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mercoledì 12 maggio 2021

LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE

 


Quanto Cristo stimi colui che fa la volontà di Dio. 

   Quanto ho detto, voglio anche confermare con l'autorità, affinché sempre più sia dimostrata la sua  importanza. Sebbene nella S. Scrittura, in più luoghi, si inculchi grandemente questo esercizio, e  Davide dica che la vita stava nella volontà di Dio, e che con la sua volontà Dio diede virtù alla  bellezza dell'anima sua, nondimeno chi maggiormente ce l'inculca è il Maestro della vita, Gesù  Cristo, dicendo che non era venuto se non per fare la volontà di suo Padre. Tanto sublime è questa  occupazione che essa sola merita tanta grande spesa, quanto è il discendere un Figliuolo di Dio dal  cielo per adempirla. 

   In un altro luogo disse che il suo cibo era il fare la volontà di suo Padre, significando il gusto, che  è in questo e la sua necessità e importanza, non meno di quello che il mangiare sia necessario per  vivere. Ma sopra tutto raccomandò questa occupazione, quando disse: Chiunque farà la volontà di  mio Padre, che sta nei cieli, questi sarà mio fratello, sorella e madre (Marc. 3. 35). Prego tutti a  considerare queste parole e chi le disse e quello che significano, a tenerle fisse nel Cuore e a non  cercare al tra maggior premio del rinnegare sé stessi e far la volontà di Dio, che quello che Cristo  con tali parole promise: perché chi le disse fu il Figliuol di Dio, sapienza e verità eterna, che non si  poté ingannare, né disse esagerazione, alla quale mancasse un minimo che di verità: e però non si  hanno a udire queste parole, come eccesso di esagerazione, ma come dette con ischiettezza e verità,  e che veramente il fìgliuol di Dio tiene per fratello, per sorella e per madre chi fa la volontà di suo  Padre: cioè che gli porta amore di fratello e di figlio, il quale vincolo di amore è più stretto di quello  del sangue e della parentela e di maggior stima per sé stesso, perché finalmente il figliuolo manca di  rispetto verso sua madre, e il fratello non sempre soccorre al fratello nel bisogno; ma chi ama é  fedelissimo, né può mancare alle necessità di quegli, a cui vuol bene. Si aggiunga a questo che  Cristo non disse che avrebbe amore solo, come di fratello a fratello o di figlio a madre, a chiunque  facesse la volontà di suo Padre, essendo pur bastante a far stupire tutti i Serafini, tanto gran  piacevolezza e tenerezza del nostro Salvatore; ma disse che avrebbe amore come a fratello, come a  sorella e come a madre insieme, cioè come a tutti quelli uniti insieme, con affetto non solamente  duplicato, ma triplicato. E quanto gran cosa si stimerebbe l'essere fratello carnale di Cristo? E  quanta gran cosa si stima la Madre, che lo diede alla luce? 

   Con chi dunque fa la volontà di Dio, ha queste parentele insieme unite, e l'ama non solo come  fratello, o sorella, o madre, ma come se fossero tutte queste cose insieme. Veramente, ancorché  fosse questa un'esagerazione e in realtà non fosse così, ma fosse stato ciò detto solo per  complimento, questo é un gran favore, che si fa a quelli che adempiscono la volontà divina; e solo  per questo ci obbliga Cristo a far quel che tanto desidera, come ci esprimono queste parole tanto  tenere e amorose. E massime se si considera, che non solo disse Cristo che amerebbe come inferiore  o eguale quegli che facesse la volontà di suo Padre, ma che l'amerebbe come figliuolo la madre, che  é amore, in quanto figliuolo, di inferiore a superiore e per il quale si deve obbedienza: per darci a  intendere che egli stima tanto quello che fa la volontà di suo Padre, che in contraccambio egli  adempirà la sua e in quella maniera gli obbedirà, come fanno i figliuoli alle madri. Qual maggior  finezza di amore può ritrovarsi, che darsi per obbligato il Figliuol di Dio ad adempire la volontà di  quello che adempie la volontà divina, come se obbedisse alla sua propria madre? Per vero, il solo  dir ciò è favore grande. 

   Si aggiunge a questo che tali parole disse quel Figliuolo che nel mondo ha amato più di tutti la sua  Madre, più di tutti l'ha onorata e favorita: eppure con tutto ciò dice che stima come madre quegli  che adempisce la volontà di suo Padre. Ma l'occasione, nella quale ciò disse, ci discopre  maggiormente questo favore: poiché fu quando la sua medesima Madre lo cercava per parlargli; ed egli rispose che suo fratello, sua sorella e sua madre erano i suoi discepoli, in quanto facevano la  volontà divina: il che dopo dichiarò, aggiungendo la sentenza, che andiamo ponderando. Nel che  dimostrò che non solo stimava come sua propria madre quello che faceva la volontà di suo Padre,  solo per questo titolo, ma che lo preferiva nell'amore. E certo è che sebbene non è, né ci sarà al  mondo persona che, dopo Dio, sia amata più da Cristo che sua Madre, nondimeno egli le porta  questo amore, non tanto perché nacque dalle sue viscere, quanto perché ella adempì  perfettissimamente la volontà di Dio: nel che avanzò incomparabilmente sopra tutte le creature  insieme unite. Ma se ve ne fosse alcuna, che avesse meglio adempita la volontà divina, quella  creatura sarebbe amata da Gesù Cristo più che non la sua medesima Madre. E però la maggior  eccellenza della Vergine è più per questo, che per aver preso carne da lei il Figliuol di Dio; il che  dichiarò il medesimo Signore in un'altra occasione, quando, avendogli una buona donna detto ad  alta voce: Beato il seno che ti ha portato, il Signore, come correggendola, disse: Piuttosto beati  quelli che odono la parola di Dio e la custodiscono (Luc. II. 27 e 28), cioè l'adempiscono, facendo  la Sua volontà. Non volle Iddio levare in questo alcuna gloria alla sua Madre santissima, ma solo  dimostrare che la maggior grandezza di lei fu l'adempimento della volontà divina (nel che si avanzò  ella sopra tutti i Serafini e Beati uniti insieme), e che più stimava che una persona adempisse la  volontà di Dio, che s'ei fosse nato dalle viscere di quella medesima persona. 

   Mi si dica ora con quale forza maggiore avrebbe potuto Gesù Cristo raccomandarci questo  esercizio, quanto con parole così tenere e misteriose, nelle quali sopra tutto preferisce al diritto del  sangue, che ha la sua medesima Madre, quegli che fa la volontà divina: e lo dichiara per più felice e  beato, che se avesse da lui ricevuto tanto gran beneficio, quanto ne ricevono i figliuoli dai genitori,  che è un debito incomparabile, e per il quale il medesimo Signore sarebbe stato gratissimo verso sua  Madre, ancorché ella non fosse stata tanto santa, quanto è sopra ogni altra santità creata. In quale  altra maniera si poteva più esagerare questo che con dire che Cristo non si teneva per meno  obbligato a colui che fa la volontà di Dio di quello che sono obbligati i figliuoli ai genitori, il cui  debito si chiama infinito per non potersi pagare? O immensa umiltà di tanto gran Maestà, che si  dichiara così obbligata per adempire quello che noi dobbiamo, e che stima come beneficio infinito  quel debito, al quale noi siamo infinitamente tenuti per mille titoli? Chi non resta obbligato a questa  bontà e generosità di Gesù? 

   Non so se ci deve cagionare maggior ammirazione che Cristo rispettasse, quando era in terra,  come fratello e madre quello che faceva la volontà di suo Padre, adempiendo fedelmente la sua  volontà, o che lo rimiri, ora nel cielo, come signore; perché non sono meno tenere e significanti  quelle parole che disse per S. Luca, parlando di quei servi, che vegliavano per dare a lui gusto e  servirlo in tutto adempiendo senza trascuraggine né intermissione alcuna la sua santissima volontà.  Beati, dice, quei servi, i quali il Signore troverà vigilanti, quando verrà: vi dico in verità, che il  medesimo Signore si cingerà e metterà in ordine per servir li, e facendoli sedere a mensa, anderà  portando loro in tavola (Luc. 12. 37). Dichiara come li premierà. nella gloria, per essergli stati servi  fedeli in questa vita con 1'adempire la sua volontà. 

   E io non so con quali altre ragioni poteva maggiormente significare l'aggradimento e la stima che  fa di quelli, che in questa maniera 1'adempiono: poiché, per significar ciò, dice che il medesimo Dio  li servirà e farà con loro ufficio come di famiglio: e qui non parla della sua umanità, ma della sua  divina natura, come ben dice S. Tommaso: «L'onnipotente Iddio di tal maniera si soggetta (a nostro  modo d'intendere) a ciascheduno degli angeli e anime sante, come se fosse schiavo comprato da  ciascuno di loro, e ciascuno di loro fosse il suo dio: e per dare a intendere questo, andrà servendo a  tutti, avendo detto nel salmo LXXXI, v. 6: Io dissi che siete dèi: perché quel Dio sommamente  perfetto adempirà in sé quello che qui insegnò dicendo: quanto più sei grande, tanto più umiliati in  tutte le cose. E sebbene è superiore a tutti in dignità e maestà, nondimeno si soggetta a tutti con  umiltà». Tutte queste sono parole di questo gran Dottore, nelle quali dichiara il molto che volle dire  il Figliuol di Dio in quelle parole. E veramente 1'esprime in quello che dice, che Cristo arriva a  stimare i suoi servi fedeli, che solamente attendono alla sua divina volontà, non solo come suoi  signori, ma come dèi. Il medesimo Signore, in un altro luogo del suo Vangelo, ci dà occasione di maggiormente apprendere questa sua tanto gran compiacenza e carità, quando disse per S. Giovanni: «Se alcuno mi ama, osserverà la mia parola», adempiendo cioè in tutto la volontà divina;  «e mio Padre l'amerà, e verremo a lui e porremo in lui la nostra stanza». Il che disse Gesù in quel  medesimo sermone, che finiva col dire, che nella casa di suo Padre vi erano molte abitazioni per  premio dei beati nella gloria. E il dire subito che la stanza di suo Padre e sua era quegli che  osservava la sua parola e faceva la sua volontà, pare lo stesso che se si fosse degnato di dire per  eccesso di amore, che quegli era come suo premio e sua beatitudine: e che ciò che era il cielo per i  beati, era con qualche somiglianza per Dio chi adempiva la volontà divina. 

