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giovedì 27 agosto 2020

CRISTO, VITA DELL'ANIMA



I. - IL DISEGNO DIVINO NELLA NOSTRA PREDESTINAZIONE ADOTTIVA IN GESÙ CRISTO 

Come effettua Dio questo disegno magnifico, pel quale egli vuole farci partecipi di questa vita, che eccede le proporzioni della nostra natura, che oltrepassa i suoi diritti e le sue energie, che non è reclamato da nessuna delle sue esigenze, ma che, senza distruggere questa natura, la colmerà di una felicità non sospettata dal cuore umano? Come Dio ci farà «entrare nella società ineffabile» (2) della sua vita divina per farcene condividere l'eterna beatitudine? Adottandoci come suoi figli.  
   
Dio, per mezzo di una volontà infinitamente libera, ma piena di amore (3), ci predestina a non essere più soltanto delle creature, ma figli suoi (4), a partecipare così alla sua natura divina (5). Dio ci adotta per suoi figli. Che cosa vuol dire con ciò S. Paolo? Che cosa è l'adozione umana?  

È l'ammissione di un estraneo in una famiglia. Per mezzo de ll’adozione, l'estraneo diventa membro della famiglia, ne prende il nome, ne riceve il titolo, ha diritto di appartenere alla stessa natura; per esser adottati dagli uomini, bisogna esser membri della specie umana. Ora, noi, che non siamo della natura di Dio, che siamo delle povere creature, che siamo, per natura, più lontani da Dio che non  lo sia l'animale dall'uomo, che siamo infinitamente lontani da Dio, hospites et advenae (1), come possiamo essere adottati da Dio!  
   
Questa è la meraviglia della sapienza, della potenza e della bontà divine. Dio ci dà una misteriosa partecipazione della sua natura, che chiamiamo «grazia» (2).  
   
La grazia è una qualità interiore, prodotta in noi da Dio, inerente a ll’anima, che abbellisce l'anima e la rende piacevole a Dio. Così, come nel campo naturale la bellezza e la forza sono qualità del corpo, il genio e la scienza qualità dello spirito, la lealtà ed il coraggio qualità del cuore.  
   
Secondo S. Tommaso, questa grazia è una «similitudine partecipata dalla natura di Dio» (3). La grazia ci rende partecipi della natura di Dio, in un modo di cui il limite ci sfugge. Per la grazia noi siamo elevati al disopra della nostra natura; diventiamo in qualche modo degli dei. Noi non diventiamo uguali, ma simili a Dio; perciò Nostro Signore diceva ai Giudei: «Non è forse scritto nei vostri libri sacri: io ho detto: Ecco, voi siete degli dei?». (4)  
   
Dunque la nostra partecipazione a questa vita divina si effettua per mezzo della grazia, in virtù della quale Dio conosce sé stesso, di amare Dio come Dio si ama, di godere Dio come Dio. è pieno della propria beatitudine; e così di vivere della vita di Dio stesso.  
   
Questo è l'ineffabile mistero della nostra adozione divina. 

Ma c'è una profonda differenza tra l'adozione divina e l'adozione umana. Questa è soltanto esterna, fittizia, stabilita indubbiamente per mezzo di un documento legale, ma non penetra la natura di colui che è adottato. Adottandoci, dandoci la grazia, Dio invece penetra il fondo della nostra natura. Senza cambiare ciò che è essenziale nell’ordine di questa natura, egli la eleva interiormente per mezzo di questa grazia, al punto che noi siamo veramente i figli di Dio. Questo atto di adozione ha tanta efficacia che noi diventiamo realmente, per mezzo della grazia, partecipi della natura divina. E siccome la partecipazione alla vita divina costituisce la nostra santità, questa grazia è chiamata santificante.  

La conseguenza di questo decreto divino della nostra adozione, di questa predestinazione così piena d'amore per la quale Dio vuol renderci suoi figli, è di dare un carattere speciale alla nostra santità. E qual è questo carattere?  

Che la nostra santità è soprannaturale.  
   
