Nome della tua e nostra Madre,
ti imploriamo di liberarci da Asmodeo e da tutti gli spiriti impuri.
Te lo chiediamo perché sei Gesù e tutto puoi.
Amen.

di Francesco G. Silletta

ECCO COSA SUCCEDERÀ SUBITO DOPO LA NOSTRA MORTE: IL GIUDIZIO DI DIO. INFERNO- PURGATORIO-PARADISO.



Riferendoci al Giudizio particolare di Dio, subito dopo la morte, in che cosa consisterà? Sarà una valutazione di te stesso, come tu sei realmente…
Quando verrà il momento esatto del Giudizio, ci toglieremo questi occhiali affumicati e ci vedremo così come noi siamo in realtà. Ora che cosa sei in realtà? Tu sei ciò che tu sei, non per le tue emozioni, i tuoi sentimenti, i tuoi gusti, e i tuoi disgusti, ma per le tue scelte. Le decisioni della tua libera volontà saranno il contenuto del Giudizio.
Il Giudizio particolare, subito dopo la morte, è un qualcosa come essere fermati dalla polizia stradale, se si eccettua il fatto che, grazie al Cielo, il Buon Dio non è così severo come un poliziotto. Quando siamo fermati, Dio non ci dice: “Che genere di macchina avete guidato?”. Presso di Lui non vi è accezione di persone: Egli ci domanda soltanto: “Hai guidato bene? Hai osservato le norme?”. Alla morte lasciamo dietro a noi i nostri veicoli, cioè le nostre emozioni, pregiudizi, sentimenti, la nostra condizione di vita, i nostri vantaggi, le accidentalita’ del talento, della bellezza, dell’intelligenza e della posizione. Perciò non avrà importanza presso Dio se siamo stati disgraziati, ignoranti o detestati dal mondo. Il nostro giudizio sarà basato non sulle nostre disposizioni psicologiche o sulla posizione sociale; ma sul modo in cui avremo vissuto, sulle scelte che avremo fatto e se avremo obbedito alla Legge di Dio.
Non pensare perciò che al momento del Giudizio potrai discutere il caso. Non ti sarà permesso allegare alcuna circostanza attenuante, non potrai esigere un ricorso, né una nuova giuria e neppure appellarti al fatto di un processo ingiusto. Tu stesso sarai tuo giudice. Tu stesso la tua giuria; tu pronuncerai la tua sentenza. Dio sancirà semplicemente il tuo giudizio.
Che cos’è il Giudizio? Dal punto di vista di Dio, il Giudizio è un riconoscimento.
Ecco due anime che appaiono dinnanzi a Dio, nell’istante dopo la morte. Una è in stato di Grazia, l’altra, no. Il Giudice Divino guarda all’anima in stato di Grazia: vi vede la rassomiglianza con la Sua Natura, poiché la Grazia è partecipazione alla Natura Divina. Proprio come una madre conosce il suo bambino per la rassomiglianza di natura, così anche Iddio conosce i propri figli per rassomiglianza di natura. Egli conosce se siamo nati da Lui. Vedendo in quelle anime la propria rassomiglianza, il Sovrano Giudice, Nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo, dice: “Venite benedetti dal Padre Mio. Vi ho insegnato a dire Padre Nostro. Io sono Figlio per natura, voi siete figli per adozione. Venite nel regno che ho preparato per voi da tutta l’eternità”.
L’altra anima, invece, che non possiede i tratti famigliari e la somiglianza con la Trinità, viene ricevuta in un modo ben diverso dal Giudice Supremo. Come una madre sa che il figlio di una sua vicina non è proprio suo, perché non vi è partecipazione alcuna alla sua natura, così anche Gesù Cristo, non vedendo nell’anima peccatrice partecipazione alcuna alla sua natura, può dire soltanto queste parole che significano il non riconoscimento: “Non ti riconosco”. Ed è cosa ben terribile non essere riconosciuti da Dio! Tale è il Giudizio dal punto di vista di Dio.
Dal punto di vista umano, è pure un riconoscimento, ma un riconoscimento di idoneità o di non idoneità. Un distinto visitatore viene annunciato alla porta, ma io mi trovo con i miei abiti da lavoro, con le mani e la faccia sporca. Non sono in condizione di presentarmi dinanzi a un così augusto, importante visitatore e io mi rifiuto di vederlo, finché non possa migliorare la mia presenza.