   E sebbene questo è un parlar metaforico, nondimeno molto vivamente ci significa la stima e la  compiacenza grande, che Dio ha di chi fa la sua volontà: poiché non si poté meglio significarlo. E  certo è, che quel concetto, che noi possiamo formare di parole tanto tenere e esagerate, non può  giungere a quello che la cosa è in sé stessa: perché, sebbene pare che Cristo abbia usato  esagerazioni, sono state però in cose tali, che sempre resterà minore il nostro concetto e non  giungerà alla vera stima di quello che é. Né vi ha dubbio veruno, che Dio sta nel cuore di chi fa la  sua volontà, con maggior gusto, che nel più maestoso trono, che il pensiero umano possa  immaginare, ancorché eccedesse mille volte la grandezza e la maestà del Cielo empireo. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. 

giovedì 8 aprile 2021

LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE

 


Che non si può far contro e resistere alla volontà di Dio. 

Se non basta tutto questo a persuadere un cuore a lasciare sé stesso e moderare i suoi desideri,  consideri che, se non vuol volentieri conformarsi con la volontà divina, non potrà fare contro di  essa, né resisterle: poiché, quantunque non voglia, deve portar l'infermità che Dio gli manda, e il  travaglio che gli dà, e la necessità con la quale lo visita. Quanto dunque é meglio accettar di buona  voglia quello che ci può recar dispiacere, cavar guadagno dalla necessità, e acquistarsi Dio per  amico a così buon mercato e senza nessuna spesa, che non il far resistenza a quello, contro cui non  potremo resistere? I vasi e tutti gli apparati dell'altare di Dio e del tabernacolo comandò Iddio che  fossero involti di ammanti di color celeste, affinché i portatori non avessero curiosità di sapere  quello che portavano, ma intendessero che quella era livrea di Dio e che era cosa del culto divino,  senza differenza di una cosa all'altra, Per cui se ne andavano quelli tutti contenti e portavano il loro  peso senza disturbo. Se dunque noi vogliamo con gusto portare le pesanti cariche di questa vita, che  necessariamente dobbiamo portare, non dobbiamo attendere ad altra cosa; né aver curiosità di saper  altro, se non che ci vengano dal Cielo e dalla mano di Dio, e che sono di suo servizio e di suo gusto,  né dobbiamo aver alcun riguardo alla comodità o gusto nostro. 

   Consideriamo ancora che sì nell'inferno come nel purgatorio non abbrucierà altra legna che quella  che avrà radunato la volontà propria; e ancorché uno si salvi, tutto quello che avrà fatto di propria  volontà, tutto deve essere prima abbruciato dal fuoco del purgatorio. Di modo che non è già cosa  solamente dovuta, né solamente soave, né solamente utile il non fare la nostra volontà, ma è anche  cosa necessaria. E oltre tutte le ragioni e allettamenti efficaci per muoverei a impiegarci di proposito  a questo esercizio di adempire la volontà di Dio e di conformarci ad essa, concorre anche la forza e  la necessità, che ci obbliga sotto pena di male, poiché non solo militano, in far la volontà di Dio,  tutte le sorta di beni che ci invitano, ma nel contrario concorrono unitamente insieme tutte le sorta  di mali, cioè le colpe, le pene, gli errori, i timori, i pericoli, il purgatorio, 1'inferno, causa dei quali è  la nostra stessa volontà. Sicché nelle cose anche lecite dobbiamo di essa tremare, non sapendo ciò  che sia bene per noi. 

   Possiamo ricordarci di Lot, quanto male gli cagionò il suo gusto e 1'elezione che fece per propria  volontà della terra, nella quale doveva abitare, sebbene fosse cosa lecita, e gli fosse domandata da  Abramo suo zio. Questi, che era gran santo, non volle eleggere, né cercare nulla per sé, ma  giudicando che per la quiete e la pace bisognava che egli e Lot, suo nipote, si separassero, lasciò al  nipote la scelta del sito dove voleva vivere, riserbando per sé l'altra parte: ancorché fosse peggiore,  umiliandosi così e cedendo le sue ragioni a chi era minore di bisogno, e da chi doveva essere  rispettato. Fece Lot la scelta, ma gli sortì tanto male il far la propria volontà che in breve fu preso e  fatto schiavo, e forzato a fuggire di là, dove aveva eletto di vivere, e perdendo la sua casa e la sua  moglie, vide cose molto lagrimevoli, e gli successero altre grandi disgrazie. 

   Che potrà rispondere a tutto questo la malizia umana? Dire che non vuol far quello che per mille  obblighi e titoli deve a Dio, questo è il peggior termine del mondo. Dire che non vuole l'onore che  in ciò si ritrova, è la maggior villania e il più grande disprezzo di Dio. Dire che non vuol gustare la  dolcezza e il contento che in ciò si contiene; qual cosa più da disperato e quale stoltezza maggiore?  Dire che non vuole il suo vantaggio e la sua utilità, qual maggiore prodigalità e spreco? Voler  resistere a Dio e scegliere per meglio il pentirsi poi e patire le pene del purgatorio, piuttosto che  voler dar gusto al Creatore, qual maggior ingratitudine e sfacciataggine? Finalmente colui che con  tutte le ragioni che abbiamo dette non resterà persuaso, non ha che dire con la lingua, come lo dice  con l'opera, che né per bene, né per male, vuol far quello che piace a Dio: sicché non può trovarsi  maggior bestemmia.

Questo chiunque consideri (ch'io lo prego per il sangue prezioso di Gesù Cristo), chiunque avrà  dato un'occhiata a questi discorsi, e di grazia ponderi bene tutte le ragioni addotte: e se non gli  faranno forza, lo prego che torni a rileggerle, e se questo ancora non basterà, faccia alquanto di  orazione sopra di loro, servendosene per punti di meditazione, e con l'intimo del cuore domandi a  Dio lume e forza di conoscere questa verità e di abbracciarla. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. 

venerdì 29 gennaio 2021

LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE

 


Che il fare la volontà di Dio è il sommo bene della vita, è il Cielo, è la beatitudine anticipata. 

Da tutto ciò che si è detto, segue che l'adempire la volontà di Dio è una aggregazione di tutti i  beni; e però è il sommo bene di questa vita, una beatitudine anticipata, un paradiso in terra, una  gloria in questa valle di lacrime, poiché se consideriamo le condizioni della beatitudine, secondo ciò  che dicono i filosofi e gli scolastici, le ritroveremo tutte nella perfetta conformità con la volontà  divina. 

   Alcuni definiscono la beatitudine una raccolta e aggregato di tutti i beni. Questo ritroviamo qui;  poiché tutti i beni si vengono a ridurre a quelle tre sorta di beni, che sono l'utile, il dilettevole,  l'onesto; i quali beni abbiamo veduto come stanno tutti nell'adempimento della volontà di Dio, non  essendovi altra cosa per noi più utile, di maggior contento, di maggior cuore, più ragionevole. Onde  tutti i beni, cioè tutte le sorta di beni, stanno accumulati in questa occupazione. Altri dichiarano  beatitudine quella, alla quale nulla manca. Il che parimente si adempie nella conformità al volere  divino; perché, non essendo la mancanza delle cose cagionata dall'esserne privi, ma dal desiderio  che di esse abbiamo, e non essendo chi fa perfettamente la volontà di Dio, né avido di altra cosa, né  inclinato a cosa alcuna, non manca di nulla, perché nulla desidera. Altri dicono la beatitudine un  bene indeficiente, un'allegrezza eterna, senza imitazione e interruzione. Il che è pure di chi adempie  la volontà divina; perché il bene, che questi acquista e l'allegrezza che possiede, non gli può  mancare, essendo sempre la medesima causa, che è il gusto di Dio e l'adempimento della sua  volontà; la qual causa dura in qualsivoglia successo, così prospero come avverso, e riconoscendo  sempre che tutte le cose vengono dalla mano di Dio. E siccome Cristo Signor nostro, fra tanti  tormenti che patì, non perdé mai la beatitudine dell'anima, così chi sta conformato alla volontà  divina, per molti travagli che l'affliggano, non perde mai il suo gusto e contento; perché mentre ha  unito il suo volere con quello di Dio, vedendo che tutte le cose vengono da tanto buon cuore e da  tanto potente mano, i medesimi travagli gli si convertono in godimento, perché più desidera e ama  la volontà di Dio che la sua. Che però quelle cose che gli potrebbero dar pena, gli cagionano  contento e consolazione, non avendo cosa che lo possa inquietare, né che interrompa la sua pace. E  siccome il santo abbate Deicola sempre rideva per il gran contento che aveva, e gioiendo diceva:  Nessuno mi può togliere Cristo; cosi chi va conformando la sua volontà con Dio, può star  contentissimo e dire: Nessuno mi può levare il mio gusto; e quello che é più: Nessuno mi può  togliere Dio. E non sarà mai interrotta questa contentezza, perché né termina, né s'interrompe con la  morte, ma passa da questa vita all'altra, per durare nei secoli dei secoli. 

   E se la beatitudine, come altri la definisce, é un adempimento di tutti i desideri, che beatitudine é  quella di chi non vuole, non desidera altra cosa, se non quello che Dio vuole? Poiché con ciò vede  adempito ogni suo desiderio, e tutto quello, che più vuole e può desiderare, e va sempre  adempiendo la sua volontà in una maniera stupenda; perché chi, negando la sua volontà, fa che la  sua volontà non sia altra che quella di Dio, viene per questa strada a fare che sempre si vada  facendo e adempiendo la sua volontà: e questa è una causa di grandissima allegrezza. 