La vita alla quale Dio ci eleva è, in rapporto a noi, come in rapporto ad ogni creatura, soprannaturale, vale a dire, eccede le proporzioni e le forze, i diritti e le esigenze della nostra natura. Perciò noi non dobbiamo più essere santi come semplici creature umane; ma come figli di Dio, per mezzo di atti ispirati ed animati dalla grazia. La grazia diviene in noi il principio di una vita divina. Che cosa è vivere? Per noi, vivere è muovere sé stessi in virtù di un principio interno, sorgente di azioni che tendono alla perfezione del nostro essere. Sulla nostra vita naturale si aggancia, per così dire, un'altra vita, in cui la grazia è il principio. La grazia diventa in noi sorgente di azioni e di operazioni, che sono soprannaturali e tendono verso un fine divino: possedere Dio un giorno e godere di lui, come egli si conosce e gode delle proprie perfezioni.  
  
 Questo punto è d'una importanza capitale e desidero che non lo perdiate mai di vista. Dio avrebbe potuto accontentarsi di accettare da noi l'omaggio di una religione naturale; essa sarebbe stata la sorgente di una moralità umana, naturale, di un'unione con Dio conforme alla nostra natura di esseri ragionevoli, fondata sulle nostre relazioni di creature col nostro Creatore e le nostre relazioni coi nostri simili.  
   
Ma Dio non ha voluto limitarsi a questa religione naturale. Noi tutti abbiamo incontrato degli uomini che non sono battezzati e che tuttavia sono retti, leali, integri, equi e giusti, compassionevoli. Ma questa non può essere che un'onestà naturale (1). Senza respingerla, tuttavia Dio non se ne accontenta. Dio domanda che la nostra unione con lui sia una unione, una santità soprannaturale, che abbia la grazia per principio, poiché egli ha deciso di farci partecipare alla sua vita infinita, alla sua beatitudine. Ciò costituisce per noi il fine soprannaturale.  
   
All'infuori di questo disegno non c'è per noi che perdita eterna. Dio è padrone dei suoi doni, ed ha decretato da tutta l'eternità che non saremo santi davanti a lui se non vivendo, per la grazia, come figli di Dio.

O Padre Celeste, accordatemi di salvaguardare nella mia anima la grazia, che fa di me un vostro figlio! Preservatemi da ogni male che possa allontanarmi da voi!...  

Beato Dom COLUMBA MARMION

mercoledì 22 luglio 2020

CRISTO, VITA DELL'ANIMA



I. - IL DISEGNO DIVINO NELLA NOSTRA PREDESTINAZIONE ADOTTIVA IN GESÙ CRISTO 

La ragione umana può pervenire a stabilire l'esistenza di questa santità dell'Essere supremo, santità che è un attributo, una perfezione della natura divina considerata in sé stessa.  
   
Ma la Rivelazione ci ha portato una nuova luce.  
   
Noi dobbiamo, qui, elevare con reverenza lo sguardo dell'anima nostra fino al santuario dell'adorabile Trinità, dobbiamo ascoltare ciò che Gesù Cristo ha voluto - tanto per nutrire la nostra pietà quanto per esercitare la nostra fede - rivelarci egli stesso e proporci, per mezzo della sua Chiesa, riguardo alla vita intima di Dio.  

In Dio, come sappiamo, c'è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, tre persone distinte, ma aventi, tutte e tre, una stessa ed unica natura o essenza divina. Intelligenza infinita, il Padre conosce perfettamente le sue perfezioni. Egli esprime questa conoscenza in una parola unica: è il Verbo: parola vivente, sostanziale, espressione adeguata di ciò che è il Padre. Proferendo questa parola, il Padre genera suo Figlio, al quale comunica tutta la sua essenza, la sua natura, le sue perfezioni, la sua vita (1).  
   
Il Figlio appartiene interamente a suo Padre, interamente dato per mezzo di una donazione totale che fa parte della sua stessa natura di Figlio. E da questa mutua donazione di un solo e 
stesso amore, deriva, come da un principio unico, lo Spirito Santo che sigilla l'unione del Padre e del Figlio, essendo il loro amore sostanziale e vivente. 

Questa comunicazione mutua di tre persone, questa aderenza infinita e piena d'amore delle persone divine tra loro, costituisce sicuramente una nuova rivelazione della santità di Dio: questa è l'ineffabile unione di Dio con sé stesso nell'unità della sua natura e la trinità delle Persone (2).  

Dio trova ogni beatitudine essenziale in questa vita inesprimibilmente una e feconda. Per esistere, Dio non ha bisogno che di sé stesso e delle proprie perfezioni. Trovando ogni felicità nelle perfezioni della sua natura e nell'ineffabile società delle sue persone, non ha bisogno di nessuna creatura. Egli riferisce a se stesso, in se stesso, nella sua Trinità, la gloria che scaturisce dalle sue infinite perfezioni.   