Un’anima macchiata di peccato si comporta proprio nello stesso modo, quando si presenta al Giudizio di Dio. Essa scorge da una parte la Maestà, la Purezza, e lo Splendore di Dio e dall’altra, la sua bassezza, la sua colpevolezza, la sua indegnità. Non implora, non discute, non perora il caso. Essa vede e dal profondo emerge il suo giudizio: “O Signore, io sono indegna!”.
L’anima macchiata di peccato veniale si getta nel Purgatorio a lavare la sua veste battesimale; ma l’anima irrimediabilmente macchiata dal peccato mortale, l’anima morta alla Vita Divina della Grazia, si precipita nell’inferno con la stessa naturalezza con cui una pietra abbandonata dalla mia mano cade al suolo.
Tre destini possibili ti attendono alla morte:
Inferno: Dolore senza Amore.
Purgatorio: Dolore con Amore.
Paradiso: Amore senza Dolore.

(Beato Fulton J. Sheen, da “Vi presento La Religione”.)

domenica 27 ottobre 2019

La fede della Vergine Maria



Non vi è stata un'altra anima che sia stata più docile all'azione dello spirito della Madonna; la invocano come Vaso spirituale, come Vaso che accoglie tutti i doni dello Spirito.
Ci sembra opportuno allora parlare della Madonna. Questo si può fare in tanti modi, ma precisamente in quanto era ed è il vaso che accoglie i doni dello Spirito. La santità cristiana è indubbiamente l'opera dello Spirito Santo in un'anima. L'anima dell'uomo deve totalmente abbandonarsi a Dio, perché Dio operi in Lei, secondo la Sua divina volontà il perfezionamento del Suo Amore. Nessuna creatura ha saputo abbandonarsi all'azione dello Spirito come la Vergine. Non vi è un'incarnazione dello Spirito Santo, ma la rivelazione suprema di quello che è lo Spirito Santo è precisamente la Vergine perché Ella non ha posto nessun limite, nessuna riserva, nessuna condizione, all'azione onnipotente della grazia divina. Ella è stata tutta penetrata dall'azione dello Spirito Santo e trasformata dai suoi doni. In Lei non vediamo la Creatura ma vediamo Dio, Dio che è in Lei, Dio che vive in Lei, puro cristallo! Ella lascia totalmente passare attraverso di Sé la luce della verità e per questo Ella è veramente la causa esemplare della santità creata. La santità creata, ce lo insegnano anche i grandi mistici, è perfetta quando l'uomo in qualche modo è come il cristallo della luce di Dio, e nella luce di Dio si perde e lascia vedere attraverso di sé Dio stesso. Così la Vergine. Nella sua umiltà perfetta, nell'oblio totale di Sé, Ella non vive una sua vita, ma lascia che Dio viva in Lei pienamente, senza resistenza alcuna, e la vita di Dio in Lei non può essere che amore. La condizione a questo amore è precisamente questa umiltà profonda, questo oblio totale di Sé, questo sparire nella luce divina. Ma se l'umiltà è la condizione, la santità nel suo lato positivo è precisamente Dio che vive in Lei, come si è detto prima. Non è certo Maria, un'incarnazione dello Spirito Santo come non è la Chiesa; la distinzione delle parti fra Maria e la Chiesa è ancora più grande, come fra lo Spirito Santo e la Vergine, e tuttavia lo Spirito Santo non si rivela mai così pienamente come nella Vergine pura. Perciò Maria Santissima è la rivelazione suprema dello Spirito, perché abbandonandosi totalmente alla sua azione lascia che lo Spirito Santo si riveli attraverso di Lei, senza alcun ostacolo. In questo suo abbandono allo Spirito di Dio, la Vergine ci insegna il medesimo abbandono nella stessa umiltà. E questo significa prima di tutto avere una fede grande, perché un abbandono, se non c'è un Dio che ci prende ed opera in noi, sarebbe un morire a noi stessi senza compenso. Bisogna che nel nostro abbandono ci siano delle mani che ci accolgono, ci sia un altro che ci prende e ci possegga. L'abbandono della donna all'uomo che ama è un abbandono che ha come risultato per la donna una pienezza di amore, non la morte, ma la vita, così è anche l'abbandono all'azione dello Spirito. Esso suppone la realtà della presenza dello Spirito Santo, la realtà dell'amore di Dio che