   Finalmente l'adempire la volontà divina é un possedere Dio con unione strettissima: perché non  v'è cosa con la quale più si uniscono due insieme, che la conformità della volontà, per cui si dice,  che sono un cuore e un' anima sola, e che si trasformano l'uno nell'altro. Essendo dunque Dio tutti i  beni, quello che sta tanto strettamente unito con Dio e lo possiede per titolo d'amore, con ragione si  dice che ha tutti i beni: e se ha tutti i beni é chiaro che nulla gli manca: e se nulla gli manca, non gli  deve mancare un bene tanto grande, quanto è la sicurezza: di maniera che non gli si possa nulla  togliere, se egli non vuole; godendo di quella beatitudine, che può aversi in questa vita, con il possesso di tutti i beni, senza mancanza di alcuno di essi e senza pericolo che mai finiscano, se non  per sua colpa. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. 

giovedì 31 dicembre 2020

Che non ci può essere cosa migliore né più utile di quello che Dio vuole.

 


LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE 

Se tutto ciò, che abbiamo veduto, cioè che il fare, non la propria, ma la volontà di Dio, è cosa  tanto obbligatoria, tanto onorevole, tanto dolce e dilettevole, non fosse bastante a persuadere ad  alcuno il sommo bene, consideri il grande interesse ed utile, che questo porta: perché se solo  l'interesse (utilità incerta in cose che non sono di utile, ma piuttosto di pericolo e di danno), può  tanto nei cuori umani, che fa loro lasciare la pace e la quiete e la patria e i figli e le mogli, e li fa  andar volontariamente in esilio, e fa loro mettere a rischio la vita, per mari e deserti, avventurandosi  a ogni rischio, e passando per mille travagli e incomodità; l'interesse tanto grande e le utilità che  seguono dal fare la volontà di Dio, come or ora vedremo, uniti insieme con tanto gran gusto, e con  tanto onore, e con l'adempimento di tante obbligazioni, perché non ci muoveranno a lasciare almeno  i nostri desideri, restando noi con ciò in sicuro, senza avventurar la vita, né la salute temporale, anzi  acquistandone l'eterna? 

   Giunti adunque a veder i guadagni, che sono nel fare non la propria, ma la volontà divina, basta  dire, che con ciò si schivano tutte le sollecitudini e gli errori, e si accerta sempre in tutto quello che  si fa. Onde, siccome non v'è cosa, che ci sia più utile, o per dir meglio, non ve ne ha al cupa che sia  utile, se non il fare la volontà di Dio; così non ci é cosa che ci sia più dannosa che il fare la propria  volontà la quale non si adempie mai senza nostro gran danno. Quindi è, che con ragione dicono  comunemente i Santi, che la propria volontà è radice ed origine di tutti i mali. E anche Aristotele,  perché uno sia prudente e non erri nel giudicare le cose, ricerca per fondamento della prudenza una  buona volontà libera dell'amor proprio e sciolta da ogni affetto. Dimodochè, così per non errare nel  giudicare le cose, come per essere sicuri di ciò che facciamo, è necessario non fare la nostra  volontà, né lasciarci dominare dai nostri desideri; ma liberi da ogni affezione di cosa creata,  rivolgere l'affetto solo all'adempimento della divina volontà, attendendo solamente ad essa; perché è  impossibile di essere sicuri in altra maniera. 

   Si considerino anche solo i danni temporali, che ci hanno fatto i nostri desiderii e la nostra  volontà. Quante infermità ci hanno occasionato gli eccessi nel mangiare, che per sua cagione  abbiamo fatto? Quante perdite di roba ha causato a quelli, che la desiderano, una collera e un affetto  non mortificato? Quante disgrazie, quanti disgusti, quanti timori? Veramente non vi è maggior  utilità e giovamento che gettar via da noi questa spada, con la quale ci feriamo, versare questo  veleno, che ci attossica, seppellire, abbruciare questo strumento de' nostri danni, cacciare dalle  anime nostre questo demonio, che ci molesta. E però non senza ragione il santo Pamenes rispose ad  uno, che si lamentava di essere combattuto dai demoni, dicendo: Non combattono con noi i demoni,  quando facciamo le nostre volontà; perché esse ci servono di demoni, che ci tribolano e  combattono. 

   La nostra propria volontà è lo spirito più maligno, che ci fa cadere: il coltello più acuto, che ci  tronca il collo: il veleno più potente, che ci ammazza: la morte più micidiale, che ci priva della vita.  Con ragione S. Anselmo la paragonò a un'erba velenosa e mortifera, va meravigliandosi il santo,  che, dopo di aver noi veduto per esperienza la morte che cagionò a' nostri primi padri, non  tremiamo da capo a' piedi della sua malizia, la quale egli dichiara con una similitudine, così: La  volontà propria è simile a un'erba velenosa e mortifera, la quale un savio medico ha proibito che ne  mangino quelli di una certa famiglia, sotto pena di riempirsi di lebbra e di quella senza dubbio  morire. Ma essi, non facendo caso della minaccia, ne hanno mangiato, e subito si sono riempiuti di  lebbra, generando figliuoli lebbrosi, e finalmente morirono. 

   E i loro figliuoli sono sì stolti, che conoscendo il male che quel cibo ha causato a' loro genitori e a  sé stessi, tuttavia non cercano e non mangiano avidamente altro che quest' erba: e ogni lor vivanda  con questa mala erba condiscono: la mattina, subito levatisi da letto, mangiano di quella, come fosse  per loro medicina salutare, e il medesimo fanno, quando vanno a dormire. Chi è che nell'udir questo, non reputi questa gente senza giudizio? Ma è maggior sciocchezza e pazzia il dolersi della  nostra propria volontà, poiché essa è quell' erba del demonio, velenosa e pestilenziale a tutti coloro  che l'adoprano; perciò Dio la proibì a' nostri primi padri, quando vietò loro di mangiare dei frutti di  un albero. Ma essi, soddisfacendo la propria volontà, calpestarono quella di Dio, e così, fatti  peccatori e morendo nell'anima, generarono parimenti figliuoli peccatori. E con tutto ciò non si  trova cosa che gli uomini maggiormente cerchino, che la propria volontà, che vanno mescolando in  tutto ciò che fanno. Veramente non vi ha uomo più stolto e pazzo di costoro, i quali non adoprano  cosa con maggior gusto che la lor morte nascosta nella loro propria volontà. In questa maniera  dichiarò S. Anselmo qualche parte dei danni, che si trovano nel fare la nostra volontà e la grande  stoltezza nostra di non tremare. Ma ancorché non avessimo altro che temere della nostra volontà,  solo per castigare e far vendetta di chi ci ha fatto tanti mali, anche temporali, non lo dobbiamo  obbedire. 

   Che sarà poi, se considereremo i danni spirituali e la perdita dei beni eterni? Quante volte ci siamo  veduti con un piè nell'inferno, per seguire la nostra volontà? Di quanti doni divini ci siamo  malamente serviti, disprezzando infinite volte la grazia e il sangue del Figliuolo di Dio? E quale  maggiore soddisfazione dell'assicurare noi stessi di noi medesimi, che si ottiene con fare la volontà  di Dio e non la nostra? E qual maggiore utilità di essere sicuri di scegliere il meglio, guardando ad  un punto sicuro, che è la volontà divina, la quale vuole solamente quello che è bene per noi? Che  cosa è più giovevole che il ritrovare un'arte di far sempre ciò che è più utile? Poiché veramente non  possiamo desiderare cosa migliore, né più utile per noi. di quello che Dio ci desidera. Poiché il  volere e desiderare bene ad uno nasce dall'amore che gli si porta: e tanto maggiore è questa volontà  e desiderio di bene, quanto maggiore è l'amore. Ora amandoci Dio assai più incomparabilmente di  quello, che noi amiamo noi stessi, ci desidera e vuole più bene incomparabilmente, che non ci  desideriamo noi medesimi. Dall'altra parte Dio non può errare in conoscere quello che conviene per  noi; perché è sapienza infinita e la sua provvidenza non è come la nostra esposta a pericolo di  inganni. 

   Noi non sappiamo quello che è bene per noi; e però se non vogliamo errare, dobbiamo seguire il  suo gusto e la sua volontà, che sempre cerca il nostro bene, senza ingannarsi in esso: e ce lo  desidera infinitamente più di quello, che ce lo possiamo desiderare noi medesimi. Di modo che non  ci è cosa più utile per noi di quello che Dio vuole. E però se noi non vogliamo male a noi stessi, non  dobbiamo volere altra cosa. Oh come fa vergogna Epitetto filosofo a molti cristiani, mentre  riprendendoci, dice: Uomo ignorantissimo, desideri per avventura altra cosa che quello che è  meglio? E può forse esserci cosa migliore di quello che piace a Dio? E perché la volontà di Dio ha  due parti, l'una che vuole che facciamo qualche cosa, l'altra che vuole che soffriamo qualche cosa,  per questo c'invia infermità, travagli e altre cose di sentimento e di dolore: acciocché ci  persuadiamo maggiormente che questa è la cosa più utile e profittevole per noi. 

   Consideriamo che, oltre l'esser Dio infinitamente buono, per il che desidera ogni nostro bene, e  oltre l'esser infinitamente saggio, sicché non può ingannarsi in conoscerlo, è ancora infinitamente  potente, onde non è debolezza, né impotenza il non liberarci dagli incommodi, in cui ci troviamo,  essendo a lui tanto facile l'uno, quanto l'altro; ma perché sa che hanno ad essere bene per noi e  perché ce lo desidera svisceratamente, ci ritiene in quelli e ce li manda, servendosi in ciò della sua  onnipotenza.   Tutto questo è una chiara dimostrazione di quanta utilità e giovamento sia il fare e il  volere solo quello, che vuole un Signore così onnipotente, saggio e buono per noi, e non quello che  la nostra volontà desidera; la quale né sa accertarsi in quello che vuole, né può eseguirlo: né del  nostro medesimo amore, riceviamo tanto contento, quanto di quello di Dio. E questo é una grande  consolazione, che dobbiamo avere in tutte le cose: considerare, che quello, che ordina Sua Divina  Maestà, é solo quello che ci sta bene e ci è utile. Dell' altre cose dobbiamo temere, come di nemici  armati; e dobbiamo pur tremare dei nostri medesimi desiderii, se vogliamo altra cosa, che quello  che egli vuole. E se Dio ci lasciasse fare qualche cosa a nostro gusto o arbitrio, dobbiamo  intimorircene. Nelle mani di S. Francesco Borgia lasciò Dio la vita della sua moglie; ma il santo,  tremando della sua volontà, non volle valersi di questa grazia e privilegio; ma rimettendo il tutto alla divina provvidenza, pregò il Signore, che lo determinasse egli e non lo lasciasse in sua balia.  Veramente è tanto giusta, tanto ragionevole e tanto inclinata al nostro bene la volontà divina, che  non abbiamo bisogno d'altra ragione, né causa per adempirla in ogni cosa. 