Come sappiamo, Dio ha decretato di farci partecipare a questa vita intima, propria a lui solo; egli vuole comunicarci questa beatitudine senza limite che ha la sua sorgente nella pienezza dell'Essere infinito.  
   
Così, - ed è questo il primo punto dell'esposizione di S. Paolo sul piano divino - la nostra santità sarà di aderire a Dio conosciuto ed amato, non più semplicemente come autore della creazione, ma come egli conosce ed ama se stesso nella felicità della sua Trinità; sarà di essere uniti a Dio fino a condividerne la vita intima. Vedremo ben presto in quale modo meraviglioso Dio effettui il suo disegno. Fermiamoci adesso un momento a considerare la grandezza del dono che ci fa. Noi ne avremo qualche idea se guarderemo ciò che succede nell’ordine naturale.  
   
Guardate il minerale. Non vive: non ha in sé il principio interiore che è sorgente di attività. Il minerale possiede una partecipazione dell'essere, con certe proprietà, ma la sua maniera di essere è di molto inferiore. Ecco la pianta: essa vive, muove sé stessa armoniosamente in modo costante, obbedendo a leggi fisse, verso la perfezione del proprio essere; ma questa vita è al più basso gradino, poiché la pianta è sprovvista di conoscenza. La vita dell'animale, benché superiore a quella della pianta, si limita tuttavia alla sensibilità e all'istinto. Con l'uomo, noi saliamo in una sfera più elevata. La ragione e la volontà libera caratterizzano la vita propria dell'essere umano; ma anche l'uomo è materia. Al disopra di lui c'è l'angelo, puro spirito, la cui vita segna, nel dominio della creazione, il grado più elevato. 

La vita divina oltrepassa infinitamente tutte queste vite create, ricevute in partecipazione; vita increata, vita assolutamente trascendente, al disopra delle forze di ogni creatura, vita necessaria, sussistente in se stessa. Intelligenza senza limite, Dio afferra, con un atto eterno di intellezione, l'infinito e tutti gli esseri il cui prototipo si trova in lui.  
   
Volontà sovrana, aderisce, senza ombra di debolezza, al Bene supremo, che non è altri che lui stesso. In questa vita divina, che si schiude in tutta la sua pienezza, si trovano la sorgente di ogni perfezione ed il principio di ogni felicità. Dio vuole comunicarci questa vita; la partecipazione a questa vita costituisce la nostra santità. E siccome per noi ci sono gradi in questa partecipazione, più questa partecipazione è estesa, più è elevata la nostra santità.  
   
Non dimentichiamo che è soltanto per amore che Dio ha stabilito di donarsi in questo modo.  
   
In Dio esistono necessariamente soltanto le ineffabili comunicazioni delle persone divine tra loro (1); queste relazioni mutue appartengono all'essenza stessa di Dio, sono la vita di Dio. Ogni altra comunicazione, che Dio fa di sé stesso, è il frutto di un amore sovranamente libero. Ma siccome questo amore è divino, divino è anche il dono che egli fa. Dio ama divinamente; egli dà sé stesso. Noi siamo chiamati a ricevere, in una misura ineffabile, questa comunicazione divina; Dio pretende darsi a noi non soltanto come bellezza suprema, oggetto di contemplazione; ma unirsi a noi, per essere, per quanto è possibile, una cosa sola con noi.

«O Padre - diceva Gesù Cristo ne ll’ultima cena - che i miei discepoli siano uno in noi, come voi ed io siamo uno, affinché essi trovino, in questa unione, il godimento senza fine della nostra beatitudine». 

Beato Dom COLUMBA MARMION

venerdì 5 giugno 2020

In che consiste dunque questa santità di Dio?



CRISTO, VITA DELL'ANIMA 

Tutto è semplice in Dio. Le sue perfezioni sono, in lui, realmente identiche a lui stesso; di più, la nozione di   santità non può essergli applicata che in modo assolutamente trascendente e nei limiti del linguaggio analogico. Noi non abbiamo termini appropriati per rappresentare adeguatamente la realtà di questa perfezione divina; pertanto ci è  permesso di adoperare un linguaggio umano. Che cosa è dunque la santità in Dio?   
   