ti vuol possedere, ti vuole per Sé. Ed ecco perché la prima cosa che s'impone se vogliamo abbandonarci allo Spirito Santo è quello che si è sempre detto. Credere nell'amore di Dio. Se non crediamo all'amore di Dio neppure possiamo abbandonarci, o almeno il nostro abbandono è veramente come una rinuncia a vivere, un abbandono alla morte, alle forze disgregatrici dell'essere, allo scoraggiamento, alla sfiducia, al vuoto. Perché il nostro abbandono sia positivo bisogna credere nell'amore di Dio personale, non all'amore di Dio in genere, ma credere a questo amore di Dio per me, ad un amore che è infinito, che mi vuole con tutta la sua potenza di amore. Dobbiamo credere a questo. Allora il mio abbandono non è un venir meno della mia vita, un impoverimento della mia esistenza ma invece diviene come assomiglianza all'altro, come l'abbandono della donna a colui che ama. Diviene un potenziare la vita, un realizzare veramente il proprio essere perché, come Dio, così anche la creatura umana è, soltanto se ama, è nella misura che ama. La prima cosa dunque che si impone è credere all'amore di Dio, non è facile però. Prima di tutto bisogna che noi percepiamo la realtà stessa di Dio, fintanto che non lo facciamo non riusciremo mai ad abbandonarci. L'abbandono è come gettarci nel vuoto, è per noi veramente morire. Bisogna essere sicuri che Dio non solo è, ma veramente è presente e mi ama, perché non ci si abbandona a un altro se non ci ama, non solo, ma nemmeno ci vuole. Questo abbandono sarebbe veramente non a una persona, ma al nulla. Bisogna credere.
Noi crediamo all'amore, ma con la nostra misura. Chiediamo infatti a Dio che debba soddisfare i nostri desideri, le nostre aspirazioni umane e non è detto che queste aspirazioni siano cattive, ma è certo che l'amore di Dio trascende infinitamente ogni nostro desiderio e ogni nostra aspirazione e ogni nostra speranza. L'abbandono a Dio è l'abbandono a un Dio che ci ama, ma di un amore che per noi rimane incomprensibile che a noi chiede il superamento di ogni nostro pensiero, idea e desiderio e speranza. È vero che indubbiamente l'adempimento dell'amore divino nei riguardi nostri, compie, realizza ogni nostro desiderio, ma va ben oltre, noi vorremmo che Dio si adattasse alla nostra povertà, alla piccolezza dei nostri desideri e alla povertà delle nostre aspirazioni, invece Dio pretende. Ecco l'abbandono. E questo implica per noi uno sforzo continuo di superamento di noi stessi. Probabilmente nella misura che ti abbandoni Egli fa di te, qualche cosa che tu nemmeno potevi pensare, farà di te e chiederà a te quello che mai avresti pensato di dovergli donare. È così, l'anima si trova smarrita e allora crede di non essere amata, e ritira il suo abbandono, le sembra che Dio l'abbia ingannata. L'anima riprende in qualche modo l'esercizio delle sue potenze per determinare lei stessa il suo cammino, non si lascia più guidare da Lui. La crisi di molte anime religiose è proprio qui. In un primo tempo si danno a Dio, ma Dio poi sembra deluderle, sembra che Dio le abbandoni a se stesse, al vuoto, alla morte, sembra che Dio non le ascolti, che rifiuti di colmare il vuoto dell'anima. Allora l'anima si sente ancora sola, più vuota e crede di avere sbagliato e pensa che in fondo lei ha pensato che Dio la amasse di più di quanto lei non credeva, cioè ritorna a pensare ad un amore di Dio sì, ma generico, non personale, non attuale, non infinito. Bi sogna che noi sappiamo credere all'amore di Dio, a un amore che è infinito, trascendente e incomprensibile. E certamente non è che questo amore di Dio neghi quelli che sono i caratteri propri, all'amore umano, perché gli attributi positivi di Dio, implicano la trascendenza infinita di questi valori positivi, ed è tale la trascendenza infinita che pur essendo l'amore anche di Dio, vero amore, anzi è proprio questo il vero amore, tuttavia è talmente trascendente ogni nostro pensiero che sembra essere quasi negativo nei confronti di quello che noi consideriamo l'amore.