   Ma oltre ciò, sono molte le utilità, che da ciò seguono. E qual maggiore interesse di quello che  risulterà a uno, il quale, come ho detto, ha realmente e rigorosamente per vero amico il medesimo  Dio; e ciò solo con adempire la Sua volontà? poiché l'amicizia di Dio non è sterile, né si ferma solo  nell'affetto; ma è efficace, e il suo amore è secondo i beneficii, e riempie di grazie e favori quello  che ama e tiene per amico. E' però, come potranno non essere grandi le utilità che si ritrovano in  questa amicizia? E tanto più che Sua Divina Maestà arriva fino ad accomodarsi alla volontà umana  con quella esattezza, che si è detto, facendo quello che i suoi servi desiderano o potrebbero  desiderare. Che se dagli uomini si stima utile un servo, perché sa fare solamente con puntualità la  volontà del suo padrone; come può non essere utilissimo per noi l'aver un Dio onnipotente, pronto a  fare quello che vogliamo con la puntualità, che dice Davide parlando con Dio, della maniera ch'Ei si  porta col giusto: Gli concedesti il desiderio dell'anima sua e non lo defraudasti della volontà delle  sue labbra (Sal. 20, 3), cioè di tutto ciò che seppe domandare. 

   Che sarà dunque, se considereremo il tesoro dei meriti, che si acquistano con questo esercizio,  facendo tutte le cose per amor di Dio e per adempire la sua santissima volontà? V'ha in ciò interesse  tanto grande quanto se uno di legni e di pietre vilissime facesse perfettissimo oro; perché le opere  che per sé stesse non sono meritorie, come sono le indifferenti, e quelle che sono necessarie per  sostentar la natura, come il mangiare e il dormire, e quelle che per sé stesse, sebbene grate a Dio,  sono di minor virtù, s'innalzano con questo esercizio ad essere preziosissime e della più eccellente  virtù che é la carità: perché con questo uno va amando Dio continuamente e senza intermissione,  perché la prova dell'amore é l'avere un medesimo volere e non volere, e questo vuole perfettamente  quello che Dio vuole. Di maniera che anche col dormire merita, non volendo quel riposo naturale se  non é di gusto di Dio. Dal che ne segue che quegli che cammina con questa avvertenza, fa molte  opere meritorie e di molto maggior merito; perché derivano dalla virtù più eccellente e di maggior  merito, che é la carità e amor di Dio, che consiste nell'avere un medesimo volere con lui, la qual  virtù non solo si esercita con questa occupazione, ma va del continuo crescendo poiché quegli che si  spropria del suo volere e affezione, è più disposto a conoscere le cose divine e a ricevere maggiori  illustrazioni dal Cielo, le quali vengono impedite dalle nostre passioni e affezioni; e dall'intendere e  conoscere Dio e dall' aver maggiore e più chiaro conosci mento di lui, si accende e si infiamma più  l'amor suo; e però le opere che procedono da questo amore, sono più eccellenti e meritorie. Oltre di  questo, l'esercizio delle virtù è più facile con questa disposizione: perché attraversandosi molte  volte cose ardue e di umiliazione nell'esercitarle, chi non bada ad altro che alla volontà di Dio, non  trova inciampo per via. 

   Finalmente da questo ne caviamo il vivere non in qualsivoglia modo, ma una vita divina che si  gode per mezzo di questa intima unione e conformità con Dio. Si consideri di quanto maggior  interesse è al corpo 1'unione dell' anima, che 1'essere signore di tutto il mondo; perché senza questa  unione non gli servirebbero nulla l'impero e le ricchezze dell'universo: per cui gli uomini stimano  più la vita che non tutti i tesori dei re. Se dunque siamo tanto interessati nell'unione e conformità del  corpo con l'anima, che farà la congiunzione e l'unione con Dio? E se a un morto non giovano tutte  le cose, perché senz'anima, di qual giovamento ci può essere l'anima senza Dio, che è l'anima  dell'anima nostra? Perché, siccome non v'ha cosa di giovamento senza la vita, così non vi è vita che  giovi, senza Dio. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. 

domenica 4 ottobre 2020

LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE

 


Come non v'è nel mondo Cosa di maggior diletto, che mortificare totalmente la sua volontà  per fare quella di Dio. 

Con l'essere di tanto onore il non far la sua, ma la divina volontà, si congiunge il non ritrovarsi  cosa più dilettevole e gustosa; affinché almeno per questo giocondo titolo e che è tanto potente a  muovere i cuori di tutti, ci animiamo a tanto nobile esercizio. E l'onore umano è riposto in cose  moleste e difficili, e non se ne fa acquisto se non con azioni ardue e faticose e di niun gusto per sé  stesse. Ma tuttavia ha questa occupazione un tal privilegio, che con essa si acquista il maggior onore  del mondo, che è l'essere uno amico di Dio: e oltre di ciò ella è in sé medesima la più gustosa e  dolce di tutte, e di maggior pace e soddisfazione, e sebbene a prima vista sembri nuovo e incredibile  che il mortificare in tutto la propria volontà, sia cosa di gusto, non è però esagerazione alcuna:  perché ne abbiamo l'esempio chiaro in ciò che succede nei Beati, non essendoci chi ritenga meno  della propria volontà, né chi viva con maggior gusto e godimento di essi. 

   Tanto è lontana dall'esser penosa la mortificazione e annegazione della propria volontà, che non  può essere la beatitudine senza una totale annichilazione del proprio volere, per accomodarsi a  quello di Dio. Questo bastava per assicurarci e toglierci la paura, che sia malinconia e afflizione di  cuore il non fare la propria volontà, per fare e volere quella di Dio. Né disturba agli Angeli la loro  gloria quello che di essi dice Davide: che adempiono la parola di Dio, cioè quello che egli comanda  e vuole: il che adempiscono con tanto gusto e sapore, che stanno anelanti e attenti alla sua voce per  udire quello che tornerà loro di nuovo a comandare. In quella guisa che un fanciullino, che ha  gustato di una vivanda saporita che gli è stata pòrta, torna a fissar gli occhi nel piatto, aspettando  che gliene sia dato di nuovo. Ed é di tanto gusto ai Beati il non fare la loro volontà, ma quella di  Dio, che si rallegrano molto più di questa che della grandezza della sua gloria e della sua beatitudine. Più si rallegrano della volontà di Dio, perché volle che fossero beati, che del godimento  della loro propria beatitudine. 

   Nella terra ancora abbiamo esempio di questo nelle persone sante, le quali non facendo mai la  propria volontà, mortificandosi in tutte le cose, vivono contentissime, piene di giubilo e allegrezza.  S. Francesco Saverio, il quale non anelava ad altro che di adempire la volontà di Dio, senza aver  riguardo alla sua, e che cominciava sempre la sua orazione con quelle parole di S. Paolo: Signore,  che volete ch'io faccia? Viveva tanto ripieno di gaudio, che non gli capiva il cuore nel petto; onde  slacciandosi la veste, diceva: Basta, Signore, basta, chiedendo con ciò a Dio, per le molte  consolazioni e favori divini che riceveva, che temperasse la dolcezza e le abbondanti misericordie,  con le quali lo regalava. S. Efrem ancora era tanto fortemente rapito da questo gusto celestiale  dell’adempimento della volontà divina, che non potendo soffrire la grandezza della sua letizia e  diletto, esclamava a Dio, dicendo: Signore, allontanatevi un poco da me; perché non può la  debolezza del mio corpo soffrire la grandezza dei vostri diletti. 

   Non si può spiegare il giubilo che riceve un'anima mortificata, la quale non ha altra volontà né  volere, se non quello di Dio: perché, come disse un dottore, ad ogni totale adempimento della  volontà segue alcun gusto; e perciò l'adempimento della volontà divina contiene in sé un gusto  divino, quando uno non ha più altra volontà che quella di Dio. E questa differenza v'ha da uno che  adempie la sua propria volontà, ad uno che non tiene conto di essa, per adempire quella del suo  Creatore: che colui avrà solo il gusto della volontà umana, ma questi il gusto della divina, cioè un  gusto molto superiore a ogni altro gusto e partecipe del divino, che eccede tutte le dolcezze del mondo. Buon testimonio di questo è Davide, che in vari luoghi confessa questa soavità e gusto: 

Nella via de' tuoi comandamenti, o Signore, io mi dilettai, come di tutte le ricchezze del mondo (Sal.  118. 32).  I tuoi comandamenti, o Signore, sono più degni di essere desiderati che l'oro e le pietre  preziose, e sono più dolci dei favi di miele (Ibid. 18, 11). 2 