Secondo il nostro modo di parlare, ci sembra che essa si componga di un doppio elemento: prima di tutto, allontanamento infinito di tutto ciò che è imperfezione, di tutto ciò che è creatura, di tutto ciò che non è Dio stesso.  
   
Questo è soltanto un aspetto «negativo». C'è un altro elemento che consiste in ciò: Dio aderisce per mezzo di un atto immutabile e sempre attuale della sua volontà al bene infinito (che non è altro che Egli medesimo), in modo da conformarsi adeguatamente a tutto ciò che costituisce questo bene infinito. Dio conosce perfettamente sé stesso: la sua Sapienza infinita gli mostra la propria essenza come la norma suprema di ogni attività: Dio non può volere, fare od approvare niente, per la sua sovrana saggezza, che non sia regolato su quest'ultima norma di ogni bene, che è l'essenza divina.  
   
Questa adesione immutabile, questa conformità suprema della volontà divina all'essenza infinita considerata come norma ultima di attività è perfettissima, poiché in Dio la volontà è realmente identica all'essenza.  
   
La santità divina si ricollega dunque all'amore perfettissimo e alla fedeltà sovranamente immutabile, con le quali Dio ama sé stesso infinitamente (1).  
   
E siccome la sua suprema Sapienza mostra a Dio che egli è il Perfettissimo, il solo essere necessario, essa fa sì che Dio riferisca tutto a sé stesso ed alla propria gloria. Perciò i Libri Santi ci fanno sentire il canto degli angeli: «Santo, Santo, Santo ... il cielo e la terra sono ripieni della vostra gloria». È come se gli angeli dicessero: «Voi siete il Santissimo, o Dio, Voi siete la Santità stessa, perché, con una sovrana Saggezza, Voi vi glorificate degnamente e perfettamente».  
   
Da ciò deriva che la santità divina serve di fondamento  primo, di esemplare universale e di sorgente unica ad ogni santità creata. Voi capite infatti che, amando necessariamente sé stesso con infinita perfezione, Dio vuole necessariamente pure che ogni creatura esista per la manifestazione della sua gloria (1), e, restando al suo posto di creatura, agisca soltanto conformemente alle relazioni di dipendenza e di fine che la Saggezza eterna trova nell'essenza divina.  
   
Più dunque c'è in noi dipendenza d'amore verso Dio, di conformità della nostra libera volontà al nostro fine   primario (che è la manifestazione della gloria divina), più noi aderiamo a Dio. Questo può effettuarsi soltanto col distacco da tutto ciò che non è Dio. Più, infine, questa dipendenza, questa conformità, questa adesione, questo distacco sono fermi e stabili, più la nostra santità è elevata (2).  

Beato Dom COLUMBA MARMION 

sabato 23 maggio 2020

CRISTO, VITA DELL'ANIMA



IL DISEGNO DIVINO NELLA NOSTRA PREDESTINAZIONE ADOTTIVA IN GESÙ CRISTO

Riprendiamo ora l'esposizione particolareggiata, seguendo il testo dell'apostolo. Questa esposizione porterà   inevitabilmente con sé qualche ripetizione, ma io confido che la vostra carità le sopporterà in ragione dell'elevazione e dell'importanza di queste questioni così vitali. Noi non possiamo penetrare bene la grandezza di questi dogmi e la loro fecondità per le anime nostre che prolungandone un po' la contemplazione.  
   
In ogni scienza, come sapete, ci sono dei principi primi, dei punti fondamentali, che bisogna conoscere subito, perché su di essi riposano tutti gli sviluppi ulteriori e le ultime conclusioni. Questi primi elementi vogliono essere tanto più approfonditi e reclamano tanto più attenzione in quanto le loro conseguenze sono più importanti e più estese. Il nostro spirito, veramente, è così fatto che si disgusta facilmente dell’analisi e della meditazione delle nozioni fondamentali.  

Ogni iniziazione ad una scienza, come le matematiche, ad un'arte, come la musica, ad una dottrina, come quella della vita interiore, esige un'attenzione, alla quale il nostro spirito si sottrae volentieri. Nella sua impazienza naturale "esso vorrebbe correre subito agli svolgimenti per ammirarne l'ordine, alle applicazioni per coglierne e gustarne i frutti.  
   
Ma è da temere che, se non approfondisce i principi con cura, non manchi poi di solidità negli sviluppi che potrà trarne in seguito, per quanto questi sembrino brillanti.  

Le conclusioni saranno spesso instabili e le applicazioni avventate.  
   
