venerdì 15 novembre 2019

ILDEGARDA DI BINGEN


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Dice Ildegarda di Bingen, riferendosi a questo monastero da lei fondato: “Dalla periferia al centro, dall’eremitaggio alla confluenza del Nahe e del Glan - dove era vissuto finora – ai colli sulla riva del Reno” - alla confluenza del Reno e del Meno, laddove da tutte le direzioni, da tutti punto cardinali passavano le vie di comunicazione, oltre a quelle fluviali, sul Reno e sul Meno. È un punto centrale, per cui ha facilità di comunicazione con persone, conventi, in tutta la Germania e con altri paesi, con il Belgio, per esempio e con i paesi dell’Est.

Il distacco da Disibodenberg non avvenne senza difficoltà. Per i monaci la presenza di Ildegarda significava più che mai un’attrattiva spirituale che si veniva a perdere. Un’altra perdita, materiale e rilevante, era quella della dote sua e delle altre sue compagne, che fino a quel punto era stata amministrata dal monastero. La questione restò aperta per anni, lo vediamo dalle lettere, forse fino a 1170. Ildegarda continua a chiedere la restituzione, perché ne aveva diritto e anche bisogno per la sua comunità e anche perché la giustizia era per lei il fondamento della santità. In una lettera all’abate Helinger si rivolge a lui senza tanti riguardi, incominciando col dirgli quanto ne vede nella sua visione, per continuare molto energicamente: “Ora, ascolta e apprendi, perché Tu abbia da arrossire, se sei capace di assaporare nell’anima quello che io Ti dico. A volte Ti comporti come un orso, che in segreto brontola tra sé e sé, a volte pure come un asino. Non Ti prendi cura di quello che devi fare e Te ne stai zitto e sotto certi aspetti pure con imperizia e così di quando in quando non ci riesci a portare all’effetto la malvagità dell’orso. Per questo Tuo comportamento il Padre celeste dice: 'Guai, guai a Te; questa instabilità non è secondo la mia volontà’”. Verso la fine della lettera conclude: “Il Tuo cuore non prenda beffa dell’opera di Dio, perché non sai quando la sua spada può colpirTi”.

La lite durò a lungo fino a che col tempo si giunse a una soluzione accettabile da ambe le parti. Tra il riconoscimento dell’autenticità delle visioni di Ildegarda da parte di papa Eugenio nel 1147 e il trasferimento dal monastero di Disibodenberg a Bingen trascorsero circa tre anni, durante i quali venne costruito, sebbene non completamente, il nuovo monastero. Di questo cambiamento c’erano anche dei motivi politici. I tempi antichi non erano sempre così tranquilli, come si è portati a credere. Nell’anno 1146, quando Ildegarda era ancora a Disibodenberg, fu solo per l’influenza di Bernardo di Chiaravalle, che per poco non pagò il suo intervento con la vita, che la comunità ebraica di Magonza, ricostituita da non molto, dopo il pogrom di 1096, poté salvarsi non senza aver patito gravi perdite. Un fatto molto doloroso era successo, il gruppo di ebrei si era rifugiato presso il vescovo, il vescovo era venuto a Rudersheim e aveva promesso di proteggerli. Avendo visto che non lo poteva, li lasciò andare ed erano stati uccisi forse nelle vicinanze di Eibingen e del nuovo monastero.

Più da vicino ci toccano le vicende del successore del vescovo Enrico di Magonza, Arnoldo. Sul vescovo di Magonza in quanto tale correva il detto: “Maguntinus post Imperatorem princeps est principum” (=subito dopo l’Imperatore, il vescovo di Magonza è il principe dei principi). Arnoldo era stato eletto dal re Corrado, come Cancelliere dell’Impero. Siamo in quel momento cruciale in cui si comincia il sorgere dell’indipendenza delle città e anche il lento sorgere della borghesia.
Arnoldo cercò di ristabilire il potere del vescovo nella città e venne a trovarsi in conflitto con il conte Palatino, Ermanno di Stahleck, uno dei più grandi benefattori di Ildegarda. La contesa ebbe per conseguenza saccheggi, devastazioni, destruzione delle chiese, dei villaggi, dei castelli, delle fattorie. Barbarossa cercò di mettere pace e tra altro sottopose nobili facinorosi a una gran pena molto disonorevole, detto das Hundetragen, il portare a spasso un cane. Era il tempo in cui il Barbarossa preparava la spedizione contro Milano. Arnoldo aveva più volte pregato l’Imperatore per non prenderci parte, però invano. Ma i suoi sudditi magontini si rifiutavano di pagare il tributo per la guerra e per questo motivo, egli, dovendo partire per l’Italia, lanciò loro la scomunica.

Prima del suo ritorno alla domenica delle Palme del 1160 la rievocò e sembrava che tutto fosse in pace; quando Arnoldo cercò di regolare i conti con i magontini, la lotta ricominciò più che mai. Poi
avvenne un fatto dolorosissimo ricordato da tutte le cronache dei monasteri della Francia, della Germania, dell’Inghilterra dell’epoca: il 24 giugno dell’anno 1160, l’abate di San Giacomo di Magonza, da dove erano partiti i fondatori per il convento di Disibodenberg, invita il vescovo Arnoldo al monastero e lì il vescovo viene ammazzato. Pare che Ildegarda abbia annunziato ad Arnoldo questa sua fine. Negli annali del tempo di un convento della Germania troviamo che: “C’era in quel tempo una santa, una vergine di nome Ildegarda, che in una visione spirituale vide che Arnoldo, di cui abbiamo parlato, sarebbe morto in pochissimo tempo. Gli scrisse: ‘O Padre, sta ben attento a Te, perché sono state sciolte le funi che tenevano legati i cani che Ti inseguono’. Ma egli non diede retta ad alcun monito”. Questa lettera citata si trova nel convento e non nell’epistolario di Ildegarda. Abbiamo un’altra in cui, con tono rispettoso, vengono dette delle parole di ammonizione e di rimprovero e che termina così: “Surge ergo ad Deum, qui ad tempus cito venit!” (= sorgi, volgiti dunque a Dio, il tuo tempo verrà presto!)

Arnoldo è stato poi un grande benefattore di Ildegarda, quando aveva concesso l’indipendenza al suo monastero. Un altro benefattore è Federico Barbarossa, il quale, in data di 18 aprile 1163 dà la piena indipendenza amministrativa per il monastero di Rupertsberg, senza obbligo di ricorre ad un curatore o ad un tutore, sia dalla parte laica che quella ecclesiastica. Ildegarda, questa contemplativa, era una persona estremamente pratica e non voleva assolutamente ingerenze alcune per la vita del suo monastero, né dalla parte del clero, né dalla parte dei benefattori laici. Voleva poter decidere lei stessa. Così, dalla semplicità della vita eremitica, sotto la tutela del monastero maschile, Ildegarda giunge alla piena indipendenza.

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Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

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