Noi vediamo nei santi. Che cosa Dio ha chiesto loro? Come Dio ha donato tutto, togliendo tutto all'anima che a Lui si abbandona, ed è vero che tutto questo fa paura!; perché non si vede l'amore, perché vorremmo tutti che l'amore di Dio fosse come pensiamo noi non come è. E l'amore di Dio è qualche cosa che trascende ogni nostra aspirazione e sembra quasi impossibile talmente è grande. Non ti lascia più vivere non ti lascia più spazi, non ti lascia più nulla. Pensate la Vergine. Un'umile creatura che si sente chiamata ad essere Madre di Dio, essere Madre di Dio, per noi oggi vorrebbe dire per la Vergine chissà quali gioie, quali onori, e invece fa una vita di povertà, di solitudine e la previsione della morte del Figlio e l'esperienza della morte del Figlio. Dio non ha chiesto forse a nessuna mamma quanto ha chiesto alla Vergine, anzi senza il forse, anche come morte in sé. Morta anche ogni difesa e il disgusto ad essere gettata via anche da Giuseppe, è Dio stesso che l'ha difesa con il segno dell'Angelo a Giuseppe. La sua grandezza l'ha pagata con un abbandono che le è costato veramente una morte. Una morte da ogni suo disegno da ogni sua intrapresa, ad ogni suo sogno. Dice il Manzoni quando nacque Gesù, la Madonna nacque. È vero ha conosciuto anche la gioia di essere la Madre di Dio. Però non è mai una gioia senza la sofferenza. Lei ha creduto, e chi ha fatto di Lei quello che ha voluto, e quello che ha fatto di Lei, sembra incomprensibile a noi. La sua Madre, e questo Dio l'abbandona, vive la povertà e il nascondimento supremo, vive sempre una vita di fede, Lei sapeva che quello che era stato concepito nel suo seno non era opera dell'uomo, non sapeva mica che era lo Spirito Santo che era disceso sopra di Lei che l'aveva fatta Madre di Dio. Anche per la Vergine, come per Gesù l'adesione a questo Dio amato ha voluto dire entrare in una tenebra sempre più fonda; era nato da Lei il Figlio di Dio, è un bambino che cresce sotto i suoi occhi e non dice nulla e non fa nulla e non ha nome. Era il Figlio di Dio e non dà segno, tranne a 12 anni, della sua origine e della sua missione. Rimane nella casa. Lei attende, non vi è in Lei minimamente una mancanza di fede. Quello che hanno detto alcuni Padri della Chiesa, non possiamo accettarlo più, cioè anche Lei ha mancato di fede. È questa la grandezza di Maria. Pensate che per credere all'amore di Dio ha dovuto accettare un mistero che è più grande del mistero della Trinità. Questo figlio che cresce e non dice nulla, e dal paese di Nazaret che è un piccolo paese, cresce Gesù, arriva a 30 anni e non è conosciuto per nome. È il figlio di Giuseppe, conoscono i fratelli di Lui. Lui il Figlio di Dio così come era stato detto dall'Angelo Gabriele. È qualche cosa di una grandezza che ci spaurisce. La fede di Maria non la sua grandezza esterna, non gli avvenimenti della sua vita, questa fede che cresce, una fede che non ha paragone negli uomini, in nessun santo e non potrebbe mai avere nessun paragone. Beata che hai creduto! Davvero più anche di Abramo.
La fede di Maria è esemplare ed è veramente trascendente per l'esperienza di ogni uomo. Questa fede che non è la fede soltanto in Dio, che non è la fede in Gesù Cristo figlio di Dio, la fede in un Dio che si è fatto suo, in un Dio che si è messo nelle sue mani che Lei deve custodire e proteggere. E questo Dio tace, e questo Dio non fa nulla. L'Angelo le aveva detto che doveva regnare sopra Israele: attraverso di Lui si sarebbero adempiute le promesse fatte a Davide. Passano gli anni, non solo, ma guardate come Lei non intraprende nulla di Sé, vive una passività totale nei confronti di Dio, nei confronti della grazia. Ma la passività di Maria nei confronti di Dio è qualche cosa che ci lascia senza fiato.