   E acciocché alcuno non pensi che questo succedesse solamente a Davide, ovvero che egli lo  dicesse come per esagerazione o modo di dire, sentiamo un testimonio de' nostri tempi, la cui santità è molto ben conosciuta e celebrata, che ci dirà quanto gran gusto sentiva in non fare il suo  gusto. La venerabile vergine D. Luisa da Carvascial confessa quello che in questo particolare  passava nell'anima sua, dicendo così: «Mentre io andava ricevendo la luce nel conoscimento del  tesoro, che si racchiude nella cognizione della volontà di Dio, si venne ad imbevere 1'anima mia di  un'intima affezione a questa virtù, la quale me ne ha fatti fare molti atti, tenendo diverse volte occupata la considerazione nelle sue qualità e grandezza; con che ho ricevuto molto accrescimento  di luce continuamente fino ad oggi; e pare all'anima mia che non può essere possibile, secondo  quello che prova di presente, di aver volontà differente da quella di Dio, nella quale si trova tanta  felicità, soddisfazione e gloria, che, ancorché le avesse a costare 1'essere, che ha o un inferno di  pene, non lascerebbe di goderla per quel breve tempo, nel quale avesse da congiungere il suo sì col  sì di Dio. E il pensiero, che, quando Dio mi avesse disfatto e annientato tutto il mio essere,  resterebbe esso glorificato nell'adempimento di questa sua volontà, e che finalmente si sarebbe fatto  quello che avesse voluto, mi dà tanto gusto, che mi pare che non se ne trovi altro, con cui  cambiarlo. E però, ancorché io voglia che me se ne offra o me se ne rappresenti alcuno per  l'avvenire, subito Si sopisce tutto col rivolgermi a Nostro Signore e dirgli: In quello che voi volete,  che cosa v'ha più da domandare o desiderare? Giungendo una cosa ad essere di vostro gusto, qual  maggior gusto di questo ci può essere per me? E in tutti i travagli mi è un rifugio notabile e un'aura  temperata, che viene da quel Regno pacifico e tranquillo; e con questa si ricrea e ristora l'anima, si  mitiga la sete di vari desideri, che sorgano in essa, e finalmente s'invigorisce a passare innanzi, fino  ad entrare nella perfetta possessione di quella virtù, per quanto le è possibile, mediante la grazia  divina». Ed è tanto questo gusto che anche gli stessi tormenti rende saporiti: come parimente  confessa la medesima serva di Dio e sposa di Cristo, la quale dice così: «Che in questo stato (che  senza esperienza mi si discopre per via del lume dell'intelletto) possa esservi cosa della terra, che si  possa chiamare travaglio, con difficoltà lo capisco; perché, restituita l'anima a questo terreno o  celeste paradiso, appena giungono ad essa siffatti travagli e tribolazioni, che restano in vestiti da  questo divino sole; e sono tanto luminosi, risplendenti e soavi, che apportano gusto nell'anima; e ancorché si sentano (avendo essi tale qualità in sé che si fanno in estremo sentire), senza levar via  alle volte quella certa sorte di sentimento, Nostro Signore li mescola delicatissimamente insieme  con un contento e sollievo meraviglioso: e l'amore in questo stato si ritrova tanto superiore di forze  a tutto e tanto sitibondo, che se vedesse spargere quanto sangue è nel corpo, per causa di quel  sommo bene che ama, non si potrebbe mai mitigare.» Così quella serva di Dio. 

   Ma oltre i favori, consolazioni e regali, coi quali Dio ricrea sopranaturalmente quelli che solo  attendono ad adempire la sua divina volontà, ne segue che questi vivono naturalmente senza pena  alcuna e con gran pace dell'anime loro e allegrezza de' loro cuori; perché la causa di tutte le pene e  affanni della vita è la nostra propria volontà, non le cose avverse che succedono. Quale altra è la  causa dei disgusti, se non perché le cose succedono al contrario di ciò, che uno desidera, o perché fa  qualche errore, che non vorrebbe? Di tutto questo resta libero chi non ha volontà propria, né fa, né  vuole se non quello che vuole Dio; perché non avendo egli volere se non quello di Dio, e non  potendo questi fallire, non gli succede cosa contraria al suo desiderio; per cui giuoca al sicuro, non desiderando se non quello che fa Dio; anzi se la passa con un perpetuo godimento, perché vede  sempre adempire la sua volontà, anche nelle maggiori avversità; e quello che Dio vuole non è  diverso da quello che egli vuole. Dall'altra parte nelle opere che farà, seguendo la volontà di Dio,  non può errare, e neppure rattristarsi in esse: né avrà a pentirsi di quello che farà in questa maniera,  ma sì bene rallegrarsi di servire a Dio e di fare il suo gusto, con quella soddisfazione, che gli dà la  coscienza: e così vive ripieno di gusto e di contento. Il contrario è di chi tiene la propria volontà;  ché, vedendo a ogni punto defraudati i suoi desiderii e le sue traccie, si rattrista da una parte; e dall'altra, considerando i suoi falli, imprudenze e errori, vive pieno di pentimenti e di disgusti. Molti  filosofi, senza far riflessione alle cose divine, ma solamente per passar la vita quaggiù senza  travaglio, consigliarono di lasciare tutti i desiderii e operare seguendo il parere altrui o il consiglio,  che darebbe un savio e perfetto uomo. Quanto più lo dobbiamo far noi e mutare i desideri nostri che  ci avvelenano, per avere solamente i divini, che sono ripieni di salute e sono indirizzati al nostro bene? Quanto meglio dobbiamo prendere per maestro delle nostre azioni il medesimo Dio, facendo  quello, che egli ci consiglia e comanda per sé stesso e per mezzo de' suoi vicari, nostri superiori, o  che richiede la legge della ragione? 

   Da ciò ne segue che non solo è gustoso fare la volontà divina, ma che nel fare altra cosa non v'ha  contento vero e sicuro. Primo, perché, se la nostra affezione si accosta a qualche creatura, essendo  per sé stessa caduca, nel mancarci, si converte tutto il nostro gusto, in maggior dispiacere e pena;  perché le cose di questa vita sono di tale condizione, che sono più potenti a recarci dolore con la  loro mancanza, che gusto col loro possesso. E però i mali e disgusti loro sono più e maggiori che  non sono i loro contenti. Solo chi s'avvicina a Dio, ha gusto sicuro; e perciò dice S. Agostino: Se tu  vuoi avere il tuo godimento, che sia eterno, avvicinati a quello che è eterno». L'ago della bussola  non si ferma, finché non sta rivolto verso qualche punto fisso, e da qualsivoglia altra parte si ponga,  sempre sta inquieto. E il nostro cuore, che fu fatto per Dio, più di qualsivoglia altra creatura, ha  inclinazione al suo centro o alla sua perfezione naturale; né può star quieto, se non sta rivolto al suo  Creatore. Secondo, perché, anche se le cose durassero sempre, sono tanto scarse e piccole, che non  possono soddisfare al nostro appetito e al nostro cuore, il quale solo si può saziare di Dio, e però  non si contenta mai di esse. A un avaro, tanto è l'aver molto, quanto poco, perché al medesimo  modo desidera sempre più, senza termine alcuno, né si contenta mai di nulla. Le cose del mondo  possono solamente occupare il cuore, non riempirlo. Dio solo lo riempie. Ed è bene che qui si  rifletta, che siccome le altre cose, non riempiendo il cuore, l'occupano e l'imbarazzano a non  attendere a Dio, per il contrario Iddio, riempiendo il cuore, non l'imbarazza, né impedisce che  attenda ad altre cose, e che le faccia come van fatte, e che eserciti opere esteriori di carità, e che ami  ancora tutto il mondo per il medesimo Dio. Di maniera che non ci è cuore più disimbarazzato per  tutti e per abbracciare tutto il mondo con vero amore, che il cuore di chi lo tiene ripieno di Dio. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.

mercoledì 26 agosto 2020

LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE




Che non vi ha cosa di maggior altezza e onore che soggettare la nostra volontà a quella di Dio. 

