Perché san Massimiliano M. Kolbe voleva fare amare l'Immacolata da tutti gli uomini della terra? «Per dare la vera felicità a tanti poveri fratelli, a tanti infelici che la cercano invano nelle gioie di questo mondo».
La sorgente infinita della vera felicità è Dio. Dio si è donato a noi in Gesù Cristo. Gesù si è donato a noi nell'Immacolata e attraverso l'Immacolata.
Dall'Immacolata, quindi, inizia il cammino della felicità che porta alla sorgente infinita: all'amore trinitario.
«Amate l'Immacolata, e vi farà felici»: era l'annuncio felice di san Massimiliano M. Kolbe.
Cercare la felicità «nelle gioie di questo mondo» è illusorio, perché le gioie terrene non portano né provocano l'amore, ma la cupidigia, che è «l'avvelenamento dell'amore», come insegna san Tommaso d'Aquino.
Per questo sant'Antonio Abate distribuì tutti i suoi beni ai poveri, e se ne andò a trovare la felicità nel deserto. Già prima, san Paolo aveva scolpito in una frase terribile la realtà della cupidigia dei beni terreni nell'uomo: «La cupidigia è la radice di tutti i mali» (1Tm 6,10). San Bernardo rincalza: «Non conosco una malattia spirituale più dura a sopportarsi, quanto la febbre dei beni terreni».
Ciò che può scacciare questa febbre è soltanto un'altra febbre: la febbre dell'amore divino.
Una volta ci fu una postulante che chiese di entrare fra le figlie di santa Giovanna Francesca di Chantal, e voleva portare con sé molte cose inutili. La Santa si consigliò con san Francesco di Sales, che le disse così: «La lasci pure entrare con tutto quel che vuole ...; quando l'amar di Dio sarà entrato in quell'anima, saprà scacciare tutto il resto ...».
La misura del nostro distacco dalle cose terrene è la stessa misura dell'amore di Dio, perché come dice sant' Agostino «più un'anima si distacca dai beni della terra, più aderisce a Dio».
«Non amate il mondo»
In una lettera scritta a un compagno di scuola, san Gabriele dell'Addolorata, dopo averlo messo in guardia contro i seducenti e fatali pericoli delle compagnie cattive, degli spettacoli, delle letture, dei divertimenti mondani, così conclude: «Dimmi, Filippo: potevo io prendermi più divertimenti e più spassi di quelli che mi son preso nel secolo? Ebbene, che me ne resta, ora? Te lo confesso: null'altro che amarezza».
Ecco che cosa riserva all'uomo l'esperienza dei beni e dei piaceri terreni: «null'altro che amarezza». Perciò l'apostolo san Giovanni ci ammonisce con forza: «Non amate né il mondo, né le cose del mondo!
Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!» (1Gv 2,15-17).
Chi si attacca al mondo e alle sue concupiscenze, chi vive di fatuità e di frivolezze, che cosa potrà aspettarsi da Dio?
Una volta san Tommaso Moro, Gran Cancelliere d'Inghilterra, entrando nella camera di sua figlia, la trovò che si stava agghindando per una festa: per ingentilire il busto, due damigelle la tenevano saldamente legata con funi!
A vedere quel martirio sopportato per la vanità del mondo, il papà, sospirando verso il cielo, disse alla figliola: «Figlia mia, il Signore ti farebbe un gran torto se non ti mandasse all'inferno, giacché tu ti affanni tanto per dannarti!».
«Nemico di Dio»
Anche il Catechismo, trattando e commentando il nono e il decimo Comandamento, parla della concupiscenza della carne e della concupiscenza degli occhi, e ammonisce che «la cupidigia dei beni altrui è la radice del furto, della rapina e della frode» (n. 2534). Quante volte, infatti, per soddisfare la propria cupidigia non si ricorre a ingiustizie e soprusi, non si arriva a contese e lotte? Per un pezzo di terra, per un'eredità, per un guadagno che fa gola ... si fanno lotte amare e magari violente! San Giacomo grida ancora nella sua vibrante lettera: «Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere, e uccidete; invidiate e non riuscite a ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri. Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Gc.4,1-4).
Parole terribili! Per questo i Santi, con san Paolo, considerano ogni bene terreno come una «perdita», come «spazzatura», per «guadagnare» e «trovarsi» soltanto in Gesù (cfr. Fil 3,8-9). Ricordiamo san Francesco d'Assisi, il quale, appena convertito, si rese conto e chiamò «follia» andare appresso alle cose vane di questo mondo. E nella sua estrema, totale, povertà, si trovò totalmente trasfigurato in Gesù Crocifisso! Nella vita di san Filippo Neri si legge questo sorprendente episodio. Un suo figlio spirituale, ridotto in fin di vita, lo fece chiamare e gli comunicò che per testamento lasciava a lui in eredità tutti i suoi beni. San Filippo non solo non esultò a questa offerta del moribondo, ma si mostrò afflitto per la donazione e gli disse che avrebbe pregato molto per la sua guarigione, offrendo anche la propria vita. Gli impose le mani, e se ne andò. L'infermo guarì e il testamento andò in fumo!
Una sola cupidigia avevano i Santi: «Brama morire ed essere con Cristo» (san Paolo); «Mio Dio e mio tutto!» (san Francesco d'Assisi); «L'idea fissa: l'Immacolata» (san Massimiliano M. Kolbe).
Padre Stefano Manelli
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