Viene concepito il Figlio di Dio nel suo seno e tace. Può essere accettata o gettata via; riconosciuta adultera, poteva essere benissimo anche lapidata, perché la promessa sposa già apparteneva allo sposo secondo l'antica legge del tempo. Niente, non dice una parola. Dio deve prendere le difese. Alcun Padri della Chiesa, avevano pensato veramente che in quel caso lì, Lei ha peccato. Dopo che Gesù è entrato nella sua missione, a Lei: costò in un modo terribile questa sua solitudine. Probabilmente Giuseppe era morto. Gesù e Maria. Ed ecco quello che i Padri della Chiesa pensano del peccato di Maria. Maria Santissima, va con i fratelli di Gesù: incomprensione verso il figlio, incomprensione nella sua missione. Così hanno pensato i Padri della Chiesa, noi dobbiamo pensare altrimenti perché in Maria non vi è stata certamente nessuna ombra di peccato. Non dico veniale ma nemmeno imperfezione.
Ecco la passività di Maria nei confronti della volontà di Dio, Lei deve obbedire. È vedova e le vedove non hanno nessun potere, non possono esprimere una loro volontà, non son loro che guidano la famiglia, è il capo della famiglia. Ed è evidente che se Giacomo, Gioses e Giuda vengono detti fratelli di Gesù è chiaro che non saranno fratelli, ma vivono nella stessa famiglia e fanno parte dello stesso clan, saranno stati una sorella o un fratello di Giuseppe, non sappiamo, comunque facevano parte certamente del clan.
Era l'obbedienza a Giacomo che Maria doveva dare. Lascia a Dio difendere il suo Figlio, e non può fare nulla e non deve far nulla. Lei non azzarda, non osa più nemmeno dire una parola a Giacomo. Forse ci sembra un po' esagerato. Bisogna renderci conto e riportarci a quel tempo a ciò che era il diritto della donna. Allora la donna doveva ubbidire e basta, non poteva intromettersi nell'andamento della casa, nella guida della famiglia, oggi è impensabile, ecco perché al giorno d'oggi questo episodio del Vangelo rimane incomprensibile a noi. Ma invece come in questo caso Maria si rimette a Dio. Lei non agisce mai di sua iniziativa, lascia che Dio la guidi, si lascia portare. Dice San Paolo nella Lettera ai Romani, "Quelli che sono portati dallo Spirito Santo, quelli sono Figli di Dio". Lei è portata unicamente dallo Spirito. Non ha una sua volontà propria, perché la sua volontà è legata per sempre alla volontà divina. Non ha una sua vita propria, lascia che Dio faccia di Lei quello che vuole, quello che ha detto quando Ella ha accettato di essere Madre di Dio questo era l'origine di tutta la vita: "Si faccia di me". E si badi bene che anche allora il Verbo era "si faccia" e Lei non fa nulla. Lascia a Dio di possederla e di far di Lei tutto quello che Lui vorrà. E in questo abbandono totale che si vede la fede totale, la fede unica, ed è unica perché da una parte Lei non doveva prendere nessuna iniziativa, dall'altra Dio la portava in un cammino che rimaneva sempre più incomprensibile umanamente parlando. Due fatti dunque ci fanno capire in che misura l'abbandono di Maria fosse veramente qualche cosa di unico. Prima questo non prendere mai nessuna iniziativa, né una sua volontà né un suo pensiero. Lei non ha una sua vita. Dio agisce e opera in Lei secondo la sua volontà piena. Ella non vive che un abbandono, non vive che per donarsi e per lasciare agli altri di possederla fino in fondo. Prima di tutto questo. Ed è tanto difficile per noi rinunziare alla nostra piccola vita, rinunziare alla nostra volontà propria, ai nostri piccoli dolori, alla nostra casa, al nostro tempo, ai nostri pensieri ai nostri gusti. Ella vive fin dall'inizio in questa totale rinunzia a Se medesima perché Dio possa pienamente possederla fino in fondo. Questo il primo e il secondo è ancora più grande; questo abbandono questo rimettersi solamente a un Dio che Lei capisce sempre meno, comprende sempre meno. Perché voi sapete benissimo che la conoscenza di Dio implica un'ignoranza