Oltre di esser cosa, che tanto obbliga e tanto è giusta e che tante volte è dovuta a Dio  infinitamente, il non fare la nostra, ma la divina volontà in tutto e per tutto, non vi ha cosa più  desiderabile, né che si debba maggiormente ambire e pretendere da noi; perché in questo  concorrono non meno tutte le ragioni di bene per affezionarci ad esso, che le obbligazioni, le quali  ci tirano, e i rispetti, che si sforzano. Tutta la ragione dei beni, che si attraggono i nostri desideri e  s'impadroniscono delle nostre volontà, é perché vediamo qualche onore e speciosità, o qualche  gusto e diletto, o qualche utilità e emolumento. Ciascuna di queste ragioni basta per persuadere il  nostro appetito. Che cosa sarà, concorrendo esse tutte unite insieme in questo esercizio, e non in  qualche modo, ma in sommo grado, non essendo nel mondo cosa più gloriosa, né più dilettevole, né  più utile per noi, che il non fare la nostra volontà e adempire solo quella di Dio? Che cosa vi è di  maggior onore, che l'essere sollevato uno da Dio, con questo esercizio, ad essere suo amico? Lo  stesso Figliuol di Dio ci dice: Voi siete miei amici se farete quello ch'io vi comando (Giov. 15. 14).  Così colui che adempie quello che vuole Dio, senza metafora, né esagerazione, si chiama ed é  amico di Dio. L'onore che in questo si racchiude, non si conoscerà se non da chi intenderà quello  che dicono Aristotele e gli altri filosofi delle condizioni degli amici, richiedendo uguaglianza e altre  eccellenti qualità tra le persone che devono avere vera amicizia. E non é nel mondo, né vi sarà, né é  possibile che vi sia amicizia più vera e fina di quella che passa fra Dio e uno che non fa la sua, ma  solamente la divina volontà. Con questi, per adempire le leggi di amico, Dio s'inchina a trattare  famigliarmente, come se fosse suo uguale: e dall' altra parte l'innalza sopra ogni dignità e onore  umano, per essere una cosa medesima con lui. Di modo che per quello che si adempisce da noi,  come schiavi di Dio, facendo la sua volontà, egli ci innalza ad essere suoi amici, che è il titolo più  onorato e di maggior gloria che possiamo desiderare. E sebbene dai re della terra non si chiamano,  né si tengono per amici i loro vassalli, per fedeli e leali che ad essi siano, e benché abbiano sempre  adempito quanto è stato loro comandato (per essere il titolo di amico tanto onorato, che non si  giudica, che nei sudditi si ritrovano meriti per arrivare ad essere chiamati con rigore amici di un re),  nondimeno Iddio onora tanto quello che gli sta soggetto e gli è fedele, adempiendo la sua volontà,  che gli dà quell'onore e titolo che per troppa gloria non vogliono dare i principi della terra a quelli ai  quali più devono. Ora, perché noi perderemo così per nulla quest'onore, potendolo noi acquistare  solo con quello, che per mille titoli abbiamo obbligazione di fare? 
   Né solamente gode un'anima che fa la volontà di Dio, questo gran bene dell'amicizia di lui, ma ha  un altro incomparabile onore di essere sua sposa, con vincolo e unione strettissima. Questa altezza  si potrà conoscere dalla differenza che sarebbe fra due figliuole di un villano, se una si accasasse  con un altro suo eguale, che in tutta la vita andasse con la zappa in mano, ma l'altra fosse scelta da  un grande imperatore per sua legittima sposa. Quanto diverso stato avrebbe l'una dall'altra! Quanto  diverso onore si dovrebbe loro! Questa differenza adunque, e anche maggiore, è di una persona che  si sposa con Dio, dandogli tutto l'amore e volontà sua, senza tradirlo, né in volere, né in fare cosa  alcuna secondo il proprio gusto, rispetto ad un'altra persona la quale, volendo adempire il suo  capriccio, anche senza peccato grave, si congiunge con le creature, poiché questa se ne resta nella  sua bassezza e rusticità, in quanto si soggetta al suo affetto di terra, e quella ascende a una nobiltà e  dignità divina, riverita e ammirata dagli angeli, e si rende signora di sé medesima e di tutte le  creature. Tutte le cose si nobilitano con la congiunzione di altre più nobili, e così 1'aria con la  congiunzione e la unione della luce si illustra. 
   Dunque molto più un'anima con questa congiunzione e unione con Dio, consorte della divina  natura, acquista una sopranaturale nobiltà e onore che anche i medesimi angeli hanno in venerazione. Epperò dicono gravi dottori che molti angeli vengono ad assistere e a far compagnia a  quelle anime le quali pongono tutta la loro diligenza nell'adempimento della volontà divina. 
   Mi dicano dunque ora gli ambiziosi dell'onor umano: quale maggior onore di questo può fare il  mondo a' suoi monarchi? Quale accompagnamento e quale pompa più illustre poté far Roma a' suoi  trionfatori? Che sarà l'essere un'anima circondata da spiriti sovrani? Che guardia più maestosa ebbe  mai imperatore della terra? E non perché non si vede questa Maestà, si diminuisce punto la sua  grandezza: anzi è maggiore, quanto meno sono capaci di essa i sensi. E qual maggior dignità e  gloria, che 1'aver in terra un medesimo impiego e carica, che hanno e avranno tutti gli angeli e i  beati del cielo, cominciando uno adesso a far quello, che per tutta l'eternità deve fare e adempire  nella casa di Dio? Finalmente quale maggior onore e dignità che avere un medesimo ufficio che il  Figliuol di Dio, il quale fece la volontà di suo Padre fino alla morte e morte di croce? Volendo Iddio  far stimare la virtù del venerabile abbate Stefano a un suo fratello, che non l'apprezzava, come  conveniva, apparve a questo un uomo terribile che gli disse: «Tu non conosci la dignità del tuo  fratello Stefano»; e volgendosi questi a rimirarlo, lo vide crocifisso con Cristo: perché non vi è  maggior onore, che questo di essere crocifisso col Figliuol di Dio, mortificando tutte le sue voglie,  per adempire il volere di Dio. 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J

martedì 4 agosto 2020

LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA REALE E BREVE PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE



Del diritto e giustizia, che ha Dio, perché gli uomini facciano non la propria, ma la volontà  divina. 

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Oltre il dominio supremo che ha Dio sopra di noi, anche per molti altri titoli, fuor di quello di  giustizia, ha diritto che noi non facciamo in nulla la nostra volontà, ma la sua. Né è poco stretta  l'obbligazione della virtù, della pietà o della religione, per 1'obbedienza, rispetto e onore, che gli  dobbiamo per essere nostro padre, con tant'obbligo e sì strettamente, che non vi è altro padre che lo  sia più di lui, partecipando noi, per grazia, della sua divina natura, con unione e vincolo strettissimo.  Di modo che, sebbene Dio non avesse assoluto imperio sopra le creature, per questo titolo di essere  egli padre degli uomini, gli dobbiamo un'infinita obbedienza, che consiste in questo: di fare l'altrui  volontà e non la propria; e però dovendogli noi tale obbedienza, per quella ragione di padre,  dobbiamo per conseguenza fare la sua volontà e non la nostra. 
   Ancora per il titolo di nostro sposo e per il suo essere perfettissimo e infinitamente eccellente  sopra ogni altro essere, lo dobbiamo infinitamente amare: e l'amore infinito non lascia luogo che si  ami altra cosa; perché se un forte amore di cosa creata, non dà luogo a uno di amare sé medesimo, il dovere di amare Dio come può stare coll'amare e col cercare altra cosa, sia pure sé medesimi?  Dovendo pertanto amare Dio infinitamente, non dobbiamo volere altra cosa che lui o per lui, e  molto meno dobbiamo far cosa, che sia contro il suo gusto. 
   Aggiungo di più: anche quando noi non fossimo schiavi di Dio, come siamo, dovendo in ogni  cosa fare la sua volontà; anche quando non fossimo suoi figli, per il qual titolo gli dobbiamo ogni  obbedienza; anche quando le anime non fossero spose di lui, né egli fosse infinitamente perfetto, né  gli dovessimo per giustizia, pietà e religione alcuna cosa creata, né fargli alcuna servitù; solo per ciò  che gli dobbiamo per motivo di gratitudine, siamo obbligati a non fare in cosa alcuna la nostra  volontà, ma in tutto e per tutto la sua. Chi è che, dubiti, che quegli che ha ricevuto beneficii grandi,  deve mostrare di essi tanto maggiore gratitudine, quanto maggiori sono i beneficii e quanto meno  egli li meritava? Dunque è chiaro, che al1a beneficenza e liberalità di Dio, che è infinita, e massima  demeritata da noi, per la nostra infinita ingratitudine e sfacciataggine e mali termini usati con sua  Divina Maestà, dobbiamo dimostrare una gratitudine infinita, la quale si deve dimostrare con cosa,  che sia nostra propria; perché nessuno soddisfa ad altri con le cose altrui e molto meno se sono di  quello, a cui vuol soddisfare. E poiché noi non abbiamo niente di nostro, e solo quello, che si può  dire meno impropriamente nostro è l'arbitrio, è la libertà, è la volontà, così ci è obbligo di dare  questa interamente a Dio. Onde, per essere la nostra povertà tale, che non ci resta altra cosa, questa,  che pare che ci resti e che è più nostra, non ci è scusa né ragione che ci dispensi di soggettarla a Dio  totalmente; e non gliela soggetteremo totalmente, se riteniamo per noi qualche cosa, per minima che  sia. Si aggiunge a questo, che, non avendo noi da dare a Dio se non il nostro arbitrio, la nostra  libertà, il nostro amore, non vuole Dio altra cosa; e tutto il rimanente, senza questo, non gli aggrada  molto; e chi procura di gradire ad altri, ha da accompagnare ciò che gli deve, con quello che sa  essergli di gusto. 
   Cresce ancora questo debito, perché non solamente siamo tenuti a Dio per infiniti beneficii, ma  anche per la sua medesima volontà: dobbiamo perciò pagarlo della medesima moneta, dandogli la  nostra. poiché siamo obbligati a Dio del suo amore e del1'aver lui col1ocato in noi la sua affezione e  il suo gusto, e dell'aver fatto sua Divina Maestà la volontà nostra; perché, essendo Dio assoluto  signore e avendo supremo diritto di soddisfare al suo gusto e di fare delle sue creature quello che gli  aggrada, vuole solamente quello, che è bene per noi e fa la volontà de' suoi servi, procurando di dar  loro gusto a costo del suo sangue e della sua vita, e prevenendo i nostri desideri, quando sono  ragionevoli, facendo quello che noi dovremmo o desidereremmo che si facesse. Alla voce di  Giosuè, dice la S. Scrittura, obbedì Iddio. E senza il consenso e la volontà di Mosè, non volle  castigare il popolo d'Israele; e poiché Mosè non volle, si contenne. E quello che è più, senza  consenso di Elia, non volle usare misericordia, né dar la pioggia per lungo tempo, ancorché perisse  la gente. Per guardare al gusto di Abramo, non volle castigare Sodoma e Gomorra, senza dargliene  prima avviso, perché ritrovandosi quivi il suo nipote, lo potesse salvare. Condiscese ancora alla  volontà di Giacobbe, benedicendolo, come desiderava. Essendo S. Tomaso d'Aquino infermo e  desiderando un pesce che non si trovava, glielo mandò Dio miracolosamente. Altrettanto successe  all'apostolico padre Pietro Canisio della Compagnia di Gesù: desiderando questi in un' infermità di  mangiare un uccello, che non si era potuto trovare, il meschino uccello entrò per la finestra della  camera e andò nelle mani degli infermieri. 
   Finalmente concede Iddio tanto liberalmente quello che gli chiedono i giusti, che, dice Davide,  tiene sempre rivolti ad essi i suoi occhi per veder che cosa vogliono, e tende i suoi orecchi alle loro  domande per adempirle. Se Iddio dunque così adempie la volontà umana, quando è giusta, perché  non avremo cura pur noi di adempire la volontà divina, che è tanto giusta, quanto è la legge e la  forma della giustizia e santità. E se si gloriava il figliuolo di Temistocle, che stava in sua mano il  fare del popolo ateniese quello che voleva, perché nel voler egli una cosa, subito la voleva anche  sua madre, e in volerla sua madre, subito la voleva suo marito, e nel volerla Temistocle, subito la  volevano tutti quelli di Atene; con quanta maggior ragione si potrà rallegrare un giusto che in sua  mano sta il poter divino, e che tutto quello che vuole, lo vogliono tutte le creature, tutti gli angeli, tutte le anime beate! E, ciò perché conforma la sua volontà con quella di Dio, con la quale sono  conformati tutti i cittadini del cielo. 
   Consideriamo ancora, come Iddio non solo inclina la sua volontà a quella degli uomini e  l'adempie, quando desiderano alcuna cosa per bene dell'anima loro; ma di più fa tutto il bene che  noi desidereremmo se lo conoscessimo, e più, di quello ancora che non avremmo ardire di  desiderare, prevenendo sua Divina Maestà la nostra volontà e i nostri desideri. Chi è, prima che Dio  ce lo promettesse, che desiderasse, come cosa possibile, o avesse ardire di domandare che il Figlio  di Dio si incarnasse per lui?... che morisse tanto ignominiosamente?... che si nascondesse in un  poco di pane e si desse in cibo a' suoi vili schiavi? 
  Dunque quei desideri che noi ci saremmo vergognati di avere, Iddio non ebbe cuore di lasciare di  adempirli, solo perché tornavano in nostro pro. Chiaro è che questo richiede gratitudine e una  corrispondenza simile, adempiendo il gusto di Dio e i suoi desideri che sono tutti in favore nostro e  per bene degli uomini. Epperò tutti i nostri affetti e desideri e opere devono essere per Dio; e  tuttavia non li soddisfacciamo, né gli offeriamo quell'olocausto di noi stessi, che merita il suo  supremo dominio e quell'infinito diritto che egli tiene nelle nostre volontà, le quali gli dobbiamo  sacrificare. Il qual sacrificio è il più, grato a sua divina Maestà che uno le può offrire di sé, perché 
in questo sacrificio non solo offre a Dio le sue cose, ma sé medesimo. 
  Da quello che si è detto si cava ancora una ragione molto forte di non cercare la nostra propria  volontà, vedendo che Dio, sebbene egli solo abbia il diritto di fare la sua propria volontà, ad ogni  modo non la fa, ma fa quello che é bene per i suoi predestinati; poiché questo non é avere volontà  propria, ma comune, volendo quello che per sé stessi dovrebbero volere gli uomini, e non facendo,  né volendo alcuna cosa che non sia utile a' suoi eletti; acciocché noi ancora non abbiamo volontà  propria, ma comune con Dio, non facendo, né volendo cosa che non sia onor suo: il che solo é  quello che ci può essere giovevole. 
   Oltre tutto questo, Dio ha acquistato un nuovo diritto; che noi in tutto lo seguitiamo e ci  conformiamo con la sua santissima volontà, per il cattivo conto che abbiamo dato della nostra, e per  il quale ci siamo rovinati. Poiché, siccome un uomo prodigo o uno che é divenuto forsennato perde  ogni diritto che tiene a governare la sua roba, dandosi dalle leggi azione ad altri per governarla e  disporne in profitto di lui, nella medesima maniera e con molto maggior causa noi abbiamo perduto,  per i nostri peccati, ogni diritto di fare la nostra volontà, se pur ne avevamo alcuno. Dobbiamo però  sopra tutto aver sempre nella memoria e nel cuore la più forte ragione, la più stretta obbligazione, il  più forte e rigoroso diritto che ha Dio, che noi gli diamo gusto: ed é 1'essergli chi é, infinitamente  buono, perfetto, bello, saggio, maestoso, onnipotente, insomma, ogni bene. 
   Nessuna ragione e nessun diritto, che abbiamo allegato, é maggiore di questo, sebbene é il meno  inteso. Questo d'esser Dio chi é, sommo bene e la somma di tutti i beni, non solo invita, né solo  obbliga, ma forza e necessita di sua natura ad adempire in tutto il suo gusto e a non cercar altra  cosa. La ragione é perché la nostra volontà è stata fatta per amare il bene, e dove si trova il sommo  bene e tutti i beni uniti insieme, e si conosce come é in sé stesso, non può lasciare di amarlo, e  amare non é se non desiderare e voler bene a quello che si ama; e nessuno può voler bene  efficacemente che non lo eseguisca se può; perché in altra maniera non vuol bene con verità ed  efficacia; e siccome il maggior bene che uno può volere, è mettere in opera per altri quello che è a  lui di gusto, così chi ama Dio deve parimenti far quello che gusta a Dio. Onde tutto il diritto che Dio  ha di essere amato, lo ha acciocché facciamo il suo gusto; e come per essere egli chi è, ha il maggior  diritto che sia possibile e immaginabile, acciocché l'amiamo, così parimenti per essere chi è, ha il  maggior diritto che sia possibile e immaginabile, acciocché facciamo il suo gusto e non il nostro.  Perché, essendo incompatibili queste due cose, fare il gusto di Dio e il nostro, quanto diritto ha Dio  di essere amato e che noi adempiamo nel suo gusto, altrettanto diritto ha che noi non facciamo il  nostro gusto. 
   Dunque se tutto questo è cosi, se tutti questi diritti sono veri, se Iddio ha tutte queste ragioni,  perché non le farà valere? Dov' è il nostro giudizio, dove la nostra legge, dove la nostra vergogna,  se abbiamo ardire di contravvenire a tante obbligazioni, di cancellare tanti titoli, di violare tanti diritti, di togliere di testa a Dio questa sua corona e parla sopra la nostra, di fare una sciocchezza  tanto grande, quanto è per un leggero gusto e, senza riguardo ad ogni diritto, procacciar la nostra  rovina e non assicurare la salvezza e la vita eterna, con mantener illesa al nostro Creatore e  Redentore la sua somma giustizia, conservandogli il diadema della sua maestà e autorità divina, e  facendo in tutto la sua santissima e giustissima volontà? 