Perciò io non esito a ritornare con voi su queste verità fondamentali, a rischio di fare delle ripetizioni. Non sentite voi stessi, d'altronde, che solamente restando nel cuore del dogma, potremo attingervi vita, gioia e fecondità per le anime nostre.  
   
Secondo il pensiero di S. Paolo, di cui, cominciando, vi ho citato le parole, questo disegno può riassumersi in tre grandi linee: - Dio vuol comunicarci la sua santità. «Dio ci ha scelti per essere santi ed irreprensibili»; - questa santità consiste in una vita di figli adottivi, vita di cui la grazia è il principio ed il carattere soprannaturale: «Dio ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi»; - infine, e soprattutto, questo mistero ineffabile non si effettua che «per opera di Gesù Cristo».  

Dio ci vuole santi. È la sua volontà eterna; perciò ci ha eletti. (1) «La volontà di Dio è la vostra santificazione», dice ancora S. Paolo (2).  
   
Dio desidera, con volontà infinita, che siamo santi. Lo vuole perché è santo egli stesso (3); perché ha posto in questa santificazione la gloria che aspetta da noi (4) e la gioia di cui desidera saziarci (5).  
   
Ma che cosa vuol dire «essere santo»? Noi siamo creature, la nostra santità non esiste che per mezzo di una partecipazione a quella di Dio; per comprenderla, noi dobbiamo dunque risalire fino a Dio. Egli solo è santo per essenza, o, piuttosto, è la stessa santità.  

La santità è la perfezione divina, che forma l'oggetto dell'eterna contemplazione degli angeli. Aprite il libro delle Scritture. Voi constaterete che, due volte soltanto, il cielo si è aperto davanti a due grandi profeti, l'uno dell'Antica Alleanza, l'altro della Nuova, Isaia e Giovanni. E che cosa hanno veduto? Che cosa hanno inteso? Tutti e due hanno veduto Dio ella sua gloria, tutti e due hanno veduto gli spiriti celesti circondare il suo trono, tutti e due li hanno sentiti cantare senza posa, non la bellezza di Dio, né la sua grandezza, ma la sua santità: Sanctus, Sanctus Sanctus, Dominus Deus exercituum, plena est omnis terra gloria eius (6). 

Beato Dom COLUMBA MARMION 

giovedì 7 maggio 2020

CRISTO, VITA DELL'ANIMA



IL DISEGNO DIVINO NELLA NOSTRA PREDESTINAZIONE ADOTTIVA IN GESÙ CRISTO  

Quando, nell'orazione, l'anima considera questa munificenza e queste attenzioni, di cui è gratuitamente l'oggetto da parte di Dio, essa prova il bisogno di inabissarsi nell'adorazione e di cantare, in lode dell'essere infinito, che si   abbassa verso di lei per darle il nome di figlia, un cantico di ringraziamento: 

«O Dio mio, chi è simile a voi? Voi avete moltiplicato i vostri disegni e le vostre meraviglie in nostro favore; nessuno è paragonabile a voi!» (2). 

«Signore, quanto sono grandi le vostre opere e quanto sono profondi i vostri pensieri! Voi mi rallegrate, o Dio, con le vostre opere ed io trasalisco di allegrezza davanti alle opere delle vostre mani» (3). 

«Perciò io vi canterò finché vivrò, io vi celebrerò finché avrò un soffio di vita» (4); «che la mia bocca sia piena di lodi affinché io esalti la vostra gloria!» (5).  