progressiva. Dio tanto più lo conosci, tanto più Egli ti appare infinito; tanto più lo conosci, tanto più per te è tenebra. E Dio rimane sempre più incomprensibile. Cosa sarà stato per Lei il credere che Gesù era il figlio di Dio quando lo vedeva sulla croce, quando ascoltava Lui sulla croce che gridava "Dio Mio, Dio Mio perché mi hai abbandonato". Queste parole che non avevo mai meditate, che non ho mai capito, cioè che in quel momento Gesù, non vede più nemmeno Dio come Padre, in quella invocazione Dio mio, Dio mio è come una creatura che maledetta da Dio, porta su di sé i peccati degli uomini. In quel momento ai piedi della croce vede sua Madre. Lei sente il Figlio che grida così, lo vede soffrire come Figlio di Dio e deve credere che è Figlio di Dio. Questa fede, ecco la grandezza della santità di Maria, quando si abbandona all'azione dello Spirito. Per noi veramente è tale la santità della Vergine che supera ogni nostro modo di concepirla, ogni nostro modo di vederla e di esserne pienamente coscienti.
Come è possibile che una creatura viva questa pura rinunzia di sé e questa fede assoluta in un Dio incomprensibile che le chiede tutto. Questa fede la lega al mistero di Dio, perché è il suo Figlio ed è Figlio di Dio. Perché Lei è stata associata al mistero del Figlio di Dio che è flagellato, è coronato di spine, che è oltraggiato da tutti e abbandonato dagli stessi discepoli e muore sulla croce in un apparente abbandono.
Che cosa ci insegna la Vergine? Che noi dovremo muoverci in questa duplice via. Credere all'amore di Dio e credere anche quando Dio ti spoglia, perché più Dio ti spoglia di te, tanto più si rivela quel Dio che trascende in ogni tuo pensiero, in ogni tua attesa, in ogni tua aspirazione e volontà. Credere all'amore di Dio, all'amore di Dio che è personale e attuale. Ora e qui. Non è domani, non è l'amore per tutti gli uomini, egli ama te. Crederlo, crederlo nonostante che Dio ci lasci così andare sempre più nell'ombra. Si invecchia, sentiamo la vita sfuggirci, gli stessi nostri parenti sembra che abbiano per noi una venerazione maggiore, ma la venerazione stessa ci dice che noi ci allontaniamo dalla loro vita, ed è questa una esperienza anche per le persone anziane, anche per le madri, anche per le nonne, la venerazione sia anche l'amore, però sono loro che hanno in mano la vita, tu ora vivi nell'ombra della loro vita, è un venir meno per noi, e c'è un senso di tristezza e anche un po' di rimpianto della giovinezza che se ne va. Eppure invece non ci può essere rimpianto. Il cammino che porta a Dio è un cammino continuo. Ci introduce sempre più nella vita, ma è una vita che non è più una vita naturale, è una vita soprannaturale perciò una vita che implica per noi una fede che cresce e un abbandono a Dio sempre più puro, più grande. Guardate che l'abbandono a Dio non sia una certa stanchezza della vita perché con l'età che cresce, potrebbe essere questo, no. Dovete vivere una vita più ricca, più forte, più generosa, più viva di quando avevate 20 anni perché allora la vivacità della vostra vita e la sua ricchezza dipendeva dalla natura. Eravate giovani, ora deve dipendere da qualche cosa di più grande della natura, dalla grazia divina che vive in voi. Quello che qualche volta vi ho detto, mi sembra di doverlo dire ancora, è che la santità cresce non diminuisce con gli anni, perché altrimenti ci vuole un minimo di capacità intellettiva, se si va nell'arteriosclerosi, non si capisce più nulla, non si è più capaci di vivere una vita umana. Ma se c'è un minimo di vita umana che ci permette di vivere, allora la nostra vita deve crescere, non dobbiamo rassegnarci; la rassegnazione, ricordatevelo, è la peggiore delle virtù. Dovete buttarla fuori dalla finestra, guai a rassegnarvi. Devi invece gioire di tutto quello che Dio ti dona, la rassegnazione è sempre una decadenza, è un venir meno della vita. Il pianto è sempre decadere. Invece