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J

domenica 7 giugno 2020

Del diritto e giustizia, che ha Dio, perché gli uomini facciano non la propria, ma la volontà divina.



LA VOLONTÀ DI DIO 
 O 
STRADA REALE E BREVE 
PER ACQUISTAR LA PERFEZIONE 

Non v'ha dubbio che uno schiavo deve fare la volontà del suo padrone, e un vassallo quella del  suo principe, un figliuolo quella di suo padre, una sposa quella di suo marito, senza preferir punto il  proprio gusto. Ora Dio é Signor nostro, Re nostro, Padre nostro, Sposo nostro, e noi siamo suoi per  mille obbligazioni: perché ci ha comprati col suo sangue, perché noi ci siamo dati in suo potere e  perché ci ha creati. Che se un vignaiolo ha dominio nell'albero, ch'egli pianta, un pastore in un  agnello, che nasce nella sua greggia, e un artefice nella statua, che ha fatto, qual diritto avrà Iddio  nelle sue creature, avendole fatte di niente? Poiché, siccome dicono i filosofi, che dal fare una cosa  di qualche altra cosa e farla di niente, v'è una infinita distanza nella potenza e causa di tali effetti,  cosi il diritto e dominio, che Dio acquista nelle sue creature, per averle fatte di niente, eccede  infinitamente ogni altro diritto. Or se un uomo ha giusta azione e dominio sopra un altro uomo, per  far di lui quello che vuole e per far che il suo schiavo non possa neppure muoversi a suo gusto,  solamente perché lo vinse in guerra, o perché nacque in casa sua di una schiava, o perché lo comprò  con prezzo vile e transitorio; che diritto avrà Iddio sopra la nostra volontà, acciocché ci soggettiamo  al suo gusto, avendogli noi questa tanto grande obbligazione di averci creati di niente e aver ci oltre  di ciò ricomprati e redenti? Chiaro à che per molti capi è grande l'obbligazione, che abbiamo, di fare  la volontà di Dio: e tale è anche il diritto ch'egli ha sopra la volontà nostra. E se uno schiavo, per  tanto picciola obbligazione che ha al suo padrone, non è signore delle sue azioni e voglie; noi, con  tanto immense obbligazioni e tanto grande e supremo dominio, che Dio ha in noi, come vogliamo  essere padroni di noi medesimi e della nostra volontà, e non soggettarla al nostro Dio e Signore?  Consideriamo dunque come per questa causa noi non abbiamo titolo giustificato di seguire in cosa  veruna, per minima che sia, il nostro gusto, né pur di serrare e aprir gli occhi, né di muovere un dito,  né di respirare; perché conforme alla giustizia e secondo ogni legge, tanto si deve, quanto si riceve;  e avendo noi ricevuto da Dio tutto quello che siamo, tutto anche quello che siamo, abbiamo a  impiegare in suo servizio e a dipendere dal suo comando. Oltre che l'obbligo che abbiamo a Dio, è  infinito, e l'infinito non ha termine, né eccettua cosa veruna, e non ci lascia luogo di essere nostri in  cosa alcuna, ma tutti di Dio: il cui diritto sarà subito ingiustamente violato da chi vorrà far qualche  cosa secondo il suo gusto, e non tutto, senza eccezione alcuna, secondo il gusto divino, sia azione  esteriore, sia movimento interiore dell'anima, fino ad un minimo pensieruccio. Per il che disse S.  Anselmo questa notabile e verissima sentenza: Solo Dio deve volere con propria volontà quello che  vuole, né ha sopra di sé altra volontà, la quale debba seguire; e però quando un uomo vuole qualche  cosa di sua propria volontà, toglie a Dio la sua corona; poiché, in quella maniera che solamente un  re ha diritto di mettersi la corona, così Dio solo ha diritto di fare la propria volontà; e sì come  disonorerebbe il suo re colui, che gli strappasse di capo la sua corona, nella medesima maniera usa  un bruttissimo termine con Dio e lo disonora chi gli toglie il privilegio della propria volontà,  volendo avere quello che solo a Dio conviene: e siccome la propria volontà di Dio è l'origine e la  fontana di ogni bene, così la propria volontà dell'uomo è il principio d'ogni male. Tutto questo è di  S. Anselmo. Ma acciocché ponderiamo questo un poco meglio, è bene che torniamo a considerare a  uno a uno questi titoli, pei quali Dio ha diritto sopra di noi, poiché se a questa obbligazione infinita  di non cercar noi in cosa veruna il nostro gusto, e a tutto questo diritto di Dio di fare noi in tutto il  suo volere, sotto pena di essere ingiusti, ladri e sleali, è sufficiente il titolo della creazione, per esser  noi stati fatti dal niente, con amore immenso e potenza infinita, e per essere Iddio nostro padre e  signore, che sarà, oltre di questo, per gli altri titoli, per i quali ancora è signor nostro?  Primieramente perché ci comprò, come ho detto, non in qualsivoglia maniera, ma sborsando per noi un prezzo infinito. Poiché se un uomo, per i denari dati per uno schiavo, ha titolo di giustizia e  azione in lui, perché faccia in tutto la sua volontà, al medesimo modo, per l'infinito prezzo che Dio  ha dato per noi, ha somigliante diritto: e questo diritto é infinito, e per causa di esso dobbiamo stare  infinitamente soggetti a Dio e fare la Sua volontà: con il che si esclude totalmente l'aver noi diritto  di fare la nostra, eziandio nella minima operazione non solo del corpo, ma anche dell'anima; poiché  avendo Iddio, con questo prezzo infinito, comprate le nostre anime più che i nostri corpi, noi non  abbiamo azione né diritto di usurparci per nostro gusto neppure un movimento interiore del cuore. 
   Oltre di ciò noi siamo di Dio per esserci dati in sua podestà per accordo e contratto, che abbiamo  fatto, ancorché per altro rispetto noi fossimo suoi, in quella guisa che S. Paolino, essendo libero, si  diede per ischiavo a un uomo barbaro, obbligandosi a servirlo e a far la sua volontà in ciò che  comandasse. E però, giacché noi di propria volontà ci siamo dati a Dio, e adesso io ratifico mille  volte questa consegna e la faccio di nuovo, Iddio acquista per questo un nuovo diritto sopra di noi,  acciocché facciamo il suo e non il nostro gusto: il qual diritto parimenti é infinito, e per causa di  esso noi siamo infinitamente obbligati a fuggire di fare la nostra volontà e a far solamente quella di  Dio. La ragione, per la quale é infinito questo diritto, é perché noi ci siamo dati nelle mani di Dio,  per gli infiniti debiti che abbiamo con lui, per i suoi infiniti beneficii. E siccome appresso alcune  genti, se i debiti arrivavano ad essere tanto grandi, che il debitore non li potesse soddisfare, egli  restava schiavo del creditore, il quale aveva nel suo debitore tanto diritto, quanto era il debito, così  ci siamo noi stessi soggettati a Dio, per non poter pagare i beneficii e i debiti con lui contratti, che  sono infiniti. L'obbligazione, che di qua ne nasce, e il diritto, che perciò gli abbiamo dato sopra di  noi, è infinito, obbligandoci in tutto il possibile a servirlo, e soggettandoci ad esso per infinite  ragioni, per le quali noi non siamo nostri in cosa alcuna, né abbiamo alcun diritto di fare la volontà  nostra, ma solo quella di Dio. 
   Per questo ancora, se un uomo ha diritto sopra il suo servo per il salario che gli promette, di  servirsene a sua volontà, nella medesima maniera acquista Dio diritto che noi facciamo la volontà  sua per la mercede eccessiva, che ci ha promesso e ci vuol dare; e siccome un servitore deve tanto  più servire al padrone, quanto meglio lo paga; e il premio che Iddio ci ha a dare e che ha giurato di  darci, cosa in sé, come dicono i teologi, oggettivamente infinita, poiché è il medesimo Iddio e il  possesso di lui e la chiara visione della sua natura infinita; ed essendo questo possesso eterno, con  una durazione infinita, l'obbligo, che di qui nasce, si ha a giudicare parimenti infinito. Ma ancorché  Iddio né ci avesse creati, né ricomprati con la sua vita e sangue, né noi ci fossimo a lui obbligati di  propria volontà, né gli fossimo obbligati per alcun bene, e ancorché non ci avesse a pagare tanto  liberalmente la nostra servitù, solo per l'autorità ed eccellenza del suo essere, re e signore nostro, gli  dobbiamo stare infinitamente soggetti senza aspettare altra ragione. né titolo maggior di questo.  Poiché, secondo Aristotele, il dominio naturale si fonda nell' eccellenza della natura, per la quale  l'uomo è signore degli animali, e il marito comanda alla moglie, e al più savio devono stare soggetti  gli ignoranti. E però eccedendo l'eccellenza e sapienza di Dio infinitamente tutte le altre cose, la  signoria che ha per questo, è infinita, e noi anche per questo rispetto dobbiamo mostrarci  infinitamente soggetti alla sua volontà. 
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P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. 