Beato Dom COLUMBA MARMION 

lunedì 27 aprile 2020

CRISTO, VITA DELL'ANIMA



IL DISEGNO DIVINO NELLA NOSTRA PREDESTINAZIONE ADOTTIVA IN GESÙ CRISTO  

La ragione umana può dimostrare che esiste un Essere supremo, causa prima di ogni creatura, provvidenza del mondo, rimuneratore sovrano, fine ultimo di tutte le cose. Da questa conoscenza razionale e dalle relazioni, che essa ci manifesta tra le creature e Dio, derivano per noi certi doveri, il cui insieme fonda ciò che si chiama la legge naturale e la cui osservanza costituisce la religione naturale.  
   Ma la nostra ragione, per quanto potente, non ha potuto scoprire nulla, con certezza della vita intima dell'Essere supremo: la vita divina appare infinitamente lontana, in una solitudine impenetrabile: Lucem inhabitat inaccessibilem (1).  
   La rivelazione è venuta a inondarci della sua luce. Essa ci insegna che c'è, in Dio, una ineffabile paternità.  
Dio è padre: è il dogma fondamentale che tutti gli altri presuppongono, dogma magnifico che lascia confusa la ragione, ma rapisce la fede e entusiasma le anime sante.  
Dio è padre. - Dall'eternità, quando non splendeva ancora la luce creata sul mondo, Dio genera un Figlio, al quale comunica la sua natura, le sue perfezioni, la sua beatitudine, la sua vita, poiché generare è comunicare (2) l'essere e la vita (3), (4). La vita è dunque in Dio, vita comunicata dal Padre e ricevuta dal Figlio.  
   Questo Figlio, in tutto simile al Padre, è unico (5), è unico, perché ha (6), col Padre, una stessa e indivisibile natura divina; e tutti e due, benché distinti l'uno dall'altro (in causa delle loro proprietà personali «di essere Padre» e «di essere Figlio»), sono uniti in un vincolo d'amore potente e sostanziale, da cui procede quella terza persona, che la Rivelazione chiama con nome misterioso: lo Spirito Santo.  
   Tale, per quanto può conoscerlo la fede, il segreto della vita intima di Dio; la pienezza e la fecondità di questa vita   è la sorgente della felicità incommensurabile, che possiede l'ineffabile società delle tre persone divine.

Ed ecco che Dio, non per aggiungere qualche cosa alla sua pienezza, ma per arricchire per suo mezzo altri esseri, estenderà, per così dire, la sua paternità. Questa vita divina, così trascendente, che Dio solo ha il diritto di vivere, questa vita eterna, comunicata dal Padre al Figlio unico, e, per loro mezzo, al loro Spirito comune, Dio decreta di chiamare delle creature a dividerla. Per un trasporto d'amore, che ha la sua sorgente nella pienezza dell’Essere e del Bene, che è Dio, questa vita traboccherà dal seno della divinità per raggiungere e beatificare, elevandoli al disopra della loro natura, degli esseri tratti dal nulla. A queste creature pure, Dio dà la qualità e farà sentire il dolce nome di figli. Per natura, Dio non ha che un Figlio; per amore, ne avrà una   moltitudine innumerevole: tale la grazia dell'adozione soprannaturale.  
   
Questo decreto d'amore, effettuato in Adamo fin dall'alba della creazione, poi attraversato dal peccato del capo del genere umano, che trascina tutta la discendenza nella sua disgrazia; questo decreto d'amore sarà restaurato da una invenzione meravigliosa di giustizia e di misericordia, di saggezza e di bontà. Ecco che il Figlio unico, che vive eternamente nel seno del Padre, si unisce ad un dato momento alla natura umana, ma in modo così stretto che questa natura, pur essendo perfetta in sé stessa, appartiene interamente alla persona divina alla quale è unita. La vita divina, comunicata nella sua pienezza a questa umanità, fa di lei l'umanità del Figlio di Dio: è l'opera ammirabile dell'Incarnazione. Possiamo dire con tutta verità che questo uomo, che si chiama Gesù Cristo, è il vero Figlio di Dio.  
   
Ma questo Figlio, che per natura è l'unico del Padre Eterno, compare quaggiù per diventare il primogenito di tutti coloro, che lo riceveranno, dopo essere stati riscattati da lui presentata da Cristo a suo Padre (1), circonderà il trono di Dio, per attingere, alle sorgenti vive una beatitudine senza fine, per esaltare le magnificenze della bontà e della gloria divina. L'unione sarà eternamente consumata e «Dio sarà tutto in tutti».  
  
 Tale è, nelle sue linee generali, il disegno divino. Tale per sommi capi, la parabola che descrive l'opera soprannaturale.  

Beato Dom COLUMBA MARMION

venerdì 20 marzo 2020

CRISTO, VITA DELL'ANIMA



IL DISEGNO DIVINO NELLA NOSTRA PREDESTINAZIONE ADOTTIVA IN GESÙ CRISTO


Importanza, per la vita spirituale, della conoscenza del disegno divino. - I. Idea generale di questo disegno: la santità alla quale Dio ci chiama con l'adozione soprannaturale è una partecipazione alla vita divina portata da Gesù Cristo. - II. Dio vuol farci partecipare alla sua vita per renderci santi e colmarci di beatitudine. – III. La santità nella Trinità; pienezza della vita alla quale Dio ci destina. - IV. Attuazione di questo decreto con l'adozione divina per mezzo della grazia: carattere soprannaturale della vita spirituale. - V. Il disegno divino, attraverso il peccato, ristabilito dall'Incarnazione. - VI. Universalità dell'adozione divina; amore ineffabile che essa manifesta. - VII. Fine primario del disegno divino: la gloria di Gesù Cristo e di suo Padre nell'unità dello Spirito.  