devi reagire sempre di più e rialzarti ed entrare in un cammino che non sarà più grande di te, ti introdurrà sempre più nella vita. È quello che ha vissuto la Vergine, prima nasce il Bambino, poi è adolescente, cresce poi la predicazione di Gesù, poi dopo gli oltraggi, l'odio dei farisei, poi la passione e la morte. Ecco la fede e poi questo lasciarsi portare da Dio. Credere davvero al Signore vuol dire credere che la nostra vita è intessuta da questa Presenza. Dio non è lontano da noi, non c'è l'aldilà, se ci fosse un aldilà non esisterebbe Dio. Soltanto però non è l'universo che è Dio, bisogna stare attenti a questo passaggio della fede, ma ora è qui che io debbo vivere il mio contatto con Dio, perché non è mai futuro, ci sarà anche il futuro, ma quando il futuro sarà presente, non rimandare. Noi nella vita presente viviamo in due dimensioni. Una sul piano psicologico e sul piano biologico la viviamo come tutti gli altri, la vita di tutti. Ma non viviamo soltanto questa vita, per gli altri Dio è veramente un aldilà, cioè una trascendenza incomprensibile e inaccessibile.
Per noi oltre che a questa reazione psicologica e biologica che ci fa uguale a tutti; noi viviamo già il passaggio, noi viviamo già una vita che è la vita eterna. Perciò si muore sì, vien meno la vita biologica e psicologica, ma proprio nel venir meno di questa vita sfolgora la vita che è implicata nell'unione con Dio; l'uomo nella sua esperienza vive più intensamente la vita biologica e psicologica, più dell'esperienza soprannaturale. Perché noi siamo ancora degli esseri animali che appartengono al mondo di quaggiù. È soltanto lo spirito che può entrare in Dio; per tutto quello che noi siamo, le potenze spirituali dell'anima e anche tanto più il nostro corpo apparteniamo a questo mondo. Ora questa vita è così rozza, così pesante e grave che sembra quasi cancellare questa vita intima della fede, tanto che molte volte noi non sappiamo nemmeno se crediamo, talmente il mondo divino ci sembra come inaccessibile. È soltanto con la bontà dell'anima che noi entriamo in questo mondo, perché siamo totalmente immersi nella fatalità biologica e nella esperienza psicologica, la tristezza, il senso della solitudine, l'angoscia. Oppure anche la gioia di sentirsi amati, tutto questo ci riempie molto di più della vita puramente di fede e di carità. Lasciate però che tutto questo cada. Pensate alla storia di Gedeone. Gedeone deve combattere con Madian e convoca allora tutta la tribù. Gli uomini si dicono pronti a combattere sotto la sua guida. Dio dice: sono troppi, mandali a casa, quelli che vogliono andar via che vadano. Ne rimangono 10.000, troppi, dice il Signore, portali al torrente e vedi come bevono. Alcuni si mettono in ginocchio e bevono con le mani, altri invece per fare più presto con la lingua lambiscono l'acqua sul fiume bevendo come i cani. Questi 300 sono coloro che devi portare. Gedeone da a tutti un coccio vuoto, dentro ci mette un candelotto e dice loro: quando vi dò un cenno accendete il candelotto, gridate vittoria a Gedeone spaccate le brocche. È notte. Gedeone dà il segno. Sorpresi in questo modo i madianiti sono vinti. Che significa il rompersi del coccio. Non c'è per noi una rottura, ma una continuità, e la continuità nostra, quella che sarà poi la vita di domami, è la vita eterna che possediamo oggi. Il venir meno in questo mondo rende possibile una esperienza pura e totale del mondo di Dio. Tutto oggi in noi contrasta con il mondo di Dio, sia il nostro corpo, ecco perché per esempio oggi c'è tutto questo bum della liberazione del sesso ecc. Ecco perché la spiritualità cristiana ha sempre difeso ed insistito sull'importanza che ha la castità, nella vita cristiana, sia per coloro che vivono nella grazia, sia per quelli che non la vivono, perché la liberazione progressiva da questo legame si impone proprio perché Dio non può essere nella turbe del sangue.