martedì 26 maggio 2020

LA VOLONTÀ DI DIO o strada reale e breve per acquistar la perfezione



Quale sia la strada più breve della vita spirituale. 

Procacciatevi non quel cibo che passa, ma quello che dura sino alla vita eterna (Gv 6,27). Queste  sono parole di Gesù Cristo, Figliuolo di Dio, autenticate con l'autorità della sua persona e con la  grandezza del suo amore: poiché discese dal cielo e soffrì morte di croce per il bene degli uomini, e  per insegnarci una vita divina con la dottrina e opere sue. Operate, dice egli, non il sostentamento e  cibo corruttibile, ma quello che dura per tutta l'eternità. Al che parimenti ci animò col suo  esempio, quando disse che il suo cibo era il fare la volontà del Padre suo (Gv 4, 34): perché fra  tutti gli esercizi spirituali, che sono il sostentamento dell'anima, col quale si nutrisce la vita dello  spirito e il fervore, l'adempire la volontà di Dio e il conformarsi con essa ha da durare per tutta  l'eternità: e non abbiamo a cessare da questa dolce occupazione, nella quale stanno ora gli Angeli  immersi, con gran contento e onor loro, e vi staranno per sempre , come di essi dice David, che  stanno facendo la volontà del Signore (Sal. 102. 20, 21). Non è il medesimo negli altri esercizi  particolari della vita spirituale: poiché l'umiltà, la pazienza, la mortificazione, la penitenza e le altre  divozioni e mezzi per ottenere la perfezione, non saranno in quell'altra vita; e anche in questa non si  possono esercitare di continuo, ma alle volte o si hanno a interrompere o a mutare; perché tutti  questi esercizi non sono a proposito in una medesima maniera per tutti, né per una medesima  persona in tutti gli stati, perché quello che conviene ai principianti non é tanto a proposito. per i  proficienti e perfetti. Solo l'adempimento della volontà di Dio é non solo conveniente a tutti, ma  anche necessario: e questo cibo é tanto saporito e profittevole a quelli che lo cominciano a gustare,  che non mai viene loro in fastidio, né li annoia. Di più, a questo esercizio si riducono tutti gli altri, e  chi adempirà questo solo, li adempirà tutti. Sarà umile, penitente, mortificato, paziente, modesto.  Tutto quanto dicono gli autori spirituali, e quanti mezzi dànno, qua vanno a battere: e chi si  applicasse a questo esercizio davvero e con perseveranza, si troverebbe presto molto. avanti nella  perfezione, perché egli é una gran scorciatoia e la strada più diritta, e con esso si dà subito nel  punto. E perché, come ho detto, é per tutti gli stati, si può dire la strada reale, potendo camminar  tutti per essa, senza pericolo di errare: i principianti, i proficienti, i perfetti, i fiacchi, i forti, gli  infermi, i sani. Per il che sarà gran servizio di Dio il mettere in pratica questo esercizio, e il porre in  esso gran divozione. 
   Ci sono alcuni i quali si applicano a varie virtù e mezzi, per conservarsi in ispirito e conseguire la  perfezione; dandosi alcuni all'umiltà per segnalarsi in essa, altri alla mortificazione, altri alla  penitenza, altri all'orazione, ponendo tutte le forze per approfittarsi in queste virtù particolari. Io  penso che, sebbene questo è di grande importanza, nondimeno sarebbe una grande scorciatoia e si  conseguirebbe il tutto, se questa diligenza e applicazione particolare si ponesse subito in procurar di  adempire la volontà di Dio e di non fare cosa, neanche alzar gli occhi, che uno non sia certo esser  gusto di Dio e sua santissima volontà. Di maniera che non ci sia per un'anima altra ragione, né  maggior causa, né forza più violenta, né necessità più urgente che il dire: Iddio vuol così; questo è il  gusto e beneplacito divino: avendo sempre la mira di fare o di lasciare qualsivoglia cosa, quando è  gusto o non è gusto di Dio, o come a lui piacerà che si faccia, o che si lasci di fare. 
   Questo è l'esercizio più breve e di minor briga: questa è la strada più sicura e libera dagli inganni:  questo è il compendio della vita spirituale: questa è una regola universale della vita che non ha  eccezione; questo è un mezzo che è fine degli altri mezzi ed esercizi, è il mezzo più efficace di  adempirli tutti meglio e con maggior merito. Onde questo studio di attender solamente a fare la  volontà di Dio e a cercarla, oltre che è la regola generale di tutte le nostre azioni e l'unica ragione di farle bene e di acquistare una prudenza divina, è la fontana più perenne dei meriti; perché  qualificandosi la bontà delle opere dall' eccellenza del fine col quale si fanno, né essendoci fine né  più puro, né più alto, che la volontà di Dio, ché è lo stesso Dio, viene per questa causa a sollevarsi  tutto quello che si farà con questo fine, e ad arrivare a un grado altissimo di meriti, e a farsi opere di  finissima carità. E nella pazienza con la quale uno sopporta per amor di Dio le cose avverse, perché  Dio vuole che si sopportino, non v'é minor merito, essendo perfetta carità e suprema legge di amore  l'aver un medesimo volere e non volere: e così facendo e patendo uno tutte le cose, perché Dio  vuole così, sta sempre accumulando meriti grandi, e con questo solo esercizio può innalzarsi a gran  santità. Onde io, prima di proporre la pratica di questo esercizio, mostrerò quanto ci sia doveroso,  quanto necessario, di quanta forza, quanto onorevole e dilettevole, di quanto profitto e di quanto  gusto e gran gloria di Dio, per persuadere tutti con questo che ci si applichino; poiché alcuni si  muovono solamente per il loro profitto, altri solamente per il gusto, altri per l'onore, altri per le  obbligazioni e buone convenienze, altri per necessità, altri solamente per forza. 
   Tutte queste ragioni di occuparci in questo esercizio concorrono unite insieme e a quello ci  obbligano, perché per noi altri non ci é cosa che più ci obblighi, né che sia più gloriosa, né più  gustosa, né più onorevole, né di maggior interesse, né di maggior necessità, né di maggior forza,  che l'adempimento della volontà divina.

P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.