 «Dio ci ha eletti in Cristo, fino da prima della creazione del mondo, perché fossimo santi ed irreprensibili davanti a lui; nel suo amore, secondo il desiderio della sua volontà, ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi, per mezzo di Gesù Cristo, a lode della magnificenza della sua grazia, con la quale ci ha resi piacevoli ai suoi occhi, nel suo prediletto Figliuolo» (1).  
   
L'apostolo San Paolo, che era stato rapito al terzo cielo e che, fra tutti, è stato scelto da Dio per «mettere in luce» come dice egli stesso, «l'economia del mistero nascosto in Dio da secoli», traccia con queste parole il disegno divino su noi. Noi vediamo il grande apostolo lavorare continuamente per far conoscere questo disegno eterno, stabilito da Dio stesso per effettuare la santità delle anime nostre. Perché tutti gli sforzi dell’Apostolo tendono, come dice egli stesso, a «mettere in luce questa economia divina» (1)?  
    
Perché solamente Dio, autore della nostra salvezza, e sorgente prima della nostra santità, poteva farci conoscere ciò che desidera da noi affinché giungiamo sino a lui.  

Fra le anime che cercano Dio molte arrivano a Lui con gran fatica. Le une non hanno affatto un'idea precisa di ciò che sia la santità. Ignorando o lasciando da parte il disegno tracciato dalla saggezza eterna, esse fanno consistere la santità in questa o quella concezione uscita dalla loro intelligenza; vogliono guidarsi unicamente da sé stesse.  
   
Attaccandosi a idee puramente umane, che si sono formate, si smarriscono; se avanzano rapidamente è all'infuori della via vera tracciata da Dio. Sono vittime di quelle illusioni contro le quali S. Paolo metteva già in guardia i primi cristiani (2). Altre hanno delle nozioni chiare su punti particolari, ma mancano di colpo d'occhio generale; si perdono nelle minuzie, non avendo vista sintetica, si agitano rimanendo sempre allo stesso posto; la loro vita diventa un vero lavoro, sottoposto ad incessanti difficoltà, lavoro senza slancio, senza entusiasmo e spesso senza risultato, poiché queste anime dànno ai loro atti un 'importanza maggiore o un valore minore di quello che debbono avere nell'insieme.  

È dunque una cosa assai importante, «non correre a caso nella via», come dice S. Paolo (3), ma «in modo da raggiungere lo scopo» (4); conoscere il più perfettamente possibile l'idea divina della santità; esaminare con la più gran cura, per adattarci ad esso, il disegno tracciato da Dio stesso per farci arrivare sino  a lui. Soltanto a tale condizione si effettueranno la nostra salvezza e la nostra santità.  
   
In una materia così grave, in una questione così vitale, noi dobbiamo guardare e pesare le cose come Dio le guarda e le pesa. Dio giudica ogni cosa nella luce, ed il suo giudizio è l'ultima norma di ogni verità. «Non bisogna giudicare le cose a seconda del nostro gusto», dice S. Francesco di Sales, «ma a seconda di quello di Dio: questa è la grande parola. Se siamo santi secondo la nostra volontà, non lo saremo mai bene; bisogna che lo siamo secondo la volontà di Dio» (1). La sapienza divina è infinitamente al disopra della saggezza umana; il pensiero di Dio contiene delle fecondità che nessun pensiero creato possiede.  

Perciò il disegno stabilito da Dio è di una tale saggezza che non può fallire il suo scopo per colpa d'insufficienza intrinseca, ma soltanto per colpa nostra. Se lasciamo all'idea divina ogni potere di operare in noi, se ci adattiamo ad essa con amore e fedeltà, essa diventa molto feconda e può condurci alla più sublime santità.  
   
Contempliamo dunque, alla luce della rivelazione, il disegno di Dio su noi; questa contemplazione sarà, per le anime nostre, una sorgente di luce, di forza e di gioia.  

Beato Dom COLUMBA MARMION