Noi siamo uomini e la nostra vita parte di qui, intendiamoci. Sia la conoscenza, sia l'amore. Io non potrei amare nessuno di voi se non vi avessi conosciuto, e per conoscervi ci vogliono gli occhi perché vi veda, sentire la vostra voce, bisogna che esperimenti un po' la vostra presenza. Di qui nasce l'amore. Ma l'amore non termina qui. Ci vuole una amicizia che poi si stabilisce, si realizza e si vive anche se poi non abbiamo più l'esperienza sensibile. Per esempio tu ami ancora tuo marito come quando c'era, forse anche di più, perché ora il tuo attaccamento, la tua unione con lui avviene in un piano nuovo, ma più vero perché non è più legato a quelle esperienze sensibili che qualche volta poteva anche turbarti e darti noia, poteva stancare. Dobbiamo sapere che l'unità umana non è solo del corpo, siamo anche anime e c'è una unità anche sul piano psicologico. Ecco è così, se la vita dell'uomo incomincia dal senso, non termina nel senso, matura nella esperienza psicologica anche perché siamo anche spirito, tende a divenire poi veramente anche una unità spirituale, e l'unità spirituale come la sentite? È semplice, come si vive l'unità con Dio nello spirito, così si vive l'unità spirituale con coloro che abbiamo amato e che sono morti.
Ecco l'importanza che ha la devozione dei morti. Per me una delle cose più gravi dopo il Concilio è il venir meno nella devozione dei morti, perché è il cammino quasi universale dell'uomo di accedere al mondo di Dio. Dio è troppo lontano, Dio è una parola per molte anime. Ma la mamma, il papà, il marito, il figlio, loro l'hanno conosciuto, ed ora come fanno a vivere un rapporto con quelli che sono morti se non trascendono l'esperienza sensibile e l'esperienza puramente psicologica.
La religione dei morti è sempre stato un cammino obbligato per la moltitudine degli uomini, tutto questo dice appunto che viviamo in questa dimensione, la dimensione puramente temporale, puramente mondana. Invece siamo già nel regno di Dio ed è una cosa bellissima questa per noi.
L'amore per coloro che sono morti già trasferisce lentamente le anime nel mondo di Dio. In generale il fatto si risveglia proprio alla morte dei cari perché c'è un bisogno impellente che non si rompa il legame d'amore. L'amore di per sé è eterno, ma se non si rompe questo legame di amore io devo cercarlo all'aldilà, non posso più trovarlo come corpo, o con un'esperienza psicologica e allora io sono portato a fare questo passaggio. Ora impariamo dalla Vergine a vivere questa vita di fede, la vita di fede che ci renda veramente presente attualmente ed operante nella nostra vita come mistero infinito di amore.
Sentiamo la nostra vita precisamente come sacramento di questa presenza di amore infinito. La meditazione che ho fatto stamane è precisamente questa, son partito da una espressione propria del buddismo e ho detto, non posso dire questo eppure posso dire questo, dice il buddismo di Zen.
Il relativo e l'assoluto, perché non c'è un assoluto che devi far si per esempio che tu prendi questo libro in mano e per te sia l'assoluto.
Non ci eia altro che questo atto, che Dio è tutto. Però il relativo mette in chiaro che è sempre sacramento dell' assoluto ciò che io debbo vivere pur nella mia vita di umiltà, di nascondimento la vita stessa di Dio.
Dio non è al di là dell'atto che compio, Dio non è al di là, del luogo ove io vivo, Dio non è al di là della pena che io provo; è questo che io debbo incontrare, in questa pena, in questo luogo, in questo atto che devo vivere la mia unione con Lui. Ecco quello che ha vissuto la Vergine, ecco in che modo lo Spirito Santo ha vissuto in Lei e pur lasciandola nella sua povertà ha dato però a Lei la sua comunione la più perfetta con Dio. In una fede purissima d'immenso amore totale.


di don Divo Barsotti